CAPITOLO NONO: IL
RISVEGLIO.
Nel
deserto del Taklamkan c’era odore di morte.
Scherzando,
Febo lo aveva detto a Marins
durante la loro uscita notturna, ma nessuno dei due avrebbe potuto immaginare
ciò a cui stavano andando incontro. Nonostante Avalon li avessi informati,
nonostante si fossero preparati per tutta la vita, la realtà li sopraffece,
prostrandoli a terra, vinti.
Adesso
i loro corpi esanimi erano crocifissi al muro, nei sotterranei del tempio che
avevano a lungo cercato. Languivano pallidi e nudi, mentre decine di serpi
nere, attorcigliate ai loro arti, succhiavano via la loro essenza vitale, il
loro cosmo, lasciandolo fluire nelle bare di ebano che giacevano sul pavimento
e che servivano a favorire la rinascita.
Una
macabra pozza che una figura ammantata di nero osservava sogghignando.
Il Maestro ha avuto un’ottima idea,
ispirandosi alla cattività di Loki. Non l’avrei
creduto, eppure il procedimento funziona. Distillando il cosmo dei Cavalieri
delle Stelle, lo useremo per nutrire le oscure creature che dormono da
millenni, aspettando l’avvento del Signore di tutte le cose. Rifletté, avvicinandosi al corpo di Marins e torcendogli la testa con forza. Lo fissò, ma non
trovò niente in quello sguardo vacuo, solo un’infinita assenza, dovuta alla completa
perdita di sé.
“Dubito
che vi risponderà, mia Signora!” –Commentò allora una roca voce, emergendo
dalle tenebre del sotterraneo. –“Con il vostro permesso ho usato metodi che non
prevedono riguardo alcuno per lo spirito e per il corpo, bensì un lento e
doloroso supplizio.”
“So
bene che nell’infliggere pena e sofferenza sei maestra, Algea!”
–Si limitò a rispondere la figura ammantata, presto raggiunta dal suo
interlocutore, una vecchia zoppa e gobba, che si inchinò al suo fianco,
attendendo ordini. La donna vestita di nero la fissò dall’alto verso il basso,
senza nascondere uno sguardo di disprezzo per la sua deformità fisica e per
l’odore di lezzo che le sue vesti emanavano. –“Anche se, a quanto vedo, non hai
ancora ottenuto risultati significativi. Cos’altro hai scoperto? Che il biondo
è il figlio di Amon Ra? Già lo sapevamo! Che il suo
compagno ha visto il padre morire e ancora ne soffre? Cosa ce ne importa?! Ben
più vitali segreti devi strappare alle loro menti! Informazioni utili alla
nostra causa!”
“Me
ne dolgo, mia Signora, ma ho incontrato resistenze inaspettate nei miei
tentativi di violare la loro psiche, persino adesso che sono deboli e moribondi
riescono a trovare la forza per opporsi!”
“Difese
mentali. È naturale, per dei combattenti addestrati ad Avalon! I nostri nemici
sono astuti e ben preparati! Molto bene, sarà ancora più divertente distruggere
tutti i loro propositi e le loro speranze di successo…”
“Non
si preoccupi, comunque, sono certa che a breve riuscirò a penetrare le loro difese
e a carpire i loro segreti!”
“Sbrigati
allora! Ben poco tempo ti resta, a giudicare dal baluginare fioco del loro
cosmo! E non devo essere io a ricordarti che con la loro morte finirebbero
anche le tue possibilità di essere utile, vecchia storpia!”
Algea
inghiottì a fatica, chinando il capo, prima di avvicinarsi di nuovo ai corpi di
Febo e Marins per
sperimentare ulteriori forme di tortura.
Sorridendo
soddisfatta, la tenebrosa figura se ne andò, inerpicandosi lungo le rozze scale
di pietra fino a portarsi al primo livello di quel tempio nascente. Quando la
costruzione sarebbe stata completa, persino per lei sarebbe stato difficile
orientarsi in quel dedalo di corridoi, cunicoli e celle, sebbene non fossero
luoghi ove amasse dimorare a lungo, preferendo gli spazi ampi del cielo.
“Non
vi avevo sentito rientrare, mia Signora! Siete stata a verificare lo stato di
caducità dei nostri ospiti?” –Esclamò una voce, distraendola dai suoi pensieri.
Si voltò di scatto, gli occhi in tensione e pronti ad azzannare, per trovarsi
di fronte un giovane ben vestito, con un sontuoso abito violaceo, intonato al
colore bizzarro dei suoi lunghi capelli rosa.
“Non
devo certo giustificare le mie azioni con te, Polemos! Né con nessun’altro che
qui dimora!” –Sibilò in risposta, infastidita per essere stata sorpresa, o
forse controllata. –“Io vado, vengo e torno quando voglio!”
“Indiscutibilmente.”
–Commentò sibillino il giovane dai capelli rosa, accennando un inchino. Quindi,
ad un gesto dell’altra Divinità, la seguì lungo il tunnel di pietra, sbucando
in un salone più ampio, ove rozze torce piantate negli interstizi tra le pietre
del pavimento, diffondevano un cauto bagliore, riflettendosi sulle oscure
corazze di coloro che erano in attesa.
“Salute
a te, Lord Comandante, e a voi, Nera Signora!” –Esclamò un guerriero dai
capelli biondi e gli occhi violacei, rivestito da una cotta da battaglia,
mentre alle sue spalle tre gigantesche figure accennarono un saluto, che al
soldato parve più un sibilo.
“Non
è ancora Lord Comandante!” –Puntualizzò la donna, godendosi divertita
l’espressione compunta comparsa sul volto del giovane, che preferì ignorare la
precisione per dirottare altrove la sua attenzione.
“Se
posso rubarvi qualche attimo del vostro prezioso tempo, gradirei informarvi
della situazione sulla luna! La campagna bellica non sta procedendo alla
velocità che speravo, velocità che avremmo mantenuto se ne avessi avuto il
completo comando. I Cavalieri di Atena e di Avalon sono intervenuti e sappiamo
bene quanto Ares sia già stato sul punto di fallire con loro! Cosa ci
garantisce che non accada di nuovo? Del resto, è evidente a tutti i presenti in
questa sala che il figlio di Zeus è un incapace! Un barbaro privo di raziocinio
che crede che in guerra gli eserciti debbano ruggire in campo aperto,
azzannandosi fino a strapparsi di dosso gli ultimi brandelli di pelle, anche a
costo di essere squartati vivi!”
“Deduco
che tu non approvi i suoi metodi, Polemos!”
“Li
aborro. La guerra è un’arte, la mia arte. E sarei lieto di metterla a vostra
disposizione!” –Affermò deciso, genuflettendosi leggermente,
“Avremo
modo di ammirarti all’opera, Demone della guerra e della battaglia! E sono
certa che mi farai impazzire! Ben più di quanto il muscoloso corpo di cui ti
sei impossessato già non faccia adesso! Igh igh! Ma Ares ha ricevuto un incarico preciso e sono certa
che farà di tutto pur di svolgerlo, anche se dovesse costargli la vita! Del
resto sai bene da chi provengono gli ordini! O hai forse intenzione di
contrastare la sua volontà?”
“Non
mi permetterei mai!” –Chinò il capo Polemos, sfuggendo allo sguardo indagatore
della sua interlocutrice.
“Credo
che non ti sia chiaro il vero motivo dell’attacco al Reame della Luna
Splendente! Te lo dirò in poche parole, e lo dirò anche a voi, fedelissimi, per
cui ascoltate la mia roca voce! Duplice intento nasconde in verità questa
battaglia: da un lato infatti, con Avalon e Atena impegnati in prima persona
sulla luna, possiamo distogliere la loro attenzione da altri obiettivi per noi
interessanti e verso cui i nostri eserciti già si dirigono. Inoltre, ed è bene
che tutti lo sappiano, sia i senescenti druidi che nelle nebbie si celano
impauriti per fuggire allo sguardo dell’Unico, sia gli Dei di Grecia, di Asgard
o di qualunque altro puerile regno sia nato in questo breve arco del tempo
cosmico: noi siamo qua!!!” –Declamò, quasi strillando ed espandendo il proprio
cosmo, che pervase l’intero salone, allungandosi come un manto di tenebra su
tutti loro, facendoli rabbrividire e ponendo fine ad ogni chiacchiericcio.
–“Che sentano la nostra potenza! Che percepiscano la nostra rinascita! Non vi è
angolo del pianeta che i nostri artigli non possano ghermire! Non vi è spazio
in cui noi non possiamo giungere e che possa considerarsi al sicuro! Igh igh! Se Ares e le sgualdrine
delle Makhai moriranno, cosa vuoi che mi importi? Piangeremo forse la loro
dipartita? Tu la piangerai, Polemos?! Che muoiano tutti, che moriate tutti!
Meglio così! Presto disporremo di tutti gli eserciti della Terra, a qualunque Dio siano devoti,
poiché in fondo tutti gli Dei non sono altro che un unico Dio! Il nostro! E a
noi risponderanno!”
“Sì, mia Signora!” –Rispose Polemos con enfasi, e
anche gli altri presenti annuirono.
“A questo proposito, come procede la rinascita? I
nostri figli e fratelli saranno presto tra noi?”
“Il risveglio avanza a passi da gigante, grazie
all’accelerata degli ultimi giorni. Oltre alle Makhai, ai Phonoi
e alle Androctasie, che sono già scesi in guerra,
anche alcune Astrazioni sono tornate a nuova vita, così come gruppi di Neikea e di Pseudologoi,
bellicosi spiriti portatori di dolori e malevolenze per il genere umano! E
persino le Empuse hanno accettato il nostro invito!
Si uniranno a noi con gioia, a condizione che vengano lasciate libere di
scorazzare per il mondo e divorare le loro prede!”
“Igh igh!
Adoro quelle vacche bastarde!” –Commentò la figura ammantata. –“Ci riserveranno
grandi sorprese, ne sono certa!”
“Pochi giorni ancora, forse poche ore, e la
rinascita dell’Esercito delle Tenebre sarà completa!” –Concluse Polemos.
“Quando potremo scendere in guerra? Voglio
affrontare quei cani rabbiosi dei Cavalieri di Atena!” –Intervenne allora il
guerriero in armatura, attirando lo sguardo irato del supposto Lord Comandante.
“Porta pazienza, giovane soldato! E impara a
mostrare deferenza per i tuoi superiori! Forse il tuo maestro non te l’ha
insegnato?” –Ghignò la donna vestita di nero, senza perdersi il rossore
improvviso comparso sul volto di Polemos.
“Chiedo venia, mia Signora, ma grande è il mio
desiderio di confrontarmi di nuovo con loro, soprattutto con uno di essi!
Abbiamo un conto in sospeso da migliaia di anni, risalente al primo Cavaliere
di Pegasus, e sono curioso di vedere se il suo discendente si mostrerà
all’altezza!” –Spiegò il guerriero, prima di venir zittito da un gesto
imperioso del suo istruttore.
“Una cosa però potrebbe disturbarci! Abbiamo
ricevuto un messaggio dall’Olimpo! Sembra che Zeus abbia risvegliato Nettuno,
il vero mitologico Dio, per averlo al suo fianco nell’ultima guerra, con tutte
le ricchezze celate nel continente perduto!”
“Uhm, interessante! Questa è la prima notizia
davvero interessante di questa giornata noiosa! Pare che il mare stia offrendo
regali un po’ a tutti, in questi giorni!” –Commentò la donna tra sé, dando le
spalle ai presenti e riflettendo su quest’informazione. –“Non che la ricomparsa
del re pescatore mi inquieti, ma è opportuno sbarazzarcene prima che diventi un
fastidio! E so già a chi affidare quest’incarico!”
“A noi, mia Signora?! A noi?!” –Incalzò il soldato
dai capelli biondi.
“No!!!” –Lo fulminò la figura ammantata, centrandolo
in pieno con una scarica di energia violetta e scagliandolo contro un muro
dell’edificio, facendolo crollare su di lui. –“Che ti serva da lezione! Mai
interrompere una signora mentre parla! Igh igh!” –Aggiunse, prima di rivolgersi a un imbarazzato
Polemos. –“Poiché noto che sei ancora impegnato con l’addestramento del tuo
allievo, non ti tratterrò oltre!”
“No, mia Signora, io posso…
esservi utile!” –Cercò di incalzare l’uomo dai capelli rosa, non ottenendo
altro che un riso di scherno.
Fu la rauca voce di Algea
a distrarre i presenti, portando la notizia del risveglio di due ulteriori
Divinità.
“Nutrirsi del cosmo dei Cavalieri delle Stelle ha
permesso loro di recuperare in fretta le forze!” –Esclamò la vecchia, avanzando
a piccoli passi verso il centro del salone, mentre due figure sconosciute
rimasero dietro di lei, ai lati dell’ingresso, quasi temessero quei lievi
sprazzi di luce che le torce diffondevano nella stanza. –“Dovete capirli, si
sono appena svegliati da un sonno di oscurità durato secoli! Abbiamo avuto
tutti la stessa reazione, più o meno, quando abbiamo riaperto gli occhi! Ih ih ih!”
“Presentatevi!” –Ordinò la figura ammantata di nero,
mentre i due nuovi arrivati muovevano un passo avanti, lasciando scivolare a
terra una viscosa sostanza bianca di cui i loro corpi nudi erano intrisi.
Il primo era un uomo alto e robusto, con mossi
capelli grigi, il petto ricoperto da una vistosa peluria, ugualmente evidente sulle
braccia e sulla gambe. Le ampie spalle erano leggermente incurvate, le mani
dalle dita carnose pronte per serrarsi attorno a un collo nemico.
“Il mio nome è Horkos,
figlio di Eris! Rappresento la maledizione inflitta a
coloro che tradiscano un giuramento!” –A tali parole le tre gigantesche figure,
finora rimaste in disparte, sibilarono soddisfatte, in segno di saluto.
La signora oscura sorrise sotto il mantello, prima
di rivolgere lo sguardo alla seconda figura, dalla corporatura di donna,
sebbene ben poco attraente. Certo non quanto lei.
“Io sono Lethe, che è
Dimenticanza!” –Si limitò a commentare la Dea dallo sguardo spento e dai
fianchi larghi, anch’ella figlia della Regina della Contesa.
“Molto bene! Le fila del nostro esercito si
ingrossano, proprio adesso che ho una nuova missione da assegnare! Horkos! Lethe! Venite con me!
Faremo un pezzo di strada insieme, per conoscerci meglio, prima che io mi
separi da voi per occuparmi di una certa faccenda!” –Non disse altro e si
incamminò negli angusti corridoi del santuario, seguita dagli Dei appena
ritornati in vita.
Algea tornò zoppicando nelle
segrete, e anche gli altri presenti si dispersero, lasciando il solo Polemos in
piedi vicino a un altare di pietra. Adirato oltre ogni dire, il demone furioso
batté un pugno sull’ara, spaccandola al centro, e continuando a tempestarla di
pugni finché non l’ebbe disintegrata del tutto.
Un rumore di pietra smossa alle sue spalle lo fece
voltare, proprio mentre il soldato punito affannava nel rimettersi in piedi,
liberandosi dalle macerie franate su di lui. Polemos gli si avvicinò,
sollevandolo di peso e sbattendolo al muro.
“Sei un idiota! Avrei potuto farmi assegnare un
incarico, invece per colpa tua dovrò ancora attendere e il titolo di Lord
Comandante, di cui ti fai stupidamente vanto, si allontana sempre più!”
“Mi dispiace, maestro…”
–Si rabbuiò il guerriero. –“Volevo soltanto… aiutarvi… mostrarvi la mia totale accondiscendenza e
desiderio di seguirvi in guerra!”
“Guerra a cui, se continuiamo ad aspettare l’arrivo
degli ordini, rischiamo di non partecipare affatto, e ciò intaccherebbe la mia
posizione gerarchica! Con tutti questi Dei che tornano in vita, ci sarà una
gran folla desiderosa di compiacerlo! Questo non deve accadere!” –Ringhiò
Polemos, spostandosi i lunghi capelli rosa sulla schiena. –“E non accadrà!
Preparati, andiamo in missione!”
“Cosa avete in mente, Lord Comandante? Oh
perdonatemi, precorro i tempi ma voi per me lo siete già!”
“Fai bene a pensarlo, Chimera! Perché quest’oggi lo diverrò!”
***
Quando
tutti ebbero lasciato il desolato atrio, una pietra incastrata in un muro
scivolò di lato, anticipando l’uscita di una testa ricoperta da un cappuccio
color marrone e oro. L’uomo si guardò intorno circospetto, attento a percepire
il minimo rumore che potesse indurlo alla fuga, quindi si fece forza ed uscì
completamente dal tunnel, acquattandosi tra le ombre. Spostò lo sguardo
sull’intera sala, cercando eventuali sentinelle nascoste, prima di incamminarsi
rasente al muro verso i sotterranei. La quasi totale mancanza di illuminazione
giocò a suo favore, per quanto limitasse la sua velocità, costringendolo a fare
attenzione a non inciampare in eventuali ostacoli. Stringendo i denti per la
tensione, infilò la rampa che conduceva alle segrete, per trovare conferma ai
sospetti del Dio cui era devoto. Non ebbe il coraggio di affacciarsi
completamente, temendo che la vecchia zoppa intenta a scavare nei ricordi di Febo e Marins si accorgesse di
lui, ma memorizzò quel che doveva, prima di ritornare sui suoi passi. A fatica
ripercorse il tunnel incavato nel muro, faticando nel tortuoso labirinto di
cunicoli fino a uscire all’esterno, da una vetusta grata di scolo. Cercando di
non pensare al putridume di quella fogna, la spinse con i piedi, più e più
volte, finché non cedette, permettendogli di passare e essere finalmente fuori
dal santuario. Allora iniziò a correre, avvolgendosi nel mantello color sabbia
in grado di mimetizzarlo con il brullo ambiente circostante, e quando credette di essere a sufficiente distanza dal tempio
oscuro, si portò due dita alla bocca e fischiò.
Non
passarono che pochi istanti che due artigli robusti lo afferrarono per le
spalle, sradicandolo letteralmente da terra e portandolo via, in volo, verso
sudovest, al di là del fiume Hotan. Arrischiandosi finalmente a respirare,
quasi all’interno del tempio avesse temuto di essere udito per quello, rilassò
i muscoli e sollevò lo sguardo, per ammirare la magnificenza del falco dal
delicato piumaggio che lo aveva prelevato.
Continuarono
a volare per una buona mezz’ora, finché le propaggini dei Monti Kunlun, confine sud-orientale del Taklamakan,
non apparvero all’orizzonte, e allora l’enorme uccello iniziò a scendere,
dirigendosi verso una valle incassata tra le montagne dove i loro compagni li
stavano attendendo.
“Guardate!
Ce l’hanno fatta! Naveed è di ritorno!” –Esclamò un
uomo, indicando il cielo, mentre il possente falco planava verso il campo, tra
le grida festose dei soldati rimasti in trepidante attesa.
Una
donna al suo fianco sbatté i piccoli occhi riparati da spesse lenti graduate
per mettere a fuoco l’immagine del nobile rapace che scendeva su di loro,
depositando con cura l’uomo a terra, prima di posarsi a sua volta sul freddo
suolo di quella terra lontana da casa. Pochi attimi dopo le sue forme mutarono,
rivelando il bel volto che tutti i soldati lì accampati conoscevano e a cui
tutti avevano giurato fedeltà.
Il
suo nome era Horus, il Dio Falco, detto il lontano.
Era
un uomo alto e robusto, dal fisico scolpito e dai lunghi capelli castani, capo
di quella spedizione di pronto intervento allestita per un unico scopo. La
salvezza di colui che considerava suo fratello.
“In
piedi, in piedi! Non è tempo di omaggi, ma di azione!” –Esclamò il Dio
egiziano, mentre alcuni servitori, prontamente accorsi, gli porgevano coperte e
vestiti per avvolgere il suo muscoloso corpo. –“Naveed,
voglio un resoconto completo sulla fortezza oscura! Quanti nemici la
presiedono? Struttura, trappole, sistemi difensivi? E, soprattutto, Febo è ancora vivo?”
“Sì,
mio Signore. L’ho osservato per qualche istante, notando il suo petto alzarsi e
abbassarsi leggermente, ma… è prigioniero, di un
maleficio io credo, ed esposto a continua tortura!” –Parlò il giovane soldato,
iniziando a spiegare tutto ciò che aveva visto, tutte le informazioni che aveva
memorizzato. –“Sono nei sotterranei, che sembrano essere una cella chiusa, non
accessibili dall’esterno!”
“Per
cui dovremo entrare dall’ingresso principale, non possiamo certo far passare le
truppe armate dal tunnel che hai scoperto!” –Meditò Horus.
“Non solo per quello, mio Signore, ma per un altro motivo…
So che sembra pazzesco ma c’è la possibilità di non ritrovarlo affatto. Il
percorso che ho seguito al ritorno non era lo stesso di quando sono entrato, era… cambiato! E anche mentre uscivo strisciando, ho avuto
la sensazione che il tempio stesse mutando forma… Ho
persino creduto che mi avrebbe fagocitato!”
“Non
essere sciocco!” –Disse uno dei soldati attorno. –“Già! Avrai sbagliato
strada!” –Fece eco un altro, prima che Horus li zittisse tutti.
“Credo
che Naveed dica il vero! Quel tempio potrebbe davvero
essere un’entità vivente, come Karnak, retta dalla Divina Volontà degli
Antichi! Del resto, a sentire la nostra archeologa, fino a qualche giorno fa
non esisteva neppure! Non è vero, Dottoressa Hasegawa?”
La
donna dagli occhiali a fondo di bottiglia sorrise timidamente, per essere stata
chiamata in causa, prima di annuire e mostrare alcune carte, la mappatura della
zona desertica a est del fiume Hotan, proprio dove Febo
e Marins avevano chiesto di concentrare le
esplorazioni. Ma non vi erano segni che facessero presagire la presenza di
insediamenti o di una qualsiasi struttura umana.
“Dovrebbe
esserci solo deserto laggiù! Quanto meno questo era ciò che c’era fino a pochi
giorni fa!” –Parlò la scienziata.
“Un
tempio sorto dal nulla! Questo significa che il risveglio degli Antichi è
iniziato, e presto sarà completo! Dobbiamo agire ora, e in fretta, prima che
acquistino una forza tale da non poterci opporre! Un nuovo Apopi
è qualcosa di cui non abbiamo bisogno! Jarrah, manda
un messaggio al Sommo Ra, che invii rinforzi il prima possibile!” –Declamò
Horus, indicando un soldato che subito corse a liberare un ibis sacro, legando
un piccolo papiro a una sua zampa.
“Non
credo che potremo permetterci di aspettare così tanto, mio Signore! Il momento
propizio è adesso!” –Riprese a parlare Naveed. –“Le
due entità più potenti hanno lasciato il santuario, la prima mutandosi in un
rapace di tenebra e volando via, verso l’Europa, l’altro andandosene assieme a
un soldato più giovane. Il tempio è quasi deserto, eccezion fatta per la
vecchia che tortura il nobile Febo e tre enormi
figure che non sono riuscito a individuare. Se ne stavano nell’ombra, a
parlottare tra loro. Ho cercato di decifrarne il linguaggio ma alle mie
orecchie giungevano solo sibili spettrali!”
“Temo
di sapere chi siano queste tre mostruosità!” –Sospirò Horus, soppesando la
situazione. Attaccare adesso il santuario sarebbe stata una mossa azzardata,
vista la scarsità di forze al suo comando, una pattuglia di esploratori, più
adatti ad incursioni rapide che ad uno scontro diretto. Pur tuttavia, aspettare
i rinforzi avrebbe permesso ai nemici di rafforzarsi, in quantità e in potenza,
riducendo al qual tempo le speranze di ritrovare Febo
e Marins vivi. –“Maledizione!”
“I
dubbi non si addicono ad un condottiero, che deve essere lesto nel decidere!
Anche quando la bilancia del destino è inclinata dalla parte a lui avversa!”
–Esclamò allora una voce, mentre un uomo alto e dal volto magro e austero
usciva dalla tenda in cui aveva riposato fino a quel momento.
Nel
trovarselo di fronte, ricoperto dalla sua Veste Divina, tutti i soldati
prontamente si inginocchiarono, e nessuno osò sollevare lo sguardo, per non
incrociare il suo. Persino la Dottoressa Hasegawa
provò un certo timore verso il nuovo arrivato, finendo per genuflettersi a sua
volta, ma senza rinunciare a dargli un’occhiata incuriosita. Il bastone d’oro
incurvato, il flagello e il pastorale incrociati sul pettorale dell’armatura,
il lungo copricapo ornato dall’Ureo e da due piume di struzzo ai lati non
lasciavano dubbi sulla sua persona. La studiosa trasalì, realizzando di essere
di fronte alla Divinità egizia dell’Oltretomba.
“Padre!”
–Commentò Horus, non sapendo che il Dio li avesse raggiunti sui Monti Kunlun.
“Se
lo scopo di questa spedizione è salvare il figlio di Amon
Ra, dobbiamo agire adesso, o la missione sarà fallita in partenza perché Febo presto sarà morto e neppure io potrò riportarlo
indietro dal terribile Amenti cui è destinato!”
–Esclamò Osiride a gran voce. –“La mia sposa, la dolce Iside, osservando il
moto delle stelle, mi ha informato che il varco tra i mondi non è ancora del
tutto aperto, e questo li rende vulnerabili! Per cui dispiega la tue ali,
giovane falco, è tempo di innalzarsi!”
“Come
comandi!” –Annuì Horus, dando ordine ai soldati di prepararsi ad una partenza
immediata. –“Dottoressa Hasegawa, esprimiamo
gratitudine per la sua competenza, grazie alla quale sarà molto più semplice
ritrovare il figlio di Amon Ra! Da questo momento è
dispensata da ogni onere, si senta libera di andarsene dove e quando lo
desidera, anche a Karnak se in futuro vorrà farci visita e studiare i nostri
usi e costumi!”
“Io… sono preoccupata per le sorti di Marins
e di Febo!” –Esitò la donna, intimorita ma al tempo
stesso affascinata dal ritrovarsi in piena mitologia, e desiderosa anche di
saperne di più.
“La
terremo aggiornata, ma una guerra non è posto adatto ad una studiosa! Beh,
forse persino tutto questo le sembrerà stupefacente, non è vero? Uomini falco,
divinità antiche, soldati egizi che marciano nel Taklamakan?”
–Sorrise il giovane Dio.
“Non troppo, in verità. Quando ero giovane, agli inizi della mia carriera
archeologica, ho vissuto esperienze non troppo dissimili, proprio nelle terre
da cui provenite!”
Horus
annuì, dando ordine a un gruppo ridotto di soldati di scortare la donna al suo
campo base, da dove era stata prelevata il giorno prima, e di accompagnare poi
tutta la sua spedizione lontano da quel deserto, la cui eterna pace sarebbe a
breve stata turbata da un violento conflitto.
“Mettiamoci
in marcia! Ci aspetta un’ardua missione! Indossate i mantelli simbiotici e
azzerate i vostri cosmi! Dobbiamo sfruttare quanto più possibile l’effetto
sorpresa!” –Esclamò il giovane Dio, mentre l’intera squadra d’assalto si
armava, iniziando a incamminarsi verso il valico che li avrebbe condotti fuori
dai Monti Kunlun. –“Che Amon
Ra vegli su di noi!” –Aggiunse, mutando forma e spalancando le ali del rapace
dall’argenteo piumaggio.
In
quello stesso momento, molte miglia a sud-ovest, nel cuore del Santuario di
Karnak, una donna sedeva sulla scalinata posteriore intenta a suonare il
sistro, scuotendo lo strumento con fare ritmato, quasi fosse vittima di una
qualche malia.
Nonostante
la distanza, nonostante il suo amato e suo figlio avessero deciso di non usare
i loro poteri cosmici, per non essere individuati dagli occupanti del tempio
nemico, Iside sapeva perfettamente quello che stava accadendo, lo stava vivendo
sulla sua pelle, come fosse stata presente.
“Torneranno!”
–Esclamò una voce all’improvviso, strappando la Dea al suo stato di trance.
–“Inoltre Horus possiede il tiet, non è così? Nessuna
forza potrebbe opporsi al potere di quel talismano, che custodisce tutto
l’amore di Iside!”
La
Dea della Maternità accennò un sorriso, senza mutare l’espressione preoccupata
del suo volto, e si augurò che il Nodo della Vita, in cui aveva canalizzato la
sua energia protettiva, funzionasse anche contro la grande ombra nascente.