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Autore: reb    04/04/2013    2 recensioni
La storia si è classificata seconda al contest “Lasciati ispirare..da ciò che scegli”, di Changing.
Una femmina. Tutta quell’agitazione solo per una femmina con un vestito azzurro che la rendeva simile alle bambole di porcellana che nonna Margaret teneva nel salotto con tutte le premure.
Lui odiava quelle bambole, così fragili e perfette. E quella bambina assomigliava loro così tanto che sapeva, oh se lo sapeva!, non avrebbe sopportato nemmeno lei, come non sopportava ogni altra bambina che stillasse davanti ai vermi o si mettesse a piangere per una macchia di fango sui vestiti o una sbucciatura al ginocchio.
Quando Grace presentò loro le due sconosciute con uno sguardo deliziato, il ragazzino non poté esimersi dal farle una smorfia a mò di risposta.
Riccardo pensava che no, lei adorabile non lo fosse affatto.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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“Isn’t she lovely”

 

 


 
 

 

 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’aveva voluta lui quella canzone.
Pochi minuti prima si era alzato dal tavolo, fregandosene altamente della seconda portata che stava per essere servita e dello sguardo di rimprovero che gli aveva rivolto sua madre, visto che se n’era andato senza una parola nel bel mezzo di un discorso, e si era diretto al centro della sala con passo regolare.
Solo una volta raggiunto quel punto aveva fatto un cenno a Giacomo, il suo amico nonché lontano parente del dj che con grande maestria cambiava un disco dopo l’altro da un paio d’ore a quella parte, perché facesse partire la musica dalla consolle che il ragazzo aveva lasciato nelle sue mani alcuni minuti prima.
L’aveva voluta lui quella canzone, per fare una sorpresa a Camilla, fregandosene che non fosse il momento delle danze e che a un matrimonio la scaletta delle canzoni fosse stata rigidamente studiata a tavolino mesi prima. E se era riuscito a fargliela sotto il naso, lei sempre così attenta e con le sue mille manie di controllo, lo doveva proprio ai due ragazzi che si erano prestati suoi complici con lo stesso sguardo di divertita rassegnazione che gli uomini gli rivolgevano ogni volta che si parlava di Camilla e dei sentimenti che provava per la ragazza. Era lo stesso sguardo che gli stavano lanciando anche in quel momento, mentre lui non prestava attenzione a nessun altro eccetto che alla bionda che fino a pochi secondi prima gli stava seduta al fianco.
Alle prime note della canzone, immediatamente riconoscibile alle sue orecchie quanto a quelle della ragazza, lei aveva allargato gli occhi sorpresa.

Isn’t she lovely?

Quando invece erano state le prime parole, a risuonare nella sala, Riccardo avrebbe scommesso di aver visto passare sul viso di sua madre un sorriso di soddisfatta comprensione, ma non poteva esserne sicuro tanto era concentrato su Camilla, che adesso gli stava correndo incontro sorridente, per niente traballante su quei tacchi micidiali che aveva deciso di indossare quel giorno e che per quanto seducenti sembravano una trappola mortale solo a guardarli.

Isn't she wonderful ?

L’attenzione di tutti i presenti era ormai concentrata su di loro, unici presenti sulla pista da ballo, bellissimi nei loro abiti da cerimonia quanto lo erano i loro sorrisi. Quella romantica sorpresa doveva averli toccati quanto avevano fatto con Grace, la madre del ragazzo, che ora singhiozzava con il viso mezzo nascosto in un fazzoletto, incurante di impedire al mascara di colare solo su un lato della faccia, troppo presa da osservare la scena che aveva davanti per preoccuparsi di asciugare anche l’altro occhio e oscurare del tutto la sua vista. Fortuna che aveva riempito la piccola borsa di fazzoletti prima di uscire di casa quella mattina, altrimenti dopo le lacrime versate alla cerimonia non avrebbe potuto arginare i danni causati dal suo adorabile e romantico bambino.
-Tu sei pazzo!- singhiozzò con il viso rigato di lacrime Camilla prima di ributtarsi tra le sue braccia e nascondere il viso nella sua spalla –E non ridere.-
-Non lo sto facendo.- rispose lui appoggiando il mento sul capo di lei e iniziando a dondolarsi sul posto.
-So che stai sorridendo. Lo sento.- lo rimbrottò, con ancora la voce rotta dal pianto, senza accennare a guardarlo negli occhi.
Lui le lasciò un bacio tra i capelli, stringendola appena un po’ di più, continuando a muoversi appena e lanciando una pigra occhiata intorno a loro dove iniziavano a raccogliersi le coppie più coraggiose, anche loro dimentiche del secondo che stava per essere servito e che quello non fosse il momento del primo ballo tra gli sposi.
Nessuno dei due disse più una parola, ma Riccardo sapeva che entrambi stavano pensando alla stessa cosa, come accadeva ogni volta che ascoltavano quella canzone da che lui le aveva raccontato perché la associasse a loro, perché la associasse a lei, facendola piangere allora come in quel momento.

Isn’t she lovely, made from love?

Cantava di Camilla e, allo stesso tempo, anche tutto il contrario. Riccardo l’aveva capito solo a diciannove anni, ma da quel giorno aveva fatto in modo che tutto il tempo perso venisse recuperato. E dalle lacrime che ancora scendevano sulle guance della ragazza, anche lei ne era consapevole.
Quella canzone lo perseguitava da sempre. Così come lei.
 













 
 
 
 

Atto primo.
Quando tutto avrebbe potuto essere eppure non fu.
 
Isn’t she lovely?

 



La prima volta che Riccardo aveva sentito quelle parole aveva sette anni e non sentiva più i muscoli delle braccia, tanti erano stati le scatole che aveva spostato nelle ultime tre ore.
Si erano trasferiti da un paio di settimane nella nuova casa e gli scatoloni ancora non accennavano a voler sparire, così sua madre si era spazientita e complice il sabato pomeriggio che da sempre il marito passava in famiglia, aveva arruolato i due uomini di casa e li aveva messi a sfacchinare in garage, perché sistemassero almeno quella parte della casa, giacché lei si stava occupando di quelli che ancora infestavano la cucina e il soggiorno.
Inutile dire che la donna era riuscita a sistemare elettrodomestici e servizi di piatti nel tempo in cui loro avevano deciso che le attrezzature da skate di Riccardo non potevano essere confinate su uno scaffale prima di aver controllato che il trasloco non li avesse in qualche modo danneggiati, e per questo Grace aveva dovuto rimandare l’arredamento del soggiorno per rimettere in riga quei due inconcludenti che adesso giocavano a basket in cortile, abbandonati in un angolo tavola a rotelle e ginocchiere.
Da quel momento erano passate due ore, ed entrambi rimpiangevano di non aver avuto la forza di volontà necessaria per farlo da soli, evitando così di essere schiavizzati da quel tiranno di donna.
Riccardo stava sbuffando da un paio di minuti, le braccia doloranti occupate a fingere di reggere la scala dove Stefano, suo padre, si era arrampicato per riporre l’attrezzatura da campeggio comprata un paio di anni prima e mai più usata. La moglie aveva deciso che la vita all’aria aperta non facesse per lei, non quando si era costretti a fare la fila per il bagno o per lavare i piatti dopo ogni pasto con tutti gli altri occupanti del campeggio, e nemmeno per il figlio che in tre giorni era riuscito a fare a pugni con almeno cinque ragazzini loro vicini di tenda, ritrovandosi pieno di lividi ma estremamente soddisfatto di sé per averle date di santa ragione a degli idioti. Grace alla fine aveva perso la pazienza e li aveva costretti a fare i bagagli e tornarsene a casa una settimana prima del previsto, mettendo in castigo il figlio per mezza estate e imponendo al marito di non riproporre altri esperimenti simili, anche in quell’occasione con il cipiglio da generale inflessibile che aveva stampato in faccia quando era uscita di casa per mettersi ai lavori forzati.
-Isn’t she lovely?- esclamò a un certo punto la donna dal giardino, senza che i due uomini di casa potessero capire chi, esattamente, fosse adorabile, visto che le pareti del garage impedivano loro di vedere cosa accadesse fuori.
-Mamma parla di nuovo in inglese.- si limitò a considerare Riccardo, talmente abituato a sentire la donna parlare nella sua lingua madre da non farci nemmeno più caso. Anzi gli piaceva un sacco quando andavano al supermercato insieme e iniziavano a prendere in giro tutti i tipi strani che incontravano, senza che questi capissero niente di quello che dicevano. Era il loro gioco privato. Un gioco che potevano fare solo perché la sua mamma era la migliore di tutte, le altre mamme che conosceva non avrebbero mai preso in giro degli sconosciuti insieme al figlio, anzi lo avrebbero rimproverato per questo.
-Vuoi andare a vedere di chi parla?- gli chiese l’uomo con un sorriso, conscio di quel piccolo angolo privato che i due condividevano, esattamente come loro condividevano la passione per gli sport e l’assoluta adorazione per la donna.
-Naaaah, quando dice cose carine in inglese è solo perché si è dimenticata di parlare in italiano, non perché non vuole farsi capire.- gli spiegò il ragazzino lanciandogli uno sguardo d’intesa e riprendendo a guardarsi intorno cercando qualcosa di assolutamente necessario che avrebbe portato nella sua stanza prima che sua madre ci mettesse le mani sopra e lo esiliasse in qualche scaffale troppo alto per lui.
Intanto sentivano la donna chiacchierare, di nuovo in italiano, e un’altra voce femminile sconosciuta risponderle allegra, diversa da quella che aveva risposto dopo quella prima uscita in inglese.
Riccardo aveva finalmente adocchiato qualcosa di assolutamente indispensabile per le sue giornate, la sua attrezzatura da hockey completa infilata a tradimento in uno scatolone con sopra scritto “Posate e simili”, sicuramente per ingannarlo e impedirgli di prenderla, quando la donna decise che era richiesta la loro presenza fuori e sbuffando il bambino si apprestò a raggiungerla al seguito del padre.
Quel giorno non sapeva che stava per incontrare qualcuno che sarebbe stato la sua spina nel fianco per i successivi dieci anni.
Camilla, infatti, li osservava curiosa, una piccola mocciosetta con due adorabili ciuffetti che le accarezzavano il collo a ogni suo movimento e uno sguardo vispo che prometteva guai. Come Riccardo la vide, capì a chi fosse diretta l’esclamazione della madre, facendo una smorfia disgustata.
Una femmina. Tutta quell’agitazione solo per una femmina con un vestito azzurro che la rendeva simile alle bambole di porcellana che nonna Margaret, la sua nonna inglese da cui passava ogni estate scorrazzando per il paesino dove abitava, teneva nel salotto con tutte le premure.
Lui odiava quelle bambole, così fragili e perfette. E quella bambina assomigliava loro così tanto che sapeva, oh se lo sapeva!, non avrebbe sopportato nemmeno lei, come non sopportava ogni altra bambina che stillasse davanti ai vermi o si mettesse a piangere per una macchia di fango sui vestiti o una sbucciatura al ginocchio.
Quando Grace presentò loro le due sconosciute con uno sguardo deliziato che gridava quel “lovely” da ogni parte, il ragazzino non poté esimersi dal farle una smorfia a mò di risposta.
 

Riccardo pensava che no, lei adorabile non lo fosse affatto.
Era adorabile il cucciolo di labrador in vendita al negozio in centro. Una bicicletta nuova. Perfino una torta di mele, la sua preferita.
Adorabile era qualsiasi cosa avrebbe mai potuto catturare la sua attenzione, fosse anche per un secondo, fino ad arrivare a desiderarlo.
Camilla non era adorabile.
Era solo una bambina. E come tale assolutamente non interessante ai suoi occhi.

 
 






 

***

 






 
 
 
 
 

Atto secondo.
Quando la prima impressione non sempre si rivela esatta e tutto può solo peggiorare.
 
Isn’t she lovely?

 


Sua madre aveva ripetuto a cadenze regolari quella frase per i quattro mesi successivi a quel primo incontro, ogni volta che intravedeva o incontrava quella bambolina bionda che era la figlia dei loro vicini di casa. Sembrava che la bambina l’avesse conquistata, esattamente come Grace aveva fatto con lei, che avendo ormai capito cosa significasse la frase con cui quella simpatica donna la appellava, ridacchiava agitando la mano per salutarla prima di saltellare via al seguito della madre, come un allegro folletto malizioso.
Di contro Riccardo, di Camilla, non si curava particolarmente, troppo preso nei giochi con i nuovi amici che aveva conosciuto per sprecare il proprio tempo pensando a una bambina, di due anni più piccola poi. Sapeva però che sentire ogni volta sua madre pronunciare quella frase iniziava a irritarlo, perché proprio non capiva cosa ci fosse di così adorabile in lei da dover essere rimarcato ogni volta.
Ogni volta che la intravedeva per primo, perciò, si aggrappava alla mano della madre e trovava il modo per cambiare strada, svoltare o anche solo semplicemente farsi prendere in braccio per un bacio veloce, nonostante fosse troppo grande per permetterle normalmente di baciarlo davanti ad altre persone. Ma se questo significava evitare di sentirla esclamare di nuovo quella frase, perfino la sua umiliazione pubblica era accettabile.

Isn’t she pretty?

 
Quella frase era spuntata come piacevole, per quando irritante, cambiamento della routine che ormai si era stabilita tra Grace e Camilla, una sera durante la cena a cui li avevano invitati i loro vicini di casa. Erano passati mesi dal loro trasloco e ormai le due famiglie si potevano dire amiche, tanto da decidere di cenare insieme per la prima volta dopo giorni e giorni di chiacchiere ai due lati della siepe che divideva i loro giardini.
Grace si era raccomandata con il figlio di essere carino con Paolo, il marito di Carla, che lui non aveva mai visto prima di quella sera e che perciò rappresentava la vera incognita della serata. La donna si disperava ogni volta quel testone del figlio decideva che un adulto non gli andasse a genio, vuoi per questo o quell’assurdo motivo ogni volta diverso, e per questo aveva imparato a giocare d’anticipo imponendogli un comportamento corretto, che nella testa del bambino si trasformava in appena civile, ma che era il massimo che potesse ottenere da quel testardo dagli occhioni dolci che la chiamava mamma.
Quelle preoccupazioni, tuttavia, non avrebbero dovuto toccarla.
L’uomo era riuscito a conquistare il figlio con un particolare tanto banale quando erano quelli che di solito gli rendevano qualcuno insopportabile spuntato a caso nella conversazione poco dopo l’ingresso in quella casa. Paolo, infatti, aveva ammesso di giocare a hockey da che era un ragazzino dopo che Riccardo gli aveva chiesto perché tenesse sulla mensola nell’ingresso un dischetto identico a quello che lui aveva nascosto sotto al letto settimane prima perché la madre non lo requisisse, e nel giro di un paio di minuti erano diventati amiconi. Lo stesso successo, però, non poteva essere vantato con Camilla, che ascoltava annoiata i discorsi degli adulti giocando per terra con una bambola.
Quella tranquilla chiacchierata tra parti, maschi a parlare di sport e donne intente a scambiarsi ricette per l’arrosto, venne interrotta dalla voce allegra di Grace che, seduta vicino al camino, aveva notato le fotografie che erano sistemate sulla mensola.
-Oh, Stefano! Isn’t she pretty?- aveva chiesto al marito soddisfatta dal distratto cenno d’assenso che ricevette in cambio, alzandosi per osservare più da vicino una foto che ritraeva Camilla ancora nella culla dell’ospedale e senza nemmeno un capello in testa.
Riccardo non pensava affatto che in quello foto ci fosse niente di “pretty”, tanto meno la bambina con la pelle di un rosso acceso e una smorfia da pianto in faccia, ma aveva visto la madre sospirare mille volte davanti a foto di neonati in condizioni identiche, se non addirittura peggiori, da sapere che era quasi una reazione istantanea per lei, tanto da non sentirsi più geloso per quel comportamento.
Carla stava raccontando qualche aneddoto divertente di quella foto, catturando completamente l’attenzione di Grace che alla fine aveva deciso di rendere partecipe anche il figlio di tutta la sua esaltazione.
-Riccardo, isn’t she pretty? Less than a minut old!- gli raccontò infatti allegra, con quel sorriso che tutte le mamme hanno in faccia quando si ritrovano vicino un neonato, che lui trovava tanto stupido tanto quanto le vocette acute che uscivano loro di bocca.
Le due donne lo guardavano aspettando un cenno d’assenso che lui concesse con riluttante lentezza, perché se anche Carla non parlava inglese certo non avrebbe potuto rispondere “No, mummy. She’s not pretty at all!”, non senza rischiare di finire in castigo per tutta la prossima settimana, ma riservandosi di borbottare al padre quello che realmente pensava, -Le femmine sono inutili, se non sono nemmeno carine sono ancora più inutilissime-, causando una risata divertita da parte dei due uomini e una battuta sul fatto che col tempo avrebbe cambiato idea che però lui non capì e che non volle approfondire. Anche solo l’idea che un giorno avrebbe potuto comportarsi come la madre, tutto brodo di giuggiole per una bambina, gli faceva accapponare la pelle dal disgusto.
A capire però il suo insulto borbottato fu Camilla che, con uno sguardo furente, si alzò di scatto e gli scagliò la bambola dritta in mezzo alla faccia, con una precisione chirurgica che lui non pensava una femmina potesse avere, urlandogli poi contro “Tu sei solo uno stupido!” prima di raccogliere la propria bambola e scappare nella sua stanza sotto gli occhi costernati e divertiti insieme dei genitori.
Il punto in cui la testa del pupazzo aveva impattato con la sua faceva un male cane e per quanto il suo broncio orgoglioso lo spingesse a trattenerle, Riccardo non riuscì proprio a evitare a un paio di lacrime di scendere a bagnargli le guance, prima di correre tra le braccia di Grace per farsi coccolare. Inutile dire che il suo onore di bambino colpito da una femmina risultò ben più ferito della sua fronte, che venne dimenticata quando Carla gli fece apparire davanti agli occhi un biscotto gigante con le gocce di cioccolato. Lo stesso non si poté dire della faida nata con Camilla, dichiarata seduta stanza nemico numero uno.
E perciò da abbattere.
 
 

Non c’era niente di carino in un essere del genere.
Nessuno che gli avesse tirato in testa una bambola o gli avesse detto stupido poteva avere niente di carino dentro di sé.
Con il passare dei giorni tutto sarebbe andato solo peggiorando.
Perché se quella sera era stata catalogata come nemica sull’onda dell’umiliazione subita, poi quell’etichetta le si appiccicò addosso sempre di più e con sempre maggiori ragioni.
Perché lei non era carina.
Lei era il male.








 

***

 








 
 
 
 
 

Atto terzo.
Quando si scopre la verità in fondo al proprio cuore.
 
Isn’t she precious?

 



Riccardo aveva iniziato a pensare che sua madre potesse avere ragione sulle bambine a dodici anni. Erano tutte dolcezze e sorrisi. Non per questo indispensabili, ma pur sempre carine. Questa presa di coscienza ovviamente escludeva Camilla a priori, perché come niente di adorabile o carino ci fosse stato in lei a cinque anni, tanto meno c’era a dieci.
A volte arrivava a pensare che non fosse nemmeno una ragazza, Camilla. O almeno se lo era lo nascondeva così bene da mascherare tutto il resto. Perché era ostinata e in gamba. Perché non correva da sua mamma a piangere dopo il suo ennesimo scherzo. Perché aveva coraggio. E perché non si era mai arresa, sventolandogli implorante davanti bandiera bianca.
Nei cinque anni passati come vicini di casa e soprattutto dopo l’inizio della loro eterna lotta, si era ritrovato più volte a dover ammettere che ci sapesse fare. Eccome se quella bambina ci sapeva fare. Certo che ci sapesse fare nell’organizzare scherzi e ripicche che lo vedevano protagonista lo infastidiva tantissimo, dopotutto era vergognoso che si facesse battere da una femmina, ma non poteva negare quel fatto, né che in un qualche modo contorto e assolutamente masochista la stimasse per quello.
Almeno con se stesso, insomma.
Con gli anni Camilla si era trasformata da bambolina bionda tutta boccoli e sorrisi, con mille mollette colorate in testa o i vestitini per fare le ruote con la gonna, in una ragazzina spigolosa e alta più della maggior parte dei suoi compagni di classe. Riccardo era riuscito a superarla in altezza solo l’estate prima, con suo grande gaudio visto lo smacco di sapersi più basso della sua acerrima nemica, ma gli altri, causa anche la loro età, non potevano dire altrettanto. Camilla li superava ancora di mezza testa, ferendo il loro orgoglio appena un poco meno di quanto succedesse con Riccardo.
Sua madre continuava imperterrita a gorgogliare i suoi “You’re so pretty, honey” a gran voce, andando a supportare la madre della bambina quando cercava di convincerla su quando sarebbe diventata bella nel giro di un paio di anni appena. Nel frattempo la ragazzina ingoiava il rospo e si confrontava ogni mattina con l’inesorabile assenza di seno che invece potevano vantare le compagne di classe del ragazzo o le gambe troppo lunghe che sembravano invece perseguitarla, ma comunque soddisfatta dei capelli tutti ricci che le incorniciavano il viso come a una principessa.
Fu ancora diviso tra questi sentimenti contrastanti, diffidenza mista a riluttante rispetto, che Riccardo si imbatté nella piccola vicina. Si scontrarono nel cortile della scuola, lui stava varcando la porta dell’edificio per tornare fuori per godersi il resto di ora libera post pranzo, dopo essere stato al bagno, quando si ritrovò spinto a terra dal contraccolpo con il corpo di lei.
Stava per iniziare a urlarle contro i soliti “Stai attenta stupida?” o “Ma non guardi dove vai?” quando incontrò i suoi occhi e le parole gli morirono in gola. Stava piangendo silenziosamente e si alzò in tutta fretta pronta a correre via, vendendo però fermata dal ragazzo.
-Che è successo?- chiese esitante, tenendole ancora il polso intrappolato per impedirle di andarsene.
Lei per tutta risposta si morse il labbro, guardando ovunque tranne che nella sua direzione, e cominciando a tirare il braccio cercando di liberarsi.
Riccardo la stava guardando con curiosità, sicuro che ci fosse qualcosa di diverso in lei, senza tuttavia riuscire a capire cosa, sicuro che fosse più carina, senza capire il perché, e strinse ulteriormente la presa sul polso senza far caso alla forza che ci stava mettendo. Lo capì solo nel momento in cui Camilla si lasciò sfuggire un lamento, il primo da che gli era finita addosso. Ci mise un secondo a lasciarla andare, controllando di non averle lasciato nessun livido sul braccio.
-Scusa.- le disse addirittura sincero.
Camilla lo guardò allargando gli occhi stupita sentendogli uscire per la prima volta dalle labbra quella parola. In cinque anni di scherzi e ripicche non si erano mai curati di scusarsi l’uno con l’altra nemmeno quando lui le aveva nascosto una rana nella stanza o lei gli aveva bucato tutti i palloni che finivano nel suo cortile. Non si erano chiesti scusa nemmeno quella volta, forse un anno dopo il loro primo incontro, quando avevano iniziato ad accapigliarsi al parco, prendendosi a calci e tirandosi i capelli, prima di venire divisi dalle loro mamme che avevano intimato poi loro di scusarsi con l’altro senza successo. Non era uscita dalle loro labbra una sola sillaba, eppure le due donne avevano promesso punizioni infinite puntualmente mantenute.
-Cosa è successo?- le chiese di nuovo lui con tono fermo, volendo sapere cosa fosse successo e per mettere fine al silenzio che aveva accompagnato quella parola, vergognandosi per quella gentilezza che gli era uscita di bocca senza volere.
Riportata l’attenzione sul vero motivo di quella discussione, gli occhi della bambina si riempirono di nuovo di lacrime e tristezza e la mano fino a poco prima intrappolata dal ragazzino, andò involontariamente a toccarsi i capelli. Seguendo quel gesto Riccardo realizzò finalmente cosa ci fosse di diverso quel giorno in Camilla.
I suoi capelli, che fino alla mattina prima le scendevano ribelli ben oltre metà schiena, e lui lo sapeva perché glieli tirava solo per il gusto di irritarla ogni volta che Carla glieli acconciava in spesse trecce tutte ciuffi ribelli cercando di domarli senza successo, adesso le toccavano le spalle in ricci sbarazzini.
Con un unico passo le fu accanto, prendendole in mano una ciocca di capelli per osservarli da vicino. Erano morbidi come sempre e di un biondo così perfetto che a Riccardo avevano sempre ricordato quello delle bambole con cui le piaceva giocare, ma troppo leggeri per essere davvero i suoi.
Ne mancavano almeno quindici centimetri e i ciuffi erano irregolari tra loro. Uno le arrivava alle spalle, l’altro le toccava le scapole, l’altro ancora scendeva quasi fino alla vita, lunghi ancora come la mattina.
-Chi è stato?- le chiese in un sibilo rabbioso.
Le avevano tagliato i capelli. E l’unica cosa che voleva sapere era il nome di chi aveva osato tanto per prenderlo a pugni e fargliela pagare.
-Perché, vuoi complimentarti con lui?- gli chiese lei con ancora il pianto nella voce.
Irritato da quella risposta le tirò i capelli che ancora teneva in mano per ripicca, forse a sottile minaccia per convincerla a parlare, forse solo per riportare la loro relazione su binari che erano loro più congeniali.
Lei gli lanciò uno sguardo di fuoco, tirando la testa indietro per liberarsi da quella nuova presa.
-Come se non avessi mai pensato di fare lo stesso.-  gli disse ancora con lo stesso tono.
Era vero, Riccardo lo sapeva.
Aveva pensato spesso di arrivarle di spalle e tagliarle quei capelli biondi che le piacevano tanto, che la rendevano così simile a una bambola. Mai poi si ricordava di quando, d’estate, facevano loro malgrado il bagno nella piscina gonfiabile e lei lo schizzava ridendo mentre scuoteva i capelli come avrebbe fatto un cane, oppure di quando le passava accanto a scuola e le tirava i capelli così, tanto per fare, per farla arrabbiare, per farsi notare se lei non l’aveva visto, per farle una smorfia antipatica o per farle vedere il bel voto che aveva preso quella mattina, e non andava nemmeno a cercare le forbici. Anche se a volte se lo sarebbe meritato, eccome se se lo sarebbe meritato!
-Ma non l’ho mai fatto. Come tu non hai mai detto a nessuno che fino all’anno scorso dormivo con un pupazzo di pezza.- rispose compito il ragazzino.
Chiunque avesse ascoltato il loro discorso avrebbe riso di tanta serietà, ma solo loro due sapevano quante verità quella frase contenesse.
Esisteva, tra loro, una sorta di tacito patto di cui non avevano mai fissato i termini o parlato tra loro, ma cui entrambi si attenevano anche quando la situazione diventava ingestibile. Non importava cosa avessero fatto o detto, certe cose rimanevano tra loro due e basta. Nessun altro doveva interessarsi alla loro faida personale. E tagliarle i capelli era decisamente un mettersi in mezzo non richiesto né voluto, da una parte quanto dall’altra per quanto per motivi diversi.
-E’ stata Chiara.- si limitò a sussurrare piano lei, probabilmente vergognandosi di aver confessato tanto quanto lui si era vergognato prima a chiederle scusa.
Camilla ricominciò a tormentarsi quei fili d’oro come aveva fatto poco prima e il viso del ragazzino ebbe un momentaneo spasmo di rabbia, subito domato con un altra leggera tirata a quei boccoli biondi che teneva ancora tra le dita, beccandosi in cambio un calcio ben mirato alla gamba.
-Vieni.- le disse, afferrandole di nuovo il polso e iniziando a tirarla verso l’interno dell’edificio, senza che la bambina facesse niente per impedirlo.
Continuarono a camminare fino al corridoio dove stava la classe di Riccardo che entrò senza indugio trascinandosela dietro e iniziando a frugare nello zaino poggiato a un banco in seconda fila. Era ovviamente uno zaino da ragazza, rosa su entrambi i lati e con un vistoso cuore nel mezzo, ma lui continuò a rovistarvi borbottando tra se fino a quando non ne tirò fuori un moschettone in legno con fiori incisi e dipinti all’interno di azzurro.
-Tieni, prendilo.- le disse solo, allungandole la pinza ovviamente non sua.
-Ma…- Camilla voleva allungare la mano e prenderlo, era così bello che voleva davvero prenderlo, ma era restia a farlo sapendo che non le apparteneva.
-Prendilo. È della sorella di Chiara.- le disse come se quel fatto rendesse tutto quanto giusto, dopotutto Chiara le aveva tagliato i capelli e lui non trovava affatto ingiusto prendere quella pinza come risarcimento.
Vedendo che finalmente la ragazzina allungava la mano a sua volta capì che anche per lei era una ragione sufficiente.
-Ma mettilo solo dopo l’inizio delle lezioni. Fai vedere alla maestra che Chiara ti ha tagliato i capelli.- la istruì mentre la guardava intascare il moschettone annuendo sebbene incuriosita.
-Allora perché..?- gli chiese alla fine.
-Così lei avrà una punizione, magari la sospendono pure e a tua mamma non verrà un colpo davanti a tutti.- le disse rosso in viso per quel pensiero gentile.
Riccardo stava per dirle qualcos’altro, come che con i capelli legati nessun altro avrebbe fatto domande o che nessuno le avrebbe riso dietro vedendo i capelli di lunghezze diverse, ma la campanella lo bloccò prima che potesse dirle altro. Così la accompagnò fuori dalla classe fino alla soglia della sua, osservando con apparente disinteresse la fila di ragazzini che entravano in classe uno dopo l’altro, immobile al suo fianco. Alcune ragazzine vedendolo ridacchiarono, come ogni volta che vedevano un ragazzo più grande, ma smisero intercettando la rabbia con cui guardò Chiara che vedendolo a sua volta spinse un paio di compagni per entrare in classe più velocemente. Riccardo rimase al fianco di Camilla fino a che l’ultimo dei ragazzi fu entrato, le rimase al fianco fino all’arrivo della maestra che lo rimproverò per essere ancora in giro visto che la campanella era suonata da almeno dieci minuti.
Lui annuì con un finto sorriso contrito, gli riuscivano così bene da sembrare sinceri ormai, ma non si mosse di un passo, spostando invece lo sguardo dalla donna a Camilla, ripetendo quel tragitto fino a che anche lei non posò gli occhi sull’alunna sgranandoli vedendo lo stato della testa della bambina.
-Chi è stato, tesoro?- chiese la donna, facendole una carezza rassicurante sul capo nonostante gli occhi di ghiaccio che quella vista aveva causato.
-Chiara.- si limitò a rispondere la bambina rivolta al pavimento.
Riccardo, nonostante tutta l’antipatia che correva tra loro, la conosceva abbastanza da sapere quanto odiasse lasciar combattere ad altri le proprie battaglie. Eppure quella volta non poteva che rimettersi nelle mani della maestra, ingoiando l’orgoglio e la voglia di strappare a sua volta i capelli della compagna. Ammettere quella sconfitta le bruciava e Camilla cercava di nasconderlo quanto meglio poteva.
Le due continuarono a parlottare per un paio di minuti ancora, prima che la donna prendesse per mano la bambina e si avventurasse dentro la stanza, invitando Riccardo a fare altrettanto nella sua.
Lui la ignorò ancora una volta, seguendole di un paio di passi oltre la soglia. Vedendo entrare Camilla per mano a una maestra furente Chiara divenne rossa in viso e cercò di farsi piccola piccola sulla sedia, probabilmente sperando di essere inghiottita dal pavimento. La donna ancora non aveva detto una parola, aspettando che la classe si calmasse da sola.
Riccardo non si interessava a niente di tutto quello, non agli sguardi curiosi degli alunni, non alle occhiate di silente rimprovero della maestra e nemmeno di quelle di incomprensione di Camilla sulla sua perseveranza nello stare nella stanza. Rimase immobile con gli occhi fissi su Chiara, osservando con soddisfazione il disagio misto a paura che le si alternavano in viso. Il suo compagno di banco alla fine le diede una gomitata nelle costole per attirare la sua attenzione sul ragazzo più grande ancora sulla porta.
Gli bastò quello sguardo, era quello che aspettava da che era entrato.
“Se lo fai di nuovo te la faccio pagare” le disse in silenzio, muovendo lentamente le labbra e scandendo bene ogni parola. Capì che la ragazzina aveva afferrato il concetto quando i suoi occhi si allargarono intimoriti e si ritrasse sulla sedia quasi a voler scappare da lui e dalla sua promessa.
La donna, intercettando se non le parole almeno il tono del messaggio che lui aveva appena inviato, si avvicinò al ragazzo e con gentile fermezza lo spinse fuori, rassicurandolo come solo una mamma sapeva fare.
-Adesso me ne occupo io, te lo prometto.- gli disse.
Prima di lasciare finalmente la stanza Riccardo lanciò un ultimo sguardo a Camilla, che sebbene incredula di tanta premura nei suoi confronti non aveva potuto impedire a un timido sorriso di spuntarle sulle labbra.
Nessuno dei due ancora lo sapeva, ma tutto stava per cambiare di nuovo, perché guardandola in quel momento, con il sole alle spalle e quei capelli arruffati, gonfi come quelli di un leone, Riccardo non poté che dare ragione a sua madre.
 

Lei era preziosa, come poteva esserlo un fiore con le spine o una pianta carnivora.
Perché era coraggiosa e orgogliosa.
Non aveva mai chiesto pietà una sola volta negli anni, nemmeno di fronte agli scherzi più cattivi.
Anzi rispondeva con gli stessi mezzi con cui era stata attaccata.
Era preziosa perché gli teneva testa.
Lo era quando rideva per una vittoria o non chinava il capo sconfitta le altre.
Lo era perché solo lui poteva tormentarla.
Lo era perché nessuno era abbastanza importante per permettersi di farla piangere.
Era preziosa come un raro fiore con le spine.
Era preziosa perché combatteva, ma andava comunque protetta.
Era preziosa perché lui voleva farlo.

 









***

 
 








 
 
 

Atto quarto.
Quando da una cattiveria nasce un’amicizia.
 
Truly the angel’s best.

 




Dopo quel giorno a scuota niente era cambiato apparentemente. Eppure tutto quanto lo era.
Era sempre più facile, per Riccardo, riscoprirsi a osservare quella ragazzina e domandarsi quando avesse smesso di essere l’odiosa bambina che gli aveva tirato in faccia una bambola e finire per trovarla improvvisamente cresciuta, tutta spigoli e goffaggine, senza più i bei boccoli a ballarle sulla schiena.
Carla aveva fatto fuoco e fiamme quando aveva scoperto i capelli asimmetrici della figlia, lui lo sapeva perché l’aveva sentita urlare da casa sua, e già il giorno dopo un bel caschetto sbarazzino le incorniciava il volto in onde delicate e graziose che aveva mandato tutto sommato sua madre in delirio.
“Oh you are like a pretty little angel, honey!” le aveva detto appena se l’era vista apparire alla porta la mattina dopo Grace, apparentemente incurante di quella per niente usuale apparizione e tutta presa a farle dimenticare la brutta esperienza vissuta.
La donna l’aveva invitata a entrare e i due ragazzi si erano ritrovati a fare colazione insieme senza sapere cosa dire l’uno all’altro, tra loro un silenzio imbarazzato, ma tuttavia non orribile come si sarebbe potuto immaginare.
Camilla era stata la prima a parlare.
-Mamma vuole che restituisca il mollettone a Chiara.- gli spiegò con gli occhi fissi sul piatto dove campeggiava una fila di tutto rispetto di pancakes e marmellata che Grace aveva preparato per festeggiare quella che aveva definito allegra una nuova e deliziosa tradizione.
-Ti ha tagliato i capelli.- rispose lui inflessibile, assolutamente certo che quelle due se lo meritassero senza possibilità di appello.
-E’ un po’ come rubarlo, no?- chiese lei esitante, con il dubbio nella voce.
-E allora?-
Nella durezza di Riccardo c’era qualcosa che spiazzava e inteneriva gli adulti insieme, una tendenza all’agire anche in modo sbagliato, ma senza rimorso, che sua madre aveva cercato di correggere fin dalla più tenera infanzia senza tuttavia successi importanti. C’era qualcosa di granitico dentro di lui che non si lasciava plasmare se non in superficie e che ancora non si riusciva a capire se lo avrebbe reso un uomo fantastico o un criminale impenitente. Se Grace lo avesse sentito in quel momento, niente affatto colpevole per aver rubato la spilla a una compagna di classe la cui unica colpa era avere una sorella, quella sorella, avrebbe puntato per la seconda.
-Voglio restituirlo.- gli disse cocciuta lei, finalmente non più combattuta, riprendendo a mangiare il dolce che aveva davanti.
Lui per tutta risposta scrollò le spalle, indifferente a quello che avrebbe fatto o meno, e il silenzio li riavvolse docile. Stavolta non c’era imbarazzo tra loro.
Camilla aveva restituito la pinza a Debora, la sorella di Chiara, un paio d’ore dopo, entrando nella classe con il passo appena incerto, ben consapevole di essere in difetto nel confronti dell’altra e temendo quello che sarebbe potuto succedere.
Mancavano ancora un paio di passi alla meta quando Riccardo le si affiancò in silenzio, tirandole i capelli dispettoso con una mossa rapida e sicura data da anni di pratica, prima di sbuffare e chiamare la ragazza al posto suo.
-Debora, ehi Debora.- la chiamò.
-Cosa?- chiese lei curiosa e appena più rigida appena vide chi gli stava a fianco.
Vedere la ragazzina che aveva fatto ottenere una nota e la convocazione in presidenza dei genitori alla sorella la preoccupava un po’. Sapevano tutti che Riccardo era un tipetto vendicativo e lei non voleva finirci in mezzo.
Quasi si fossero messi d’accordo in precedenza, Camilla tirò fuori di tasca il mollettone con uno sguardo dispiaciuto e Riccardo iniziò a parlare.
-Volevamo chiederti scusa. L’altro giorno quando..beh non volevo che la prendessero in giro e ho preso la tua molla. Mi dispiace, non ho pensato a chiedertelo prima.-
Era finita così, grazie alla sua grandissima faccia da schiaffi e una faccia da cucciolo di labrador che avrebbe intenerito anche il più gelido dei cuori e che aveva fatto battere più velocemente quello della compagna di classe.
Dopo quell’ennesimo gesto carino nei suoi confronti, Camilla aveva deciso davvero di inaugurare quella nuova tradizione di cui aveva parlato Grace tutta soddisfatta, suonando ogni mattina alla loro porta per fare colazione insieme in silenzio, ma con una tranquillità nuova che prometteva meraviglie.
L’estate era poi arrivata velocemente, in un delirio di allenamenti di calcio e dispetti tra i bambini che, sebbene diminuiti non erano affatto scomparti, dolci preparati per fare colazione e smorfie divertite quando si incrociavano in corridoio.
L’estate era arrivata velocemente quell’anno, portando con sé il fantasma di un’amicizia non ancora nata che aveva tutto il dolce sapore dell’intesa tenera che solo tra bambini può nascere. Programmare le vacanze insieme, per la prima volta, e a inaugurare una nuova e voluta tradizione, era stato naturale quando respirare.
Ritrovarsi relegati in campagna per due settimane, lontani da tutto senza possibilità di fuga un po’ meno.
I ragazzini si erano visti costretti, troppo orgogliosi per ammettere le aspettative che quella coabitazione aveva fatto nascere nei loro cuori e troppo testardi per non mostrare almeno una pallida forma di rimostranza fatta di bronci e sbuffi rumorosi, a passare insieme le loro giornate curiosando nella campagna circostante senza eccessive restrizioni dovute alla mancanza di reali pericoli del luogo.
Non era raro vederli aggirarsi furtivi tra i campi, ridendo tra loro e sussurrandosi segreti che ne l’uno né l’altra avrebbe mai pensato di voler condividere con il vecchio nemico giurato, spintonandosi allegri durante una gara di corsa o litigare senza vera animosità per chi avesse il diritto di salire sull’altalena fatta con un’enorme pneumatico che avevano trovato dietro il capanno degli attrezzi, riparata dai rami di un vecchio ciliegio.
Grace e Carla osservavano i figli con sguardi commossi, già immaginando il loro futuro insieme, con gran scorno di Paolo, che non voleva ancora pensare al momento in cui la sua principessa gli avrebbe presentato raggiante un ragazzo, il suo ragazzo, e lui si sarebbe ritrovato costretto a minacciarlo perché tenesse le mani lontane se avesse desiderato continuare a respirare.
-Mi annoio.- borbottò sconsolato Riccardo, una volta svanita l’eccitazione del poter girare da solo per la prima volta senza dover rendere conto ai genitori.
Faceva troppo caldo, quel giorno, per esplorare qualche nuovo angolo sperduto della fattoria che avevano preso in affitto ed erano appena le quattro, troppo presto per andare a pregare il signor Serafino di lasciarlo giocare con Anacleto, il suo fantastico labrador biondo.
-Mi annoio.- ripeté Camilla, buttandoglisi seduta accanto sul dondolo, rischiando, a causa del movimento improvviso della seduta, lei di cadere e lui di prendere una testata contro i supporti in ferro.
-Scema!- borbottò di nuovo lui, senza particolare animosità nella voce.
-Stupido.- rispose lei con lo stesso tono, entrambi più per consolidata abitudine che non per reale voglia di litigare.
Anche se un litigio era comunque meglio di quella noia totale che li stava soffocando.
Riccardo la guardò per un attimo indeciso, arricciando il naso poco convinto perfino lui stesso dell’idea che gli era appena venuta. La ragazzina, intercettando lo sguardo prima chiese cosa volesse e poi, di fronte al suo prolungato silenzio, gli piantò un pugno deciso nello stomaco come ripicca per non aver soddisfatto la sua curiosità.
-Sai nuotare?- chiese allora lui, imbronciato e massaggiandosi la pancia, già sapendo quanto avrebbe rimpianto quella proposta. Esattamente come stava rimpiangendo di non averla spinta giù dal dondolo quando ci si era lanciata sopra.
Ci volle un secondo. Un solo, singolo secondo.
Uno sguardo e si capirono come se non avessero fatto altro in tutta la vita. Come se si conoscessero così bene, compagni di vita da sempre, da non aver bisogno di spiegazioni tra loro.
E forse era così, si ritrovò a considerare ancora con gli occhi in quelli di lei, perché ogni volta che l’aveva fatta urlare, piangere, insultarlo o decidere di vendicarsi aveva scoperto un nuovo lato di lei che non aveva mai visto prima di allora.
Sapeva tanto di lei e nemmeno se n’era accorto, prima di quel giorno.
E osservandola, poteva vedere che per lei era lo stesso.
Si conoscevano senza saperlo.
Si conoscevano e non l’avevano mai nemmeno voluto.
Si conoscevano e questo era l’unica cosa che contava. In un modo strano, contorto o assolutamente assurdo che si erano cuciti addosso da soli, ma era così e forse era il caso di iniziare a godersela.
Con uno scatto repentino la prese per un polso e con un sorriso cominciò a correre verso il laghetto dietro casa, un po’ trascinandola un po’ rallentando il passo perché potesse stargli dietro.
Fu sulla riva, con le scarpe che già si bagnavano e il fiato che ancora mancava dai loro polmoni, che la guardò con occhi brillanti.
-Amici per sempre.-
-Cosa?- chiese lei confusa, con lo stesso tono soffocato che aveva reso difficile da capire le parole di Riccardo.
-Amici per sempre. Noi, intendo.- riprese un attimo fiato per poterle dire con agio quello che gli era venuto in mente, stavolta certo che non se ne sarebbe pentito –Mamma dice che quando si vuole essere amici per sempre si deve fare qualcosa di stupido insieme. Come una seduta spiritica, pungersi il dito e mescolare il sangue o…- iniziò a spiegarle prima di venire interrotto.
-Non mi taglierò un dito.- dichiarò con il tono di una nobildonna offesa Camilla, nonostante il sorriso che le era affiorato in viso, luminoso come il sole di luglio che brillava sulle loro teste.
-Buttati. Buttati in acqua vestita, con le scarpe e tutto il resto.-
Lei lo guardò poco convinta, sicura che l’importante solennità di un patto di sangue non fosse esattamente lo stesso di un bagno vestiti.
-E tu?- gli chiese invece, perché lui non aveva parlato di fare altrettanto, nonostante tutto.
-Io sarò un passo dietro di te. Lo sarò sempre.- le promise serio, prima si fare un paio di passi indietro per poi iniziare a correre diretto verso lo stagno, subito seguito dalla bambina.
Con una risata si tuffarono, con scarpe e tutto il resto.
Con un’altra risata riemersero per poi prendere a schizzarsi e fingere di affogarsi l’un l’altra.
Con un’ultima risata uscirono fuori dal laghetto, grondanti d’acqua e sorrisi, tenendosi per mano e sostenendosi l’un l’altra quando la suola delle scarpe scivolava sulla fanghiglia sul fondo o un sasso nascosto li traeva in inganno facendoli inciampare.
Si nascosero tra l’erba, parlando tra loro di sciocchezze e grandi verità, con la stessa complicità che avevano mostrato, senza rendersene conto, da giorni e giorni. I soffioni che accarezzavano i visi e si appiccicavano agli abiti bagnati, i loro steli alti che li nascondeva dalla vista delle loro madri che li chiamavano per la merenda facendoli ridere per quella piccola marachella che per la prima volta li vedeva complici e, soprattutto, felici di esserlo.
Stefano, da lontano, vedendo i ragazzi ridere e parlottare tra loro scattò una foto del momento, convinto di aver colto una bella immagine. Non sapeva che, invece, aveva appena fermato il momento. Quel momento. L’inizio di tutto.
 

Tutto era iniziato in quel campo, circondati da soffioni lievi e fiori candidi.
Con i loro sorrisi e l’aperta fiducia che solo i bambini ancora possiedono, avevano avuto il coraggio di aprire il cuore senza paura.
Camilla, circondata da tutto quel bianco, con i capelli biondi illuminati dal sole, era come un angelo.
Il più bell’angelo che Riccardo avesse mai immaginato.
Un angelo che non voleva lasciar volare via.
Perché Camilla era forte, coraggiosa e lui la voleva al suo fianco.
La voleva al suo fianco in quel momento, perso in un campo di fiori, così come a scuola, per tirarle i capelli e farla arrabbiare, e a casa, per organizzare giochi e scherzi insieme.
La voleva nella vita.
Era la migliore.
Amici per sempre.

 










***

 






 
 
 
 
 
 

Atto quinto.
Quando il fantastico di quello che hai ti fa desiderare sempre e sempre di più.
 
Isn’t she wonderful?




 
Riccardo stava riordinando la stanza, un evento talmente raro che un improvviso diluvio di orsetti gommosi sarebbe stato più probabile, ma Grace gli faceva ancora paura quando voleva, ridicolizzando con un solo sguardo tutta la boria che ogni diciannovenne sempre porta con sé.
Il ragazzo sbuffò per l’ennesima volta, guardando poi con disgusto sotto al suo letto dove calzini sporchi e abbandonati e vecchie riviste, alcune dal dubbio e censurabile contenuto perfino a lui, avevano ormai colonizzato quell’antro buio. Un antro buio che, a onor del vero, non veniva alla luce tanto spesso nonostante le manie di pulizia di sua madre, ma vedendo lo schifo che c’era lì sotto non poteva che capire il perché di tanta ritrosia da parte della donna. Perfino a lui faceva schifo l’idea di toccare quella roba e, di fatto, era roba sua.
-Bleah, che schifo!- una voce disgustata almeno il doppio dei suoi pensieri, lo fece sobbalzare spaventato, portandolo così a lasciar cadere il copriletto e nascondere alla vista tutto quel ciarpame probabilmente infetto.
-Stupida, mi hai fatto paura.- borbottò in direzione della ragazza che gli era apparsa alle spalle in silenzio.
-Ma dai! Grande e grosso come sei, ti fai spaventare da una cosina come me?- lo prese in giro lei, punzecchiandolo sul braccio con un dito mentre si rimetteva diritta, prima di lasciarsi cadere sul letto con un sorriso e la tranquillità data solo da anni di abitudine.
Lui le diede un calcetto al fianco dopo essersi rialzato e spolverato i pantaloni con calma, facendola ridere e rotolare sull’altro lato del letto per potersi stendere a sua volta.
-Che succede?- gli chiese curioso, sistemandosi al suo fianco e facendole passare un braccio dietro la testa dove lei si accoccolò immediatamente.
-Non potevo solo avere voglia di vederti?- chiese tuttavia indispettita Camilla, abituata a vederlo leggerle dentro eppure non ancora arresa all’idea di essere così trasparente per lui da non poter far passare sotto silenzio nemmeno il più piccolo turbamento d’animo.
-Mi hai intimato di starti alla larga tre ore fa, perché dovevi preparare un difficilissimo compito di chimica, ricordi?- la riprese lui col sorriso nella voce, strizzandole il fianco dispettoso senza però spostare lo sguardo dal soffitto, consapevole che quando fosse stata pronta avrebbe parlato senza doverla costringere.
-Non riversarmi addosso la tua stupida ironia da già diplomato. Tu eri anche più scarso di me, in chimica. Anzi in tutto!- lo riprese lei con lo stesso tono acido di prima.
Acidità che si trasformò, scontrandosi con il silenzio poco convinto di lui, in una gomitata precisa nello stomaco del ragazzo mentre gli intimava –E non ridere di me, stupido!-
- Perché devi essere sempre così manesca? Non stavo facendo niente!- cercò di difendersi lui, massaggiandosi lo stomaco. Dopo anni e anni ancora non capiva da dove prendesse tutta quella forza nel colpirlo a tradimento o perché lui la lasciasse fare anche quando sapeva che un colpo, uno schiaffo, un calcio, un pugno o una spinta a seconda della posizione più favorevole, stava per arrivare.
Le voleva troppo bene perfino per difendersi ed evitarsi lividi su lividi, tutto pur di vederla sogghignare soddisfatta. Era patetico!
-Certo che sorridevi. Lo sai che lo sento, anche senza guardarti.- gli spiegò lei con il tono da maestrina che gli rifilava ogni volta che affrontavano quell’argomento assolutamente assurdo secondo la sua scettica opinione, ma sembrava che lei riuscisse davvero a sentirli nell’aria, i suoi sorrisi nascosti.
Alla fine, dopo anni di amicizia, non era solo Camilla quella trasparente agli occhi dell’altro.
Il silenzio scese di nuovo su di loro, una vecchia coperta ormai soffice per l’uso e conservata con cura, fino a che lei non lo ruppe di nuovo, finalmente pronta a confessare e subirne le conseguenze.
-Ho lasciato Davide, dieci minuti fa.- gli spiegò con tono tranquillo, quasi non avesse parlato del ragazzo con cui usciva da tre mesi e che difendeva a spada tratta da ogni offesa che l’amico gli rivolgeva sistematicamente.
-Perché?- chiese lui neutro, non volendo mostrare quanto, in realtà, quella rivelazione lo esaltasse. Finalmente l’idiota si era tolto di torno e non avrebbero più discusso a causa sua. Non avrebbe dovuto reprimere la voglia di prenderlo a pugni ogni volta che gli passava vicino, vantandosi a gran voce di stare insieme a lei o di stirarlo con l’auto quando, sotto casa, lo trovava con le mani decisamente troppo a sud per i suoi gusti sul corpo della ragazza.
-E’ un idiota.- constatò lei dopo appena un attimo di indecisione, con un tono al metà tra il rassegnato e l’incredulo.
Dopotutto erano comunque tre mesi che uscivano, probabilmente doveva pesarle ammettere che tutta la diffidenza e l’antipatia che Riccardo gli aveva rivolto aveva il suo motivo d’essere, oltre alla solita gelosia con cui aveva investito indistintamente tutti i ragazzi con cui era uscita fino ad allora.
-Deo gratias!- esultò lui, impossibilitato a reprimere il proprio giubilo di fronte a quell’ammissione tanto attesa.
Riccardo quasi si aspettava un nuovo pugno, una testata, un urlo irritato, per quella specie di “te l’avevo detto” che gli era uscito di bocca, ma tutto quello che ottenne fu di sentirla girare su un fianco e stringerglisi addosso, nascondendo il volto nel suo collo.
-Odio quando hai ragione.- borbottò contro la pelle sulla clavicola, imprimendogli ogni singola sillaba sulla cute delicata con le labbra, facendolo rabbrividire a disagio.
Odiava quei momenti.
Riccardo li odiava davvero, perché gli ricordavano che, da un po’ di tempo a quella parte, guardava Camilla ma non vedeva più quello che vedeva prima. Non solo, almeno.
Nei suoi tratti vedeva ancora l’insopportabile ragazzina che gli faceva gli scherzi, quando gli faceva il solletico o arricciava la bocca dopo averlo preso impietosamente in giro. I capelli biondi e ricci, di nuovo lunghi e ribelli come erano un tempo, gli ricordavano la bambolina che aveva visto quel lontano giorno di dodici anni prima sul vialetto di casa sua. C’era l’amica d’infanzia quando lo sfidava in qualche attività stupida e infantile, convinta di batterlo e ridicolizzarlo, ma con quel sorriso felice in volto che rendeva la sconfitta meno pesante, come quel giorno al lago.
Ma c’era anche altro. Come lo scoprirla bella davvero, vederla bella come donna e non più ragazzina, senza quella vaga consapevolezza che l’aveva accompagnato da sempre. Come il trovarsi a osservarla e scoprire in lei atteggiamenti nuovi, più adulti e consapevoli, che non avevano niente della bambina con cui faceva il bagno d’estate in mutande senza la minima vergogna, ma tutto di una sconosciuta che ti costringe a studiarla per poterla conoscere. 
Riccardo odiava vedere proprio il lei, nella sua Camilla, quello che avrebbe dovuto e voluto vedere in una bella sconosciuta incontrata in un locale o per strada.
Lo odiava perché lei era la sua migliore amica. Perché era sbagliato desiderare non conoscerla ancora per poterle chiedere di uscire senza paure maggiori a quelle di un eventuale rifiuto.
Non era giusto guardarla e volerla baciare. Non era giusto distruggere i suoi ragazzi solo perché loro potevano toccarla, come avrebbe voluto lui.
-Mi coccoli?- gli chiese con un pigolio la ragazza, sempre nascosta contro di lui, allungando però un braccio per poterlo abbracciare a sua volta come lui stava facendo da quando le si era steso al fianco.
Quella richiesta lo riscosse facendogli abbandonare quei pensieri con la stessa consapevolezza con cui le lasciava svanire ogni volta.
Non era giusto perché per lui Camilla era adorabile, bellissima, preziosa, carina. Era tutto quello che sua madre gli aveva ripetuto negli anni e anche molto altro.

Life and love are the same

Camilla era la vita e l’amore insieme.
Ma era anche la sua dannazione e il suo peccato. Lo era sempre stata, pensò mentre allungava la mano destra per accarezzarle i capelli, mentre lei vedendo esaudita la sua richiesta lo stringeva appena un po’ di più sospirando soddisfatta.
La ragazza si godette in silenzio quelle delicate attenzioni per un po’, prima di irrigidirglisi improvvisamente tra le braccia. Al che anche lui si immobilizzò, piegando la testa per poterla guardare in viso, temendo di trovarla in lacrime per l’idiota. Dopotutto anche se era sembrata tranquilla, poco prima, sarebbe stato strano scoprirla per niente toccata dalla cosa.
Camilla, invece, aveva gli occhi asciutti e sgranati su un punto a metà tra la sua spalla e il muro, osservando fissa qualcosa che evidentemente l’aveva toccata.
-E quella?- chiese con un filo di voce, senza ancora spostare lo sguardo.
Anche Riccardo stava per voltarsi a sua volta, cercando finalmente di capire cosa l’avesse sconvolta a tal punto, dopotutto cosa poteva aver lasciato in giro che lei non avesse già visto in passato?, ma lei fu più veloce e prima si allungò su di lui e poi gli piazzò sotto il naso un’immagine che, così vicina agli occhi, non riconobbe sul momento, non prima di averla presa in mano a sua volta per allontanarla e metterla a fuoco.
Era una vecchia foto che li ritraeva ancora bambini, scattata da Paolo tanti anni prima, e che aveva ritrovato dispersa dietro alla scrivania quando aveva iniziato a fare le pulizie.
Sorrise osservandola, ricordava quel giorno come fosse ieri.
I vestiti leggeri e lei con i capelli arruffati per il bagno fatto nel lago, lui appoggiato sulla sua spalla intendo a sussurrarle qualcosa divertito e lei con una mano sulle labbra a tentare di nascondere un’espressione di divertita malizia che si estendeva fino agli occhi. Non ricordava nemmeno di cosa, stessero parlando così coinvolti, eppure sapeva che quello era stato probabilmente il momento più importante della loro vita. Negli anni c’erano state altre tappe importanti raggiunte, da lui, da lei, insieme, eppure rivedersi bambino poco dopo averle proposto di essere amici per sempre lo aveva paralizzato poco prima.
Esattamente come stava succedendo a lei, anche se forse per motivi diversi.
Dopo anni di lotte interiori, fingendo di non vedere né sentire quello che gli accadeva in testa - nel cuore – si era ritrovato, a tradimento, davanti all’evidenza che tutto era cambiato anche senza volerlo. Perché la voleva nella sua vita quel giorno come allora, eppure in un modo diverso che fino ad allora aveva taciuto ingannando anche se stesso, ma che adesso non poteva più negare.
Riccardo non disse una parola, temendo di confessare così come di tacere, riappoggiando la testa sul cuscino e guardandola serio negli occhi.
Lo vedeva che era sconvolta.
Lo vedeva che qualcosa era cambiato anche per lei.
Ma non sapeva se era perché per lei fosse lo stesso o per quello che aveva letto nei suoi occhi.
Camilla si passò una mano tra i capelli nervosa, arruffandoli senza curarsi dei nodi che l’avrebbero fatta imprecare quando poi fosse andata a pettinarli, alzandosi veloce e iniziando a camminare per la stanza guardando ovunque tranne che nella sua direzione.
-No.- gli disse solo, quando se lo ritrovò davanti, con sue le mani sulle braccia e ancora quello sguardo negli occhi.
-Camilla..- iniziò lui esitante, non sapendo come affrontare la situazione senza rovinare tutto quando.
Si fermò per guardarla come non aveva probabilmente mai fatto.

Isn’t she wonderful?

Era bella, Camilla, di una bellezza che a uno sguardo disattento non sarebbe stata notata.
Perché non erano i capelli biondi o gli occhi azzurri a farla brillare agli occhi di Riccardo. Non era il corpo snello e attraente a impedirgli di guardare una ragazza senza cercare qualcosa di lei nell’altra.
Era bellissima per il nasino a patata che si arricciava buffo quando rideva e che lo faceva sorridere ogni volta. Per quando da ubriaca camminava per strada evitando di calpestare le giunzioni delle mattonelle rischiando di cadere per via dei tacchi e gli si appoggiava al braccio per mantenere l’equilibrio. Per le due piccole spirali che si era tatuata sul fianco, gemelle di quelle più grandi che lui aveva sulla spalla. Per la cicatrice sul ginocchio che si era fatta l’anno prima, cadendo dallo scooter, che gli aveva dato la scusa, “Riccardo, mi fa malissimissimo!”, per schiavizzarlo fino a che la crosta non si era staccata del tutto.
Era bellissima per quelle e altre mille piccole ragioni che le vedeva addosso, su ogni centimetro di pelle, memorie di un passato insieme e pieno di gioia.
Le seguiva anche in quel momento, quelle scie di ricordi incise sulla pelle di lei come sulla propria. Le vedeva nel viso pallido e scosso, nei denti nervosi che mordevano le labbra rosa, nelle spalle leggermente curve e nella mano che tremava, quando si allungò per prendere la foto che il ragazzo di nuovo le porgeva.
-Guarda dietro.- le disse solo, sperando che leggendo le parole che sono state scritte dietro capisse quello che con la voce, per paura, non riusciva a dire. O forse non voleva.
-Ma cosa…?- chiese stupita, scorrendo veloce con gli occhi le frasi scritte con una calligrafia disattenta e tutta storta, incomprensibile a tratti, ma che lei ha imparato a riconoscere. La calligrafia di Riccardo.
-Conosco questa canzone. Ma non capisco, perché l’hai scritta qua?.- gli disse alla fine, ancora presa a leggere quella lingua straniera, ma certamente non sconosciuta. Grace si era data un gran da fare perché anche la sua piccola vicina preferita imparasse bene l’inglese, la sua adorata lingua natia.
-E’ “Isn’t she lovely” di Stevie Wonder. Me la faceva ascoltare mamma da bambino, è una delle sue canzoni preferite, lei dice che un uomo capace di scrivere qualcosa del genere è un poeta. Uno vero. Io invece pensavo che pensasse certe cose di una bambina solo perché era figlia sua.- le disse, scansando veloce un braccio per evitare un pugno che quella femminista che aveva davanti lo colpisse. Non era il momento, quello per una rissa.
- Riascoltandola qualche anno dopo mi sei venuta in mente tu, la ascoltavo e sembrava che parlasse di te. Perché sei tutto quello che canta, ma poi l’ho ascoltata ancora e ancora e ogni volta mi rendevo conto che invece di te non diceva niente. E ho pensato che questo fosse abbastanza divertente, per questo l’ho scritta lì dietro.- continuò a spiegarle, capendo di non esserci riuscito di fronte allo sguardo furente di lei.
-Vuoi dire che sono un mostro?- chiese mezza isterica Camilla, fraintendendo tutto quando.
-No! Cioè si! Voglio dire..- Riccardo prese un respiro profondo, per fare chiarezza nella sua testa e trasmetterla anche a lei –Tu sei tutto quello che dice. Tutto quanto. Ma c’è stato un periodo prima che diventassimo amici, quando pensavo che invece tu fossi tutto il contrario, un’antipatica ragazzina piena di sé che si meritava tutti gli scherzi che le facevo per avermi tirato in testa quella dannata bambola, quando invece mia madre vedeva in te già tutto quanto. E non è divertente che, invece, tu sia diventata la mia migliore amica? Voglio dire tra tutti proprio tu! E l’ho scritta, dietro la foto che aveva catturato l’inizio di tutto.-
La vide guardarlo esitante, forse non aveva capito nemmeno quella volta quello che voleva dirle o forse semplicemente non volendo crederci.
-Pensavi a me ascoltandola perché ti sei ricreduto e adesso trovi che sia fantastica e che sei fortunato ad avermi come migliore amica, quindi?- chiese con lo stesso tono che raccontava lo sguardo.
Lui scosse la testa con un vago sorriso in viso, osservando il pavimento alla ricerca del coraggio necessario per confessare.
-Tu sei bellissima, sei fantastica. Un’amica preziosa. Coraggiosa e leale. Lo sei sempre stata. E ti ho voluto bene per anni per questo, perché eri tutto quello che avrei potuto volere. Ma ora ti guardo e so che se fosse solo per questo che sei così speciale per me..beh ce ne sarebbero potute essere mille altre.-
-Ehi!- si indispettì, dandogli un calcetto leggero al ginocchio, suo malgrado ferita da quelle parole.
-Ma tu sei molto altro. Sei irritante. E odiosa. Manesca e orgogliosa. Sei prepotente e con pessimi gusti per i film. E potrei continuare, credimi. Ed è proprio questo che ti rende speciale, non l’essere bellissima, carina o preziosa. Sei tutto quello e tutto il contrario, lo sei sempre stata e..- sempre più infervorato nel suo discorso, Riccardo non si rese conto dei movimenti di lei fino a quando non se la ritrovò addosso.
Completamente, deliziosamente, incredibilmente addosso.
Le sue mani sulle spalle. I suoi fianchi contro i propri. Naso contro naso. E labbra..
Riccardo ci mise un secondo a capire cosa stava succedendo.
Le sue labbra contro quelle di lei, per la prima volta dopo mesi passati a desiderarlo, senza tuttavia osare farlo.
Camilla lo stava baciando.
Le posò le mani sulle guance, per avvicinarla di più per posarle un altro bacio leggero, appena accennato, sfiorandole il labbro superiore, più pieno dell’altro, che le dava quella deliziosa espressione di essere sempre imbronciata aspettando un bacio.
Fu lei a staccarsi per prima, con un ultimo schiocco di labbra, sospirando e poggiando la fronte contro il petto del ragazzo.
-Aspetta. Riccardo, aspetta.- sospirò con voce tremula –Cosa stiamo facendo? Noi..noi non possiamo baciarci!- gli disse allontanandosi di un passo e fissandolo con insistenza.
-Io ti voglio bene, lo sai. E non voglio rischiare di perderti, ma..dio Camilla! È giusto tenerti tra le braccia. È giusto baciarti.- le disse carezzandole lo zigomo arrossato non volendo lasciarla andare del tutto.
Camilla lo guardò in silenzio incerta, mordendosi le labbra come faceva ogni volta di indecisione.
La vedeva, nei suoi occhi, quella tremula fiammella di sentimento che però non si permetteva di provare. Era lo stesso conflitto interiore che aveva combattuto negli ultimi due anni, da quando sentirla ridere con un altro era diventato motivo di gelosia, da quando saperla arrabbiata era motivo di dolore, da quando vederla baciare un altro era diventato motivo di rabbia cieca. Ma soprattutto da quando, poco prima, messo di fronte alla prova che quello che la legava a lei non era più lo stesso sentimento di un tempo, aveva capito di volerla nella sua vita in un modo diverso.
-Ci conosciamo da tanto, quello che proviamo adesso è solo un errore. Stiamo confondendo un enorme affetto con qualcos’altro, rischiando di rovinare tutto. Non sappiamo..- provò a convincerlo, o forse a convincere se stessa.
-Camilla, ci conosciamo da tanto è per questo che so che non è più solo amicizia. So quello che provavo a dodici anni per te. E a quindici. E adesso. E guardando quella foto ho capito che non è più lo stesso sentimento. Dimmi che per te non è lo stesso e giuro, Camilla te lo giuro, non affronterò più l’argomento.- Riccardo tacque, aspettando una risposta che, sperava, non sarebbe arrivata.
-Io..io..non posso farlo. Non posso dirlo.- ammise alla fine lei, chinando il capo senza il coraggio di guardarlo. Gli prese però la mano, stringendola come se da quella stretta dipendesse la sua vita. Gli prese quella mano, sperando che capisse quello che con la voce non riusciva a dirgli.
-Ci conosciamo da tanto, è per questo che non posso permettermi di perderti.- gli disse alla fine, con una vocina piccola piccola vergognandosi di quella debolezza.
-Ci conosciamo da tanto, è per questo che non succederà.- le rispose Riccardo avvicinando il viso al suo, dandole un bacio leggero sul naso.
-Ci conosciamo da tanto, è per questo che sono sincero quando dico che ti voglio.- continuò poi, baciandole la guancia.
-Ci conosciamo da tanto, è per questo che sono sicuro quando dico che ti amo.- le disse alla fine, naufragando sulle sue labbra come se da quel bacio dipendesse la sua vita.
 
 

C’era voluto del tempo, per farle capire che quello che sentiva non era il capriccio di un momento o semplice frutto del proibito.
C’era voluto del tempo perché anche lei venisse a patti con quello che sentiva lui, e anche di più per accettare quello che sentiva anche lei.
C’era voluto del tempo perché capisse perché, quella canzone, fosse la loro canzone, perché anche per lei era lo stesso.
Quando era successo, una piovosa giornata di marzo, lei lo aveva chiamato intimandogli di andare a prenderla a scuola attaccando prima di dargli modo di replicare. Quando, all’uscita, l’aveva individuato tra la folla aveva iniziato a correre piangendo, scontrandosi contro il suo petto e facendo colare il mascara sul viso arrossato.
L’aveva stretta, incurante delle occhiate curiose che gli altri studenti lanciavano loro, contento solo di averla tra le braccia, di vedere nei suoi occhi quello che vedeva nei suoi ogni mattina allo specchio nei suoi.
La sentì sospirare a fondo, prima di passarsi distratta il dorso della mano sugli occhi, spargendo aloni neri sulle tempie, prima di alzare il viso e guardarlo, finalmente.
-Ci conosciamo da tanto, è per questo che non posso permettermi di perderti.- un bacio sulla guancia.
-Ci consociamo da tanto, è per questo che non succederà.- un bacio sul naso.
-Ci conosciamo da tanto, è per questo che sono sincera quando dico che ti voglio.- un bacio sulla mandibola.
-Ci conosciamo da tanto, è per questo che sono sicura quando dico che ti amo.- un bacio sulle labbra.
Riccardo se la strinse contro, premendo di più le labbra contro quelle di lei, pensando che sua madre aveva sempre avuto ragione.


 
Life and love are the same.
Life is Aisha.
The meaning of her name.


 
Camilla era l’amore. E la vita stessa.

 





***

 
 
 
 
 
 
 




 
 
Le ultime note della canzone si spensero nell’aria, vedendo i due ragazzi ancora abbracciati, intenti a guardarsi negli occhi.
-Sei uno stupido, era il matrimonio dei miei genitori, il primo ballo era loro.- gli disse con voce rotta, per niente risentita nonostante le parole che aveva appena pronunciato.
Lui la guardò sorridendo, lasciandole un bacio leggero sulle labbra, vedendole gli occhi ancora lucidi di lacrime e brillanti di emozione.
-Tuo padre lo sapeva, gli ho chiesto il permesso proprio ieri. E sai cosa ha risposto? Che lui odia ballare.-
La vide rimanere interdetta, lanciando poi un’occhiata risentita al genitore che, probabilmente pensando che i suoi avevano aspettato anni e anni prima di decidere di sposarsi, e suo padre non voleva fare nemmeno lo sforzo di ballare con sua madre, bellissima nel suo completo chiaro.
Riccardo le catturò il mento e le girò il viso per guardarla di nuovo negli occhi.
-Ha detto anche che se doveva rischiare di rovinare il suo matrimonio, dopo aver rimandato la cerimonia per anni, doveva almeno valerne la pena.-
-E ne vale la pena?- continuò lei con gli occhi ridotti a una fessura.
-Beh intanto ho appena detto a tua madre che è così bella che perfino tu sei venuta fuori carina, no? Sono o non sono il migliore dei generi?- le chiese divertito, con una smorfia buffa in faccia.
-Idiota! Solo carina? E non guardare mia madre!- tono stizzito Camilla, prima di allargare gli occhi stupita, una volta registrata anche l’ultima parte della frase.
-Genero? Hai detto..?- chiese esitante, cercandogli negli occhi una conferma alla speranza che gli era appena nata nel petto.
-L’ho detto, ma se non ti basta, nella mia tasca destra c’è qualcosa che forse ti farà cambiare idea.-
Vide quella fievole luce di speranza illuminarla completamente, adesso certa che non sarebbe stata ferita da un errore innocente. Quel sorriso, il sorriso che le illuminò il viso, sapeva di promesse silenziose, desideri di anni, sentimenti sinceri e una risposta affermativa a una domanda che non era ancora stata formulata come tradizione voleva. La commozione aleggiava tra loro, visibile anche agli occhi degli altri invitati, tanto che Camilla si sentì costretta a stemperarla con una battuta, non volendo comunque rubare la scena ai genitori nonostante la dilagante felicità che le stringeva il petto.
-Ora ti metti anche a farmi proposte indecenti al matrimonio dei miei genitori?- lo accusò con nuove lacrime negli occhi la ragazza.
-Malfidata. Parlavo della giaccia, non dei miei pantaloni. Ma se mi vuoi sono sempre disponibile.- ribatté lui con lo stesso tono leggero, guidandole la mano nella tasca destra dove le dita di lei si strinsero attorno al cerchietto, attorno al suo anello.
-Ma non metterlo, non oggi.- le disse, stringendole la mano e costringendola a riportarla sulla sua spalla.
Vedendo il suo sguardo curioso Riccardo si sentì in dovere di spiegare.
-Domani ti porterò in spiaggia, poco prima del tramonto. Mi inginocchierò e ti chiederò di sposarmi come si deve, promettendoti amore eterno e di realizzare tutti i tuoi sogni perché ti amo e sei quella con cui voglio svegliarmi ogni mattina. Domani ti farò trovare l’anello nella sua scatola e aspetterò con il cuore che batte a mille di sentirti rispondere.- le spiegò con la fronte contro quella di lei, accarezzandole la mano dove avrebbe potuto campeggiare il simbolo di una promessa se non l’avesse fermata.
-Allora perché me lo dici adesso?-
-Perché con te è così che funziona. Ti ho promesso di essere per sempre tuo amico, appena ho deciso di volerlo. Ti ho detto di amarti quando una foto mi ha dato una definizione che mancava, appena ho capito che era amore. E oggi ti chiedo di sposarmi perché stamattina non riuscivo a pensare ad altro, perché appena ho visto i tuoi genitori scambiarsi le promesse ho capito di voler fare lo stesso.-
Camilla gli gettò le braccia al collo, piegando le gambe costringendolo così a passarle veloce le braccia dietro la schiena per sostenerla e impedirle di cadere.
Finalmente alla sua stessa altezza, lei che gli arrivava appena alle spalle con i tacchi, sussurrò commossa un si che veniva direttamente dal cuore.
 
 
 
 



Il giorno dopo, inginocchiato sulla sabbia resa rossastra dalla luce del tramonto, Riccardo mantenne tutte le promesse fatte il giorno prima,convinto che avrebbe continuato a farlo per tutto il resto della vita.
-Ci conosciamo da tanto, è per questo che sono sicuro quando dico che ti amo. È perché sono sicuro di amarti, oggi e per sempre, che ti chiedo di sposarmi.- le disse serio e sincero, l’anello in una mano e il cuore nell’altra.
-Si! Oddio, Riccardo, si!-

 
 
 








ANGOLO AUTRICE.

Inizio col dire che, come al solito, mi impelago in nuove storie quando dovrei finire quelle che ho in corso, ma lasciamo perdere.
Questa storia partecipa al contest “Lasciati ispirare..da ciò che scegli”, di Changing.
Incrociate le dita per me, mi raccomando!
È la prima volta che mi iscrivo a un concorso e, soprattutto, questa è anche la mia prima originale che vede la luce, quindi siate clementi!
Comunque non inserisco la traduzione della canzone, “Isn’t she lovely” di Stevie Wonder, che credo tutti conosciate. E se non è così VERGOGNA! Andate subito su YouTube ad ascoltarla!
Le altre piccole frasettine in inglese sono talmente semplici che non traduco nemmeno quelle, ma se ci sono problemi fatemelo sapere che faccio un paio di modifiche in queste note finali.
Boh credo non ci sia altro da dire, spero che Camilla e Riccardo vi facciano sorridere come succedeva a me mentre scrivevo.
Fatemi sapere cosa ne pensate, se avete un attimo di tempo!



27 maggio 2013. Nuove note. 
Ricevuti i ricultati del contest proprio un paio di giorni fa.
La storia si è classificata seconda, e non sapete che soddisfazione. Era il primo, dopotutto!
Ho corretto la storia, visto che c'erano diversi errori che non avevo visto e inserito il fantasterrimo banner che hanno realizzato come premio per la storia. Non è davvero stupendo?
Detto questo, non posso che rinnovare l'invito a lasciarmi qualche recensioncina ina ina, visto che avete snobbato la mia piccolina. Mi farebbe davvero piacere.

Un abbraccio, Rebecca.
Un abbraccio grande grande.

Rebecca.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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