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Autore: Hagne    29/03/2013    1 recensioni
"Quando un Re senza trono, ridotto in schiavitù, torna alla ribalta.
Quando degli dei, infrangendo le regole, compiono una blasfemia.
Quando ciò che non dovrebbe esistere nasce, cresce e uccide.
Allora nasce questa storia.
Una storia di amore, odio, rancore, e crescita.
Perchè il confine tra bene e male è labile, precario, e non sempre ciò che sembra giusto, lo è davvero"
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything '
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Capitoli 15
“We are part of the scene
This never-ending story
Where will it lead to?
The earth is our mother
She gives and she takes
But she is also a part
A part of the tale “
[...]
“We're part of a story, part of a tale
We're all on this journey
No one is to stay
Where ever it's going
What is the way?
We're part of a story, part of a tale
Sometimes beautiful and sometimes insane
No one remembers how it began.”


( Never-Ending Story – Within Temptation )









 I flash dei fotografi, seguiti dai ‘click delle loro macchine fotografiche accompagnarono la camminata lenta e dinoccolata con la quale un elegante e sorridente Tony Stark si diresse al pulpito, smorzando il chiacchiericcio dei giornalisti con un colpo di tosse che fece sorridere brevemente le due donne sedute in prima fila.
- Vi ringrazio per essere venuti all'inaugurazione della mia campagna benefica – li accolse lo scienziato con garbo, lisciando la coccarda dorata appuntata sul petto – sono orgoglioso di annunciare la mia candidatura come presidente della “Astrid Corporation”, una società che ha come compito, quello di aiutare  i bambini di tutto il mondo.
Un brusio concitato si elevò dalla platea, un brusio sorpreso ma non meno deliziato dello sguardo amorevole che Pepper lanciava a suo marito dal proprio angolino.
- Sono sicura che sarebbe stata orgogliosa di lui – si insinuò una voce sottile alla destra della donna, la confessione debole di una ragazza dalla treccia bruna e dalla carnagione cioccolato che Pepper osservò con sguardo gentile prima di guardare il vuoto con un sospiro nostalgico.
- Lo è sempre stata.
- Signor Stark! Signor Stark! Potrebbe darci qualche notizia in più! – sgomitò esaltato un giornalista occhialuto, scavalcato da un’ambiziosa collega dalla capigliatura dorata che civettò un po’ con l’uomo per farsi cedere il posto a sedere.
- Signor Stark, potrebbe dirci il perché del nome Astrid? È un nome di donna, non è così ? – si insinuò la donna con voce suadente, sfarfallando gli occhi castani per attirare su di sé l’attenzione del miliardario.
Ma Tony Stark le concesse il suo interesse solo perché mostrarsi cordiale era stato uno degli impegni che lo scienziato aveva preso con sua moglie prima di chiamare la stampa.
- Si signorina, è un nome di donna – le concesse allora, lui, sempre sorridente, anche se alle sue spalle Bruce Barner potè cogliere il tic nervoso dell’occhio destro, il primo sintomo della paresi facciale che avrebbe colto l’uomo  di lì a poco se avesse sorriso ancora a quel modo.
- E potrebbe dirci chi è questa Astrid ? È per caso una sua amante ? – azzardò la giornalista con un pizzico di malizia, scatenando nella donna in prima fila un sussulto oltraggiato che Pepper fece seguire da uno sguardo di fuoco che la pettegola incassò con un sorriso affettato.
Eppure la reazione dello scienziato sembrò dare adito alle sue ipotesi, perché, quando lo videro tendere un sorriso delicato, quasi nostalgico, la sorpresa di vedere una reazione naturale nello scanzonato miliardario fece trillare di emozione la giornalista.
- È così, vero ? – riprese la donna, estatica, lusingata dagli sguardi ammirati dei colleghi, ma fu la voce stessa dell’uomo a distruggere il suo momento di gloria.
Perché quello che Tony Stark soffiò con un groppo in gola non fu l’appellativo che si riserverebbe ad un’amante, ad una cotta infantile, ma a qualcuno che lo aveva sì fatto innamorare, ma di un amore più delicato e quasi innocente.
- Mia figlia.
Pepper sentì gli occhi inumidirsi quando notò la presa ferrea delle dita dell’uomo attorno al pulpito, la presa rigida di chi fatica ancora ad accettare la realtà, l’irrequietezza di chi ancora non accetta di aver perduto un affetto.
- Come scusi?
- Astrid era il nome di mia figlia – ripetè asciutto, inghiottendo  il groppo in gola, con scarsi risultati quando, per ritrovare la voce, fu costretto a tossire per scacciare il velo di lacrime che aveva cominciato a pungere contro le palpebre socchiuse.
Perchè Tony Stark non si sarebbe mai abituato, non a quella domanda, non alla risposta che sarebbe sempre uscita fioca, debole, difficile come ogni volta, dalle sue labbra.
La giornalista cadde a sedere con un sorriso fiacco, senza più una parola, stringendo al petto il proprio taccuino nel ricordare quell’era che aveva stroncato anche la sua ambizione, il suo bisogno di emergere, perchè quello che  avevano davanti era solo un uomo che avrebbe preferito trovarsi da un’altra parte, in solitudine, magari con accanto a sé  un bicchiere di whiskey.
Ma quello che trovò di fianco non fu un bicchiere, tanto meno un deterrente per l’angoscia nata dai ricordi, ma un uomo, uno scienziato che si era alzato dal suo angolino per raggiungerlo sul pulpito, forse per  stringergli la spalla, in un gesto di solidarietà.
Solidarietà che Tony Stark non trovò quando il dottore lo scostò con poco garbo, tossicchiando un po’ prima di avvicinare il microfono e sibilare un’unica e familiare  sentenza che aveva ripetuto per anni.
- È mia figlia- ci tenne a precisare Bruce Barner, stizzito, tornando ritto e impettito prima di raggiungere la sedia e sedersi senza un fiato mentre la platea osservava prima lui, poi il viso del miliardario congestionarsi dall’incredulità mista a rabbia.
 - Sapevo che sarebbe successo – si lasciò sfuggire Pepper nel vedere il marito avventarsi come una iena sul dottore,  dando il via ad  una diatriba che aveva segnato le loro giornate  per anni, dopo la morte di Astrid e Loki.
Persino Estela non potè che sorridere di quella scena così familiare, così da ‘loro e dei bei vecchi tempi andati, quando lei era ancora lì sulla terra, quando la sua scoperta riusciva ancora a sorriderle e calmare i loro cuori con quella sua voce gentile e i suoi continui  ‘perché.
Un ricordo che le strappò un sorriso triste al pensiero che se Astrid fosse stata lì, avrebbe di certo riso di quella intimità, del calore di quello che erano stati gli uni per gli altri, anche se per breve tempo, una famiglia, forse un po’ strana, ma unita, pronta a difendersi l’un l’altro e a non dimenticare chi un tempo li aveva fatti sorridere con quella voce morbida che per un attimo Estela parve risentire attorno a lei.
- Tutto bene?
Pepper sembrò cogliere il battito flemmatico delle palpebre che la ragazzina schiuse più e più volte, come a tentare di capire dove si trovasse, ma più provava a mettere in risalto quella risata, più Estela diveniva consapevole di non stare immaginando nulla, non la voce così vicina, così viva, non la sensazione di essere osservata da lontano.
E quando azzardò uno sguardo da sopra la spalla sentì il cuore schiantarsi in fondo allo stomaco, tirando giù assieme al colore ogni traccia di malinconia, di dubbio in fondo al suo sguardo, perché la vide, una figura  accostata alla parete con indosso un cappellino familiare, un po’ rovinato che copriva la testa arcobaleno, familiare, e amata, troppo per non scatenare in lei un singhiozzo strozzato.
Lo stridio della sedia e l’urlo di Estela attirò l’attenzione dei due uomini che da sopra il palco se le stavano dando di santa ragione, e Tony, quello un po’ più malconcio visto l’alone verdognolo che stava colorando il viso dello scienziato sotto  di lui si trovò ad inghiottire a vuoto quando, seguendo la corsa trafelata della ragazzina, lo vide anche lei, ciò che per anni aveva solo potuto immaginare, sognare.
Ricordi di quando era stato felice, di quando era stato amato da chi più grande di lui, dell’intera umanità, si era concessa fiduciosa ad un uomo che aveva imparato ad essere padre e mentore, protettore e amico, personalità che nella sua vita Tony Stark aveva soffocato per difendere la fragilità del suo animo.
Una debolezza che lo costrinse a mettersi seduto non appena vide Astrid, il suo fantasma, o una semplice apparizione dettata dall’agonia correre via dalla stanza, lasciando alle proprie spalle una ragazzina urlante e il cuore muto di uomo che accanto a sé sentì tremare.
Quando Bruce Barner riconobbe la sua risata, quel tintinnio delicato, timido  non ci furono più fotografi, o pareti eleganti, flash accecanti, solo lui e la chioma che vedeva scorrere a rallentatore nel corridoio, lontano, sempre più lontano, da lui, e da quel povero cuore che lo guidò verso l’uscita della Stark Tower assieme al miliardario.
Lo strombazzare della strada li accolse come una secchiata d’acqua gelata, perché lì la risata cominciava ad affievolirsi, a risultare debole come il richiamo stanco di una bambina in cerca dei suoi genitori, di un padre che si caricò dello strazio di essersi immaginato tutto, ancora una volta, prima di puntare verso un vicolo con sguardo fermo.
Perché non era la prima volta che Bruce la immaginava accanto a lui, sorridente, una figura che col tempo aveva avuto paura di veder sbiadire a causa del dolore di rivedere il mondo tremolare attorno a lui e spingerlo via, indietro, come era successo nella Fucina.
Un distacco che lo aveva lasciato smarrito, gettato in una depressione che per anni lo aveva portato a nascondersi dietro il dolore di sapersi solo, senza amore, senza una voce alla quale aveva insegnato cosa dire, cosa ripetere per scaldargli il cuore, per farlo sentire umano.
Lei che più di tutti lo era stata con il suo sguardo gentile, i suoi occhi curiosi, e la voce che ghiacciò entrambi alla fine del vicolo che riscoprirono senza uscita, immobili, pietrificati dalla consapevolezza che forse, se si fossero voltati, avrebbero capito di stare sognando, di stare immaginando tutto.
- Astrid? – chiamò Bruce con voce soffocata, angosciata dal presentimento di sapere che lei non avrebbe risposto, che avrebbe stretto fumo  e polvere, ma una risposta l’uomo la ebbe, e fu timida, emotiva come il più tenero dei richiami.
Astrid azzardò allora un sorriso debole quando vide le schiene dei due uomini tendersi, irrigidirsi come se li avesse appena colpiti, feriti, perché lo furono le loro voci quando provarono a chiamarla ancora, come una preghiera, una supplica a non diventare aria e spirito, a promettergli di restare e di lasciarsi toccare.
- Papà?
La corsa gli tolse il fiato, ma le braccia che la alzarono da terra erano come Astrid ricordava, morbide e gentili, frementi per l’amore che sentiva filtrare sotto pelle, nella carne tenera del collo bagnato dalle lacrime che papà Bruce liberò assieme ad un lungo gemito di dolore, abbracciandola con tanta forza da toglierle il respiro.
E vide anche lui, l’uomo che più di tutti le aveva insegnato per cosa lottare, per chi immolarsi, anche se  per un volta, era stato qualcun altro a sacrificarsi per lei, a decidere che la sua esistenza fosse abbastanza  importante, giusta, da poter essere difesa, protetta e preservata.
Perchè quando aveva riaperto gli occhi su una distesa di ghiaccio e polvere, abbracciata a Loki,  Astrid lo aveva fatto con la consapevolezza di aver perduto qualcosa, qualcuno, la madre che le aveva concesso una vita, a lei e a chi sapeva, era nascosto nell’angolo buio del vicolo, in silenzio, per darle la possibilità di ritornare da loro, dalla sua famiglia e colmare quel vuoto che aveva lasciato.

Una voragine che Tony richiuse assieme alle braccia allacciate attorno al corpo fragile che il dottor Barner non sembrava aver intenzione di lasciare, e sebbene l’idea di stare indirettamente abbracciando anche lui gli facesse storcere il naso, fu la testa contro la quale abbandonò la guancia a lavare via il patimento di un uomo che non credeva più di poter ritrovare la speranza.
Ma era lì, era sempre stata lì, con loro, tra quelle braccia che Astrid sentì ammorbidirsi attorno a lei, farsi sempre più fragili, spaventate di vederla scomparire, lei che avevano visto spirare tra le braccia della Creatrice e poi  morire assieme al cuore dell’universo, assieme a Loki.
Fu su quel nome, fu l’assenza del dio crudele a convincere Tony a lanciare un’occhiata circospetta attorno mentre Bruce, scostata Astrid dal proprio petto,  le incorniciava il viso tra le mani  in cerca di riconoscimento, di amore, lo stesso amore che il Tesseract riversò nei suoi occhi di stelle, e in quel sorriso che il dottore riscoprì ugualmente tenero, ugualmente gentile, ugualmente suo.
- Cosa è successo? Dove sei stata? Cosa…
- Mia madre – lo interruppe Astrid con un filo di voce, adombrandosi leggermente al pensiero del sacrificio di Semjace, al suo desiderio di saperla viva e felice.
Sua madre, la vera, la sola e la più amata, perchè li aveva protetti a discapito della sua, di salvezza, con quel corpo che lei ricordava di aver visto svanire tra le sue mani in granelli di sabbia, una volta sentito il suo abbraccio smorzarsi attorno a lei, polvere che aveva stretto al petto con un urlo, disperata di aver perduto ciò che aveva appena trovato, la madre che l’aveva difesa fino all’ultimo istante, lei e la prima persona che aveva imparato ad amare.

- Mi dispiace.
- Dov’è Udinì? –  li interruppe scontroso Tony, accigliato come un vecchio signore col bastone ritto da poter schiantare sulla testa di qualche bambino pestifero, la palla al piede che il miliardario sapeva, non avrebbe di certo lasciato andare la loro bambina, perché non era morto, di questo ne era sicuro.
Solo che l’idea di saperlo ancora accanto ad Astrid che era tornata, che stava bene, continuava a tormentarlo, a rendere quel momento meno magico di quanto sarebbe stato.
- Allora? So che è qui? Lo sento – continuò imperterrito, assottigliando le palpebre quando captò un rumore di passi alle spalle, ma furono due donne, quelle che i suoi occhi fulminarono all’istante, la ragazzina dalla treccia bruna che Astrid fissò incredula prima di venirne investita.
E quando Estela la ebbe tra le braccia scoppiò in lacrime, quelle che aveva sempre provato a trattenere per essere forte come la sua scoperta era sempre stata, come le aveva insegnato ad essere, ma la commozione di saperla lì, viva, investì entrambe di un’emozione dirompente che Pepper seppellì tra le braccia, stringendosele al petto come una madre avrebbe fatto, come la donna si era sempre sentita nei confronti di Astrid, quella piccola bambina dallo sguardo dolce e innocente che era riuscita a far innamorare tutti loro di lei.
Lei che ora era viva, ed era con loro, lì, dove sarebbe sempre dovuta stare, sotto lo sguardo sereno del dottor Bruce, un sorriso fiacco e stanco sul viso tirato e smagrito dalla depressione passata e quello di Iron Man, un po’ più duro, insondabile, ma non meno emotivo, non meno commosso.
Poi lo videro tutti, il mostro che popolava i sogni degli infanti, il terrore dell’universo, l’orrore del mondo, un uomo mangiato vivo dall’ombra del suo nascondiglio, tetro e cupo come ricordavano, ma in qualche modo risanato, un po’ meno frammentato in quel suo occhio pungente e fisso al quale Astrid rivolse un sorriso gentile prima di scivolare via dalle braccia delle donne per corrergli in contro.
Ma Tony non ebbe cuore di lasciarla correre da lui, lui che lo aveva sempre messo a disagio con quell’anima nera e malata, il viso pallido e sfregiato a renderlo ancora più inquietante, ancora più pericoloso.
- Dove stai andando?
C’era ansia nella voce dell’eroe, qualcosa di molto simile al panico, quello che mai nella vita Tony Stark aveva lasciato trapelare, udire, percepire, perché era  un uomo  che amava analizzare, non essere analizzato.
- Loki – fu la semplice risposta di Astrid, la risposta che avrebbe sempre dato ad ogni domanda, naturale come lo era il suo sorriso, e lo sguardo di stelle proiettato dietro la schiena di papà Bruce, sull’uomo nero che le aveva dato una casa, un legame, e un amore.
Il suo primo e unico amore.
Quello che aveva letto nei libri degli umani, quello che lei sapeva di aver trovato inconsapevolmente, ma suo, come mai aveva sentito qualcosa.
Lui che era stata la sua prima parola, il suo primo contatto, l’inizio, semplicemente.
L’occhiata obliqua che Tony gli lanciò non sembrò frammentare l’aria granitica di quel viso avvolto per metà nell’ombra, la parte più abusata, quella dove l’uomo sapeva, non avrebbe avuto modo di vedere un occhio, perché glielo avevano cavato assieme alla sanità, assieme alla pietà.
E lo fissò come mai aveva fatto, in  un tentativo di non mostrarsi così prevenuto con lui, con quel dio che aveva ucciso i loro Creatori, squartati come miseri insetti e che avrebbe potuto annientare tutti loro, divorarli per semplice noia per poi sputare le loro ossa.
Lo avrebbe fatto, perché era Loki, perché era un essere incapace di provare compassione, di divenire comprensivo o amico, avrebbe potuto, se solo lei non li avesse amati, loro e il pianeta.
Perché era Astrid a tenerlo in piedi, a invogliarlo a risparmiare la vita altrui, a non abbandonarsi alla follia della sua mente, alla perversione, alla crudeltà.
Perché la amava.

Come avrebbe amato un dio vendicativo, senza sorrisi gentili e abbracci caldi ma con silenzi di pietra e sguardi di ghiaccio, una gelida presa che non era né morbida, né rassicurante, solo opprimente, e soffocante,  ma una presa nella quale Astrid si rifugiò fiduciosa, stringendosi ad un corpo che non sapeva far altro che uccidere, squartare, distruggere.
Nato distruttore e morto per amore, aveva tentato, ma era stato risparmiato, graziato dalla divinità maggiore per dargli la possibilità di essere felice, di avere anche lui una casa, qualcosa da proteggere, da amare, da tenere per sé.
Ciò che nei secoli il dio aveva desiderato possedere al pari dei suoi fratelli, qualcuno al quale mostrarsi senza barriere, sorrisi affettati, spalle ritte nel tentativo di essere coraggiosi, leali, buoni, lui che buono non lo era, e non lo sarebbe  mai stato, neanche per lei.
Perché non era nella sua natura, semplicemente.
- Credo di aver bisogno di un bicchiere di tequila –lamentò Tony Stark, oramai incapace di non mostrarsi irritato da quella vicinanza, preferendo dirottare la sua stizza sullo scienziato che gli rifilò un sibilo basso nel sentire il peso del gomito sulla spalla destra.
- E tu, mamma chioccia? Vuoi farmi compagnia?
- Non davanti alla bambina  – sbraitò irritato lo scienziato, l’occhio vigile e apprensivo calamitato da sua figlia che sorrideva tra braccia che avevano solo stretto cadaveri, e polvere, e  vuoto, braccia che però parevano così naturali attorno al suo busto esile, una catena pesante e stretta, ossidata dal tempo, ma incapace di lasciarla andare.
Poi Bruce Barner lo vide.
Un luccichio.
Debole e metallico, ma un bagliore perlaceo che attirò il suo sguardo fosco sull’anello argentato che lambiva l’orecchio destro di Astrid, un orecchino che non ricordava, perché non le avrebbe permesso di farselo, ovviamente, e neanche quello scellerato di un miliardario, o almeno, non ne serbava ricordo.
Ma poi capì e sbiancò per l’orrore della scoperta.
Perché ve ne era uno gemello sul lobo sinistro del dio, un po’ più scintillante e di un bagliore tagliente, ma identico a quello che tra i capelli d’arcobaleno di Astrid sembrava seguirne il luccichio.
E per una volta, Bruce Barner odiò la sua intelligenza, il suo acume, la sua memoria, lui che conosceva  il simbolismo delle divinità nordiche e che, in quella coincidenza non vide altro che la fatalità di un destino che Astrid sembrava aver  accettato a giudicare dal sorriso morbido che rivolgeva al dio.
Ma avrebbe potuto strapparla da quelle braccia e scappare via, così lontano da poterla nascondere da quell’occhio che avrebbe continuato a cercarla, che non avrebbe mai smesso.
Avrebbe potuto, se lui non  l’avesse legata a sé, come dio e come uomo, e non c’era nulla che lui, padre di un alieno, potesse fare contro tutto ciò.
Chinò allora il capo, e fu con indecisione che si soffermò a guardare il miliardario che continuava a sostare sulla sua spalla, meditando la possibilità di confessargli tutto, di ricercare il suo sostegno, la sua comprensione.
Ma anche se ve ne fosse stata, lei comunque non li avrebbe seguiti, non il suo desiderio di saperla al sicuro dove Astrid sapeva  già di esserlo, lì dover era amata, in modo sbagliato, ma amata.
E tanto gli bastò a decidere per tutti loro.
Per Tony.
Per Estela, Pepper e se stesso.
Perché Loki aveva reso Astrid sua umanamente e divinamente,  l’aveva reclamata come sua possessione, sua metà, come mostravano gli orecchini sui loro lobi, e neanche lui, dall’alto della sua scienza, poteva nulla contro un rito tanto antico e solenne.
Infrangibile.
Lo sapeva lui, non lo avrebbe saputo nessuno.
Perché Astrid era viva, e tanto gli bastava, gli sarebbe sempre bastato.
- Facciamo una bottiglia a testa.



The End

 
   
E fine.
Un pò triste lo sono, come ogni volta d'altronde, perchè concludere una storia porta via con sè qualche lacrimuccia, ma sono contenta di averla conclusa, sperando di aver reso il tutto delicato e sognante come avrei voluto.
Perchè si sono ritrovati, e non poteva essere altrimenti.
Ringrazio tutti per l'attenzione, la lettura, la pazienza dimostrata nel continuare ad attendere l'aggiornamento, spero di avervi lasciato con un soriso alla fine della storia, perchè è sempre bello salutare così i personaggi e le loro avventure.
(- Piccolo appunto: Dopo aver pensato un pò, ho deciso di continuare la storia con un sequel che si intitolerà "Stand My Ground" e che riprenderà il filo temporale di questa storia, proiettandosi su una trama un pò più matura e articolata della precedente, dove ovviamente ci sarà la nostra Astrid e Loki come protagonisti, ho già cominciato la stesura, e la nuova storia conterà al massimo 11 capitoli, giù di lì, perciò non sorprendetevi se d'improvviso vi troverete con un nuovo sclero da parte della sottoscritta.)
Ancora grazie.
Un saluto,
Gold Eyes
  
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