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Autore: shebelievesinLarry    29/03/2013    2 recensioni
[Larry]
Harry Styles è costretto a trasferirsi con sua madre a Doncaster. Lì deve iniziare il secondo anno di università, ma non vuole: i cambiamenti lo intimoriscono, anzi, lo terrorizzano. Capiterà nella classe di Niall, ragazzo espansivo e divertente, di Liam, ragazzo intelligente e simpatico, e di Louis, nipote della segretaria della scuola, che però è diverso dagli altri, in molti sensi, soprattutto in un senso in particolare.
Dal testo:
Louis si asciugò delicatamente le mani affusolate con un fazzoletto, poi me ne porse una, che io prontamente strinsi. Era fredda, probabilmente perché se l’era sciacquata con l’acqua ghiacciata.
«Piacere, Louis» disse, puntando i suoi occhi azzurri nei miei, quasi prepotentemente.
“Lo so”, volevo rispondergli, ma mi morsi il labbro inferiore per evitare di dire sciocchezze.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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~mio angolino~
Ciao belle/i fanciulle/i, sono di frettissima perché se mio padre scopre che sono ancora al pc mi scuoia viva.
Allora, voglio dedicare questo capitolo alla migliore ragazza del mondo, Giulia, che domani compie 16 anni.
Giulia, grazie per tutto ciò che fai per me, grazie per esserci sempre, per farmi ridere, sorridere, per essere semplicemente te stessa.
Graziegraziegrazie.
Ah, volevo scusarmi per il ritardo, ma ho avuto un sacco di problemi vari e in più la scuola mi ruba un sacco di tempo.
Che dire, spero che questo capitolo vi piaccia e...
Auguri Giu. ♥♥

 

IV CAPITOLO

 

 

Harry

 

 


Qualche giorno dopo, mentre eravamo seduti in cucina, raccontai a mia madre della mia prima vera lezione di canto per filo e per segno, del mio piccolo ritardo, della lezione tuttavia andata bene, della proposta dell’insegnante per un concorso, della mia super felicità a stento trattenuta; tralasciai soltanto il fatto che, a quel maledetto corso, era presente anche un certo Louis che mi aveva scombussolato le carte in tavola, carte che non ero ancora pronto a giocare.
Lei era felicissima per me e si vedeva.
«Allora sono soldi spesi bene» asserì, facendo spuntare un sorriso luminoso sul suo bel viso, ancora giovane nonostante l’età.
«Senza alcun dubbio» risposi, sorridendo a mia volta.
Mia mamma era in assoluto la persona più importante della mia vita; se era felice lei, lo ero anche io, se era triste, di conseguenza mi sentivo anche io come lei, e così via. Ero come una spugna: assorbivo il suo umore così come essa assorbe l’acqua.
«Ah, mamma, c’è una cosa che devo dirti.»
Il parlare di soldi mi aveva ricordato il motivo principale per il quale le stavo parlando, così continuai:«Ho trovato lavoro e comincio oggi pomeriggio, dopo la scuola.»
Louis mi aveva mandato un sms il giorno prima per chiedermi se mi andasse bene; come avesse fatto ad avere il mio numero non lo sapevo, ma sapevo solo che quel Louis x a fine messaggio mi aveva fatto stampare in volto un’espressione stupida da ebete e un sorrisone a trentadue denti.
«Davvero, tesoro? E dove lo hai trovato?»
«Beh, ecco, un mio... amico mi ha chiesto se potevo fare da baby-sitter alle sue sorelle piccole. Ne ha quattro, ma sarà un gioco da ragazzi per me: ci so fare con i bambini.»
«Quindi oggi quando tornerò dal ristorante non ti troverò in casa?»
«Probabilmente no, scusami.»
L’idea di lasciarla sola in casa non mi entusiasmava, tuttavia non dovevo farmi venire sensi di colpa, perché tutto quello che stavo facendo era giusto, era per me, per lei, per le nostre vite vuote della presenza di mio padre, per il nostro voler andare avanti, per la nostra voglia di farcela.
Restammo in silenzio per una manciata di secondi, ma non era uno di quei silenzi imbarazzanti, quelli che cerchi in tutti i modi di rompere perché davvero troppo scomodi.
Fu la sua voce a riecheggiare tra quelle mura silenziose poco dopo.
«Grazie.»
La guardai con un sopracciglio alzato.
«Per cosa?»
«Per tutto quello che fai per me, Harry. Se non ci fossi stato tu, io... non saprei davvero in che condizioni sarei ora, sinceramente.»
La vedevo, nonostante avesse abbassato il viso verso il pavimento, vedevo che cercava disperatamente di combattere le lacrime che minacciavano di uscire. Così mi alzai e la strinsi a me, come solo io sapevo fare, senza dire nulla. Perché con lei non c’era bisogno di parole.

 

 

**

 

 

«Allora oggi vai da Lou?»
Avevamo appena fino un test di scienze per cui avevo studiato tantissimo e che mi sembrava fosse andato bene, quando Niall interruppe i miei pensieri con quella domanda.
«Sì» risposi soltanto.
Avevo paura di quello che sarebbe potuto succedere quel pomeriggio; in fondo non conoscevo Louis e mi sarei potuto aspettare di tutto.
«Stai tranquillo, le sue sorelline sono adorabili. Le gemelle poi sono qualcosa di semplicemente meraviglioso. Stai certo che te ne innamorerai. Parlo per esperienza personale. Con quegli occhioni azzurri e i loro modi di fare così spensierati ti rapiranno. Provare per credere.»
Sorrisi, pensando che se gli occhi delle gemelle fossero stati come quelli di Louis, allora sì, era molto probabile che me ne sarei innamorato.
Stavo cominciando a voler bene a Niall, perché era sempre capace di rassicurarmi e rallegrarmi. Lui era tutto ciò che cercavo in un amico. Ero molto contento di aver trovato uno come lui.
«A te piacciono i bambini, Harry?»
«Un sacco.»
«Allora le sorelle Tomlinson son proprio quelle che fanno al caso tuo. Però, ti avverto, Louis è molto geloso di loro.»
Una voce possente ci impedì di continuare la nostra conversazione.
«Horan, Styles.»
Rabbrividii per la paura; non volevo prendere una nota o essere sgridato solo per aver parlato un attimo. Ok, forse un po’ più di un attimo, ma non c’era molta differenza...
Fortunatamente, il prof di scienze non ci chiamò per quel motivo.
«Voi due starete insieme per la ricerca» continuò infatti l’uomo.
Sentii Niall chiedere a bassa voce “Che ricerca?” e un’altra voce rispondere “Su un argomento a vostra scelta”, quando percepii dentro di me la sensazione che qualcuno mi stesse fissando. Infatti, quando mi girai verso i banchi davanti alla mia destra, colsi in flagrante gli occhi di Louis incollati su di me. Lui sembrò risvegliarsi e, accortosi di essere stato beccato, sorrise impacciato e si girò verso Liam.
Ho forse qualche riccio fuori posto? O mi sono forse sporcato prima con la brioche che ho mangiato?
Mentre mi facevo quei complessi suonò la campanella che indicava la fine delle lezioni e misi le mie cose dentro lo zaino, con le mani tremanti. L’idea che poco dopo mi sarei ritrovato a casa di Louis mi spaventava.
«Per la ricerca ci metteremo d’accordo, mh?» mi domandò Niall, e io annuii.
Una volta fuori, il biondo andò verso sinistra, dopo aver salutato tutti calorosamente; io, Liam e Louis ci dirigemmo verso destra. Stetti in silenzio, con le mani affondate nelle tasche dei jeans, per non interrompere i due che parlavano della verifica di scienze e di quanto fosse difficile.
«Io l’ho trovata abbastanza semplice, a dir la verità» ammise Liam, mentre spingeva la carrozzina di un Louis offeso.
«La tua parola non vale nulla, perché tu sei un fottuto secchione e io invece faccio parte della gente normale con un quoziente intellettivo nella media, o poco più in basso, forse» ribadì infatti quello, incrociando le braccia al petto e mettendo il muso come un bambino.
Liam scoppiò a ridere e «Lo sai che anche io sono nella media» disse, forse per rassicurarlo o forse per farlo tacere. Non si poteva di certo dire che Louis non avesse una bocca larga e che non parlasse in ogni momento possibile.
«Sta’ zitto, che mi fai sentire ancora più stupido» lo ammonì. «E a te, Harry? Com’è andata la verifica?» mi interpellò poi.
Avrei dovuto dire al mio cuore di smetterla di sbattere così forte contro la gabbia toracica come se volesse uscire, ogni volta che Louis pronunciava il mio nome.
«Credo bene» risposi neutrale, senza sbilanciarmi troppo.
Avevo speso tutto il pomeriggio precedente per studiare, perché volevo che il test andasse bene; infatti, quando oggi me lo ritrovai davanti, non mi sembrò molto difficoltoso. Ma non lo dissi.
«Ah, dimenticavo che anche tu sei un genio» sospirò con fare teatrale il ragazzo sulla sedia a rotelle. «Meno male che c’è Niall che mi dà soddisfazioni e che è un plebeo come me.»
Liam rise e io non riuscii a nascondere un sorriso divertito.
C’era qualcosa nel modo genuino di ridere di Liam che mi fece capire che Louis, per lui, era tutto il suo mondo, colui che riusciva sempre a renderlo felice con una sola parola, un solo sguardo. Invidiavo molto la loro amicizia: erano sempre insieme, si capivano al volo, anche se stavano in silenzio, e potevo scommettere oro che lui era stata la persona più vicina a Louis quando era stato costretto a continuare la sua vita su una carrozzina; sempre che non fosse stato così fin dalla nascita.
Quando arrivammo davanti alla villetta Tomlinson, Liam se n’era già andato da un pezzo. La scuola non era tanto lontana da casa sua, eppure quel tragitto mi sembrò uno dei più lunghi che avessi mai compiuto.
«Se le mie sorelle cominciano ad essere imbarazzanti, ti prego, ignorale» asserì Louis divertito, mentre girava le chiavi nella toppa, con un’espressione adorabile sul volto, come se le sue sorelle fossero la cosa più importante che gli rimanesse.
Un odore familiare di casa mi invase dolcemente le narici; era lo stesso odore che Louis si portava ogni giorno addosso e non c’era cosa migliore di quella.
Entrammo e tutto ciò che vidi fu un ammasso di giochi sul pavimento, di capelli biondi e di occhi azzurri. E tutto ciò che sentii fu un “Louiiiiis! Fratelloneee!” e poi due bambine corrergli incontro e abbracciarlo forte.
Chiusi il portone d’ingresso dietro di me, colpito da quella scena di tenerezza. Sorrisi spontaneamente, come non avevo mai fatto.
Louis baciò sulle guance quelle bimbe e chiese loro come stessero e come fosse andata a scuola.
«Benissimo, la maestra ha controllato il mio quaderno di italiano e mi attaccato un adesivo con una faccina sorridente! Dice che sono bravissima!» fece una delle due, saltellando sul posto elettrizzata.
L’altra invece si accorse di me e i suoi occhioni azzurri – così simili a quelli di Louis – si allargarono.
«Boo, chi è questo ragazzo alto come un gigante?» domandò infatti, afferrando la mano di Louis e strattonandola leggermente per attirare la sua attenzione.
Boo.
Lui si girò verso di me e mi sorrise, formando delle piccole grinze ai lati degli occhi. Era così... bello.
«Daisy, ti presento Harry. Harry, questa è Daisy e lei è Phoebe.»
Le bambine mi porsero le loro mani piccole e morbide ed io le strinsi.
«Wow, sei enorme! Guarda che mani grandi che ha, Phoe! E mi piacciono i tuoi ricci, posso toccarli?» disse schietta quella che riconobbi come Daisy.
«Certo che puoi» acconsentii, mettendomi in ginocchio e abbassando la testa come un cagnolino pronto per farsi accarezzare.
«Anche io voglio toccarli!» esclamò l’altra ed entrambe affondarono le loro manine nei miei capelli, scompigliandomeli tutti. Non mi diede fastidio, anzi adoravo farmi toccare i capelli, mi rilassava.
«Ma sono la cosa più morbida che io abbia mai toccato!»
Proprio in quel momento fece il suo ingresso dalla cucina una bella donna, giovane e anche lei con gli occhi azzurri. L’azzurro mi stava perseguitando, evidentemente.
«Scusa, tesoro, stavo finendo di preparare la tavola per te ed Harry e non vi ho sentito entrare» disse avvicinandosi a Louis e dandogli un bacio in fronte. «Lui è Harry, giusto?»
«Salve signora» salutai, con ancora le gemelle che mi accarezzavano e che se la ridevano tra di loro.
«Chiamami Jay, caro» ribatté la donna. «Daisy, Phoebe, smettete di importunare questo povero ragazzo!»
Le bambine tolsero le mani dai miei ricci e mi abbracciarono. Non me lo sarei mai aspettato e quel gesto così naturale mi colse impreparato. Mi strinsero come se mi conoscessero da una vita, non da qualche minuto. Come se già facessi parte della loro grande e amorevole famiglia. Seppur impacciato, ricambiai l’abbraccio e notai con la coda dell’occhio il sorriso luminoso di Louis.
All’improvviso mi ricordai le parole di Niall.
Però, ti avverto, Louis è molto geloso di loro.
Forse ero io, ma non riuscivo a vedere neanche la più piccola traccia di gelosia. Nei suoi occhi riuscivo a leggere soltanto... non sapevo neanche io cosa fosse, ma non era di certo gelosia.
«Boo, io ora devo andare a lavoro. Tu ed Harry mangiate; vi ho preparato la pasta al pesto, spero vada bene. Alle tre torna Lottie con Frizzy, nel frattempo fai attenzione alle gemelle, che sono un pericolo e già hanno scombinato la casa. Vedi te se mi devo trasformare tutti i santi giorni in una donna delle pulizie... Harry, tesoro, tu fai come se fossi a casa tua, d’accordo?» disse Jay tutto d’un tratto, baciando il figlio e dando a me un buffetto sulla guancia. «Daisy e Phoebe, se scopro che fate le monelle, vi lancio tutti i giochi fuori dalla finestra!» aggiunse, fingendosi seria.
«Saremo le bambine più bravissime del mondo» giurò solennemente Phoebe, baciandosi gli indici incrociati dopo essersi messa sull’attenti.
«E faremo i compiti» continuò Daisy.
«E Boo ed Harry ci aiuteranno!»
«Non ne dubito» asserì la donna, abbracciando le figlie.
Dopodiché indossò il cappotto, afferrò la sua borsa e con un «Ci vediamo stasera» si congedò.
Le gemelle tornarono ai loro giochi, Louis ed io invece andammo in cucina per riempire i nostri stomaci. In quel tavolo mancava una sedia, ciò voleva dire che era il posto di Louis, e infatti era apparecchiato lì e anche il posto di fronte a quello.
Dopo esserci seduti – o meglio, dopo che io mi ero seduto –, cominciammo a mangiare  in silenzio la pasta. Non era male, ma preferivo quella di mia mamma.
«Scusale se mi chiamano Boo, è che mi chiamano in questo modo da sempre, anche se è così imbarazzante...»
Quasi arrossì, ed era adorabile.
«Non ti devi scusare, è una cosa tenera invece» ribattei, trovando non so dove la forza di articolare una risposta decente.
«Tu hai fratelli?» mi chiese.
«Sì, ho... una sorella più grande.»
Non mi piaceva parlare di mia sorella, perché mi ricordava quanto ero lontano da lei e faceva male.
«E vive qui?»
«No, a Manchester.»
Mi rabbuiai. Ecco, l’unica cosa che avrebbe dovuto evitare era chiedermi se lei abitasse qui.
«Devi essere molto legato a lei. Insomma... si capisce.»
Non risposi e fissai il piatto sotto di me, giocherellando con la forchetta, nervoso.
Ero molto legato a lei? La risposta era sì, ovviamente. Come potevo scordarmi tutte quelle volte che lei era stata la spalla su cui piangevo, tutte quelle volte che mi proteggeva dai temporali e dalle difficoltà della vita, tutte quelle volte mi stringeva forte a sé e mi sussurrava che andava tutto bene?
«Scusami... non volevo essere così impiccione» fece Louis, sinceramente colpito dalla mia improvvisa tristezza.
«Non importa.»
Continuammo a mangiare, di nuovo zitti. Ringraziai mentalmente le bambine quando entrarono in cucina distruggendo quel silenzio opprimente con le loro chiacchiere.
Mi raccontarono della loro scuola, di come amassero andare a danza classica, dei loro innumerevoli fidanzatini.
«E tu ce l'hai una ragazza, Harry?» chiese ad un tratto Phoebe, e quasi mi strozzai con uno spaghetto al pesto.
«Io? No, no.»
«Scommetto che l'ha lasciata ad Holmes Chapel spezzandole il cuore» ipotizzò Louis, facendo ridere le gemelle.
Stessi denti bianchi, stesse risate cristalline, stessa mania di strizzare gli occhi. Quelle due bambine erano la copia del fratello maggiore in tutto e per tutto.
«Be', in ogni caso non m'importa... posso essere io la tua fidanzata?»
«No, ci sono prima io!»
«Gliel'ho chiesto prima io, perciò stai alla larga da lui!»
«No!»
«Sì!»
«No!»
«Ehi!» le interruppi io, ridendo. «Facciamo così: sarò il fidanzato di tutte e due, ok? Sarete le mie principessine.»
«E tu sarai il nostro principe?»
«Certo!»
Urlarono di gioia, saltellando per tutta la cucina, per poi tornare in soggiorno.
Intanto Louis ed io avevamo svuotato i piatti; cominciai a sparecchiare.
«Non ce n'è bisogno, Harry. Faccio io» disse Louis mentre lavavo i piatti e le posate.
«Non ti preoccupare» lo liquidai con un gesto veloce della mano, senza voltarmi verso di lui.
«Veramente...»
«Sono due piatti in croce, non mi pesa la mano» sorrisi, questa volta girandomi.
«Ok... Grazie.»
Non mi devi ringraziare, pensai, ma come al solito ero troppo fifone per dire qualunque cosa.
Quando finii di sistemare la cucina – e dopo che Louis mi ringraziò circa un milione di volte –, andammo in soggiorno dove c'erano Daisy e Phoebe che disegnavano sdraiate per terra.
La villetta Tomlinson era grande, e tutte le stanze erano distribuite al pianoterra. Probabilmente avevano preferito una casa con un solo piano per agevolare Louis, poiché non avrebbe potuto salire le scale nelle condizioni in cui si trovava.
«Principe Harry, ti piace il mio disegno?» domandò Daisy alzando il suo foglio in modo tale che io lo vedessi.
«Ma principe Harry è troppo lungo da dire... chiamiamolo in un altro modo.»
«Hazza!»
Sorrisi dolcemente. Quelle due bambine erano l'amore in persona e mi resi conto che mi ero già affezionato a loro più del dovuto.
«Hazza, che ne pensi del mio disegno?» ripeté la gemella, chiamandomi con quel soprannome buffo, ma che tuttavia mi piaceva.
Lo osservai con cipiglio serio, cercando di capire cosa rappresentasse quel disegno. Riconobbi i miei ricci – che più che altro erano un ammasso di scarabocchi – e...
«È veramente bello! Chi sono queste due persone?»
«Siete tu e Boo mentre vi sorridete! Ti piace?»
Come avevo fatto a non riconoscere la sedia a rotelle?
«È stupendo, Day» mormorò Louis, quasi come se non si volesse far sentire per non intromettersi nella conversazione tra me e sua sorella.
«Sì, mi piace molto» dissi, e Daisy sorrise soddisfatta.
«Ne farò uno anche per te, Boo, ma questo lo regalo ad Harry.»
Ci scrisse sopra a caratteri cubitali Boo&Hazza e me lo porse.
«Conservalo» mi ammonì seria.
«Lo terrò al sicuro, tranquilla.»
E non riuscii a capire se mi stessi riferendo al disegno oppure a Louis stesso.

 

 

 

Dopo che avevamo fatto fare i compiti alle gemelline, tornarono Fizzy e Lottie da scuola, puntuali come un orologio svizzero. Erano un po' diverse da Louis e dalle bambine più piccole; assomigliavano di più alla madre e avevano un viso più rotondo rispetto a quello magro del fratello, ma gli occhi azzurri erano inconfondibili.
Mi chiesi dove fosse il padre, che fino a quel momento non era mai stato menzionato. Preferii farmi i fatti i miei e non fare domande, anche perché probabilmente non ne avrei avuto il coraggio. In compagnia di Louis riuscivo a fare ben poco senza che l'agitazione e l'imbarazzo mi assalissero.
Mentre stavamo studiando letteratura sul tavolo in sala, domandai a Louis dove fosse il bagno. Lui mi spiegò che era l’ultima stanza in fondo al corridoio, e si offrì anche di accompagnarmi, ma gli dissi che sarei riuscito a trovarlo da solo.
Appena mi addentrai nel corridoio, fui sorpreso nello scoprire che era davvero lungo e pieno di stanze; si vedeva che la famiglia Tomlinson era benestante.
Una porta su cui c’era scritto Boo con tanti cuoricini intorno attirò la mia attenzione; decisi di lasciar perdere e andai in bagno. Quando però passai di nuovo davanti a quella camera, la curiosità prese il sopravvento e, una volta assicurato che non ci fosse nessuno, entrai di soppiatto.
Era abbastanza ordinata per essere la camera di un ragazzo, nonostante la quantità di vestiti in giro, e una parte del muro bianco era tappezzata di poster dei The Fray. Ricordavo, infatti, che aveva detto di amare quel gruppo durante la lezione di canto.
Mi avvicinai alla libreria che, oltre a contenere tanti libri che sembravano non essere stati mai toccati – il che probabilmente voleva dire che non li aveva mai letti –, conteneva anche tanti cd di ogni genere.
Su una parete era appesa invece una bacheca piena di foto: in molte riconobbi i sorrisi e le facce buffe di Niall e Liam, in altre quelli delle gemelle, di Fizzy, di Lottie e della madre, in altre ancora...
Strizzai gli occhi più volte per cercare di identificare quel volto che però mi sembrava sconosciuto. Non era un nostro compagno di classe, di questo era sicuro. Insomma, avrei riconosciuto quei tratti mascolini, quei tatuaggi strani su quel corpo perfetto, quelle ciglia folte, quasi da donna, e quei capelli dalle acconciature più assurde, anche solo se lo avessi visto una volta.
Eppure...
Un rumore mi fece sobbalzare e, cercando di non dare nell’occhio, tornai da Louis come se nulla fosse successo.
Alle sette di sera decisi di andarmene, dopo aver giocato un altro po’ con Daisy e Phoebe – che sembravano essersi affezionate a me tanto quanto mi ero affezionato io – e dopo che mi ebbero salutato affettuosamente.
Avvisai Louis, che mi accompagnò alla porta col portafogli tra le dita affusolate. Dopodiché lo aprì e ne tirò fuori ottanta sterline.
«M-ma...» balbettai io, sorpreso da quella cifra enorme.
«Niente ma, accettali e basta» asserì l’altro, con un tono che non ammetteva repliche.
Presi i soldi dalle sue mani, che si sfiorarono inevitabilmente, il che mi fece rabbrividire.
«Allora... grazie.»
«Sicuro di non volerti fermare per cena? Tra qualche minuto torna mia madre e sono sicuro che preparerà qualcosa di buono... sai com’è, io non sono molto bravo ai fornelli.»
«Sì, sono sicuro, avevo promesso a mia mamma che avrei cenato con lei. Ma grazie lo stesso per l’invito.»
«Smettila di ringraziarmi... grazie a te per ciò che hai fatto oggi. Mi sa che le gemelle si sono innamorate di te.»
Scoppiò a ridere e non potei fare a meno di ridere anche io. La sua risata mi piaceva un sacco, avrei potuto ascoltarla per giorni interi senza mai stancarmi.
«Se devo essere sincero, anche io mi sono innamorato di loro» ammisi.
Perché hanno i tuoi stessi occhi e i tuoi stessi modi di fare, aggiunsi tra me e me, ma mi morsi il labbro inferiore per non dirlo.
«Meno male, non vorrei che soffrissero perché hanno un fidanzato stronzo.»
«”Stronzo” non è una parola che mi si addice.»
«Lo so.»
Lo disse con così tanta serietà che quasi rabbrividii di nuovo.
«Be’, allora io... vado.»
Louis annuì.
«Ciao, Hazza
Sorrisi e feci per allontanarmi, ma la sua mano afferrò il mio cappotto leggero e «Verrai anche domani?» domandò, e l’espressione che fece era talmente tenera che avrei avuto voglia di abbracciarlo lì, sul vialetto di quella villa, dove avrebbero potuto vederci tutti.
«Certo.»
E me ne andai.

 

La notte non riuscii a pensare ad altro che a lui e al ragazzo misterioso delle foto.

  
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