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Autore: Jeggi    13/04/2013    1 recensioni
Le sembra di implodere, ogni parte di lei urla, ogni centimetro del suo corpo le serve solo per ricordarle quanto sia ancora umana, quanti bisogni ha.
Non volta nemmeno il viso, perché sa che è ancora lì.
Quella lettera è posizionata sull'angolo destro del tavolo, in cucina.
Uno spigolo del foglio si è leggermente piegato mentre, poche ore prima, lo tirava fuori dalla busta.
È una delle ultime lettere che le sono arrivate dalla redazione, una tra le tante, che lei non riesce proprio ad ignorare.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parole. Lentamente uscivano dalla sua mente, riempiendo tutti quei vuoti che le si erano accumulati dentro, col tempo.
Lettere che si rincorrevano velocemente, l'affanno delle dita che battevano rapide sulla tastiera del computer.
Un sospiro, era così facile scrivere, tanto quanto era complesso parlare.
Quando le parole le si fermavano nel petto, quando la voce le si strozzava, allora bastava fermarsi davanti allo schermo luminoso; tutto improvvisamente cominciava ad uscire, quasi con violenza.
L'aria si caricava di elettricità statica, i rumori si allontanavano dalle sue orecchie, riga dopo riga lei si immergeva sempre più.
Un'apnea prolungata, un'immersione sempre più profonda negli abissi della sua anima, nella ricerca dell'oblio. Nella ricerca della buia salvezza.




Meredith si prende la testa tra le mani, i lunghi capelli spettinati le sfuggono tra le dita, in confuse onde color cioccolato.
Stringe le dita, afferra un attimo i nodi, mentre cerca di rilassare i nervi tesi del collo.
Sono giorni ormai che cerca di lavorare al suo romanzo, ore che fissa uno schermo vuoto, crudelmente bianco.
Le unghie lentamente si fanno strada nella pelle delle mani, affondano nella carne, lasciando tracce a mezzaluna sui suoi bei palmi lisci.
Finalmente alza il volto, affranta. I suoi occhi sono chiari, illuminati dallo schermo dal computer e velati da lacrime nervose mai piante e dalla stanchezza delle ultime due notti passate insonni.
Le sembra di implodere, ogni parte di lei urla, ogni centimetro del suo corpo le serve solo per ricordarle quanto sia ancora umana, quanti bisogni ha.
Non volta nemmeno il viso, perché sa che è ancora lì.
Quella lettera è posizionata sull'angolo destro del tavolo, in cucina.
Uno spigolo del foglio si è leggermente piegato mentre, poche ore prima, lo tirava fuori dalla busta.
È una delle ultime lettere che le sono arrivate dalla redazione, una tra le tante, che lei non riesce proprio ad ignorare.
La sua mano colpisce la scrivania, in un impeto di rabbia. Quasi le sembra di vedere il capo redazione, che la fissa da dietro lascrivania.
Decide di andare immediatamente da lui: tanto vale affrontare il problema nell'immediato.
Guarda l'orologio, stupendosi solo un poco nel constatare che sono le cinque del mattino.
Sono settimane che i suoi ritmi sono improbabili, nel suo appartamento il giorno è uguale alla notte, le ore si dilatano e si rattrappiscono, facendole perdere completamente i rapporti con il mondo esterno e con tutte le regole che ne fanno parte.
Si veste un po' controvoglia, abituata ormai a girare nel suo piccolo spazio vestita solo di maglioni lunghi e calzettoni pesanti.
Passa davanti allo specchio e si lava il viso con veemenza, apre il cassetto del mobiletto e prende la spazzola, non del tutto pronta alla lotta contro la sua testa.
Solo quando si sente un poco più decente la posa, lanciando solo un'occhiata ai cosmetici. Non ne ha proprio voglia.
Infila un paio di jeans, una camicetta e resta un attimo indecisa sulle scarpe.
Poi semplicemente chiude gli occhi e segue il suo senso preferito: il tatto.
La borsa è già pronta, reduce dell'ultima volta che è andata all'ufficio del “capo”.
Resta per un attimo sulla, soglia, indecisa tra il prendere l'automobile o i mezzi, poi alzando gli occhi le pare di vedere il cielo sgombro di nuvole, così opta per la seconda tra le due ipotesi.
Percorre a piedi il pezzo di strada che la separa dalla fermata dell' autobus, completamente immersa nei suoi pensieri.
Il suo primo libro è uscito precisamente da un anno, otto mesi e cinque giorni, dopodiché per lei era stata la fine. Non saprebbe nemmeno lei dire di cosa, però una parte importante di lei che è venuta improvvisamente a mancare, nel momento stesso in cui ha visto per la prima volta la copertina del suo libro, nella vetrina della libreria del centro dove è sempre stata solita andare.
Alla fermata ci sono già alcune persone. Il loro chiacchiericcio le giunge da lontano, mentre riflette sul modo in cui la sua vita è cambiata.


I primi mesi giorni era tutto incredibilmente irreale, le sembrava impossibile che qualcuno avesse deciso di prendere in considerazione le sue idee, ancor più assurdo poi le sembrava l'idea che qualcuno volesse leggere le sue parole.
Aveva passato mesi interi a parlare di quel romanzo, ogni parte della sua giornata si trasferiva dietro il suo schermo luminoso, ogni suorespiro, ogni sorriso, ogni lacrima veniva battuta velocemente sulla fredda tastiera, sebbene lei non avesse mai parlato di sé in prima persona.
Quando poi era riuscita ad arrivare a una conclusione soddisfacente, si erafermata per un attimo a fissare il muro di fronte a lei. Le sembrava di essere stata rigettata di colpo nella vita reale, cestinata dal suo sogno.

Non c'era nemmeno voluto troppo tempo per trovare qualcuno che pubblicasse il suo romanzo. “Solo fortuna”, si era detta.
Poi le persone che compravano, i guadagni. Sarebbe stato tutto perfetto, se solo non ci fosse stato quel vuoto che si era creato nel suo petto.
.


Meredith prende una ciocca di capelli tra le dita, poi comincia a intrecciarla.
Già dopo qualche mese dalla pubblicazione di quel libro, il capo della casa editrice ha cominciato a insistere per farle pubblicare un altro libro.
Almeno una volta a settimana le giunge una lettera dalla redazione, che la incitava alla scrittura.
Ma lei proprio non ce la fa, ha provato e riprovato, si è messa innumerevoli volte davanti a quello che – ora – è diventato il suo acerrimo nemico.
È rimasta per ore e ore con la testa tra le mani, forse sperando di riuscire a spremere fuori le sue emozioni, tutti i suoi sentimenti attraverso le parole.
Eppure nella testa rimbomba il vuoto del silenzio, perdere i contorni della realtà è fin troppo semplice, come smettere di mangiare, bere,dormire...
Tutto ciò che la rendeva umana, normale, la stava rendendo in realtà diversa.
Nemmeno lei saprebbe dire diversa da chi o da cosa, semplicemente sa di nonessere più la stessa.
Così persa nei suoi pensieri quasi non nota l'autobus che sta arrivando, lo prende al volo, quasi andando addosso a una ragazzina con lo zaino enorme; nonostante sia piccola nulla le vieta evidentemente diguardare male gli adulti, perché le rivolge uno sguardo di fuoco.
Non le da importanza, prende un respiro profondo mentre timbra il biglietto e va a sedersi al primo posto libero che trova.
A metà strada sente l'impulso i scendere e tornare a casa a piedi, lo farebbe immediatamente, se solo le sue gambe non fossero così pesanti..
Si costringe a scendere alla fermata, dopodiché si avvia verso l'ingresso dell'edificio.
Scambia giusto due chiacchiere con la segretaria, prima di chiederle se il capo ha un momento libero per lei.
La ragazza le dice di andare in sala d'attesa, che la chiamerà giusto tra pochi minuti. Meredith la capisce, lavora lì da poco e ha il terrore di sbagliare qualcosa.
Lo vede dal leggerissimo tremolio della ragazza quando alza la cornetta per parlare col capo, lo vede dall' incertezza quasi impercepibile del suo sorriso mentre dice qualcosa che, a quella distanza, lei non riesce a sentire.
Aspetta con pazienza. Dubita che lui possa dirle di essere impegnato, dopo diciassette lettere di incitazione alle quali non ha mai risposto nessuno.
Infatti le viene detto di salire immediatamente al quarto piano, terzo corridoio a destra, quarta porta a sinistra.
Mentre sale sull' ascensore si domanda cosa può dire o fare.
Si dice che sarebbe stato meglio partire con un argomento, con delle scuse valide per la sua mancanza di lavoro, per la sua mancanza di idee.
Ma non ha nulla che possa aiutarla, nella testa.
Nessuna idea, nessuna scusa e, forse, nemmeno una salvezza.

 
  
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