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Autore: Angelique Bouchard    19/04/2013    3 recensioni
E se chiudeva gli occhi, anche solo per un istante, il giovane vedeva di fronte a sé quelle iridi verdi mortificate, e forse anche lucide di lacrime, quando lei aveva capito di esser stata scoperta. Faceva male quello sguardo, era quasi più doloroso del fatto in sé, perché era la chiara dimostrazione che Lily aveva fatto tutto alle sue spalle, che non era una semplice svista la sua, che lei non aveva neanche avuto l'intenzione di metterlo al corrente dei fatti.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Severus Piton | Coppie: James/Lily, Lily/Severus
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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One – Shot terza classificata al Contest “Opzione per... 4 gusti +1!” indetto da Eloise_Hawkins sul Forum di Efp.


 

Nickname autore: Angelique Bouchard (Efp), Aurora.96 (Ffz);

Titolo della storia: La casa sull'albero;

Opzione: 4, pacchetto 10;

Pairing: Lily/Severus;

Prompt: Mani;

Citazione: Tra noi due quello che fa più schifo sono io. Tu non mi ami e ti si legge negli occhi. Io so leggere benissimo, e faccio finta di essere analfabeta. (Susanna Casciani);

Trama: Lily sta con James ma non è ancora riuscita a dirlo a Severus;

Genere/i: Introspettivo;

Tipologia: One-shot (tot. Parole: 501 min.);

Raiting: Arancione;

Avvertimento: Missing Moments;

Incantesimo: Expecto Patronum;

Oggetto: Ghirlanda;

Introduzione: E se chiudeva gli occhi, anche solo per un istante, il giovane vedeva di fronte a sé quelle iridi verdi mortificate, e forse anche lucide di lacrime, quando lei aveva capito di esser stata scoperta. Faceva male quello sguardo, era quasi più doloroso del fatto in sé, perché per lui era la chiara dimostrazione che Lily aveva fatto tutto alle sue spalle, che non era una semplice svista la sua, che lei non aveva neanche avuto l'intenzione di metterlo al corrente dei fatti;

Nda (?): Nessuna.


 

 


 

La casa sull'albero


 

 

 

Sentendosi afferrare da un braccio e trascinare di lato, oltre la porta di un'aula vuota, Lily Evans non si spaventò neanche più, com'era invece successo la prima volta che le era capitato. La giovane si limitò a sbuffare, innervosita, impegnandosi solo a non cadere mentre veniva tirata nella stanza buia; Lily non disse una parola finché non sentì la porta dell'aula chiudersi, poi aprì la bocca per esprimere tutto il suo fastidio, ma non ne ebbe il tempo. La strega sentì solo un paio di mani – quelle mani grandi e calde, quelle mani abituate ad afferrare, quelle mani inconfondibili – prenderla per i fianchi e sollevarla come se pesasse dieci chili, per poi depositarla su un banco a caso, prima che una bocca affamata di lei le rubasse il respiro.

«La devi smettere, Potter», ringhiò Lily, tentando di darsi un tono, di mostrarsi forte e determinata come sapeva essere, com'era sempre stata, quando il giovane le permise di riprendere fiato. Ma James non le diede ascolto: le sue labbra scesero a baciarle avidamente il collo, succhiandolo e mordendolo più volte, passandoci poi la lingua umida per rinfrescare i segni infuocati lasciati dai suoi denti. E Lily, sotto quei tocchi infernali, impazzì, come sempre d'altronde, e ogni suo ordine o lamentela risultò nient'altro che un gemito poco articolato.

La giovane strega respirava a fatica mentre James le baciava la giugulare, poi la clavicola, poi in mezzo ai seni coperti solo dal reggiseno rosso, poiché la camicia giaceva di già a terra, stracciata malamente, senza che la ragazza avesse la minima idea di come ci fosse finita. E mentre la baciava, James la torturava con le sue mani – quelle mani avide e ingorde, quelle mani veloci come un fulmine, quelle mani inconfondibili. Le sue mani calorose, anzi, roventi, sfioravano la pelle di Lily con devozione, come se stessero carezzando la più antica e preziosa delle sculture; al tempo stesso, però, erano decise e golose come se il derma della ragazza fosse il più delizioso dei dolci, il più succoso dei frutti, il più corposo dei vini. Quelle mani erano anche rudi, forse, burbere per la brama e il desiderio, incapaci di trattenersi e controllarsi. E Lily si sentiva morire quando una sua mano la sfiorava, ma era una morte tanto dolce e piacevole che avrebbe pagato perché la uccidessero mille volte ancora, perché sapeva che sarebbe rinata non appena le sue mani l'avrebbero posseduta di nuovo, prima che la rispedissero all'Inferno. Era un tocco tanto sublime e celestiale che Lily percepiva lo sbrilluccichio delle stelle dentro di lei, le sentiva precipitare nel suo cuore come una cascata; il loro atterrare, però, anziché romuroso e stridente, era dolce e delicato, attutito da quelle mani che, come fossero ricoperte di seta, salvavano quei diamanti dallo sgretolarsi, poggiandoli poi sul cuore della ragazza con una dolcezza che le faceva girare la testa.

«Ab-biamo lezione», balbettò la ragazza, rabbrividendo mentre James scostava il reggiseno con i denti, graffiando amabilmente la pelle chiara di Lily. Per tutta risposta, il giovane prese tra le labbra il bottone rosato del suo seno, succhiandolo e schiacciando con prepotenza ogni sua ribellione, costringendola a mordersi un labbro per non gemere in maniera tanto sconcia da sconvolgere se stessa.

«J-james...», tentò ancora la Grifondoro, faticando persino a tenere gli occhi aperti. Perché quelle mani, intanto, - quelle mani assassine, quelle mani angeliche, quelle mani inconfondibili - erano salite sui suoi fianchi e strisciavano come vipere sul suo corpo, avvelenandola con il loro ardore e la loro smania di possederla, lasciando su di lei dei solchi colmi di lava bollente, lingue di fuoco che, anziché carbonizzarla, la facevano splendere come mille soli, facendola sentire il centro del mondo, come se tutta l'energia dell'universo fosse legata a lei. E James non si risparmiava, continuava a toccarla e a baciarla come se non riuscisse a saziarsi di lei, come un assetato nel deserto farebbe con un calice d'acqua, come il predatore che, una volta addentata la sua preda, non è disposto a lasciarla per nessuna ragione al mondo.

«Sai», mormorò d'un tratto il Grifondoro, sulla pelle della ragazza, interrompendo per un solo istante la sua esplorazione sul corpo di Lily, «hai ragione, devo smetterla», aggiunse, gemendo appena – e di piacere - quando la ragazza gli strinse i capelli tra le dita, «di dovermi imboscare per poter stare con te», concluse James, mordendo per l'ennesima volta il collo della giovane, quasi volesse mangiarsela.

Lily si sentì gelare, nonostante il fuoco che ardeva dentro di lei, come ogni volta che il Cercatore la sfiorava: un brivido ghiacciato la attraversò dalla testa ai piedi, scuotendola dentro, inducendola a spalancare gli occhi e fissare il buio freddo e immobile della stanza. Lily deglutì, mordendosi poi un labbro, esitante, spaesata, quasi impaurita, come se si fosse appena risvegliata da un incubo, o meglio, come se fosse appena passata dal più meraviglioso dei sogni al peggiore degli incubi.

James, accortosi della sua improvvisa immobilità, si scostò leggermente da lei e tentò, nel buio, di guardarla in viso, per poi domandarle: «Che succede?».

Lily non rispose, troppo impegnata a fermare il vortice scatenato dalle parole del giovane: sapeva cosa significava, sapeva cosa lui voleva, sapeva qual era l'unica pecca di quella loro relazione che, contro ogni più rosea aspettativa, sembrava funzionare magnificamente. James detestava doverlo tenere nascosto, e se in quei due mesi aveva acconsentito l'aveva fatto solo perché gli sembrava già un miracolo che Lily, dopo tutti quegli anni, non l'avesse respinto; ora, però, cominciava a seccarsi, soprattutto perché i motivi della ragazza - «ho bisogno di abituarmi all'idea», «potrebbe essere uno schock per tutti i nostri compagni», «voglio concentrarmi sui compiti di fine quadrimestre, non ho bisogno di scocciatori che mi assillino con domande varie» - erano sempre più futili e fatiscenti. E Lily, ovviamente, non poteva dirgli che la sua ostinazione nel mantere il segreto era dovuta a lui.

Lui che era il suo migliore amico, lui che era anche il peggior nemico di James, lui che era quello con cui si alleava se bisognava “combattere” i Malandrini, lui che non le avrebbe mai perdonato un oltraggio simile.

Severus.

«Ehi», mormorò il Cercatore dopo svariati minuti, durante i quali Lily era rimasta pressocché immobile come una statua, «se ancora non vuoi, non importa. Solo... è così assurdo, Lily», disse James, sporgendosi nel buio per baciare una guancia della ragazza. «Non capisco la vera ragione per cui ti ostini a mantenere il segreto», spiegò il giovane mago, sfregando dolcemente il naso contro la mandibola – ancora rigida – della ragazza.

Lily, sentendosi sciogliere lentamente dal tono soave del giovane, avvicinò la sua bocca a quella di James e lo baciò, lentamente e con tutta la calma possibile. Si allontanarono, di appena pochi centimetri, solo quando i polmoni di entrambi presero a bruciare per la mancanza di ossigeno.

«Dopo Natale», mormorò la giovane dopo aver recuperato fiato, «te lo prometto», aggiunse in un soffio delicato. James, però, sbuffò, scocciato, e allontanò il viso da quello di Lily, ma la ragazza gli strinse le braccia al collo e gli impedì di allontanarsi ulteriormente, ridacchiandogli nell'orecchio: «Bravo, perdi pure tempo a fare il bambino, così non arriverà mai Natale», lo istigò, mordendogli poi un lobo, consapevole che quel gesto lo facesse impazzire. James, infatti, si contorse nel suo abbraccio e, con manovre incomprensibili e irripetibili, riuscì a spingere la ragazza con la schiena sul banco, sovrastandola un istante dopo, mentre le sue mani – quelle mani dolci ma decise, quelle mani esuberanti, quelle mani inconfondibili – ricominciavano a frugare tra le pieghe dei vestiti e la sua pelle, alla ricerca disperata del Paradiso.

 

***

 

I fiocchi candidi e soffici fluttuavano nell’aria con leggerezza, avvolgendosi in piccoli vortici di vento; questi danzava con loro, facendoli volteggiare, mostrandoli al mondo e dando la possibilità a questo di conoscerli, finché, prendendosi un po’ di riposo dal valzer, il vento lasciava che i fiocchi precipitassero al suolo. La neve scendeva lenta dal cielo velato di grigio, cadeva a terra con grazia e delicatezza, carezzava la sua compagna già scesa con dolcezza, posandosi su di essa come una farfalla si posa su un fiore. Tristi di questa banale fine, i fiocchi piangevano poche lacrime mentre toccavano la neve già morta, allacciandosi a lei come acqua ad altra acqua, stringendosi gli uni agli altri in un abbraccio amareggiato, desiderosi di sollevarsi ancora in aria e di danzare di nuovo col vento. La brezza fredda, fischiando beffarda, ballava leggera sulle loro teste, danzava con i loro compagni, giocava con le creste d’acqua del lago che s’innalzavano al suo passaggio; qualche goccia temeraria spiccava il volo, e il vento ballava anche con lei, la portava a spasso e le faceva esplorare il mondo, finché, stufo di quel gioco, la lanciava sulle sponde del lago e andava a cercarne uno nuovo.

 

Severus vide la Grifondoro stringere più forte la bacchetta tra le dita, respirare profondamente e deglutire un paio di volte, mentre si concentrava su un ricordo felice. Lily sorrise dolcemente al pensiero, ignorando i borbottii intorno a lei, gli sbuffi dei compagni che fallivano, le indicazioni ripetute mille volte dal professore di Difesa Contro le Arti Oscure, le arie che si davano i pochi studenti che erano già riusciti nell'Incantesimo. Per un momento – meraviglioso, altroché – Severus era stato certo che il ricordo felice della Grifondoro lo riguardasse, perché la loro infanzia insieme era ricca di momenti idilliaci e magnifici, i loro anni ad Hogwarts erano stati una continua lotta fianco a fianco, un ridere infinito, un dare e ricevere che non era mai costato nulla a nessuno dei due.

«Expecto patronum», mormorò Lily con la sua voce che sembrava un coro di campane.

 

Severus si sentiva un po' come quelle gocce d'acqua: quel vento inarrestabile che era Lily lo aveva strappato alla sua vita monotona e lo aveva accompagnato, per lungo tempo, in una danza di gioia e felicità che lui non aveva mai ballato prima. Ma alla fine l'aveva abbandonato da solo sulla pista da ballo e lei aveva cercato un altro ballerino.

 

«Expecto patronum», ripeté con più convinzione.

 

E ora, Severus piangeva da solo su quel palco innevato, tanto freddo e desolato da bruciare la pelle.

 

«Expecto patronum!». Forte, decisa, potente, meravigliosa, perfetta. Lily Evans.

 

Qualcosa, dentro di lui, si era spezzato per sempre, e ricomporlo sarebbe stato un'impresa ardua e impraticabile al solo pensiero.

 

Ma Lily, quando il suo Patronus iniziò a scorrazzare per la stanza, tra gli applausi e i fischi ammirati dei compagni, si voltò indietro, verso l'altro angolo dell'aula, gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa in una smorfia desolata e quasi impaurita, mentre fissava un Severus che, al contrario, era incapace di posare gli occhi su di lei per più di un secondo alla volta.

E quei sentimenti negativi, visibili attraverso le crepe di quel paesaggio paradisiaco dipinto nelle sue iridi verdi, non permisero alla cerva argentata di camminare ancora sulle teste degli studenti in aula.

 

E se chiudeva gli occhi, anche solo per un istante, il giovane vedeva di fronte a sé quelle iridi verdi mortificate, e forse anche lucide di lacrime, quando lei aveva capito di esser stata scoperta. Faceva male quello sguardo, era quasi più doloroso del fatto in sé, perché era la chiara dimostrazione che Lily aveva fatto tutto alle sue spalle, che non era una semplice svista la sua, che lei non aveva neanche avuto l'intenzione di metterlo al corrente dei fatti.

 

Il Patronus di Lily era la femmina dell'animale in cui Potter si trasformava ormai dal quinto anno, Severus lo sapeva. E un motivo c'era, evidentemente.

 

«Severus»

Per un momento che parve infinito, quell'unica parola risuonò nella mente del giovane, un'eco inarrestabile che demoliva i neuroni come un'onda d'urto, lasciandoli poi sgretolare lentamente mentre si ritirava nel silenzio.

«Va' via», mormorò Severus, senza allontanarsi dalla finestrella dal quale osservava il Lago Nero da più di un'ora. Sì, perché dopo la lezione di Difesa - l'ultima della mattinata - Severus era corso fuori dalla scuola e si era rintanato lassù, nella casa sull'albero. Sembrava quasi autolesionismo il suo, nascondersi nel luogo che più gli ricordava un amore impossibile, ma era stato il primo che gli era venuto in mente, l'unico nel quale si fosse mai sentito bene. Si era reso conto subito che, in quell'occasione, quel luogo non l'avrebbe aiutato per nulla, ma il suo cuore sanguinante l'aveva condotto lì, forse per non disperdere il sangue che sentiva colare dal suo petto, per essere sicuro che quell'organo avrebbe riposato in luogo sicuro e caro quando il dolore sarebbe stato troppo grande per continuare a farlo battere.

«Severus, ti prego», insistette Lily con voce provata, «non puoi mandarmi via, non puoi ignorarmi», aggiunse, «mi dispiace davvero, io avrei voluto dirti tutto sin dall'inizio, ma avevo paura, sapevo che l'avresti presa male. Ti giuro che non avrei voluto che lo scoprissi così. Avrei voluto dirtelo io, e come si deve, ma non era pronta...», mormorò la giovane con tanta tristezza nella voce che il Serpeverde dovette trattenersi per non voltarsi e stringerla a sé. Era una tentazione, la più irresistibile, perchè in quello spazio ristretto il profumo di Lily era ovunque, perchè Severus poteva sentire il suo respiro corto sfiorargli la schiena, perchè riusciva a percepire il calore emanato dal suo corpo. Ma non poteva cedervi, perchè quello stesso calore l'aveva liquefatto, distruggendolo.

Per alcuni minuti rimasero entrambi in silenzio, ma non come spesso capitava tra loro: non era un silenzio piacevole. Era uno di quelli che urlano la propria presenza, un silenzio carico di parole non dette, di paure, di vergogne, di arrabbiature, di offese. Il Serpeverde continuava a guardare fuori dalla finestrella di legno, ignorando la giovane che stava alle sue spalle e che aspettava una sua risposta, una sua reazione, un qualunque cenno da parte sua. Ma Severus non l'avrebbe accontentata, non quella volta. Il suo cuore dolente gli gridava forte di non voltarsi e non parlarle, e lui, anche se solitamente ascoltava il cervello - che in quel momento gli diceva di girarsi assolutamente e di parlare con Lily -, quella volta ascoltò il cuore.

 

«Dobbiamo accendere l'ultima candela», mormorò d'un tratto la Grifondoro, riferendosi, come Severus capì perfettamente, alla ghirlanda poggiata sul tavolino di legno da loro costruito, come l'intera casa; quelle foglie di alloro e quei gigli bianchi che contenevano le candele erano il simbolo del loro Natale, erano la loro tradizione. Ogni anno, un mese prima di Natale, la tiravano fuori e, una domenica per volta, accendeva tutte le candele contenute dai gigli che formavano delle sorte di piccoli calici.

Lily, comunque, sapeva perfettamente che non era la cosa giusta da dire in quel momento, perché il Serpeverde la odiava perché gli aveva mentito per mesi; era semplicemente la più sincera che le fosse venuta in mente, la più dolce che li riguardasse da vicino.

«Si accende di domenica», si limitò a sibilare Severus, freddo e persino furioso. Per un momento, Lily trattenne il respiro come se un Bolide l'avesse colpita in pieno stomaco, come se all'improvviso fosse stata gettata in un lago ghiacciato. Deglutendo a fatica, costringendosi a ingerire il groppone di saliva accumulata in quei secondi infiniti, Lily camminò sino a raggiungere Severus e gli mise le mani sulle spalle, poggiò il mento alla sua schiena e gli respirò sul collo: «Non ha importanza. Non aspettiamo mai l'ultima domenica per accendere la candela che manca», gli ricordò Lily con la voce che tremava appena, come se avesse timore della reazione che le sue parole avrebbero potuto scatenare nel giovane.

«Smettila», disse brusco Severus, scrollandosela di dosso con una spinta non troppo forte. Per un istante, la giovane rimase immobile, congelata da tanta indifferenza; poi Lily sbuffò, riprendendosi, incrociò le braccia sotto al seno, aggrottò le sopracciglia e irrigidì la mascella, come faceva sempre quando qualcuno la contraddiva.

«Perchè?», chiese la ragazza, battendo anche un piede a terra, come quando aveva dieci anni – sentendosi tremendamente infantile e stupida. «Questa è la nostra casa, qui dentro possiamo fare tutto, lo sai. Qui esistiamo solo noi due, nessuno può infilar becco», disse con convinzione profonda.

«Noi due non esistiamo più, Lily, lo sai meglio di me», replicò asciutto il giovane, freddandola sul posto, ghiacciandola dalla testa ai piedi. Lily rimase lì, dietro il ragazzo, immobile e silenziosa, lo sguardo fisso su Severus - che si era girato di poco quando non aveva sentito più alcun rumore provenire dalla compagna - senza neanche vederlo, gli occhi verdi che si inscurivano sempre più velocemente, riempiendosi di calde e salate lacrime che lei, orgogliosa e fiera, non avrebbe mai lasciato cadere.

«Certo che esistiamo ancora, Sev, non puoi neanche pensare il contrario. Non è cambiato niente», tentò di rassicurarlo Lily, fermandosi un paio di volte per stringere i denti e trattenere le lacrime. «So che ho sbagliato, ma ti giuro che stavo cercando il modo giusto per dirtelo... So anche che potrebbe sembrarti assurda la mia scelta, ma ti prego...». Lily si zittì, incapace di continuare a causa del dolore che sentiva nel petto alla sola idea che Severus pensasse realmente ciò che diceva.

Severus scosse la testa - di nuovo voltata verso il Lago Nero. «Non avevi la minima intenzione di dirmi nulla, tu. E la tua scelta non è solo assurda, è completamente folle», disse con rabbia il giovane.

«No, Sev. Ti prego, non dire così, sai che non è vero, non te lo avrei mai tenuto nascosto, volevo solo dirtelo nel modo migliore... Tu sei il mio migliore amico, da sempre e per sempre», mormorò Lily, stringendo le mani a pungo per il dolore, il nervosismo, la colpa che sentiva addosso, «niente e nessuno può cambiare questo», aggiunse la ragazza in un sussurro impercettibile.

 

Per il Serpeverde quell'affermazione fu un vero e proprio pugno nello stomaco: Severus sentì l'impulso di curvare la schiena e chiudersi a riccio per proteggersi dal dolore causato dalle parole della Grifondoro. Avrebbe voluto sedersi e stringersi le ginocchia al petto per chiudere la voragine che sentiva dentro, dalla quale pareva uscire, anziché sangue, la sua stessa anima piangente, il suo stesso cuore trucidato, la sua stessa vita. Ogni torto da lei commesso scomparve: non gli importava che gli avesse tenuto nascosta la sua relazione con Potter, non gli interessava neanche che lei avesse una relazione con quel pallone gonfiato; c'era un'unica vera ragione della sua arrabbiatura, e non aveva nulla a che vedere con tutto questo.

Il suo migliore amico, ecco cos'era lui per Lily, nient'altro che un amico, e poco importava che fosse il più caro. Lei lo vedeva come un fratello probabilmente, come il più fidato dei confidenti. Un amico e basta.

«Il tuo migliore amico...», ripetè Severus quasi con disgusto, scuotendo la testa. Lily, immobile a meno di un metro da lui, alzò lo sguardo a sentir quelle parole pronunciate con un tono tanto nauseato e quasi cattivo. La giovane fece un passo avanti e tentò, con una mano, di voltare Severus verso di lei, ma lui si scansò e voltò il capo dall'altra parte; Severus, o almeno una parte di lui, sperò caldamente che Lily lasciasse perdere e che se ne andasse davvero, lasciandolo lì, solo, così magari sarebbe anche riuscito a mettere ordine tra i suoi pensieri. Ma lei era una Grifondoro, non lasciava le cose a metà e non si arrendeva mai, Severus lo sapeva.

«Cosa vuoi dire?», chiese la ragazza con un tono rasentante l'isteria. «Non lo sei?», aggiunse con la voce che si spezzava sulla negazione. Severus strinse le mani a pugno e strizzò gli occhi: sentiva le lacrime premere per uscire e al tempo stesso la rabbia infiammarlo. Sentiva un fuoco che insieme lo divorava e lo incoraggiava. Gli sembrava di impazzire: avrebbe voluto fuggire ma non riusciva a muoversi, avrebbe voluto piangere ma sentiva di bruciare dall'interno. Avrebbe voluto fare e dire un milione di cose contradditorie tra loro, ma alla fine riuscì a fare solo una cosa, l'unica che il suo cervello sconsigliava, la stessa che il suo cuore gli urlava di fare: dire la verità a Lily.

«Noi non siamo amici!», urlò, voltandosi e facendo un passo verso la ragazza, che, spaventata dall'improvviso ardore, indietreggiò leggermente. «Non siamo mai stati solo amici, Lily!», continuò, fissando finalmente la giovane in quei suoi occhi verdi che gli facevano girare la testa. Ma in quelle iridi, quella volta, Severus lesse solo sconcerto, confusione, un pizzico di paura: non di lui e di ciò che avrebbe potuto fare, ma timore di aver compreso fin troppo bene cosa intendesse il Serpeverde con quelle parole.

«Severus... cosa stai...?», farfugliò Lily, incapace di terminare la frase, persino di elaborare il pensiero. Severus, animato da una grinta e una determinazione che non gli erano mai appartenuti, la prese per le spalle e le si avvicinò tanto da sentire il suo respiro fresco sulle labbra.

«Guardami negli occhi, Lily», le sussurrò sul viso, facendola rabbrividire per la sottile nota di cattiveria che si nascondeva tra quelle parole, «guardami negli occhi e dimmi che io e te siamo sempre stati solo amici», continuò il giovane, stringendo leggermente le braccia esili della ragazza. «Solo così ti crederò», aggiunse dopo un momento di silenzio, speso a fissare i lineamenti sublimi della giovane. Severus sentiva la pelle calda di Lily sotto le sue mani e immaginava il calore del suo corpo a contatto con il proprio. La sua mente era annebbiata da emozioni e sentimenti repressi tanto a lungo da essere esplosi in men che non si dica, come una pozione sbagliata che fuoriesce dal calderone e si sparge ovunque. Il Serpeverde percepiva il proprio desiderio provenire da ogni angolo della casetta, da dentro di lui come da fuori, e il suo cuore ferito immaginò che parte di questa brama venisse da Lily, come se anche lei la stesse provando per lui; nel suo profondo, però, Severus sapeva che era pura illusione. Ma quella volta volle illudersi.

«Severus, non puoi dire sul serio. Io e te siamo amici, migliori amici, ma solo amici. Non siamo mai stati niente di più», sussurrò Lily con una lacrima appesa alle ciglia. Il Serpeverde strinse più forte le braccia della giovane, ignorando il debole lamento che le sfuggì dalle labbra. Severus sapeva che era la verità, conosceva benissimo i sentimenti di Lily nei suoi confronti, sapeva che lei gli voleva bene come se fosse suo fratello, ma il suo cuore a pezzi voleva di più, desiderava ardentemente che lui per lei fosse qualcosa di più, e lo voleva talmente tanto che si era quasi convinto che quella fosse la realtà, che la Grifondoro lo amasse davvero.

«Non dire idiozie, Lily», la rimproverò Severus, poggiando la fronte su quella della giovane, che chiuse gli occhi e deglutì. «I pomeriggi passati a giocare in quel parco giochi, io e te da soli, senza niente, perchè ci bastava stare insieme», rimembrò il Serpeverde, inducendo Lily a stringere le labbra per non scoppiare in lacrime, «le nostre mani che si stringevano durante lo Smistamento, tu che piangevi il giorno dopo, perché eravamo in Case diverse», continuò Severus, imperterrito, convinto di poter portare i sentimenti di Lily su una rotta diversa mettendole davanti simili ricordi. Era accecato dall'amore che provava per lei, quell'amore che aveva sempre bruciato dentro di lui, prima ancora che imparasse a dargli un nome, perchè era lei che aveva acceso quel fuoco nel suo cuore, lei che giocava su quell'altalena, lei che rideva mentre la sorella la sgridava, lei che pareva splendere sotto i raggi del sole. «I nostri incontri notturni quando di giorno eravamo troppo impegnati per vederci, le ore passate quassù, abbracciati a fare niente, solo per stare insieme», disse ancora Severus, «questo non è essere amici, Lily», concluse il Serpeverde con un tono di voce molto più dolce e delicato, posando una mano sulla guancia calda della ragazza, carezzando con devozione la sua pelle di porcellana.

 

Ma Lily aveva ancora gli occhi chiusi, e dietro le palpebre le lacrime spingevano per mostrarsi in tutta la loro lucente sofferenza. Perché se per Severus il loro rapporto aveva un significato grande quanto l'universo, per lei poteva essere al massimo un pianeta di esso.

«No, Severus... non dire così, ti prego. Stai rovinando tutto», mormorò Lily, aprendo lentamente gli occhi e lasciando cadere un'unica lacrima luccicante. Severus parve svegliarsi all'improvviso e la fissò con una rabbia negli occhi neri che Lily temette potesse scagliarle contro una fattura da un momento all'altro.

«No, Lily, sei tu che stai rovinando tutto! Tu che mi lasci per Potter, ecco chi è che rovina tutto!», urlò quindi il Serpeverde, lasciando le braccia della ragazza e buttando le sue al cielo, come se cercasse di trasferirgli la colpa di ciò che stava accadendo. Lily, libera della vicinanza del ragazzo, si ridestò e sentì la frustrazione per quell'accusa senza senso incendiarla, come una scintilla di fuoco accanto a un barile di polvere da sparo.

«Io non ti sto lasciando, Severus! Noi non stiamo insieme, non lo siamo mai stati! Noi siamo come fratelli!», gridò di rimando Lily, trovando dentro di sé la forza Grifondoro che le permise di ricacciare indietro le lacrime.

«Tu mi ami, Lily!», insistette il giovane, stringendo i pugni.

«Non è vero, Severus! Io non ti amo! Non ti ho mai amato! Ti voglio bene da sempre, lo sai, ma niente di più! Perché stai complicando tutto? Perché stai distruggendo la nostra amicizia?», disse ancora Lily, con la voce che si spezzava in punti strani, mentre un insolito e inspiegabile male al petto la colpiva con la forza di una frustata. Ed era Severus a provocare quel male, lo sapeva, lo sentiva.

«Tu non ami Potter, non puoi, non uno così. Non avete niente in comune, non avete mai avuto nulla a che fare se non per litigare! Io sono quello che ti è sempre stato accanto, nel bene e nel male, così come tu sei sempre stata accanto a me! Siamo noi le due facce della medaglia, Lily, io e te, siamo noi i due pezzi del puzzle!», aggiunse Severus, al limite della disperazione. La Grifondoro strinse i pugni tanto forte da farsi sbiancare le nocche, desiderando ardentemente che Severus la smettese, che si rimangiasse tutto, perché nessuno dei due sarebbe uscito vincitore da quel conflitto, avrebbero perso entrambi, e, cosa ancor più triste, avrebbero perso tutto. Ma Severus, evidentemente, la pensava diversamente, o forse era semplicemente accecato dalla rabbia, dalla gelosia, probabilmente anche da un amore che, come Lily in cuor suo aveva sempre saputo, lo aveva sempre animato, portandolo a compiere quell'atto che, pensandoci a distanza di anni, aveva segnato la fine della loro sana e felice amicizia.

Era stato veloce, anzi velocissimo, sinuoso e agile come una vera e propria serpe: si era avvicinato alla ragazza con un solo passo e, prima che lei avesse anche solo potuto realizzare che le era così vicino, aveva posato la sua bocca su quella di lei. Severus aveva chiuso gli occhi e i suoi lineamenti erano stati trasfigurati da un'emozione tanto forte quanto fragile, tanto bella quanto sbagliata, tanto vera quanto immaginaria. Lily rimase immobile per un infinito momento, senza essere in grado di ricollegare il cervello ai muscoli, senza essere in grado di comandare il proprio corpo.

La bocca della ragazza, poi, senza che lei potesse farci niente, tremò leggermente, le sue labbra si chiusero docili contro quelle di Severus e lottarono contro loro stesse per non cedere, perché lei non lo amava, perché baciarlo sarebbe stato come illuderlo, e lei non voleva farlo, lei non voleva che lui credesse in qualcosa che non esisteva, non voleva che sperasse in una menzogna. Ma i suoi occhi si chiusero ugualmente e le sue mani artigliarono quasi con rabbia la camicia di Severus, mentre le sue labbra si modellavano lentamente su quelle del giovane. Non sapeva cosa la spingeva a continuare, non capiva perché non si impedisse di ricambiare quel bacio, sentiva solo di non riuscire a smettere, come se ci fosse qualcosa di nascosto che aveva sempre incuriosito la strega, senza che nemmeno se ne fosse mai accorta. Ora che si stava rivelando, però, quel qualcosa alla giovane non piaceva affatto: Lily sentiva l'ingordigia con cui Severus la divorava e ne era spaventata. Le loro bocche si scontravano con una forza crudele, sbagliata, inaudita e insopportabile. Era diverso quel bacio, il suo sapore, era amaro, triste, rabbioso, niente a che vedere con i baci che James le riservava, quelli che le poggiava sulle labbra quando meno se l'aspettava.

E poi c'erano quelle mani – quelle mani inarrestabili, quelle mani insaziabili, quelle mani sconosciute – che toccavano i fianchi della giovane e carezzavano il suo corpo attraverso la camicia bianca, accartocciandola con maldestria e persino con arroganza, senza riguardo, perché non ne erano capaci, perché sapevano solo cosa volevano, e non il modo giusto per ottenerlo. La Grifondoro sentì quelle mani – quelle mani fredde, quelle mani diverse, quelle mani sconosciute – toccarla in maniera troppo brusca e feroce, senza delicatezza, senza dolcezza; era pura voglia, quel tocco, desiderio antico e animale, era la brama di un uomo perso, solo, forse addirittura pazzo. Lily immaginò le mani di James sul suo corpo, così diverse, così amabili; invece quelle di Severus, mentre la toccavano e la bramavano, erano sbagliate, perché lei non lo amava, perché tutti i discorsi fatti dal giovane erano mulini a vento, castelli di carte esposti a un temporale e le sue mani – quelle mani pesanti, quelle mani rudi, quelle mani sconosciute – Lily non voleva più sentirle.

«No, Severus!», urlò la ragazza, scostando il viso e spingendo indietro Severus con quanta forza aveva in corpo. Il giovane, preso in contropiede, non riuscì a frenare i propri passi e andò a sbattere contro il tavolino sul quale stava posata la ghirlanda con le tre candele accese. L'oggetto cadde a terra, ma nessuno dei due se ne preoccupò; si fissarono, invece, si squadrarono a lungo come se non si fossero mai visti, come se fossero due estranei particolarmente ostili.

«Io... non avrei dovuto... io non ti amo, questo... non significa niente...», mormorò Lily, senza avere il coraggio di guardare il ragazzo negli occhi. Oltre alla colpa per non avergli detto di lei e James, Lily, ora, sentiva anche quella per averlo baciato.

Perfetto, pensò, sarcastica.

«Bugiarda», l'accusò Severus con un ringhio a denti stretti.

«Tu...», mormorò Lily, col fiato corto per l'arrabbiatura e il dolore che sentiva dentro, «tu hai bisogno di calmarti. Ne riparleremo quando non vedrai cose che non esistono», decise, dando un'ultima occhiata al giovane, avviandosi poi verso l'uscita della casa. Lily uscì dalla porticina di legno e scese la scala a pioli che loro stessi avevano costruito, rischiando più volte di inciampare per via della fretta con cui voleva arrivare a terra.

Era già ad alcuni metri dalla casa quando sentì Severus gridarle dietro, e, sebbene fosse certa che era la cosa peggiore che potesse fare, si fermò ad ascoltare.

 

«Che fai, scappi?», le urlò dietro il giovane, saltando da metà della scala e atterrando sulla neve fresca. Lily, sentendosi oltraggiata da quell'affermazione, si voltò indignata e fissò ad occhi sbarrati il compagno che la raggiungeva a grandi passi.

«È questo il tanto decantato coraggio Grifondoro? Bello schifo!»

 

Tra noi due quello che fa più schifo sono io, mormorò una piccola parte di Severus, quella razionale, schiacciata da quella guidata dal cuore.

 

«Sai che ho ragione, ecco perché non vuoi affrontarmi! Tu mi ami, Lily!», continuò Severus.

 

Tu non mi ami e ti si legge negli occhi. Io so leggere benissimo, e faccio finta di essere analfabeta, sussurrò ancora quel Severus ormai sconfitto, rassegnato alle idiozie che l'altra metà di lui stava facendo.

 

Severus sapeva che stava sbagliando, che tutte quelle parole erano false, perché Lily non lo amava davvero, e non lo aveva mai amato. Ma faceva troppo male accettare quella verità, era troppo doloroso, era come un ferro incandescente che attraversava il cuore da parte a parte, come la mano del diavolo che lo stringeva e al contempo lo torturava col suo forcone, come l'annegare, con i polmoni che bruciano, vuoti. Per questo Severus aveva tentato disperatamente di convincere Lily di provare qualcosa per lui, per questo si era illuso che fosse davvero così: per avere una visione in cui credere, perché arrendersi e credere alla realtà era come pugnalarsi allo stomaco con le proprie mani.

Il giovane l'aveva ormai raggiunta e si trovavano uno di fronte all'altra a fissarsi ancora in quel modo strano, innaturale per loro, come se fossero nemici giurati, come se non avessero nulla a che fare.

Come una Grifondoro e un Serpeverde.

«Io non ti amo, Severus», mormorò Lily dopo un'eternità, mordendosi un labbro con i denti bianchi, nel disperato tentativo di non piangere ancora. «Mi dispiace», aggiunse con voce rotta. Severus la osservò, poi scosse impercettibilmente il capo, arricciando leggermente le labbra per la rabbia.

«Non puoi amare Potter», disse con evidente disgusto, sia nella voce che in viso. Lily strinse le mani a pugno e si conficcò le unghie nel palmo con tanta forza che sentì le goccioline di sangue colare sulla pelle. Severus vide con quanta fatica la ragazza stringeva le labbra e gli occhi mentre poche lacrime luccicanti si lanciavano dal burrone dei suoi occhi, morendo quando si scontravano con le sue guance accaldate e arrossate.

«Mi dispiace», ripeté Lily, incapace di dire altro. Severus fece un verso stizzito con la bocca, ma prima che potesse dire alcunché Lily parlò di nuovo, o meglio, urlò.

«Oh no! La casa!». Severus si voltò all'improvviso e vide che, effettivamente, la casa sull'albero – la loro casa, il loro rifugio, tutti i loro ricordi – stava bruciando. Denso fumo nero usciva dalle due finestrelle ai lati, e le fiamme si intravedevano dalle stesse. Prima che entrambi potessero realmente comprendere cosa stava succedendo, due delle pareti della casa iniziarono a sgretolarsi sotto il calore del fuoco, illuminando orrendamente il piccolo spiazzo nel quale si trovavano.

Pensandoci, sia Severus che Lily ricordarono perfettamente il momento esatto in cui la ghirlanda, con le sue candele, era caduta dal tavolino: dopo il loro quasi bacio, bacio che li aveva distrutti per sempre, bacio che li aveva carbonizzati, letteralmente.

Lily, ripresasi dallo sgomento iniziale, si mosse veloce e infilò una mano nel mantello per cercare la bacchetta e spegnere le fiamme, ma Severus le bloccò il polso, guardandola poi con una tale freddezza nello sguardo che, nonostante il calore del fuoco a pochi metri di distanza da loro, Lily si sentì rabbrividire.

«Non c'è più niente da salvare», mormorò il giovane, fissando un'ultima volta quegli occhi verdi e andandosene subito dopo, mentre i suoi occhi bruciavano più del legno alle sue spalle.

 

E non si riferiva solo alla casa sull'albero, Lily lo sapeva.

 

***

 

Quella sera, Lily aveva chiesto a James di poter dormire con lui, sentendosi troppo debole ed esausta per potersi addormentare sola nel suo letto; non aveva idea di quale scusa il ragazzo avesse adottato per sfrattare i suoi compagni di camera. Semplicemente, quand'era arrivata, loro non c'erano già più, e lei non aveva dovuto fornire spiegazioni di alcun tipo. Nemmeno a James aveva dovuto darne, perché, sebbene il giovane avesse immediatamente capito che la ragazza aveva qualcosa che non andava, lui non le aveva chiesto nulla, l'aveva abbracciata e baciata, lasciandole decidere cosa doveva venire dopo. E Lily aveva voluto far l'amore con James. Non lo aveva mai desiderato così tanto, così ardentemente; aveva voluto sentirlo, percepirlo in tutta la sua essenza, ne aveva avuto bisogno come mai prima d'allora. La strega lo aveva baciato con un ardore mai provato prima, aveva carezzato ogni suo angolo di pelle più remoto, per scoprirlo, per viverlo, per fargli sentire che lo voleva e per sentirsi desiderata a sua volta, per sentirsi amata davvero. E James non le aveva fatto mancare nulla, nessun'emozione, nessun brivido, nessuna scossa, nessuna scarica elettrica: il Cercatore l'aveva amata come Lily meritava, non con cattiveria e rabbia, ma con dolcezza e affetto, sincero, vero.

E poi quelle mani...

Quelle mani delicate, quelle mani premurose, quelle mani inconfondibili -; James le aveva fatto toccare il cielo con un dito, le aveva fatto vedere le stelle sul tetto del baldacchino, le aveva fatto vedere tutti i colori dell'arcobaleno, ma senza farla passare in mezzo a un temporale. Lily aveva visto le porte del Paradiso, ci era entrata e aveva guardato l'Inferno bruciarle intorno, così felice di essergli sfuggita, così euforica per non esser stata condannata a restarci per sempre. Perché le mani di James – quelle mani setose, quelle mani giuste, quelle mani inconfondibili – erano quelle che Lily aveva voluto sentire su di lei, le uniche che non avrebbe mai respinto, perché erano quelle che sapevano sfiorarla nel mondo giusto, con la dovuta delicatezza e altrettanta passione, perché erano le mani che la conoscevano davvero.

Molto più che quelle di Severus.

Severus aveva preteso di sapere cosa lei provava per lui, le aveva piantato addosso le sue mani così imperfette e aveva voluto decidere se lei lo amava o no, senza tenere in considerazione i suoi veri sentimenti, distruggendo tutto ciò che avevano, letteralmente, senza sapersi accontentare del bene che Lily gli aveva sempre riservato e che, se lui glielo avesse permesso, non gli avrebbe mai tolto.

James si mosse piano, portando un braccio sulla vita di Lily e abbracciandola inconsapevolmente: la strega si sentì scaldare da un gesto tanto casuale, anzi, provò il calore del fuoco sulla sua pelle, e seppe con certezza che erano le sue braccia che voleva l'abbracciassero, le sue mani che voleva la esplorassero, così come la sua bocca, il suo viso, i suoi occhi. Lui, James Potter.

E se Severus non poteva accontentarsi di essere il suo migliore amico, allora l'avrebbe persa, nonostante tale pensiero scuotesse il petto di Lily di singhiozzi silenziosi che, fingendo di dormire, James ascoltò tutta la notte, promettendosi che non ne sarebbe mai stato la causa.

   
 
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