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Autore: Dave1994    31/03/2013    2 recensioni
Skyrim, poco prima della resurrezione dei draghi e del ritorno di Alduin.
Una terra immersa nel mistero e nella magia...talvolta così antichi da trascendere persino il tempo stesso.
Due universi che si incontrano,per ridipingere un passato sconosciuto e incredibile.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Ehi, Marty – disse l'omone brutto e dal volto unto di sudore – passami un altro idromele. -

Il ragazzo che rispondeva al nome di Marty esitò pensoso, la gola non poco riarsa dal calore emanato dalle torce disposte sulle pareti metalliche attorno a loro che risplendevano alla luce del fuoco come piccoli soli in miniatura.

- E se facessimo a metà? -

L'altro lo guardò in maniera eloquente, un'espressione di disapprovazione dipinta sul volto.

- Devo forse ricordarti chi è che fa il lavoro sporco tra di noi? - sentenziò infine, afferrando una coscia di pollo e divorandone metà in un sol boccone. Rivoli di sugo e condimento gli colarono lungo il mento, fermandosi tra i peli del suo folto pizzetto nero.

- Dio, Boss – sussurrò Marty, ritraendosi a quello spettacolo – almeno impara a mangiare come si deve. Ecco, tieni. -

L'omone annuì soddisfatto, afferrando al volo la bottiglia di idromele lanciatagli dall'amico. Con la coscia di pollo nella mano destra e la bevanda nella sinistra, stappò l'idromele con un leggerissimo movimento del pollice e la scolò come se avesse vagato assetato nel deserto di Alik'r per mesi. Guardò Marty con un sorriso ebete e ruttò in segno di ringraziamento.

- Sei un animale. -

Il più giovane, dal profilo aquilino e i tratti slanciati, quasi scattanti, tornò a guardarsi intorno. Quella notte avevano deciso di accamparsi nel primo posto che avevano trovato, un luogo che se le mappe non mentivano doveva corrispondere al nome di Alftand: un complesso di rovine Dwemer abbandonato da tempo, persino dagli studiosi più accaniti. Gli unici ad abitare quei luoghi dimenticati dagli dei erano ormai i banditi, che ne facevano le loro basi dove rifocillarsi tra una scorribanda e l'altra.

- Boss, ci credi mai alle antiche leggende? -

- Non fare il cagasotto anche stavolta, Marty – disse l'omone, pulendosi la bocca con un panno sporco e sfilacciato qua e là sugli angoli di quella che un tempo doveva essere sembrata della seta – o stanotte dormi fuori al freddo. -

- Piantala. Dico sul serio? -

- Dio, quali leggende vuoi che ci siano?! - sbottò Boss, leggermente irritato. Ai suoi occhi tutto quello che non poteva toccare con mano poteva anche non esistere, per quello che ne sapeva. E questa sua filosofia, pensò, non era mai stata smentita in nessuna occasione nel corso della sua vita.

- Si dice che... - cominciò Marty, abbassando il tono di voce rendendolo quasi un lievissimo sussurro

- Marty...! -

- ...che chi profani questi luoghi vada incontro ad una morte orribile. - concluse il più giovane, afferrando una torcia vicina e stringendola tra le proprie mani ponendole all'altezza del petto. Il tutto avrebbe dovuto contribuire a dargli un'aria spiritata, ma agli occhi di Boss parve solo un'idiota che stava per darsi fuoco involontariamente.

- Piantala - disse l'altro, afferrando la torcia e rimettendola al suo posto – o sveglierai gli antichi Dwemer che costruirono questo luogo. -

- Vedi che lo pensi anche tu?! -

- No – disse Boss, affondando la sua faccia tra le mani – ti prendevo solo in giro. -

- Oh. -

Fu l'ultima battuta tra i due, dopodiché cadde il silenzio in quell'angusto e anonimo corridoio d'ingresso a quelle che erano le rovine di Alftand. Entrare là dentro era stata una sciocchezza: sebbene i cancelli fossero chiusi e sprangati dall'interno, numerose brecce erano presenti nel muro laddove non era fatto di quel metallo nanico che i due avevano verificato essere davvero indistruttibile come dicevano i fabbri delle città più importanti. Insieme avevano preso una spada e l'avevano battuta più e più volte contro le pareti dal color giallo ocra, ottenendo solo di spezzarne il filo e deformarne i tratti.

- Pazzesco. Se trovassimo qualche oggetto fatto di questa roba, potremmo rivenderlo dalle parti di Whiterun. - aveva osservato Boss, i tratti del volto alterati da un'espressione di profondo stupore.

Tuttavia, nonostante le loro ricerche, gli unici frutti dei loro sforzi giacevano ora abbandonati vicino alla sacca dove tenevano i loro viveri e consistevano in qualche septim e due o tre set di banalissime frecce in ferro. Ci sarebbe stato da chiedersi cosa diavolo ci facessero in un luogo come quello, abbandonato da tutti ed evitato dai viandanti come se praticamente non ci fosse.

 

 

Marty si svegliò di soprassalto, il fiato grosso rimbombante nel petto e uno sgradevole velo di sudore sulla schiena e sotto le ascelle. Ancora intorpidito dal sonno afferrò violentemente dell'idromele e lo tracannò in pochi sorsi con il cuore a mille.

Aveva fatto un incubo orrendo, ma non riusciva a ricordarselo. Gli era rimasta solamente impressa una profonda e terribile sensazione di gelo caustico che lo attanagliava in tutte le parti molli, come un'invisibile morsa decisa a non lasciarlo più.

Non faceva incubi così da quando era bambino, pensò. E non ricordava di essersi sentito così a disagio da quando aveva bagnato il letto per la prima volta, abbastanza cosciente da rendersi conto di quello che aveva fatto.

- Psss, Boss – sussurrò rivolto all'amico, ma non ricevette nessuna risposta. Decise così di sgranchirsi un po' le gambe, in modo da dimenticare la sensazione di quel sogno così angosciante, così si alzò e percorse lentamente il corridoio dove lui e Boss si erano accampati quella notte.

Era breve e dopo qualche metro svoltava a destra, ma il buonsenso frenò Marty dall'intraprendere quella deviazione: conosceva bene i racconti che aleggiavano su quei luoghi così antichi e misteriosi e cosa ancora più preoccupante, sapeva di numerosi avventurieri morti, storpiati o sfregiati dalle trappole costruite dai loro architetti. Tempo prima conosceva uno che giurava di aver visto un uomo segato in due da una lama circolare sbucata fuori dal pavimento a Mzinchaleft, durante una precipitosa fuga dalle guardie imperiali. Il tutto era avvenuto in meno di un secondo e nel più assoluto silenzio.

Un brivido, che nulla aveva a che fare con il freddo del metallo su cui posava i suoi piedi scalzi, percorse la schiena di Marty.

Tuttavia la curiosità era sempre stata una brutta bestia e il giovane l'aveva ereditata dalla sua famiglia come era venuto al mondo, così si avvicinò in punta di piedi allo svicolo sporgendosi di poco fino ad avere una buona visuale del percorso davanti a lui.

Un altro corridoio si profilava ai suoi occhi, identico in tutto e per tutto a quello precedente e fatto suo da lui e Boss per quella notte. Era una buona idea esplorarlo?

La precauzione non era mai troppa, pensò Marty. Quando si rese conto di avere ancora in mano la bottiglia di idromele, vuota per tre quarti, la lanciò con circospezione sul pavimento e nel fragore generale ne osservò i frammenti spargersi ovunque, affilati e taglienti.

Non accadde nulla. Né fiamme, lame nascoste o frecce velenose fuoriuscirono da una qualunque fessura nelle pareti. Attese cinque secondi per maggior sicurezza, senza ottenere però alcun risultato.

Sollevato, decise di proseguire facendo attenzione ai cocci di vetro sparsi per terra. In un'occasione sentì una leggera fitta risalirgli lungo la pianta dei piedi e quanto ne vide conficcato nella giuntura del suo alluce imprecò, pulendo il minuscolo rivolo di sangue con la manica.

Non gli ci vollero più di trenta secondi per attraversare il corridoio e sbucare infine su una vasta sala a due piani, dai colori dorati e riflessi metallici qua e là dove era illuminata dalla luce proveniente da un paio di finestre poste sul soffitto, i profili squadrati e non più grandi di un bambino di appena sei anni.

- Wow. - sussurrò, rapito dalla magnificenza che gli antichi Dwemer non esitavano mai a sfoggiare. I suoi occhietti esperti e allenati percorsero la stanza alla ricerca di preziosità rivendibili a qualche avido ricettatore, senza tuttavia trovarne: a catturare il suo sguardo furono tuttavia....

- Marty!? - sussurrò una voce dal tono apprensivo. Il giovane si voltò e vide Boss poco distante da lui, intento a sbracciarsi per attirare la sua attenzione.

- Vieni a vedere! Credo ci sia della roba, qua! -

- Torna subito qui! Non eri tu quello delle leggende? Chissà quali assurde trappole ci sono in questo posto, non fare cazzate! - disse con un filo di voce Boss e Marty si rese conto che il suo amico era davvero preoccupato per lui. Un sorriso gli apparve sul volto e un'espressione di infantile curiosità lo accese.

- Ho già controllato, non c'è nulla! E smettila di sussurrare – disse, ridendo – chi diavolo vuoi che ci senta qua? -

Boss non parve troppo convinto delle parole dell'amico, ma si fidò come aveva sempre fatto e avanzò lentamente lungo il corridoio, entrando infine nella sala. Raggiunse l'amico in pochi secondi e lo strattonò per il braccio destro.

- Che diavolo ti è saltato in mente? -

- Guarda, cosa sono quelli secondo te? - chiese Marty, indicando due oggetti di forma sferica apparentemente sospesi a ridosso del muro davanti ai due. Erano fatti dello stesso materiale di cui erano composte le pareti e grandi quanto un grosso cane, rilucenti alla luce naturale come tenui stelle dorate.

Boss esaminò i due oggetti, avvicinandosi un poco per osservarli meglio.

- Devono valere una fortuna, sai? - disse, pensoso – se sono davvero di metallo nanico, potremmo sistemarci per mesi facendoli fondere ad una fucina. -

- Li prendiamo? - chiese Marty e il sorriso dell'amico fu più eloquente delle sue stesse parole.

- E me lo chiedi anche? -

Fecero per percorrere la distanza che li separava dai due manufatti, quando questi si mossero tremando impercettibilmente. Il cuore di Marty fece un tuffo, maledicendo la propria avventatezza: ci fu uno scatto metallico e le due sfere si aprirono come un carillon, rivelando due figure dal profilo in parte umanoide. Sebbene poggiassero su ruote circolari poste in parallelo, quello che più doveva assomigliare ad un torso di ergeva sopra di queste e sottili braccia meccaniche partivano da questo, le estremità ornate di strani e affilati meccanismi.

- Merda, Marty – sussurrò Boss, arretrando di scatto – te l'avevo detto, io. -

Quando la trasformazione fu completa, i due Animunculi mostrarono un volto fuso in un tutt'uno con i loro elmi metallici. Ingaggiarono una posizione di attacco e con un gesto lame sottili e dorate fuoriuscirono dai loro arti, mentre le ruote che avevano come arti inferiori cominciavano a girare facendo avanzare le due sfere naniche.

Marty non perse tempo e si voltò velocemente, cominciando a correre come un forsennato. Sentii l'amico Boss ansimare vicino a lui, quando improvvisamente inciampò in una piastrella sporgente sul pavimento: stramazzò a terra e un dolore lancinante gli risalì la gamba partendo dalla caviglia.

- Marty! - urlò Boss, mentre alle sue spalle i due automi avanzavano velocemente nella loro direzione. Minuscoli pennacchi di fumo fuoriuscivano dai congegni posti sulla loro schiena e bagliori rossi, alieni e privi di qualsivoglia emozione, rilucevano laddove ci sarebbero trovati gli occhi, in un essere umano.

- Cazzo, Boss, devo essermi slogato una caviglia – disse Marty, digrignando i denti per il dolore – non pensare a me e... -

In meno di un secondo l'omone afferrò il più giovane e lo caricò sulla spalla destra, come un sacco di patate: il gesto provvidenziale dell'amico spezzò il fiato di Marty facendolo tossire convulsamente, abbandonando le braccia lungo la schiena del compagno.

Quando alzò la testa vide i due Animunculi non più distanti di tre metri e si dimenò come un'anguilla appena pescata.

- Diamine, muoviti! - gridò rivolto all'amico – ci stanno quasi addosso! -

- Là! C'è una porta aperta! - disse Boss, senza che Marty potesse effettivamente vederla. L'omone accelerò la sua andatura fino a che i suoi piedi parvero non toccare nemmeno più il pavimento, nonostante avesse l'amico sulle spalle. I due entrarono in un secondo corridoio, diverso da quello che avevano intrapreso per raggiungere la stanza delle sentinelle, e Marty si chiese come avesse fatto a non notarlo.

No, non è che non l'aveva notato.

Quel secondo passaggio non c'era proprio, fino a poco prima. Quando poteva essere apparso? Il giovane non ne aveva assolutamente idea.

Come furono entrati in quell'ingresso nascosto, ci fu uno scatto e la porta dietro di loro si richiuse

separandoli quasi fisicamente dalle due guardie meccaniche, che furenti sferragliarono agitate menando fendenti contro la parete metallica. I loro tentativi di forzare l'accesso furono inutili, tuttavia non se ne andarono: fischi, clangori e rintocchi meccanici segnalavano ancora la presenza.

- Certo che sono delle piccole bastarde insistenti. - disse Boss, prendendo finalmente fiato. Sudava copiosamente e il suo volto era rosso per lo sforzo quasi quanto un pomodoro maturo.

- Dici che qui siamo al sicuro? - sussurrò Marty, voltandosi in direzione dell'amico. L'espressione perplessa di Boss parlò al suo posto.

Incerto sul da farsi il giovane scrutò l'ingresso, che nulla aveva a che fare con lo stile appartenente al resto delle rovine. Laddove prima c'erano riflessi dorati e metallo nanico ovunque, rilucente come una statua di bronzo appena lavorata, ora non c'era che nuda pietra. Poco più avanti un profondo pozzo si apriva sotto il passaggio in un abisso nero come la pece, senza che si potesse vedere per quanto fosse esteso: ciononostante la stanza non era buia, affatto.

Un tenue lucore azzurrino proveniva dalla porta in fondo al ponte in pietra, di forma perfettamente rettangolare. I profili erano perfettamente squadrati, prova di una precisione maniacale, quasi diabolica.

Marty vide lo sguardo di Boss intento a scrutare il corridoio e lo fissò esitante.

- Che si fa? - chiese.

L'amico sembrò riflettere per un attimo, mentre dietro di loro suoni sinistri ricordavano ai due la presenza delle guardie meccaniche ancora in attesa di stanarli. Non c'era nulla da fare, pensò Boss.

La direzione da prendere poteva essere solo una.

- Andiamo uno alla volta – disse, sostenendo l'amico dolorante e aiutandolo ad alzarsi – ce la fai ad attraversarlo? -

Marty fissò il ponte. Non era poi tanto lungo, anche se le fitte di dolore provenienti dalla caviglia gli facevano apparire ardua anche la più breve distanza.

- Posso provarci. -

- Andiamo. - concluse Boss e lo condusse fino all'imboccatura del passaggio, non più largo di due metri. Poi, con delicatezza, lasciò scivolare l'amico e gli porse la spada smussata e dal profilo irregolare con la quale avevano testato la resistenza del metallo nanico cui erano fatte le pareti delle rovine di Alftand qualche ora prima.

- Non è il massimo, ma prova a usarla come sostegno. -

- Grazie. - sussurrò Marty, afferrando la stampella improvvisata. Poi si voltò, fissando lo sguardo sul passaggio stretto e angusto. Intorno a lui non si riuscivano a vedere i contorni delle pareti, dando l'impressione della sconfinata vastità oscura e tenebrosa intorno e sotto di loro.

Il giovane fece un passo, caricando il peso sulla spada e gioendo di come non sentisse più quel dolore lancinante, sostituito ora da un sordo ronzio localizzato in tutto il piede destro.

- Ce la faccio! - esclamò Marty, avanzando di quattro passi. Sembrava un coniglio ferito così com'era, costretto a ricorrere talvolta a piccoli saltelli, ma l'impresa non era poi così difficile come aveva temuto che fosse.

- Bene. Dimmi quando arrivi alla fine, così parto io. -

Dopo cinque minuti, lui e Boss avevano attraversato il passaggio sospeso nel nulla e adesso, laddove prima c'era l'ingresso presidiato dai due Animunculi di guardia, solo un fievole bagliore arancione ne delimitava i contorni. Gli schiocchi e i rumori prodotti dalle due macchine non erano più udibili, sostituiti da un pesante e greve silenzio.

Proseguirono per circa un minuto, talvolta protendendo le mani in avanti per accertarsi di non sbattere contro ostacoli non visti. Erano guidati solamente da quella fioca luce azzurra in fondo al tunnel, di una tonalità quasi eterea e inconsistente.

Quando varcarono l'ultima porta di quel corridoio, rimasero semplicemente senza fiato.

Era una stanza dal soffitto ovale, come ricavato da una grotta preesistente.

Se non fosse stato che le pareti erano interamente fatte di una scintillante roccia blu, dalle sfumature infinitamente screziate di blu e indaco: ovunque volgessero il loro sguardo quel materiale dominava la vista, tramutando i loro volti in espressioni di profondo stupore.

- Marty – tornò a sussurrare Boss, quasi in un tono di timore reverenziale – la senti anche tu? -

- La musica... - biascicò Marty, rapito da quello spettacolo. Sentiva qualcosa, in quel silenzio misterioso e sacro, una sottilissima sequenza di note dolci e soavi. Non riusciva a riconoscere appartenenti a nessuno strumento quei suoni ultraterreni, come provenienti da un altro mondo. Si sentiva portare lontano da quel luogo non appena si concentrava su quella musica ipnotica, viaggiando in lande esotiche e lontanissime. Doveva fare un enorme sforzo di volontà per rimanere con i piedi per terra.

E poi, lo videro. Avrebbero dovuto scorgerlo certamente, prima o poi, essendo la stanza piccola e l'oggetto esattamente al centro di essa, poco più alto di Boss e appena meno largo delle sue spalle.

Uno specchio dalla cornice dorata, riccamente ornata di decorazioni e iscrizioni indecifrabili, apparve ai loro occhi.

Marty si avvicinò un poco, per poterlo esaminare. Era fissato su una base di argilla solidificata, inclinato rispetto al suolo di circa quarantacinque gradi così che i frammenti di vetro posti sulla sua superficie non potessero cadere: i cocci erano circa una sessantina, delimitati tra di loro da vistose e profonde crepe nere.

- Boss...cos'è? -

- Uno specchio, no? - sussurrò l'omone, sollevando l'indice della mano destra e solcandone la cornice dorata. Un brivido gli attraversò la spina dorsale e si affrettò a ritrarre la mano, intimorito dal contatto.

Quell'oggetto era magico. Anche senza toccarlo, avrebbe potuto osservarlo da come l'aria riverberava attorno ad esso, come piegandosi alla sua prossimità.

- Qualcuno deve averlo infranto. Guarda, hanno cercato di rimettere al loro posto tutti i frammenti. - disse Marty, allungando una mano pronto a imitare l'amico.

- Non toccarlo - esclamò l'omone, afferrando il braccio di Marty al volo – potrebbe essere pericoloso. -

- Andiamo, Boss – fece Marty, osservando rapito le iscrizioni tracciate nella cornice – è solo uno specchio. -

Non aveva mai visto nulla del genere, quei simboli non sembravano appartenere a nessuna lingua conosciuta. E soprattutto, quella stanza sembrava essere più antica del tempo stesso.

No, non l'avevano costruita i Dwemer, pensò Marty.

Quello non era per niente il loro modo di fare.

Quasi i due non si resero conto del sottile filo di fumo nero sollevatosi alle loro spalle dal pavimento, ondeggiante come un serpente che si prepara ad attaccare la preda. Senza emettere nemmeno un suono la cortina intangibile si espanse, ramificandosi in un'infinità di sottili propaggini. Queste si protesero verso i due, facendo come per avvolgersi in un denso bozzolo. Quando Marty se ne rese conto cercò di gridare, senza tuttavia riuscirci. L'invisibile presenza gli entrò in gola, percorrendogli le vie respiratorie e diretta ai polmoni: si sentì soffocare, sbracciandosi nel disperato tentativo di farsi notare dall'amico che involontariamente colpì con il dorso della mano.

Boss si voltò di scatto verso di lui, spalancando la bocca davanti all'inconsistente velo di oscurità formatosi attorno al giovane. Istantaneamente ruggì, scrollandolo violentemente per le spalle mentre di Marty oramai era visibile solamente il bianco degli occhi.

Quella cosa lo stava soffocando.

L'omone digrignò i denti e sferrò un destro micidiale al suo amico, precisamente nell'addome: l'impatto fu talmente violento che Marty buttò fuori tutta l'aria che gli era rimasta nei polmoni, assieme a quella tenebra nera e senza contorni. Continuò a tossire, mentre la presenza si raggrumava in una figura umanoide alta più o meno quanto lui dal volto senza lineamenti, liscio come il mare in un giorno di calma piatta.

- SCAPPA, MARTY! - urlò Boss, impugnando la spada smussata che l'amico aveva usato come stampella poco prima e affondandola nel velo d'ombra davanti a lui trapassandolo come se fosse stato niente più che uno sbuffo di fumo. L'amico non rispose, stringendosi la caviglia e gemendo per il dolore: ciò nonostante strisciò e tentò di afferrare l'entità per i piedi, senza tuttavia riuscirci.

- Vai tu, io non posso... -

- MARTY! -

- Ho detto VAI! - strillò il giovane, sollevandosi in piedi con uno sforzo immane e fronteggiando la creatura fatta d'ombra. Cosa diavolo era?

Boss esitò, lasciando infine cadere la spada e fuggendo via a gambe levate. Marty lo osservò scappare lungo il corridoio, pregando che le guardie meccaniche davanti alla porta se ne fossero ormai andate.

Si voltò, osservando l'essere davanti a lui. Sebbene la forma assomigliasse a grandi linee a quella di un essere umano, i contorni erano in continuo mutamento e riccioli di materia oscura danzavano con grazia ed eleganza attorno all'ammasso d'ombra.

Prima che il giovane potesse fare qualsiasi cosa, l'entità lo avvolse inghiottendolo in una cortina impenetrabile. L'ultima cosa che Marty vide fu la superficie di un lago ghiacciato contornato da alberi e querce, una città dai profili austeri in lontananza. Solitude? Prima che potesse avere risposta a quella domanda cessò di esistere, svanendo in un abisso scuro e senza fondo.


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Bentornati a tutti i cari lettori e una buona Pasqua di cuore dal sottoscritto! :)
Questo è di gran lunga uno dei capitoli più importanti della trama e,incredibilmente,risulta essere anche più lungo dei precedenti: vi chiedo perciò di leggerlo con cura verso il finale,ogni dettaglio è ASSOLUTAMENTE importante per la comprensione della trama stessa. (:
Alla prossima,amici miei! Un abbraccio di cuore!
Dave.
  
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