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Autore: Gaia Bessie    19/04/2013    3 recensioni
Si ferma quando Teddy dorme e si guarda intorno e non capisce più dove inizia la storia e finisce lei
Prima classificata e vincintrice del Premio Brivido al contest "Opzioni per... 4 Gusti + 1" indetto da Eloise_Hawkins sul forum di Efp
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Tonks, Teddy Lupin | Coppie: Ted/Andromeda
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Bessie's Corner 
Poche righe prima di tornare nel mio antro: sono davvero contenta di questo primo posto, che non mi aspettavo affatto. E' una storia complessa, questa, scritta in un momento di assoluta depressione. Ho usato la canzone di Malika Ayane, Niente, come sfondo per questa breve raccolta di Flashfic.
Ovviamente ringrazio la giudiciA per l'eccellente valutazione :)
Detto questo, vi lascio alla (spero) piacevole lettura.
P.S. La frase "Succedeva che... non succedeva niente di quel che doveva succedere" era presente nel pacchetto del contest :)






 
 
I: Ha dei tagli sul viso e niente dentro
 
Cos’ho?
Ho dei tagli sul viso.
Sì, ma io cos’ho?

 
La turbava il suono delle sue stesse lacrime: era un rumore continuo, che increspava quella patina di tranquillità forzata che si respirava nel bagno di casa Tonks. La casa di Andromeda era sempre tranquilla, da quando era diventata solo di Andromeda. Non di Andromeda e Ted, non di Andromeda e Ninfadora.
Di tutte le persone che aveva amato, era rimasta solo lei, l’unica superstite in quella marea di sventure in cui rimaneva a galleggiare. Non riusciva ad affogare, nemmeno con tutto l’impegno che ci metteva: il sale delle lacrime la costringeva a risalire e a respirare quell’ossigeno dolorosamente necessario.
Era sempre Teddy a sorriderle, quando lei respirava di nuovo, costretta dallo scorrere degli eventi. E, anche se lui non poteva saperlo, la ferita più dolorosa la infliggeva quel sorriso: il ricordo che portava e l’immagine di Ninfadora che svaniva, lasciandole solo lacrime da versare. E Andromeda le versava, sempre.
 
La turbava la sua immagine, riflessa nello specchio: quella donna anziana, che somigliava alla bella ragazza che era stata. Era invecchiata tutta in una volta e portava sul viso i segni del suo dolore. Aveva scavato dei solchi, con quelle unghia che si dimenticava di tagliare. O forse lo faceva apposta, per distruggere quella donna che non era lei.
 
La turbavano quei tagli sul viso, che non ricordava mai da cosa fossero provocati e ne attribuiva la colpa a quelle sue unghie. E poi ricordava la furia cieca che l’assaliva, quando la notte si coricava e il letto era sempre troppo vuoto.
 
La turbava quel male che le corrompeva sangue e cuore, mente e spirito. Si svegliava la mattina e si chiudeva in bagno e vedeva sempre la stessa cosa: una donna che non era lei. Era sempre sfregiata da dei tagli.
 
 



II: Non succedeva assolutamente nulla
 
Ma proprio non so
mescolarmi al sorriso
di chi più non ho.

 
Non riusciva più a guardare le foto che teneva sul comodino, mille Ted e Ninfadora che sorridevano perennemente. E lei, quel sorriso, un po’ lo amava e un po’ lo odiava: era come se la nostalgia fosse scolorita inevitabilmente, lasciando posto a sentimenti contrastanti.
Ma la cosa che più turbava Andromeda era che lei, quel sorriso, non sapeva emularlo. Le lacrime si erano intrecciate inevitabilmente al tessuto della sua anima e non la lasciavano più. E così piangeva al posto di ridere, sperando che quelle lacrime significassero qualcosa.
A volte si chiedeva a cosa le servisse tutto quel dolore. La risposta, però, non riusciva mai a trovarla.
 
Non riusciva più a parlare senza piangere: le lacrime che si fondevano inevitabilmente alle parole, rendendole confuse. La notte, finivano tutte nel cuscino, ma di giorno scorrevano libere sul suo volto, insieme al sangue dei suoi tagli.
La cosa peggiore era, però, che Andromeda non era mai in grado di dire cosa avesse.
 
Non riusciva a spiegarlo, la sua sofferenza era così radicata in lei che dopo cinque anni soffriva per inerzia, perdendo di vista l’iniziale motivo di sofferenza. Ma soffriva.
E non guardava mai negli occhi suo nipote, perché aveva sempre paura di vedere lei scolpita nell’iride.
 
Non riusciva a spiegarlo, ma sapeva di stare cedendo alla parte peggiore di sé. Perché succedeva qualcosa e lo sapeva, ma non riusciva a dire cosa.
Succedeva che… non succedeva niente di quello che avrebbe dovuto succedere.
 
 



III: Era già morta
 
Muoio con te
sempre

 
Ultimamente, Andromeda ha iniziato a straparlare. Inizia sempre con una fiaba, un racconto per far addormentare Teddy. E regolarmente si perde nel racconto, in una vita che le somiglia e poi diventa solo sua.
Si ferma quando Teddy dorme e si guarda attorno e non capisce più dove inizia la storia e finisce lei.
 
Ultimamente, Andromeda ha iniziato a fare sogni strani. Non sono sogni, somigliano di più alle fantasie strane di un’adolescente innamorata. Sogna sempre mentre racconta le fiabe a Teddy e inizia a parlare e finisce a soffocare i sogni nelle piume del cuscino.
Si ferma quando la luce le ferisce gli occhi e capisce che era tutto un altro sogno e che il principe non è arrivato e lei è ancora lì.
 
Ultimamente, Andromeda ha iniziato a pensare a opportunità non contemplabili. Si siede e parla e pensa a cose che non dovrebbe pensare, al morbo mortale che la sta divorando. Non capisce cosa le succede, vede solo quelle lacrime che le scivolano sul volto e pensa o vorrebbe che fossero sangue.
Si ferma solo quando il cuscino attutisce il dolore e per un attimo le manca il respiro.
 
Ultimamente, Andromeda ha smesso di esserci. Sono già morta, ha detto una volta. Sono già morta.
Ha capito dopo di aver ragione.
 


 


IV: Una porta chiusa non ne apre una nuova
 
Dove per sempre è finito
Tutto è finito
 

Non sente che la sua voce, nel buio della stanza. E l’eco dei suoi passi che corre con la sua mente, per portarla in un’altra prigione. Spera sempre che non sia fatta di lacrime, perché le sue bastano e lei non ne vuole più.
 
Non sente nessuna voce, in effetti, solo passi veloci e lievi. Un fruscio di pantofole sul legno del pavimento, un respiro accelerato da un’emozione che Andromeda non riconosce. Non capisce se è lei a camminare o il suo fantasma.
 
Non sente assolutamente nulla, eccezion fatta per il lieve mormorio di Teddy, che sogna qualcosa che sua nonna non vedrà mai. Andromeda passa ore a guardarlo, almeno finché non capisce che lei non c’è da qualche tempo e tutto è finito e non ricomincerà daccapo.
 
Sente solo la sua voce, un sussurro lievissimo che le fa accapponare la pelle. Un incantesimo che non salva né uccide.
Colloportus.
Poi la porta si chiude e Andromeda si chiede se sia possibile tornare indietro.
 
La porta si è chiusa, ha chiuso fuori anche una parte del raziocinio di Andromeda. Ma ci ha pensato, troppe volte per contarle tutte quante. E adesso agisce, perché non ha altro.





 
V: Bloody Andromeda
 
E non resta più niente
Proprio niente

 
Ha iniziato a ignorare il suono delle sue lacrime, la vergogna strisciante che la scuoteva inizialmente. Non ha preso la bacchetta: non è Bellatrix, quelle parole non le pronuncerà. Non quelle che hanno ucciso sua figlia e suo marito. Non lo farà per alleviare quella sensazione fastidiosa, quel grido che non sa bloccare.
Sei come lei.
Buffo, ma è sempre Ted a dirglielo.
 
Ha iniziato a ignorare quel tremore che le scuote le mani, le lacrime che si sono congelate sugli occhi e appena dietro. Fra le mani, Andromeda stringe il cuscino. È sempre Andromeda a tremare interiormente e a tentennare.
Ma è Bellatrix, deve essere lei, la donna che preme il cuscino sul viso di Teddy.
 
Ha iniziato a piangere sul corpo del nipotino, svuotata ancor più di prima. La bacchetta non la prende, non vuole prenderla. Vuole conservare quel frammento di sé che ancora non è stato fagocitato dal buio.
 
Ha iniziato a ridere e a guardare oltre quando la lama ha tagliato la carne.
 
 





VI: Non resta più niente
 
E intanto ci uccide
E non lascia resto
E non resta più niente

 
Il sorriso le è rimasto sulle labbra, in un fantasma di pazzia. L’hanno trovata così, con le braccia aperte per accogliere un fantasma e il volto ancora umido di lacrime. Un cuscino in grembo come un pupazzo di un bambino che dorme da solo per la prima volta.
La bacchetta, non l’aveva usata. L’hanno trovata chiusa in un cassetto, accanto a una foto ingiallita dal tempo: rappresentava una bambina. Aveva capelli neri e occhi duri.
Non era Andromeda.
 
L’hanno trovata lontana dal corpo di suo nipote. E tutti si sono detti che non poteva averlo ucciso lei, che non poteva essersi uccisa: non era Bellatrix Lestrange.
Ma Andromeda era morta e stringeva fra le mani la lama e sorrideva esattamente come sua sorella.
 
Li hanno sepolti e dimenticati, hanno scordato volontariamente la pazzia di una donna resa folle da un dolore eterno. Dimentichiamo sempre ciò che ci sorprende.
 
 La vedono tutti. Qualche notte si alza e vaga fra le lapidi e sorride e le braccia le sanguinano ancora. Piange e stringe un cuscino.
Poi arriva suo marito che tiene per mano Teddy e lei smette di piangere e va con loro.
A quel punto, non resta più niente.

   
 
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