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Autore: La Matta    02/04/2013    1 recensioni
La comandante si morde il labbro, una brutta abitudine che credeva di aver perso molti anni prima, poi guarda Mordin ed annuisce:- chiama il dottor Zane. Digli di tenersi pronto.-
- Tutto è preparato.- la rassicura il salarian
- Va bene, allora.- Shepard prende un respiro profondo. Si china in avanti, baciando Thane sulle labbra - ti amo tanto.- sussurra.
Lui socchiude appena gli occhi e la guarda, confuso
- Siha…-
- Non parlare.- dice lei, dolcemente - Andrà tutto bene.-
Dopo di che fa scivolare l’ago della siringa sotto la sua pelle e preme a fondo lo stantuffo.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Thane Krios, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Konstantin Shepard'
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dlc 4

Capitolo Quarto

Le colpe dei padri

 

Athira osserva il giovane drell esalare gli ultimi, faticosi respiri.

Tossisce quasi ininterrottamente, ma il Custode della Memoria è stato chiaro: la purezza della morte non dev’ essere contaminata dalla medicina, la sofferenza deve essere pura e acuta, così come gli Dei l’avevano immaginata, nell’affliggere al popolo drell la sacra punizione.

Athira è stata benedetta solo qualche mese fa e ci sono ancora tante cose, che la spaventano.

Cerca di ripetersi che la sua anima non è davvero spaventata, che alla fine accoglierà con gioia il fato che l’è spettato, cerca di dirsi che sono solo gli inganni della materia a tenerla attaccata così spasmodicamente ad una vita che non merita di vivere.

Eppure, le riesce ancora difficile da accettare.

Interrompe le proprie riflessioni. C’è qualcosa di diverso, nell’aria.

… c’è silenzio.

Abbassa lo sguardo, sul giovane drell.

E’ immobile, i grandi occhi neri spalancati sull’eternità, il volto rilassato nel torpore della morte.

- Grazie, Kalahira, per aver accolto un altro dei tuoi figli.- prega il Custode, a voce alta.

Un mormorio reverente si unisce a lui, ma Athira non ci riesce.

Non riesce a pregare. Da quando ha scoperto di essere stata benedetta, sta affrontando una crisi di fede. Può davvero accettare come una benedizione qualcosa di terribile, come la sindrome di Kepral?

Come può il Custode della Memoria essere così certo che la malattia sia la punizione che gli Dei hanno destinato ai drell? Perché non può essere semplicemente una reazione biologica, causata dalla difficoltà di adattarsi ad un nuovo pianeta e ad un nuovo clima?

- Hai delle perplessità, figlia mia?- le chiede il Custode, in quel momento, posandole una mano sulla spalla.

- No.- risponde Athira, troppo velocemente.

- Figlia mia, non devi vergognarti dei tuoi timori. Ma ascolta: un popolo non deve sopravvivere al pianeta che gli è stato concesso in dono. Noi dovevamo assecondare la volontà degli Dei, e perire assieme a Rakhana. Invece… invece ci siamo stupidamente aggrappati alla vita, cercando in ogni modo di rimandare l’estinzione. Abbiamo dovuto scendere a compromessi con gli Hanar. Siamo arrivati a ringraziarli, per il soccorso che ci hanno portato, per il posto che ci hanno offerto sul loro pianeta… abbiamo accettato la loro cosiddetta grazia, ci siamo piegati al Contratto stipulato dai nostri padri… e così facendo abbiamo recato offesa agli Dei! Ci proteggiamo all’ombra di una razza sacrilega che non venera i veri Dei ma una razza guerrafondaia estintasi secoli orsono!- il Custode si sta scaldando, il sacro fervore illumina i suoi grandi occhi scuri e le sue lunghe mani gesticolano animatamente - Però, ci è stato concesso un modo per espiare! La Sindrome di Kepral. Un modo per mondarci dagli errori del passato, per morire come avremmo dovuto morire tempo addietro, per emulare la sorte del nostro amato pianeta! Solo chi accetta la malattia come una punizione divina, solo chi la festeggia come una benedizione, solo chi rifiuta le cure e porta fra i suoi fratelli il nostro verbo, solo lui sarà infine considerato giusto agli occhi degli Dei e, oltre l’Oceano, avrà finalmente la grazia!-

Il piccolo gruppo di accoliti si è riunito attorno al Custode, per ascoltare le sue parole.

E tutti ne sembrava entusiasti, eppure Athira non riesce a scrollarsi di dosso la sensazione che ci sia qualcosa di incredibilmente sbagliato, nelle cose che dice, in quello che lei ha fatto nel nome della fede.

Tossisce, mentre una vampa di dolore le dilaga nel petto.

- E’ una benedizione.- sussurra, fra sé, guardando le gocce rosse che le macchiano le dita.

 

- Ciao, Thane.- sospira Hiram.

- E’… è da parecchio.- risponde il drell, esitando.

Konstantin gli prende una mano, intrecciando le dita con le sue. Non riesce a immaginare come si sentirebbe lei, al suo posto. Si è sentita morire quando ha conosciuto le sorelle di Ashley, quando l’hanno guardata negli occhi chiedendole degli ultimi minuti della loro sorella maggiore. Quando ha dovuto parlare con voce fiera, quando invece aveva voglia di piangere, quando si sentiva distrutta dai sensi di colpa.

Hiram si siede sulla poltroncina di plastica:- dov’è Kolyat?- chiede poi, secco.

Non ci sono altri argomenti, che possono legarli. Niente, a parte quel bambino che Thane non ha voluto e che lui, Hiram, ha cresciuto, nonostante il costante dolore che gli attanagliava il petto, ogni volta che guardava suo nipote. Ma c’era riuscito. Era rimasto, rimasto per il figlio di sua sorella, rimasto nonostante l’amarezza e la tortura di vivere in un mondo solitario.

- Dovrebbe arrivare a momenti.- risponde Konstantin.

- Va bene.- Hiram prende un respiro profondo.

Non sa come parlare, come esprimersi, come poter ignorare tutto il disprezzo che gli corrode l’anima. L’odio sopito si ridesta, la voglia di litigare, di imprecare, di recriminare. La voglia di prendere Thane per il collo e di fargli rimpiangere ogni minuto di lontananza, ogni secondo di assenteismo, ogni notte che Irikah ha passato da sola, in un letto gelido, a sognare una vita che non avrebbe mai potuto avere.

- Andiamo in ambulatorio.- riesce a dire, alla fine. Stringe il pugno così forte che le unghie gli incidono un solco nella pelle azzurrina delle mani – Voglio visitarti, poi parleremo della terapia.-

- Hiram…- lo blocca Thane – non sei costretto ad aiutarmi. Anzi.-

- Non lo faccio per te.- sibila l’altro drell

Ed è vero. Lo fa per Kolyat, che ha appena ritrovato suo padre e non vuole perderlo di nuovo. Per il giuramento che fa ogni medico, che lui ha sempre onorato e che è l’unica cosa che va davvero bene, nella sua vita. Forse persino per Shepard, per quella tenace ragazza armata, che gli ricorda sua sorella in maniera devastante. E, sì, lo fa per Irikah. Perché lei sapeva vedere il bene anche nell’animo più nero e avrebbe sempre voluto aiutare gli altri, in ogni circostanza, non importa se l’avevano fatta soffrire.

Ma non è facile onorare la sua memoria. Sembra semplice, agire come avrebbe fatto lei, prendere le scelte su cui lei non avrebbe nemmeno dovuto riflettere. Sembra automatico ma è estremamente difficile. Dimenticare il proprio ego, per poter rievocare, anche solo per un po’, la purezza d’animo di Irikah.

- Andiamo.- ripete, dirigendosi verso l’ambulatorio.

Shepard si alza, per seguirli, ma Thane le fa cenno di restare indietro.

Konstantin non sa se è perché vuole passare del tempo da solo con Hiram, o perché non vuole che lei li senta litigare, o perché c’è un parte di lui che sta pensando ad Irikah, in quel momento, e gli sembra di tradire la sua memoria, tenendo la mano di un’altra donna.

Li guarda sparire dietro ad una porta di plastica bianca.

 

Mentre è da sola, pensa alle vie del destino. A come cento piccoli dettagli possano cambiare, cambiando non solo loro stessi, ma anche il corso della storia. Se Thane non fosse stato un assassino, se non avesse dovuto uccidere proprio quell’uomo, quel giorno, in quel luogo. Se Irikah fosse rimasta a casa, quella sera. Se non avesse avuto il coraggio di frapporsi fra la vittima e l’assassino.

Per qualche istante, sente di non poter più tollerare di essere chiamata “siha”, non convivendo con la consapevolezza che quel soprannome è stato di un’altra persona, di un’altra donna che probabilmente l’ha meritato più di lei.

Paradossalmente, è più facile essere un eroe in guerra, piuttosto che in pace.

Perché quando le cose a te tendono ad esplodere, sai che ogni minuto potrebbe essere l’ultimo. In quest’atmosfera apocalittica, sai che non puoi fuggire alla distruzione. E allora puoi affrontarla serenamente, prescindendo dalla tua indole, dai tuoi sogni del cassetto, accantonando le piccole preoccupazioni che durante la pace sembrano enormi e che la guerra semplicemente spazza via.

Non puoi ignorare il nemico, in guerra.

Ma in pace puoi passare oltre. Vedere che qualcuno sta per morire e decidere quietamente di lavartene le mani, di continuare con la tua passeggiata serale, di tornare a casa e guardare un film, distesa sul divano.

Ci vuole un gran coraggio, per inclinare lo status quo.

Shepard si guarda intorno: passi distratti l’hanno condotta fino al giardino interno dell’ospedale.

C’è una gran pace, il mondo sembra annullarsi, fra quelle quattro mura, coperte dai rampicanti artificiali.

Si siede su una panchina, di fronte al laghetto. L’acqua esce a fiotti, con un quieto mormorio.

Qualche minuto dopo, una voce la strappa al torpore.

- Shepard?-

- Kolyat!-

La donna si alza in piedi, per stringere la mano al giovane drell.

E’ passato un lasso di tempo scandalosamente lungo, dall’ultima volta che l’ha visto, o che si sono scritti. Shepard respinge l’istinto di autogiustificarsi, di esigere clemenza con sé stessa: con l’intera galassia in guerra, sembra legittimo trascurare un po’ i rapporti sociali, ma la comandante sa che non è stata colpa dei Razziatori. E’ che lei e Kolyat hanno poco in comune, hanno i loro pensieri, le loro vite, forse non hanno nemmeno un grande interesse a conoscersi a vicenda. L’unica cosa che li unisce, è Thane, ed è un filo sottile, che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro.

- Sono venuto appena possibile.- dice il drell - come sta mio padre?-

- E’ dentro con il medico.- spiega Shepard

- Senti… per quanto riguarda il dottor Hiram… non sono stato del tutto sincero, con te.-

Konstantin sorride e Kolyat capisce che lei sa, e che ha capito il motivo del suo silenzio, della sua esitazione.

- Mi dispiace.- mormora, scuotendo il capo - E’ stato lui a crescermi, eppure… credo di averlo deluso. Quand’ho scoperto la verità su mio padre, io ho… ho perduto la mia strada. Lui non ne sa niente, non sa nemmeno come ho ottenuto il mio attuale impiego all’SSC… non sa di Talid, né del mio primo omicidio. E vorrei che le cose rimanessero così. Non ha senso dargli un altro dolore.-

Shepard annuisce:- Sono certa che capirebbe.- dice poi - ma è giusto che tu ti prenda il giusto tempo, prima di parlagliene. Adesso stai rigando dritto e conta solo questo. Vedrai che Hiram sarà fiero di te, esattamente come lo è tuo padre.-

Non è una frase retorica, detta a vuota per riempire il silenzio. E’ la pura verità.

Lo sguardo di Thane s’illumina, ogni volta che parla di suo figlio. Quando il comandante Bailey gli inoltra qualche novità sul suo stato di servizio, quando Kolyat gli scrive di qualche missione dall’esito particolarmente favorevole.

“Non diresti nemmeno che è mio figlio” sussurra, accarezzando il datapad.

- Grazie, Shepard.- dice Kolyat.

Konstantin si stringe nelle spalle:- per cosa?-

- Per tutto.- risponde il drell, semplicemente.

Non sa con esattezza perché la stia ringraziando. Se per il lavoro che sta facendo coi Razziatori, se è per la speranza che offre alla galassia, se è perché ha rintracciato Hiram o per le parole che gli ha rivolto, riuscendo a rincuorarlo anche se è quasi una perfetta estranea. Forse è un “grazie” per il tempo che passa con suo padre, per il modo in cui gli fa trovare l’energia per sopravvivere.

- Vado a vedere se hanno finito.- riprende - Vieni con me?-

 

Li fanno sedere fuori dall’ambulatorio e lì attendono per qualche minuto, immersi nell’imbarazzante silenzio di chi sa che dovrebbe sentire un legame e invece non lo sente.

Alla fine, Shepard si rassegna, prende una rivista e la sfoglia, cercando di ignorare le variopinte pubblicità che si animano appena vi posa lo sguardo.

No, non vuole creme miracolose, né il nuovo modello di factotum con giochini assortiti. Vuole solamente una vita normale, felice e - dannazione - non c’è alcuna pubblicità disposta ad offrirgliela.

E’ quasi un sollievo quando la porta della sala esami si apre e ne esce il dottor Zane.

- Kolyat!- sorride subito, andando ad abbracciare il nipote.

I segni della stanchezza e del dolore mai sopito sembrano scomparsi dal suo volto, ma Shepard sa che è solo un’abile travestimento, una maschera che quelli come lei imparano presto ad utilizzare.

- Grazie, per quello che fai.- dice Kolyat, bloccando Hiram prima che pronunci le fatidiche parole “quanto sei cresciuto!” - So che non è facile, per te.-

- Quando si tratta della tua felicità, non mi tiro mai indietro.- sorride l’altro drell - ti voglio bene, Kolyat.-

- Lo so, zio.- risponde il giovane, un po’ in imbarazzo - Allora, come sta mio padre?-

Il dottore si siede su una poltroncina, prendendo un respiro profondo per riordinare le idee.

- Mentire è inutile.- esordisce poi - La situazione è critica. Nonostante tuo padre si sia sottoposto alla terapia giornaliera consigliata, non sono mai stati tentati interventi più invasivi, per rallentare il decorso della sindrome. Ad ogni buon conto, la mia opinione rimane la stessa: l’unica possibilità che abbiamo, e vi devo avvertire che le probabilità ci remano contro, è un intervento estremamente sperimentale. Del tipo di sperimentazione che la Primazia Illuminata si è rifiutata di autorizzare.-

- Suona poco legale, zio.- rileva Kolyat, ma non sembra contrariato.

- Sì, suona poco legale.- ammette Hiram - Eppure è la nostra migliore opportunità. Probabilmente l’unica. Con un nuovo protocollo farmacologico posso rallentare il decorso della sindrome o evitare l’insorgere di ulteriori problemi, ma ormai il grosso del danno è fatto.-

- Ci parli dell’intervento.- lo esorta Shepard.

- Sì, l’intervento. Su Kahje, io e la mia equip stavamo studiando un metodo per clonare i tessuti polmonari dei drell. Il progetto era ormai ad un punto tanto avanzato che stavamo per venirne a capo, quando…- tentenna, poi scuote il capo e prosegue - quando la Primazia Illuminata ha scoperto il nostro laboratorio e ci ha costretti a chiudere. Gli Hanar hanno promesso di revisionare i nostri protocolli per vedere se ci sono dei dati recuperabili, ma fra i tempi burocratici e la guerra credo che abbiano accantonato l’idea.-

- E allora cosa propone, dottore?- incalza Shepard.

- Con i giusti componenti ed attrezzature, dovrei essere in grado di completare la sperimentazione anche qui, sulla Cittadella. Mi metterò in contatto con la mia collega, la dottoressa Shoni e ci metteremo subito all’opera. Se la clonazione e il trapianto dovessero andare a buon fine, poi potremmo occuparci delle metastasi e dei danni collaterali e, con la dovuta terapia farmacologia, la Kepral dovrebbe essere… se non “sconfitta”, almeno messa in condizioni di non nuocere.-

Shepard annuisce. Anche se sembra un piano folle e rischioso, sente il sollievo dilagarle nell’animo. Hanno un piano. Ed è più di quanto ha avuto lei, contro i Collettori. Possono farcela. Hanno qualcosa su cui concentrare i propri sforzi e le proprie speranze.

 

Dopo aver lasciato l’ospedale, Hiram Zane si dirige all’appartamento che ha in affitto, sulla Cittadella.

Infila il tesserino nella fessura della porta, poi entra e richiude. Inserisce il codice dell’allarme.

In cucina, si versa un bicchiere di vino rosso e lo sorseggia, lentamente, seduto al banco di plastica grigia.

I suoi occhi si fanno vitrei, distanti.

“- I risultati delle ultime analisi sono promettenti, dottor Zane.- riferisce la sua assistente. Ha un bel sorriso, speranzoso. La pelle verde pallido. Occhi scuri, traboccanti di stima e aspettative.

- Bene.- anche lui sorride. Un sorriso diverso da quello di lei. Pensano entrambi di poter cambiare le cose, ma per lei è una speranza, mentre per lui è un semplice diversivo, per non pensare al passato.

- Inserisci le nuove informazioni nel grafico e poi proseguiamo con l’esame di compatibilità.- ordina la dottoressa Shoni.

Timala Shoni. Asari. Pelle azzurra, le punte dello scalpo tinte di blu scuro. Professionale, seria. Sorride solo fuori dal laboratorio, dentro non si concede distrazioni. Un camice bianco, i guanti lunghi fino ai gomiti.

Si affaccendano fra provette e monitor ronzanti. Preparano il futuro. Il sollievo di un’intera razza.”

Il bicchiere è vuoto.

Hiram lo riempie di nuovo, studiando i riflessi del vino.

Ognuno aveva avuto le sue motivazioni, in quel periodo entusiasmante, di ragionamenti ed intuizioni, di conferme e di smentite, di notti insonni e di festeggiamenti per ogni insignificante vittoria.

Lui voleva fare qualcosa di buono, qualunque cosa. La dottoressa Shoni era la figlia di un drell. La loro assistente - Dei, per quanto tentasse, Hiram non riusciva a ricordare il suo nome!- aveva scoperto qualche mese prima di avere la sindrome di Kepral.

Tutti avevano delle ottime ragioni per infrangere la rigida proceduta per le sperimentazioni scientifiche, ognuno non aveva tempo per aspettare le eterne formalità della Primazia Illuminata.

Tutti loro volevano tutto e lo volevano subito, senza aspettare, senza pause in cui riflettere sulla vita e sugli enormi vuoti che ognuno aveva, nel cuore.

Dopo che gli Hanar avevano scoperto il loro laboratorio, Hiram e la dottoressa Shoni erano rimasti in contatto, mentre l’assistente era scomparsa.

Hiram si strinse nelle spalle: forse era andata a concludere il suo dottorato con un medico meno sperimentale, che le insegnasse quello che era normale sapere e che la rendesse, un giorno, qualificata per la professione che aveva scelto. Una brava ragazza, la sua assistente.

Hiram sta bevendo l’ultimo sorso di vino, quando un ricordo emerge dal suo inconscio.

Athira. Ecco qual’era il suo nome. Athira.

 

 

 

 

 

--- La Coda!

Chi l’avrebbe mai detto? Chary è ancora viva! Sul serio?! Nah, forse sono voci di corridoio…

No, ragazzi, la mia astronave non è stata fatta a pezzi dai Collettori e Cerberus non mi ha ricostruita, tuttavia c’è una possibilità sostanziale che mi sia appena svegliata dal coma XD

Scherzi a parte, pare sia destino che io non riesca mai a completare quello che inizio, ma stavolta ce la metterò tutta. Voi metteteci la vostra dose di pazienza, se credete che ne valga la pena.

Inutile che accampi scuse per motivare la mia sparizione - tanto, ce n’è una sola davvero valida: l’assenza totale di ispirazione -, quindi mi limito a chiedere scusa per quella che non è la prima e che temo non sarà l’ultima volta. Abbia pazienza!

Chary vi vuole bene!!

 

Char---

  
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