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Autore: Jawaader    02/04/2013    2 recensioni
"chiamatelo come volete, caso, fato, sorte... Il problema è che più guardavo quel ragazzo e più sapevo che me ne sarei innamorata e che avrei perso la testa"
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arrivammo all’aeroporto. Scesi dall’auto e andai verso il retro della macchina. Mio nonno mi aiutò a prendere tutte le valigie e mia nonna mi passò la borsa che era rimasta sul sedile dietro. Mi fermai davanti a loro che mi fissavano con gli occhi rossi e gonfi per le lacrime che presto sarebbero scese. “ La nostra bambina sta crescendo” disse mia nonna prendendo un fazzolettino dalla sua borsa. Bambina. Sì bambina, loro mi chiamavano così, mi trattavano come una loro figlia, ma io non ho mai voluto che non lo facessero; gli ho sempre considerati i miei secondi genitori. “ No, nonna, ti prego non piangere, ti prego …” le dissi abbracciandola e stringendola forte come per dirle che andrà tutto bene. Poi feci avvicinare anche mio nonno e ci abbracciammo tutti e tre insieme. Era da tipo tre anni che non ci abbracciavamo tutti e tre insieme, da quando caddi in una specie di “depressione” a causa di molte cose che mi erano successe … Li volevo bene, non volevo lasciarli li da soli, volevo portarli con me, ma loro non sarebbero venuti. Mi staccai dolcemente dalle loro braccia protettive, presi i bagagli e la borsa e mi incamminai verso la porta d’entrata dell’aeroporto. Mi voltai per salutarli un ultima volta, mi baciai la mano e ci soffiai sopra; come facevano i bambini piccoli per buttare un bacino. Mia nonna lo prese, si portò la mano vicino al cuore e mi sorrise; lo stesso fece mio nonno. Non volevo far vedere le lacrime che mi stavano solcando il volto così mi giro di scatto e entro nell’aeroporto. Dopo aver fatto tutti i controlli e aver imbarcato le valigie, prendo la mia borsa, dove c’era lo stretto necessario per il viaggio, e vado a sedermi sul sedile del primo “bus” che mi avrebbe portato all’aereo. Appena sono salita vado a cercare il mio posto. Trovato, B20. Mi siedo tranquillamente, mi metto le cuffie e faccio partire la musica; una delle poche cose che, si può letteralmente dire, mi ha salvato la vita. Mi sveglio e guardo che ore sono. Sono le 5.30 del mattino e le hostess stavano arrivando per distribuire la colazione, che a parer mio faceva schifo. “Ho dormito per quasi tutto il viaggio?!” dico dentro di me. Le hostess arrivando anche da me e mi porgono una scatoletta dove, presumo, ci fosse la colazione; chiedo se posso avere del tè, almeno quello forse sarebbe stato decente. Mangio, si fa per dire, la colazione e bevo il tè, che era abbastanza buono. Sentiamo il capitano parlare dicendoci di allacciare le cinture perché stavamo per atterrare. Mi affaccio al finestrino e vedo, pian piano che scendevamo, quella città. Bella in tutto, a partire dall’oceano, finendo con un bar. Era magnifico e non volevo pensare quando l’avrei vista, in tutto il suo splendore, dal basso verso l’alto.
  
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