Mi trovo di nuovo qui. Davanti ad una semplice finestra, appiccicata a quel vetro umido a causa della pioggia. Quel rumore, ancora e ancora. Nella mia città non mi lasciava viva un attimo e, anche ora, non ne vuole sapere di andarsene. La pioggia non mi piace. Mi fa riflettere. E penso già abbastanza da sola. Ho dovuto lasciare tutto ciò che avevo per venire in questo posto. Non ho la più pallida idea di dove mi abbiano portata. E ho paura. Come sempre, d’altronde. Potrei cercare di rincuorarmi, di dirmi che andrà tutto bene, ma dopotutto che cos’è il futuro? Qualcosa che non ci è tenuto sapere. Un po’ come la morte. Qualcosa di ignoto, misterioso. Possiamo sognare, ma ormai ho smesso. Mi hanno portata via da tutto. Le loro facce non erano calme e serene come quelle di nonno, quando mi faceva giocare nel prato, da bambina. Non sorridevano. Non ho la più pallida idea di dove mi trovi. Meglio dare un’occhiata in giro. Forse c’è qualche altra stanza oltre alla mia camera dove posso andare. Dovrei smetterla con i ‘se’ e ‘ma’. Vai. Esci da questa stanza. Esplora. Vi presento il mio cervello. Non credo che vi piacerà molto: io lo odio. Non fa altro che pensare e pensare. Ma vuoi stare zitto un attimo? Mi sdraio sul letto e rifletto. D’accordo. È giunto il momento di cominciare a vivere. Mi chiamo Camille e questa è la mia storia.