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Autore: Lady Viviana    17/04/2013    5 recensioni
Hai mai desiderato almeno una volta nella tua vita essere invisibile? Questa è la storia di un ragazzino come tanti che, una mattina, vede realizzarsi il più profondo dei suoi desideri. Ma ne varrà davvero la pena?
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Filippo, che per me rimarrà sempre Pix


 

Ore 7.00
 
All’inizio non vide nulla, solo le tenebre della mattina attraverso cui poteva scorgere alcune forme indistinte; pochi secondi e queste rivelarono l’ambiente famigliare della sua stanza. Ogni cosa era al posto in cui l’aveva lasciata la sera prima, compreso il disordine sulla scrivania che prometteva sempre di mettere di sistemare.
La sveglia interruppe i suoi pensieri, ma fu spenta con un grugnito: ormai era sveglio e silenziosamente, barcollando, scivolò fuori dalle coperte avanzando nella stanza scura.
 
Ore 7.45
 
Completamente sveglio, si chiuse la porta di casa alle spalle, facendo attenzione a produrre il minor rumore possibile per non svegliare i genitori addormentati. In un attimo fu fuori e l’aria frizzante di una calda giornata di inizio aprile spazzò via anche gli ultimi residui di sonno; la strada era, come sempre, piena di mattinieri come lui che passeggiavano, mentre i negozianti spazzavano il marciapiede davanti alle loro vetrine, in attesa di clienti. Gli piaceva quel viaggio da casa a scuola nel quale poteva lasciarsi andare ai propri pensieri prestando la minima attenzione alla strada. Talmente poca che quella mattina si scontrò con un uomo che, preso dalla fretta, quasi lo fece cadere a terra. “Fa attenzione!” Ma quello era già andato via, senza far caso al ragazzino che, perso ormai il filo dei pensieri, percorre in fretta quei pochi metri che lo separavano dall’edificio grigio che ospitava la sua scuola.
 
Ore 8.00
 
Quando oltrepassò il cancello, la fiumana di studenti stava già defluendo all’interno dell’edifico e fra la confusione di zaini e borse riconobbe anche qualche suo compagno. Li chiamò, la voce che a malapena riusciva a non farsi soffocare dalle altre, ma quelli non risposero, ignorando completamente i suoi richiami; quando giunse sulla porta dell’aula, perciò, era ancora solo.
“Ehilà ragazzi, c’è qualcosa da fare per storia?” Esclamò lanciando lo zaino a terra e sprofondando nella sedia.
Silenzio. Il chiacchiericcio continuava, come se lui non fosse stato lì; altri, nel frattempo, entrarono, ignorandolo. Confuso, il ragazzino iniziò a richiamare la loro attenzione alzando la voce, finchè non arrivò praticamente a urlare, ma nulla, quelli non gli prestavano la minima attenzione.
“Ragazzi, non è affatto divertente”
Ormai un senso di panico iniziava a crescere in lui, mentre affannosamente cercava nella sua mente una spiegazione, un motivo per cui gli avrebbero dovuto giocare un scherzo tanto crudele. Gli ci volle qualche minuto e numerosi pizzicotti prima di trovarne che lo soddisfasse: era diventato invisibile!
Inizialmente fu terrorizzato da questa sua nuova condizione, ma, quando la campanella suonò e fece il suo ingresso la professoressa, iniziò a vedere anche gli aspetti positivi.
Subito si alzò, felice di poter avere la libertà fino a quel momento avuta soltanto in sogno, ma non si accorse che la sedia vicino a lui era pericolosamente in bilico e, con un piede e un boato che riecheggiò a lungo nella stanza, la fece cadere a terra.
Nel silenzio che seguì si poteva udire anche uno spillo cadere e gli ci volle, perciò, una buona mezz’ora prima di riuscire a uscire dall’edificio, saltando fuori dalla finestra aperta (si trovavano al piano terra e aveva verificato qualche minuto prima – non senza spiacevoli conseguenze – che non poteva attraversare i muri).
 
Ore 9.00
 
La giornata si apriva davanti a lui, il cielo luminoso come non mai che sembrava dare il meglio dopo tanti giorni di pioggia, come se volesse fargli un regalo, e la consapevolezza di poter fare ogni cosa.
Era il suo sogno ed era assolutamente reale!
Mandò un messaggio veloce ai genitori, nascosto all’ombra di un portone vicino
 
Mangio fuori. Torno x le 4. A dopo. :)
 
e si fermò, la testa che quasi gli scoppiava dalle tante idee che gli erano sorte nel tempo che aveva impiegato per digitare quelle poche parole.
 
Nelle sei ore successive realizzò molti dei suoi desideri più profondi e folli: tornò a scuola e fece scherzi a compagni, bidelli e professori, visitò tutti i suoi negozi preferiti provando tutti i videogiochi appena usciti e vagò per le strade, un leggero ghigno di soddisfazione perennemente dipinto sul volto etereo che nessuno poteva vedere.
Alle quattro meno cinque, felice come poche volte nella sua vita, raccolse la tavola da skate da cui non si separava mai e si diresse verso casa, schivando i passanti che intralciavano il marciapiede, scivolando con grazia in mezzo all’affollata strada del centro città. Fu solo quando arrivò davanti alla porta di casa, saltando a piè pari gli ultimi gradini, che si accorse che c’era un problema che aveva scacciato dalla mente per tutto il giorno, concentrandola su cose ben più futili: se era invisibile, come poteva entrare in casa o comunicare con gli altri?
In un attimo tutti i ricordi piacevoli della giornata furono spazzati via dalla paura che lo prese fin nel profondo, stringendolo in una morsa: era solo. E chissà ancora per quanto lo sarebbe stato.
Fu preso dallo sconforto, per la prima consapevole che quello che gli era stata riservato non era solo un dono, ma anche una condanna, che non tutti i desideri sono realizzabili e che, anzi, alcuni è molto meglio non provarci neppure.
 
Nelle successive due ore, mentre il telefono vibrava per la chiamate sempre più frequenti dei genitori preoccupati, che sentiva parlare e agitarsi dietro la porta, fece tutto ciò che gli passava per la testa: gridò, picchiò i pugni, gli cadde perfino una solitaria lacrima, ma nulla accadeva, nessun cambiamento. Fra lui e il mondo continuava a esserci quell’ostacolo insormontabile, quella porta di solido legno e metallo che oltrepassava da tempo senza rifletterci.
Sentendosi incredibilmente stanco, si sedette sul primo gradino delle scale, la testa appoggiata al freddo muro screpolato dal tempo; pochi minuti e il sonno lo prese, facendolo sprofondare in un dolce oblio.
 
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All’inizio non vide nulla, solo le tenebre della mattina attraverso cui poteva scorgere alcune forme indistinte; pochi secondi e queste rivelarono l’ambiente famigliare della sua stanza. Ogni cosa era al posto in cui l’aveva lasciata la sera prima, compreso il disordine sulla scrivania che prometteva sempre di mettere di sistemare.
Non appena capì dov’era si destò immediatamente, le mani strette intorno al bordo del piumone, le nocche bianche da tanto lo stringevano e una domanda nella testa: era stato reale o solo un piacevole e bellissimo sogno? Ricordava ogni cosa, ogni dettaglio, poteva ancora sentire il sole colpirgli le braccia scoperte.
 
All’apparenza fece tutto come ogni mattina, ma, osservando meglio, si poteva intuire che c’era qualcosa di diverso in lui, incapace di stare fermo per più di una manciata di secondi nello stesso posto.
Stava per aprire la porta di casa, le chiavi che tintinnavano nella mano, ma ci ripensò e tornò indietro. In punta di piedi si introdusse nella camera dei genitori, immersi nel sonno, iniziando a chiamarli a voce bassa
“Mamma! Papà!”
Non ricevendo risposta si avvicinò ulteriormente, iniziando a scuotere con delicatezza la madre che, un paio di minuti dopo, si svegliò, guardandolo confusa.
“Ciao mamma, volevo solo dirti che sto uscendo”
Sollevato, non attese risposta e uscì silenziosamente dalla stanza e, di lì, di casa, e, camminando fischiettando in mezzo ad altri studenti che, come lui, andavano a scuola, si ritrovò a pensare che preferiva di gran lunga essere visibile.
 

  
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