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Autore: Eowyn 1    18/04/2013    3 recensioni
« E allora? Cosa sono questi discorsi? » li rimproverò Niniel guardandoli severamente « Che arrivi anche, la guerra. Sappiamo che ormai è quasi inevitabile! Ci porterà via molto, ma non è questo lo spirito con cui dobbiamo affrontarla! Dobbiamo reagire! Combattere e stare il più sereni possibile fino a che ne abbiamo la possibilità! » Che cosa sarebbe successo se Boromir, prima di partire per Granburrone, avesse conosciuto Niniel, la cuoca di corte? Un caso fortuito ha voluto che si conoscessero...
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Boromir, Faramir, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ok… credetemi, non ci posso credere nemmeno io di essere tornata con un nuovo capitolo… spero ci sia ancora qualcuno che legge

Ok… credetemi, non ci posso credere nemmeno io di essere tornata con un nuovo capitolo… spero ci sia ancora qualcuno che legge, dopo tutto questo tempo! Ci risentiamo alla fine! J

 

 

 

Capitolo 20

 

 

Niniel correva a perdifiato seguendo Ilarin:

« Per di qua! » le urlò quest’ultima « C’è una scorciatoia. »

Corsero per altri dieci minuti abbondanti mentre le grida dei soldati, dal piano inferiore, salivano come tetri lamenti verso l’oscurità del cielo. Per quanto possibile, Niniel cercò di non farci caso, ma non poteva fare a meno di pensare che anche suo fratello avrebbe potuto essere là sotto, in quel momento.

« Ci siamo! » ad un tratto, i suoi pensieri vennero interrotti dalla voce di Ilarin che le indicava la casa. Si gettò sulla porta e cercò di aprirla, ma la trovò chiusa.

« Mamma! Mamma apri! » gridò, con la voce che tremava « Sono io, sono Ilarin! Apri mamma! » aveva le lacrime agli occhi, temeva che sua madre e suo fratello non fossero lì. Niniel le appoggiò una mano sulla spalla, ma in quel momento la porta si aprì di scatto, la madre di Ilarin si fiondò fuori e abbracciò la figlia, prendendole poi il viso tra le mani:

« Meno male che sei qui! Ho avuto paura che tu… »

« Non c’è tempo ora mamma! » le disse la ragazza scostandosi « Dobbiamo andare! »

« Andare? Dove?! Ma… »

« Su, al quinto livello. A casa di Niniel! »

Solo in quel momento, Sorien si accorse della presenza dell’altra cuoca.

« Non è sicuro rimanere qui: gli orchi hanno appena occupato il primo livello. » spiegò Niniel con la voce colma di ansia « Non so a quanto possa servire, ma almeno saremo più in alto. »

La donna annuì, quindi prese in braccio Asyl, il figlio più piccolo, che si nascondeva dietro le sue gambe terrorizzato, tappandosi le orecchie con le mani per non sentire le grida dei soldati e i versi disumani degli orchi.

I quattro iniziarono a correre a perdifiato verso i livelli superiori. Arrivati all’entrata del quarto livello dovettero fermarsi a riprendere fiato, ma quando un masso lanciato dalle catapulte degli orchi abbatté un gran numero di abitazioni poco lontano da loro, Ilarin prese in braccio il fratellino e ricominciarono a correre verso il livello superiore.

Mancava poco all’ingresso del quinto livello, quello in cui si sarebbero finalmente riparati a casa di Niniel, quando udirono chiaramente il rumore degli zoccoli di un cavallo che si stava avvicinando. I quattro si voltarono verso il luogo da cui proveniva il rumore, e videro Gandalf arrivare cavalcando Ombromanto, dietro di lui c’era seduto Pipino.

Niniel avrebbe voluto chiamarli, ma un nodo di terrore le bloccava la gola, impedendole quasi di respirare. Gandalf, però, si accorse di loro e gli si avvicinò velocemente.

« Cosa ci fate qui? » la voce dello stregone non tradiva una certa urgenza, ma era sempre calda e profonda, tanto che riuscì a rincuorare un po’ Niniel.

« Eravamo giù alla mensa… stiamo andando a casa mia. »

« Dovete sbrigarvi! » li interruppe Pipino con voce colma d’ansia, sporgendosi oltre il fianco del cavallo « Dovete nascondervi in fretta! »

Niniel annuì.

« Vi scorterei, ma abbiamo un’urgenza che non possiamo rimandare. » disse Gandalf.

« Non importa, tanto siamo arrivati. » disse Niniel annuendo « Ci vediamo più tardi. » si sentì una stupida per quell’affermazione. Forse era fuori luogo, forse era solo dettata da grande stupidità, o forse, da una grande speranza che ancora ardeva in fondo al cuore di Niniel, e la ragazza se ne rese conto solo in quel momento.

Il volto di Gandalf si distese leggermente: « Certo! ».

Detto questo, spronò Ombromanto al galoppo, mentre Pipino si voltava e osservava il gruppetto farsi sempre più lontano. Niniel lo salutò con la mano, poi si rivolse a Ilarin, Sorien e al piccolo Asyl:

« Dobbiamo sbrigarci. Casa mia non è tanto… »

Ma la sua frase venne interrotta da un grido acuto, che Niniel ricordava benissimo. I quattro si appoggiarono al muro, facendosi più piccoli che potevano. Ilarin strinse a sé il fratellino, che piangeva, e cercò invano di confortarlo. Al secondo grido non poterono fare a meno di coprirsi le orecchie e mentre una voce, dentro di loro, gli suggeriva di chiudere gli occhi, questi rimanevano invece spalancati, guizzando da una parte all’altra, nell’attesa di scorgere il proprietario di quella terrificante voce.

Un terzo grido, ancora più vicino, li fece sobbalzare e dopo qualche secondo un’ombra nera aleggiò sulle loro teste. Il solo, cupo, battere d’ali di quella creatura insinuava terrore anche nei cuori più valorosi, e la vista di quel mostro contribuiva ad acuirlo.

Fortunatamente il Nazgul, in sella alla bestia alata, passò sulle loro teste senza degnarli di uno sguardo. Superò anche il quinto livello, e parve dirigersi verso il sesto.

Passato il pericolo, Niniel non rimase lì a chiedersi quale fosse l’obiettivo di quella creatura:

« Andiamo, sbrighiamoci! » e riprese a correre.

 

« Non arrivano ordini. Nessuno ci dice niente! Che fine ha fatto il Sovrintendente?! »

« Dobbiamo mantenere la calma Jamril! »

« Calma? Come posso mantenere la calma?! Siamo in guerra e qui nessuno ci dice niente! » sbraitò l’aiuto cuoco.

« Cosa vuoi che ci dicano? Siamo semplici cuochi, cosa vuoi che gliene importi di noi in questo momento? » disse Adhort osservando fuori dalla finestra della cucina.

« Beh ma il Sovrintendente… »

« Il Sovrintendente è uscito di senno! » urlò.

Jamril rimase in silenzio, osservando Adhort con uno sguardo sorpreso. Non gli aveva mai risposto in quel modo.

Il padre di Niniel scosse la testa: « Perdonami. » gli disse « Non volevo risponderti così, ma la verità è che sono in ansia quanto te. »

Jamril scosse la testa, come a dire che non importava.

« Cerchiamo di mantenere la calma, » gli bisbigliò poi Adhort avvicinandoglisi, e gli fece cenno verso Erith ed Earine, che erano nella stanza accanto « Sono già abbastanza preoccupate. »

L’aiuto cuoco annuì.

 

 

Finalmente in casa, Niniel si appoggiò alla porta e trasse un respiro di sollievo.

« Siamo al sicuro? » domandò Asyl, col viso ancora nascosto nell’incavo del collo della sorella maggiore.

« Sì, siamo al sicuro ora. » rispose Ilarin accarezzandogli la nuca, ma con gli occhi colmi di terrore guardò la madre in cerca di aiuto.

« L’importante è che siamo insieme. » disse Sorien, con lo sguardo perso quanto quello della figlia. Ma la certezza di essere insieme era già di grande conforto.

« Ehi Asyl, che ne dici di preparare una torta al cioccolato? » propose Niniel, seppur con poco entusiasmo, nella speranza di distrarlo un po’.

« Non ho voglia, non ho fame. » piagnucolò il piccolo.

In quel momento, si udì indistinto e lontano un suono che parve sovrastare i rumori della battaglia.

Le tre donne si guardarono a vicenda trattenendo il respiro.

« Che cos’è? » domandò Asyl sollevando leggermente il viso.

« Sembra il suono di un corno. » disse Sorien.

Senza riflettere, Niniel spalancò la porta e attraversò di corsa il cortile, dirigendosi verso la strada.

« Niniel dove vai? Può essere pericoloso! » le urlò Ilarin, ma l’amica non la ascoltò.

« Tu rimani qui con Asyl, vado io con lei! » le disse la madre.

Prima che Ilarin ed Asyl potessero obiettare, videro Sorien correre dietro a Niniel, e fermarsi accanto a lei di fronte al parapetto, oltre la strada, e osservare i Campi del Pelennor dove imperversava la battaglia.

Di nuovo, il suono squillante e ora limpido di un corno giunse sovrastando le grida degli orchi e dei soldati di Minas Tirith.

« Rohan… » sospirò Niniel mentre osservava le schiere di cavalieri che si radunavano in lontananza ai confini dei Campi del Pelennor.

« Pensi che siano loro? » le domandò Sorien col cuore gonfio di speranza.

« Devono essere loro… » Niniel si volse verso di lei, un inaspettato sorriso le solcava il volto.

Di nuovo il suono del corno.

Ormai la maggior parte delle schiere nemiche era rivolta al nuovo esercito che si preparava ad attaccare.

« Presto, torniamo in casa! Qui potrebbe essere pericoloso. » disse Sorien, ma Niniel non riusciva a staccare gli occhi da quella schiera di cavalieri. Il pensiero che Boromir potesse essere tra loro la rendeva immensamente felice.

Videro l’esercito di Rohan schierarsi lungo file composte e un cavaliere solitario staccarsi da una di queste e cavalcare davanti a loro. Era tutto troppo lontano e indistinto per riuscire a comprendere esattamente cosa stesse succedendo, ma ad un tratto, con un grido ruggente, i Cavalieri di Rohan partirono all’attacco, cavalcando contro il nemico. I loro cavalli erano tanto veloci che pareva avessero le ali.

Li videro infrangersi contro le schiere di Mordor come la violenta ondata di un mare in tempesta. Quelle onde talmente forti che sono in grado di frantumare gli scogli della riva, e così avvenne. Per la prima volta, un brivido parve percorrere l’esercito nemico.

Il cuore di Niniel e Sorien parve fermarsi, non poterono staccare gli occhi da ciò che si stava compiendo sotto di loro.

Videro gli uomini combattere, gli orchi cadere. Videro spade trafiggere e lance volare lungo il campo di battaglia. Sempre tutto troppo indistinto dall’altezza del quinto livello della Città, ma abbastanza palese da essere compreso anche ai loro occhi.

« Niniel dobbiamo rientrare! » esclamò Sorien riscuotendosi « Può essere pericoloso! »

La ragazza annuì, senza riuscire a staccare gli occhi dalla battaglia, non sapendo nemmeno lei se fosse per via del terrore o della speranza che quell’inatteso arrivo le stava dando.

Sorien la prese per le spalle: « Andiamo! ».

E Niniel non poté fare altro che lasciarsi condurre verso casa.

 

« Cosa succede? » domandò con apprensione Ilarin non appena l’amica e sua madre rientrarono.

« I Cavalieri di Rohan sono arrivati. » le spiegò Sorien.

Niniel, ancora visibilmente scossa, si voltò verso la donna: « Grazie. »

Sorien scosse la testa e guardò la ragazza con aria colpevole:

« Sono io che ti devo ringraziare. Anzi, ti chiedo perdono per come mi sono comportata quando Ilarin ci ha presentate, io ti ho giudicata male. Vedi… »

« Non ti preoccupare, posso capire. Ma non c’è problema. » le disse Niniel.

Le due sorrisero, ed Ilarin sospirò rilassandosi un po’.

 

Intanto, fuori la battaglia continuava, e pareva che gli uomini stessero finalmente avendo la meglio, quando un nuovo, terrificante, suono giunse fino ai livelli più alti.

Ed ecco, giganteschi mostri muniti di zanne emergere dalla polvere sollevata dalla battaglia. Come un miraggio si palesarono di fronte agli occhi colmi di terrore degli uomini, quegli uomini che fino a un attimo prima parevano in vantaggio, ora si trovavano di fronte un nuovo terribile nemico.

Gli Olifanti camminavano pestando e schiacciando, travolgendo con zanne e proboscide qualunque persona, animale o cosa si trovasse sul loro cammino. Ed Esterling e Sudroni andavano a rinforzare le fila dell’esercito nemico.

Un nuovo corno suonò, questa volta di un suono tetro e lugubre.

Le tre donne si guardarono, gli occhi spalancati e le bocche socchiuse, ma nessuna ebbe il coraggio di parlare.

Ilarin si lasciò cadere su una sedia, continuando a stringere il fratellino, mentre sua madre le correva accanto. Niniel imitò l’amica, affondando il viso tra le mani, coprendosi gli occhi, come se in quel buio sperasse di trovare un’alternativa alla realtà che stavano vivendo.

Passavano i minuti, lenti. La tensione cresceva, le urla non smettevano.

Non ci voleva molto a capire che la situazione non stava migliorando, che il nemico aveva riguadagnato il vantaggio che gli uomini avevano raggiunto con l’arrivo dei Rohirrim.

Un nuovo grido acuto, che ormai gli abitanti di Minas Tirith conoscevano bene, si levò dalla Città, ma parve farsi più lontano, come se l’orribile bestia nera stesse planando sui Campi del Pelennor, mentre dalle vie si levavano continuamente le grida dei cittadini.

Da un lato, Niniel avrebbe voluto andare anche solo alla finestra per cercare di capire cosa stesse succedendo, ma dall’altro non riusciva a trovare il coraggio.

Lentamente, una lacrima le scivolò lungo il viso.

« Niniel… » Ilarin la chiamò, e la ragazza si asciugò in fretta la lacrima, continuando a guardare davanti a sé.

« Io… ero convinta che lo avrei rivisto. »

« Ma cosa dici? Certo che lo rivedrai. »

« No Ilarin. Le cose non si stanno mettendo bene. E se anche fosse tornato, ora sarà di sicuro… » ma non riuscì a continuare, si portò le mani al viso e cominciò a piangere. Sorien le si avvicinò e le avvolse le spalle con un braccio nel tentativo di consolarla, pur non comprendendo pienamente di cosa stesse parlando: lei, infatti, non era a conoscenza del fatto che Boromir fosse ancora vivo.

« Andrà tutto bene vedrai… quei soldati sono forti e lui è forte, non si lasceranno battere! » tentò di nuovo Ilarin, ma non ne era del tutto convinta nemmeno lei.

Il piccolo Asyl sbirciò altre la spalla della sorella e, quando vide Niniel piangere, si fece coraggio, scese dalle ginocchia di Ilarin e accarezzò piano un braccio di Niniel: « Mi è tornata la fame. » le disse con voce tremante.

Niniel guardò il bambino con gli occhi spalancati. Si asciugò le lacrime, dandosi della stupida. Non voleva far preoccupare Asyl ancora di più, ma le lacrime non volevano smettere di scenderle lungo le guance.

« Mi è tornata la fame. » ripeté il bambino « Se vuoi possiamo fare la torta al cioccolato… »

A Niniel sfuggì un sorriso, e si asciugò di nuovo le lacrime: « La facciamo bella grande però. Così poi la possiamo mangiare anche con tutti gli altri! »

Asyl annuì, e seguì Niniel in cucina.

Ilarin e Sorien si scambiarono uno sguardo, ma nessuna delle due osò parlare, perché di parole proprio non ce n’erano, e mentre la donna si fermò a guardare fuori dalla finestra, Ilarin seguì l’amica e il fratello in cucina.

Niniel, Ilarin e Asyl iniziarono a preparare tutto l’occorrente, ma era evidente a tutti e tre che nessuno di loro aveva veramente voglia di mettersi a preparare la torta. Nonostante tutto nessuno diceva niente e, mentre appoggiava svogliatamente alcuni cucchiai sul tavolo, Niniel si asciugò una nuova lacrima che le stava scendendo lungo il viso.

I loro preparativi vennero però ben presto interrotti da un rumore secco e uno schianto, seguito dal fracasso prodotto da qualcosa che crollava. Il pavimento dell’abitazione tremò e, con uno schiocco sinistro, nel soffitto si aprì una lunga crepa.

« Niniel! » urlò Ilarin.

« Sotto il tavolo! Presto! » li incitò la ragazza.

In quel momento arrivò di corsa Sorien, e anche lei andò a ripararsi sotto al tavolo. Ci stavano a malapena, e non sarebbe servito a molto se la casa fosse crollata.

« Cosa succede? » domandò piangendo Asyl.

« Credo che abbiano lanciato un nuovo masso con le catapulte e dev’ essere arrivato poco lontano da qui. » spiegò Niniel.

« Non sarebbe meglio uscire? » domandò Ilarin.

« Se usciamo, oltre al rischio dei massi, corriamo anche il rischio di essere prese da una di quelle bestie alate. » disse Niniel, quindi sbirciò oltre il piano del tavolo osservando il soffitto « Speriamo solo che regga. »

In quel momento, dai Campi del Pelennor, provenne un lontano grido: era il grido di un Nazgul, che pareva però meno lacerante e terribile sebbene, allo stesso tempo, continuasse ad infondere un cieco terrore. I quattro si strinsero tra loro, nel vano tentativo di infondersi un po’ di coraggio, senza sapere che, in quel preciso istante, sul campo di battaglia, una donna e un semplice hobbit avevano appena posto fine all’esistenza di quel terribile Spettro.

 

Passarono lunghi minuti, durante i quali ai quattro non rimase nulla da fare che cercare di ignorare le grida e i rumori della battaglia. Non c’era niente di peggio che essere lì a terra col terrore che la casa crollasse e la consapevolezza che fuori qualcuno stesse decidendo la loro sorte.

Era quasi peggio stare lì, chiusi in casa e impotenti, che assistere alla battaglia, sebbene ugualmente impotenti, dall’alto delle mura, ma con la consapevolezza, almeno, di come stessero andando le cose e di chi avesse la meglio.

Niniel abbracciava le ginocchia affondandovi il viso quando, inaspettate, giunsero dalla Città delle grida, come di gioia. I quattro si stupirono e si guardarono in volto senza comprendere cosa stesse accadendo.

A quel punto, Niniel non ce la fece più, uscì da sotto il tavolo e incurante corse verso l’ingresso.

« Dove vai? » le urlò Sorien.

« Voi rimanete lì, io esco a controllare! »

Afferrò la porta di casa, quasi scardinata per via delle crepe, la aprì e corse attraverso il cortile verso le mura. Lo spettacolo che le si presentò davanti fu di terribile distruzione, un’immagine che non avrebbe mai lasciato la mente della ragazza, finché ebbe vita.

I Campi innanzi la Città Bianca bruciavano in più punti, schiere di Orchi e Uomini si affrontavano lungo tutto il Pelennor, e infine le vide: le navi nere. Una terribile angoscia andò ad appesantirle maggiormente il cuore e per poco le ginocchia non le cedettero, di fronte alla vista di quel nuovo nemico che giungeva dall’Anduin.

« È finita. Ora è davvero finita. » continuava a ripetersi nella mente. Eppure c’era una cosa che non capiva: poco prima avevano udito delle grida di gioia, e pure in quel momento continuava a sentirle. Ed erano voci umane a gridare, non Orchi, o Sudroni o Esterling. Com’era possibile che i soldati stessero gioendo alla vista di quel nuovo nemico?

Ma improvviso, oltre il velo di lacrime che le appannava ormai la vista, vide un bagliore provenire dall’albero maestro di una delle navi e il suo cuore perse un battito. Si fregò gli occhi ed ecco, apparire ora in tutta la sua splendente bellezza, uno stendardo spiegato dal vento. Su di esso, era raffigurato l’Albero Bianco di Gondor, circondato da Sette Stelle e sormontato da una corona, e brillava alla luce del sole, come la Stella del Vespro in una gelida notte d’inverno.

Niniel non sapeva come, e in quel momento non ebbe nemmeno il tempo di porsi questo problema, ma su quelle navi dovevano esserci dei loro alleati.

Sorrise come non faceva da tempo, e si unì alle grida di gioia dei soldati.

In quel momento, comprendendo che doveva essere accaduto qualcosa di importante, anche Ilarin, Asyl e Sorien uscirono di casa, e la trovarono che rideva e urlava.

« Le navi! Le navi sono arrivate! » urlò Niniel non appena loro le furono vicini « E guardate! » disse indicando lo stendardo « Gondor! Gondor! » gridò, alzando un pugno verso il cielo, e abbracciò l’amica, e nuove lacrime cominciarono a scenderle lungo il viso ma, questa volta, erano lacrime di gioia.

« È arrivato! » le disse, con voce rotta dall’emozione « Questa volta è arrivato davvero, me lo sento! Boromir è tornato! »

Ilarin le sorrise e l’abbracciò.

E trombe suonarono e campane, per tutta la Città, e tutti accorsero a vedere cosa stesse succedendo, mentre sulle banchine dell’Harlond un nuovo potente esercito sbarcava, pronto a combattere.

Dalle mura, videro un manipolo di soldati di Rohan cavalcare verso i nuovi arrivati, compresero che si stavano salutando, ma da quelle altezze non riuscirono a capire cosa stesse accadendo in realtà.

 

 

 

« Infine, eccovi qui! » escalmò raggiante Eomer.

« E al momento giusto, a quanto pare! » commentò Aragorn.

« Mai la vista di un amico è stata tanto bella per me, come il vostro arrivo qui! » disse Eomer.

« Oh, lasciate da parte i convenevoli! » sbottò Gimli ad un tratto « C’è un ammasso di stupidi orchi e altra feccia che ci aspetta! »

« Per una volta, do ragione al Nano. » disse Legolas, mantenendo però un tono più solenne.

Aragorn si volse verso Boromir, e lo trovò intento ad osservare la Città. Gli occhi colmi di rabbia e risentimento. Il Ramingo non avrebbe saputo dire se le fiamme che vi scorgeva fossero il riflesso degli incendi che erano stati appiccati nel Pelennor, o la rabbia che ardeva nel cuore di Boromir.

« Pensi di farcela? » gli domandò. Le ferite che aveva riportato a Parth Galen erano guarite, ma lo avevano indebolito molto. Era ancora in fase di guarigione e Aragorn avrebbe preferito che Boromir non combattesse, ma era anche consapevole che niente e nessuno gli avrebbe impedito di combattere davanti alle mura di Minas Tirith, per difendere la sua Città.

« Considerali morti! » ringhiò Boromir sfoderando la spada e preparandosi a partire all’attacco.

Aragorn annuì, e si posizionò al suo fianco: « E sia. »

Ed ecco, il nuovo esercito pronto alla battaglia, e davanti a loro vi era Aragorn, figlio di Arathorn, sulla cui fronte splendeva la Stella di Elendil, alla sua destra Boromir di Gondor, e alla sua sinistra Gimli e Legolas ed Eomer di Rohan.

Un nuovo terribile esercito era pronto a combattere, a difendere le sorti della Terra di Mezzo, con la vita, o la morte.

« Per i nostri amici! » a questo grido di Aragorn, tutti i suoi uomini partirono all’attacco, gridando con voci roche.

Un grido che fece tremare i nemici, e infuse nuovo coraggio negli alleati.

 

 

Fu così, che senza comprendere pienamente ciò che stava accadendo sulle banchine dell’Harlond, dall’alto delle mura della Città Niniel vide l’esercito gettarsi nella battaglia. E non vi era Orco, o Esterling, Sudrone o Olifante, che potesse resistere alla nuova forza giunta a Minas Tirith.

Caddero sotto le spade, le lance, le asce dei nuovi arrivati. I nemici furono uccisi, dispersi.

Combatterono senza sosta fino a sera e, solo quando il sole stava tramontando rendendo, con i suoi riflessi, ancora più evidente il rosso del sangue che tingeva l’erba del Pelennor e le acque dell’Anduin, Niniel vide un piccolo manipolo di soldati avvicinarsi al cancello della Città.

Una sorta di calma irreale e quasi fuori luogo, riempiva ora i Campi del Pelennor dove, fino a poche ore prima, era stata combattuta la più grande battaglia della Guerra dell’Anello.

 

 

« Devo andare! » esclamò all’improvviso Niniel rompendo il silenzio surreale che era calato su Minas Tirith al termine della battaglia.

« Ma… dove? » le chiese Ilarin.

« A cercarlo! »

Ma non fece in tempo a fare due passi che si sentì chiamare e, voltandosi, si accorse che i suoi genitori, insieme a Jamril ed Earine si stavano avvicinando. Niniel gli corse incontro e si gettò tra le braccia della madre, che la strinse a sé tirando un sospiro di sollievo.

« Abbiamo temuto che tu… »

« Siamo scappati dal secondo livello non appena è iniziata la battaglia. » spiegò Niniel indicando Ilarin, Sorien e Asyl.

« Hai notizie di tuo fratello? » le domandò il padre.

Niniel scosse la testa, mentre la preoccupazione tornava ad invaderle il cuore.

« Avete visto cos’è successo? Avete visto le navi? » domandò. Gli altri annuirono.

« Devo assolutamente scendere, sono certa che Boromir fosse su una di quelle. »

« Ma Niniel non è prudente. Potrebbe ancora esserci qualche nemico in giro per la Città! » le fece notare Adhort.

« Non importa, devo andare. Non resisto qui un secondo di più, senza sapere come sta Narith e se Boromir è tra i sopravvissuti. » lo sguardo della ragazza si fece serio e determinato « Io vado. »

La madre sospirò, ma non cercò di fermarla: sapeva che sarebbe stato inutile, in più, lei stessa voleva ricevere al più presto notizie del figlio.

« Niniel… » Earine bloccò l’amica, che si stava già incamminando « Voglio venire con te. In due ci si fa più forza… qualunque cosa sia accaduta. » la realtà, era che sentiva una grande pena nel cuore, al pensiero che fosse accaduto qualcosa a Narith.

« Bene. Vieni con me, scendiamo in groppa ad Harn. »

Poco dopo, le due erano nella stalla che per fortuna non aveva subito particolari danni. Il cavallo era rintanato in un angolo, vivo, ma evidentemente nervoso per via della battaglia.

« Sei sicura di volerlo cavalcare? » domandò Earine preoccupata, consapevole che la paura di Niniel per i cavalli, unita a un cavallo nervoso, potevano trasformarsi in un’arma letale.

« Tranquilla, ormai sono pratica… ehm… papà… mi aiuti a sistemare la sella? »

Earine si nascose il viso nelle mani: « Cominciamo bene! »

Mentre Adhort sistemava la sella, Niniel corse in casa e uscì con una robusta padella, che assicurò al fianco del cavallo. Agli sguardi interrogativi dei presenti, rispose che era l’unico oggetto che, al momento, lei fosse in grado di utilizzare come arma, nel caso avessero incontrato qualche nemico.

 

Qualche minuto più tardi, le due erano in sella al vecchio cavallo. Harn faceva un po’ di fatica, ma era ancora abbastanza forte da sopportare il peso.

« Noi scendiamo a piedi. » le disse il padre « Se dovessi incontrare Narith… » la voce gli si ruppe.

« Non preoccuparti papà. » Niniel non riuscì a dire altro. Le parole le morirono in gola.

Ora che l’entusiasmo per la vittoria era calato, e la mente di nuovo lucida, il cuore degli abitanti di Minas Tirith era tornato pesante. Consapevoli del fatto che i loro figli, padri, mariti, fidanzati, amici, potevano essere rimasti uccisi durante la battaglia, le varie famiglie iniziavano ad aggirarsi per le vie, immerse in un silenzio surreale. I raggi del sole, sempre più basso sull’orizzonte, tingevano di rosso scarlatto ogni cosa, come se non bastasse il sangue dei soldati a conferire quell’aria macabra alla Città.

Durante la loro discesa, più volte le ragazze dovettero distogliere lo sguardo da qualche corpo martoriato, dagli arti, dal sangue. Il loro stomaco più di una volta si contorse, quando alle loro narici giungeva quell’odore metallico.

« E se fra quei… »

« Non lo dire, Earine. Non lo dire. »

Non riuscirono a dire altro. Continuarono a scendere mentre, ogni tanto, un pianto lontano si andava ad aggiungere a quello di qualche figlia, madre, moglie, fidanzata, amica, che aveva ritrovato qualche congiunto.

I guaritori erano già all’opera, e si affaccendavano per la Città, alla ricerca di feriti che avessero bisogno di cure.

Fu così, che Niniel ed Earine giunsero sul secondo livello. Più volte lo sguardo di Niniel corse alla mensa militare, della quale rimanevano solo alcuni muri e un mucchio di macerie.

Fu qui, che udirono un rantolo provenire da dietro un cumulo di detriti.

Niniel scese dal cavallo con un balzo, e si fece largo tra i vari cadaveri, indugiando ad osservare un orco che giaceva a pancia in sotto con la testa per metà staccata dal collo. Nell’udire di nuovo quel rantolo, lasciò perdere l’orribile creatura e superò le macerie, rimanendo col fiato sospeso. Il cuore pareva essersi fermato e l’aria non voleva uscirle dai polmoni.

« Nasten… » chiamò, inginocchiandosi di fianco al capo cuoco della mensa militare e sollevandogli leggermente la testa « Mi… mi senti? »

L’uomo aprì a fatica gli occhi e parve osservarla per alcuni secondi, prima di comprendere chi avesse davanti.

« N-Niniel? »

« Sì. Sì, sono io. »

« Non dovresti e-essere qui. »

« La battaglia è finita… sono arrivate le navi con i rinforzi. Abbiamo vinto! » spiegò lei, mentre le lacrime le affioravano agli angoli degli occhi. In quel momento anche Earine si avvicinò, ma rimase a qualche metro di distanza.

« Vinto? » domandò il cuoco incredulo.

« Sì, Minas Tirith è salva. » gli spiegò lei sforzandosi di sorridere « Ma tu… tu come… »

Nasten sorrise tristemente: « Gli orchi… a quanto pare non ho più l’età per certe cose, ma gliel’ho fatta vedere io… Ah! » gemette, nel tentativo di sollevare di più la testa, ma si arrese.

« Non ti muovere! Stai fermo, ti aiuto io. »

« Ma tu… tu cosa ci f-fai qui? »

« Sono scesa a cercare mio fratello… e Boromir. »

« Boromir? M-ma c-cosa dici? L-lui è… »

Niniel scosse la testa: « Mithrandir ci ha raccontato che non è morto, ma ci aveva chiesto di non dire niente. »

« B-beh, non ci sto… non ci sto capendo molto, ma s-sono felice per te. » disse, e le sorrise, mentre una lacrima solitaria gli scendeva lungo la guancia incrostata di sangue.

« Aspetta qui, vado a chiamare… »

« No! » Niniel venne interrotta dall’uomo « Non serve, non più. Lo sento, c-che sta arrivando la fine. »

« Lascia che almeno io cerchi qualcuno che ti aiuti. » disse con rabbia Niniel mentre le lacrime le scendevano senza ritegno lungo le guance.

« Non ha – non ha senso, Niniel. » rispose lui con voce stanca « N-non ha più senso ormai. »

Niniel gli scostò alcuni capelli dalla fronte.

« Non essere t-triste. Io non lo s-sono. Pensa che tu rivedrai Boromir e i-io… rivedrò lei… » a quelle parole, gli occhi di Nasten si fecero lucidi e distanti, ma all’improvviso parve tornare in sé.

« Voglio, voglio che tu tenga questo. » le disse, e sollevando la mano, le porse il pugnale che Niniel gli aveva visto alla cintura quella mattina.

« So che non è granché come regalo di addio ma… ma sono contenta se lo t-terrai tu. »

Niniel lo prese. Aveva la gola bloccata, e faceva fatica a trovare le parole.

« Io… Non voglio che tu te ne vada… Sei stato l’unico là dentro ad essermi amico, oltre a Ilarin, l’unico che ha creduto in me. »

« C’è un t-tempo per ogni c-cosa, Niniel: un tempo per il lavoro, un tempo p-per l’amicizia, e un tempo per d-dirsi addio. Ti r-ringrazio per essermi stata amica: hai reso più leggeri gli ultimi m-mesi della vita di u-un vecchio scorbutico. »

« Nasten io… »

« Sei f-forte Niniel, n-non dimenticarlo. Io sarò sempre con te. » poi il suo sguardo si fece ancora lontano e appannato, mentre sul suo viso tutte le rughe si distendevano ed appariva un sorriso « Riesco a vederla! »

Niniel strinse forte l’elsa del pugnale, abbassò il viso, in preda ai singhiozzi. Avrebbe urlato, se solo quel nodo in gola non glielo avesse impedito.

Earine le si avvicinò, e prendendola per le spalle la costrinse ad alzarsi.

« Non è giusto. » sbottò Niniel con rabbia.

« Lo so, Niniel, lo so. » la ragazza abbracciò l’amica « Coraggio ora, dobbiamo andare. »

Niniel annuì, ma prima di allontanarsi si chinò su Nasten e sfilò la fodera del pugnale che il capo cuoco portava alla cintura. Le dispiaceva farlo, ma aveva bisogno di un luogo in cui riporre il pugnale, e poi era sicura che a lui non sarebbe dispiaciuto.

Si assicurò il pugnale alla cintura e lanciò un ultimo sguardo all’uomo, prima di montare sul cavallo e riprendere a percorrere la strada verso il cancello della Città.

 

Vari soldati circolavano per le vie, e in ognuno di essi le due ragazze credevano di riconoscere i tratti di Narith o Boromir, ma ogni volta era come una pugnalata, quando si accorgevano che era tutto frutto della loro immaginazione.

Più scendevano, e più le macerie impedivano loro il passaggio, tanto che, arrivate praticamente all’ingresso che dal secondo portava al primo livello, le ragazze dovettero scendere dal cavallo e proseguire a piedi, trascinandosi dietro il vecchio Harn che, pur non avendo preso parte alla battaglia, era ancora spaventato da ciò che aveva udito dalla sua stalla, ed ora si rifiutava di procedere, osservando con occhi terrorizzati la distruzione e la morte che li circondava.

« Coraggio vecchio mio, siamo quasi arrivati! » lo incoraggiò Niniel trascinandolo oltre un cumulo di macerie e corpi di soldati e orchi « Non impazzire proprio ora che ci siamo quasi. »

« Sai, sei buffa… » commentò Earine con un leggero sorriso « Non hai mai potuto sopportarlo quel cavallo, e ora lo incoraggi! »

Niniel si voltò ad osservare negli occhi il vecchio Harn: lei lo guardava stupita, lui la guardava nervoso. La ragazza gli diede una leggera pacca sul collo.

« Ma sì, in fondo ci siamo sempre voluti bene. Avevamo solo bisogno di conoscerci meglio! » ironizzò senza troppa convinzione.

« Un po’ come te e Boromir insomma! » commentò Earine.

Niniel rimase pensierosa per qualche secondo: « Con la sola differenza che Boromir non è un cavallo! »

Le due sorrisero, ma entrambe si accorsero che il sorriso dell’altra era solo un sorriso di circostanza. In un altro momento, per un battuta del genere, Earine l’avrebbe presa in giro come minimo per due ore consecutive. In un altro momento, avrebbero riso insieme per due ore consecutive. Ma in quel momento, la voce con cui Niniel aveva commentato era atona e priva di allegria, ed entrambe si accorsero che quel sorriso voleva più che altro esorcizzare la paura e il terrore che avevano di non ritrovare le persone che amavano.

« Coraggio, continuiamo. » tagliò corto infine Niniel, e ripresero il loro cammino, osservando con orrore la distruzione lasciata dalla battaglia, i corpi mutilati, e scorrendo con gli occhi ogni cadavere, col terrore di riconoscervi qualche conoscente, o peggio ancora Boromir o Narith.

« Dov’è? » domandò ad un tratto Earine « Perché non lo troviamo da nessuna parte? » le lacrime cominciarono a rigarle il volto.

« Magari è rimasto all’esterno e lo troveremo sui Campi… »

« Ma lui era sul secondo livello! » la interruppe Earine.

Calde lacrime cominciarono a bagnare il viso di Niniel, senza che lei potesse impedirlo. Le asciugò con rabbia, ma nuovamente quelle tornarono a scendere, e a lasciarle lunghe striature più chiare, lavando via la polvere che aleggiava nell’aria della Città, e che le si era depositata sul viso.

« Scendiamo, ok? » disse infine « Se anche gli fosse capitato qualcosa, non servirebbe a nulla rimanere qui. »

 

Se ciò che avevano visto all’interno della Città le aveva sconvolte, lo scenario che si ritrovarono di fronte una volta arrivate all’ingresso principale di Minas Tirith era, se possibile, ancora peggio.

Macerie, orchi, cavalli e soldati giacevano ovunque, e non vi erano parole adatte, in nessun idioma della Terra di Mezzo, per descrivere l’orrore, la distruzione, la morte che si stagliavano senza pietà davanti ai loro occhi.

« Che cosa ci fate qui? » la voce di un soldato riscosse le due ragazze che, sconvolte da quella visione, erano rimaste come pietrificate « Non è sicuro per voi questo luogo, ritornate all’interno delle mura! » quindi se ne andò con passo svelto.

Solo in quel momento, Niniel ed Earine si accorsero dei primi soldati che cominciavano ad avvicinarsi all’ingresso e a rientrare a Minas Tirith. Qualcuno giaceva ferito a terra e chiedeva aiuto, qualcuno si trascinava malamente, altri più fortunati, che avevano riportato meno ferite, si aggiravano per il Pelennor alla ricerca dei loro compagni e portavano i primi soccorsi ai feriti, aiutandoli a rientrare nella Città alla ricerca di cure.

« Coraggio. » bisbigliò Niniel con voce tremante, più rivolta a sé stessa che ad altri, e scavalcò quel che rimaneva del possente cancello di Minas Tirith, trascinandosi dietro il cavallo.

Poco lontano da loro, videro un “ometto” di bassa statura che tagliò di netto, senza troppi complimenti, la testa di un orco che ancora si trascinava per il campo di battaglia. Non gli prestarono però molta attenzione: avevano altre priorità in quel, momento.

« Cosa… cosa facciamo ora? » domandò Earine sconvolta e spaesata.

« Non lo so. Cerchiamo. » rispose atona Niniel, rendendosi conto che in effetti non aveva pensato a cosa avrebbe fatto quando sarebbe arrivata sui Campi del Pelennor. L’intento era sì quello di cercare… ma dove e come non lo sapeva proprio.

Scorsero con gli occhi la vastità dei Campi dove sempre più soldati si affaccendavano alla ricerca dei compagni. Parevano formichine impotenti di fronte alla forza del destino che li aveva toccati e solo allora, Niniel si accorse di quanto quelle armature lucenti, che nei giorni di pace l’avevano abbagliata, altro non fossero che fragili specchi: brillano al sole riflettendo la bellezza dei suoi raggi, ma sotto una tempesta si appannano e si spezzano, distruggendo senza pietà quel mondo che avevano specchiato, quel mondo che avrebbero dovuto proteggere.

Camminavano lentamente, guardandosi attorno senza vedere veramente, forse per evitare che quelle immagini troppo violente rimanessero impresse nei loro occhi e nella loro mente.

« Niniel! Earine! » finalmente, una vocetta squillante le riportò alla realtà.

Le due videro Pipino corrergli incontro.

« Cosa ci fate qui? »

Niniel si inginocchiò ed abbracciò il piccolo hobbit che, imbarazzato, arrossì per quel gesto.

« Sei vivo! » gli disse infine osservandolo preoccupata, alla ricerca di qualche eventuale ferita « Stai bene! »

« Ma certo, noi hobbit abbiamo la pelle dura! » scherzò lui.

Quella voce suonò gioiosa e limpida come il battito di una campana a festa, ed ebbe l’effetto di riscuotere leggermente le due ragazze.

« Siamo venute a cercare Narith e Boromir. » disse quindi Niniel.

« Tu li hai visti? » domandò Earine col cuore in gola.

« Mi spiace, ma Narith proprio non l’ho visto. » disse sconsolato il piccolo hobbit scuotendo la testa.

« Ma dev’essere vivo! » lo interruppe Niniel « Non può essergli successo qualcosa! »

« Vedrai che lo troveremo. » cercò di consolarla Pipino, pur sapendo che quelle parole non avevano granché senso, « Era all’interno delle mura, non è detto che si trovi qui! »

Earine deglutì a vuoto, mentre l’amica le stringeva una mano, poi Niniel si rivolse nuovamente a Pipino: « E di Boromir? Sai qualcosa? »

L’hobbit scosse la testa sconsolato: « Mi spiace non potervi essere d’aiuto, ma proprio non l’ho visto. »

Niniel sospirò e gli scompigliò i capelli come per volerlo tranquillizzare: « Non ti preoccupare Pipino! » quindi si rivolse all’amica « Dobbiamo continuare a cercare. »

« Oh, non crederete mica di girare da queste parti da sole, vero?! » esclamò Pipino, stringendo l’elsa della spada che portava alla cintura « Si dà il caso che anche io stia cercando qualcuno, quindi credo che potremmo cercare insieme. Se abbiamo fortuna, da qualche parte qui intorno troveremo Gandalf che ci darà una mano, e poi non mi perdonerei mai se dovesse accadervi qualcosa! »

Niniel ed Earine sorrisero debolmente, ma sinceramente grate al piccolo hobbit per le attenzioni che gli stava riservando e, insieme, cominciarono ad aggirarsi per i Campi del Pelennor.

« Chi stai cercando? » domandò Earine distrattamente al piccolo hobbit.

« Ricordate mio cugino Merry? Ebbene, a quanto pare è giunto qui anche lui e ha combattuto, ma non l’ho ancora trovato. »

In quel momento le due ragazze si accorsero dell’espressione tesa e preoccupata che si era disegnata sul volto di Pipino.

« Se ha un cuore coraggioso come il tuo, sono certa che si trova qui da qualche parte e ti sta cercando! » disse Niniel per incoraggiarlo. Lui le rispose con un sorriso.

L’incontro con Pipino era stato senza dubbio un toccasana per le due ragazze: nonostante tutto si sentivano rincuorate e averlo al loro fianco le faceva sentire stranamente al sicuro.

« Guardate! » esclamò dopo un po’ Pipino, e si mise a correre verso una figura vestita di bianco.

« Eccoti finalmente! Mi stavo chiedendo dove ti fossi cacciato. » esclamò Gandalf vedendo Pipino, quindi osservò stupefatto le due ragazze.

« Stiamo cercando Boromir, e Narith. » spiegò Niniel, felice di rivedere anche lo stregone.

Lui annuì: « Ho visto Narith combattere a lungo insieme ad Alner sulle mura del secondo livello. » spiegò «Purtroppo però l’ho perso di vista quando mi sono dovuto allontanare. » e qui lanciò un’occhiata complice a Pipino, della quale però le due ragazze non si accorsero, preoccupate com’erano di ricevere qualche buona notizia.

Earine sospirò, mentre Niniel si torceva le mani: possibile che nessuno sapesse dirgli qualcosa?

« E Boromir? » domandò quindi, cercando di mantenere la calma nonostante una forte rabbia cominciasse a crescerle nel petto.

Gandalf si scostò, aprendole la visuale verso un gruppo di soldati che, a qualche centinaio di metri di distanza, stavano parlando a bassa voce.

Così, di spalle, le apparve Boromir: i lunghi capelli sudati e impolverati, i vestiti sporchi e incrostati di sangue, una mano saldamente appoggiata sull’elsa della spada che giaceva, ora, nel fodero.

Non avrebbe mai dimenticato quell’immagine e la bellezza e la felicità che ne scaturirono.

Senza accorgersene, stava già correndo verso di lui, ma fu costretta a rallentare perché, forse per via dell’emozione, o forse per i cadaveri e le macerie, i suoi piedi presero a incespicare e rischiò più volte di cadere.

Vedendo un certo movimento, alcuni soldati che si trovavano nel gruppetto si sporsero per vedere cosa stesse succedendo e Boromir, notando che qualcosa alle sue spalle stava attirando la loro attenzione, si voltò.

Stupefatto, rimase per qualche secondo a fissare l’immagine di quella ragazza che incespicava nei suoi stessi piedi, fino a quando lei alzò lo sguardo e si accorse finalmente che lui la stava guardando. Niniel fece come per chiamarlo, ma la voce non si decise ad uscirle dalle labbra, riusciva solo dirigersi verso di lui, aumentando il passo e Boromir, senza pensarci, lasciò il gruppo con cui stava parlando e le andò incontro.

Si ritrovarono così, a metà strada, in mezzo a tutta quella morte, finalmente, una nuova speranza.

Niniel lo abbracciò senza riuscire a dire nulla, mentre le lacrime le rigavano il viso e Boromir, impacciato, rispose all’abbraccio stringendola a sé.

« Sei vivo… sei davvero qui… » singhiozzò poi lei affondando il viso nella veste di Boromir.

« Perdonami… » le sussurrò lui stringendola più forte « Perdonami, è tutta colpa mia. »

Niniel sollevò finalmente lo sguardo: vide gli occhi di Boromir brillare e tremare allo stesso tempo.

« Ma cosa dici? Di cosa dovrei perdonarti? » domandò lei, ma Boromir non rispose ed abbassò gli occhi. Niniel fu sicura di leggervi una sorta si senso di colpa.

« Non c’è nulla di cui ti debba perdonare! » e gli prese il viso tra le mani, dandogli un leggero bacio sulla guancia.

« Come stai? » gli domandò poi, scostandogli i capelli dalla fronte « Sei ferito? Stai bene? » si sciolse dall’abbraccio e lo squadrò da capo a piedi per sincerarsi che fosse tutto a posto.

« Sto bene, è tutto ok! » rispose lui.

« Mi hanno detto che sei stato ferito… »

« Ora è tutto passato. » le accarezzò una guancia, la mano gli tremava « Tu come stai? »

« Bene, ora bene! Ma… ho creduto che tu… » la voce le tremò.

Boromir la abbracciò di nuovo: « È tutto ok. È tutto a posto, ora sono qui! » le bisbigliò all’orecchio affondando il viso nei suoi capelli e inspirando quel profumo che gli era mancato tanto.

Rimasero così per alcuni secondi, fino a quando Niniel si scostò:

« Ci sono un sacco di cose che devo raccontarti. » disse « E anche tu mi devi raccontare tutto quello che ti è successo! »

Boromir si irrigidì, e Niniel parve accorgersene. Stava per domandare qualcosa, ma lui la bloccò.

« Non ora però… » e fece un cenno alle sue spalle « Ho un po’ di cose da fare, la battaglia è passata ma c’è ancora una guerra in corso. »

Niniel annuì, con tristezza.

Era strano, dopo tutto quel tempo… aveva a lungo desiderato quel momento, ma ora era come se qualcosa non funzionasse: Boromir era strano, aveva qualcosa che non andava e lei non riusciva a capire. Si disse che probabilmente era stanco per il viaggio e la battaglia, doveva di sicuro essere per quello, era normale.

« Però… mi racconterai… »

Boromir parve nuovamente a disagio: « Ma certo… » poi, in quel momento parve come riscuotersi o, forse, voleva solo trovare un altro argomento di conversazione « Ma… ti hanno lasciata venire da sola? »

Niniel sollevò il viso e piantò i suoi occhi scuri in quelli grigi di lui: « Non sono sola, ci sono Earine e Pipino con me! » rispose infastidita.

Boromir alzò lo sguardo oltre la spalla di lei, e scorse la cameriera e il piccolo hobbit, che erano ancora di fianco a Gandalf. Accennò un saluto nella loro direzione, e Niniel notò che il suo sguardo si soffermò a lungo su Pipino.

« Comunque cosa credi? Sarei venuta anche da sola se necessario. »

« Oh non lo dubito… ma non è un luogo molto sicuro questo… »

« Guarda che ho una pentola con me! » lo ammonì lei visibilmente infastidita.

Boromir sorrise, e dietro di loro si udì uno sbuffo e un risolino mal celato. Niniel sbirciò verso il gruppo che aveva ripreso a parlare a bassa voce, osservandoli ogni tanto di sottecchi, e vide l’ “ometto”, che poco prima aveva decapitato un orco, ridacchiare di gusto, per poi imprecare in una lingua sconosciuta quando uno strano individuo, dai lunghi capelli biondi, orecchie a punta e un viso perfetto, gli aveva tirato una leggera gomitata.

« Mi hai preso alla tempia! » ringhiò quello più basso.

« Scusa, credevo di mirare al fianco! A volte mi dimentico delle tue… dimensioni. » rispose con noncuranza quello più alto, tornando poi ad ascoltare quello che dicevano gli altri membri del gruppo, ignorando l’ometto che aveva ricominciato ad imprecare in una strana lingua.

Boromir sorrise: « I miei compagni di viaggio… » disse « Te li presento? »

« Magari dopo. » disse lei « Devo andare a cercare Narith: io ed Earine non riusciamo a trovarlo. Sappiamo solo che stava combattendo sul secondo livello, ma non abbiamo avuto altre notizie di lui. »

Boromir si fece serio: « Aspettami qui. »

Si diresse quindi verso i suoi compagni e parlò con un uomo alto, dal portamento fiero e nobile, in netto contrasto con gli abiti e l’aspetto trasandato. Aveva lunghi capelli e barba incolta che gli incorniciava il viso magro e stanco, nel quale brillava un paio di occhio dall’espressione profonda.

Niniel li vide scambiarsi qualche battuta, poi l’uomo dall’aspetto trasandato annuì, quindi spostò il suo sguardo sulla ragazza e la scrutò, con occhi severi ma gentili, per poi farle un cenno di saluto con il capo.

Niniel rimase colpita da quello sguardo e, solo dopo alcuni secondi, riuscì a rispondere al saluto dell’uomo con un leggero inchino.

« Vengo con te. » la voce di Boromir la riscosse, e solo in quel momento lei si accorse che lui era di nuovo al suo fianco « Più tardi devo tornare da loro: abbiamo decisioni importanti da prendere, ma ora vengo con te a cercare Narith. »

Ancora scossa dallo sguardo di quello straniero, Niniel annuì.

« Lo troveremo vedrai! » le disse lui prendendole una mano, e si diressero verso Gandalf, Pipino ed Earine.

 

 

 

 

 

 

Ed eccomiiiiii! Lo so, non è una buona scusa per essere tornata dopo tutto questo tempo, ma credetemi: esami universitari a palate, il computer che poche settimane fa è andato in palla proprio quando mi era tornata l’ispirazione e poi, logicamente, l’ispirazione che da alcuni mesi è più rivolta verso Lo Hobbit che non verso questa fan fiction… e che quando decide di tornare ti fa scrivere 10 pagine in due giorni… strana bestia l’ispirazione…

Comunque, come sempre faccio sproloqui su cose di cui non penso vi freghi niente, quindi passo al capitolo…

Allora… non avete idea di come sia stato difficile scrivere l’ultima parte… se il resto del capitolo in due giorni l’ho scritto (e ci ho impiegato due giorni solo perché necessitavo di fermarmi per mangiare e dormire… altrimenti ci avrei impiegato anche meno…) il pezzo in cui finalmente Boromir e Niniel si rincontrano l’ho dovuto riscrivere tre volte, e vi assicuro che non mi è mai capitato… forse perché era fondamentalmente il capitolo a cui tendeva fin dall’inizio l’intero racconto… però boh, anche ora ho paura di non essere riuscita a rendere bene la situazione, ma è difficile perché penso che Boromir sia un tipo che in fondo non si lascia andare a grandi dimostrazioni di affetto in pubblico, e non volevo esagerare la cosa né in un senso, né nell’altro, facendo un Boromir troppo distaccato e poco credibile… in fondo sono comunque mesi che non vede Niniel…

Non so, spero che vi sia piaciuto e che non ne siate rimasti delusi, vi dico solo che per capire un po’ meglio la situazione e certi comportamenti di Boromir bisognerà aspettare i prossimi capitoli, quando lui e Niniel avranno occasione di spiegarsi. Anche perché… ci saranno ancora vari capitoli, prima di arrivare all’effettiva sconfitta di Sauron e alla fine della Guerra dell’Anello J

Termino lo sproloquio… che è quasi più lungo del capitolo… sorry!!

A presto!

Eowyn 1

 

p.s.

… Nasten ti prego perdonamiiiiiiii! :’(( Non volevo farti morire! L Ora comprendo lo spirito sadico degli scrittori che decidono che alcuni loro personaggi devono morire… Non volevo, te l’assicuro! L Ma era necessario… L Scusate… scappo in un angolino a piangere per questa decisione durissima che ho dovuto prendere! L

   
 
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