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Autore: Kimberly Heiwa    20/04/2013    2 recensioni
ATTENZIONE: STORIA PARTECIPANTE AL CONTEST DI _White_ e Nicholas Dorian Mercurio
Una Mano Bianca che decide il futuro dei viaggiatori tramite un combattimento. Una Mano Artigliata che trasporta nel cosiddetto "Consuma Anime", un posto dove ci si esaurisce pian piano consumati dalla paranoia. Una Pianura Intermedia, ove risiedono le persone che aspettano qualcosa ma non sanno quando arriverà. Una donna che risente delle scelte errate determinate dal suo egoismo delle sua giovinezza. Un gufo reale saggio e amico dell'anziana. Due ragazzi molto amici ma incapaci di parlare chiaramente dei loro sentimenti. Infine, un bosco stregato arabescato da tanti piccoli astri luminosi, che incita i viaggiatori a non decidersi mai sul da farsi: il Coma.
Cosa succederà ai personaggi?
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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INCIPIT: "Non erano mai stati in un luogo come quello, ma i riflessi della luna sull'erba erano familiari, ancestrali e meri. Le stelle parevano essere briciole di pane su uno sfondo nero, che si disperdevano lungo le cime delle montagne che sfidavano il cielo. Era un luogo idilliaco, in cui regnava la tranquillità. Era una fortuna aver trovato un posto del genere durante l'escursione, ma entrambi sembravano desiderosi di trovare qualcosa di molto più invitante, anche se oramai non si vedeva nulla a causa del buio.
Avevano camminato per ore, cosa che molti del villaggio non avrebbero fatto, perché non avevano il coraggio nemmeno di raggiungere il limitare della foresta all'imbrunire, proprio quando tutto si oscurava. Il che era un peccato, data la spettacolarità del cielo. L’alto piano permetteva ai due intrepidi viaggiatori di godere di una vista che mozzava loro il fiato: le stelle erano così nitide e a loro parevano così vicine da poterle toccare semplicemente con un dito. Guardarono lo spettacolo di colori, finché uno di loro non si alzò dal suolo, per poi raggiungere l'albero dalla corteccia rugosa e spessa. Il vento si stagliava sui rami e sulle foglie, alzando uno strato di polvere dal terreno, che si perse dopo qualche minuto oltre la barriera di arbusti e rovi.
L’altra rimase distesa a terra, troppo innamorata di quella visione stellare per staccarsene, tuttavia se ne allontanò con un notevole sforzo, per appoggiare poi gli occhi sull’amico. Anche lui la stava guardando e sulle sue labbra aleggiava un sorriso. Quella curva sinuosa si increspò per dare vita a delle parole."

AUTRICE: Kimberly Heiwa

TITOLO: Coma.

RATING: Giallo

GENERE: Fantasy, romantico, drammatico

 

 

C O M A

 

«È proprio bello, qui. Peccato che tu debba andartene.»

Helen rimase perplessa da quanto l'amico aveva appena detto.

«Perché dovrei, scusa?» gli chiese, agitata.

Freddie si staccò dalla corteccia dell'albero rugoso, che gli lasciò addosso un leggero pulviscolo ligneo. Il suo viso si era fatto tutto ad un tratto pallido, l'espressione cupa, gli occhi lucidi.

La provvisoria felicità della combinazione tra il magico posto e il gioco di sorrisi era andata man mano a scemare sempre più, fino a lasciare un residuo insapore, talmente fatuo da volatizzarsi in poco tempo. Helen si alzò con fatica dal suolo umido; Freddie guardava il burrone sottostante a quella sporgenza di terra sulla quale si trovavano.

Gli scrutò il viso, alla ricerca di un indizio nei suoi occhi improvvisamente plumbei, così ermetici da respingere ogni suo sguardo. Si domandò perché mai le sue iridi non fossero più cerulee, ma decise di non alzare il volume dei suoi pensieri e tramutarli in parole. Poteva bastare così; non voleva mettere in confusione ulteriormente l'amico.

«Freddie, ti senti bene?» si limitò ad interrogarlo.

Lui fece segno di sì, anche se, quel sorriso forzato sembrava celare una preoccupazione non di poco conto. Si volse per ammirare il suo viso; quasi lo studiò, come se fosse stata l'ultima volta che l'avrebbe rivisto. I suoi occhi parevano fotocopiare ogni pigmento di quella pelle così liscia e rosea, assorbivano la luce nelle pupille nere per arrivare ai suoi più intimi propositi ancora da realizzare, carezzavano con mani invisibili i capelli castani, la stringevano di più al suo corpo.

Helen era turbata ancora più di prima: Freddie non le aveva mai rivolto un'attenzione del genere da dieci anni a quella parte. Si trattenne dal non piangere, cercò di mantenere il sangue freddo fino all'ultimo, tentò di capire l'origine di quell'espressione così sofferente e, nel contempo, incapace di cambiare gli eventi passati.

«È tutto a posto, Elle. Davvero, non allarmarti.» le garantì, a stenti.

Helen, tuttavia, non si convinse. Un macigno la colse all'interno del suo petto, proprio dove il suo cuore batteva e pompava sangue senza stancarsi mai, un coltello lo trafisse e, quasi senza accorgersene, Helen sobbalzò al solo pensiero.

«Avanti, non c'è tempo da perdere» la incalzò, nel tentativo di mettere fine a quel momento così imbarazzante per lui. Freddie le sistemò i capelli, quasi nel modo in cui lo avrebbe fatto un padre, prima di salutare la figlia per un viaggio molto lungo. Lei si lasciò aggiustare, mentre fissava un punto nel vuoto dietro di lui, assorta ancora nelle sue ipotesi che avrebbero potuto portare al motivo di quel comportamento. Alzò lo sguardo, accorgendosi della strana immobilità della sua migliore amica. Diede un'occhiata al suo orologio da polso, sul quale, però, non c'erano numeri digitali o analogici, ma solo uno schermo verde, come se fosse stato spento.

«È tardi. Ti senti pronta?»

«Tardi? Tardi per cosa? Io non capisco, Freddie... come mai tutta questa fretta?» gli domandò, arrivata all'apice dello sbigottimento.

Si arrestò per un attimo, incerto su cosa risponderle. Non poteva di certo continuare a sottovalutare ciò che sarebbe successo a momenti, ma, nello stesso tempo, si sentiva perfettamente in grado di farlo. Elle continuava a conficcare gli occhi cigliati nei suoi, in attesa di una reazione.

«Non puoi restare più qui. Ed è un bene, credimi. Può apparire un posto da sogno, ma è soltanto un'utopia, un luogo provvisorio! Sei fortunata, perché tra poco uscirai da qua; quindi sbrigati, tra un po' la Mano Bianca ti verrà a prendere.»

«Mano Bianca? Ma dove ci troviamo, esattamente?»

Freddie si calmò e si fece più vicino all'amica, come se stesse per confessarle un segreto.

«Questo è il coma. Rappresenta la pace più totale, ma non dura per sempre. La Mano Bianca dicono che sia la vita, la quale ti tira via da questo bosco attraversando il cielo stellato, attraversando l'infinità del benessere apparente. Dicono che ti porti in una stanza tutta bianca, dove nessuno ti può sentire. Una linea di fuoco separa ogni strato che sorpasserai, e un cerchio infuocato ti circonderà nel momento del combattimento che deciderà il passo successivo. » le bisbigliò, intento a non farsi sentire da nessuno.

Solo all'udire di una parola inerente al verbo combattere, Helen sbarrò gli occhi, incredula che stesse parlando proprio a lei, incapace di usare l'ammazza-mosche in estate per spiaccicare contro il muro un insetto fastidioso come una mosca.

«C-combattimento?» balbettò, e seguì una risata isterica.

«Sì, un combattimento. Lo sai che puoi farcela, Elle. Devi solo credere in te stessa e reagire, tutto lì.»

«Io? No, stai sbagliando persona, Freddie. Non sono adatta a queste cose... ma ti immagini come potrei?!»

L'amico rimase in silenzio, come per farle prendere austeramente la questione.

«E poi contro chi dovrei... sì, insomma... hai capito, no?» provò a spiegarsi, ancora troppo paurosa per pensare ad una cosa del genere.

Freddie si sedette, prendendosela comoda. Helen, invece, insisteva a fare avanti e indietro, nervosa come non mai, mettendosi le mani nei capelli.

«I tuoi avversari sono delle creature magiche. Non so quale sia il loro nome, ma gira voce che abbiano un aspetto mostruoso e che incute paura; alcuni li descrivono come bassi, brutti e bavosi, mentre altri come alti e belli, ma pronti ad ucciderti quando meno te lo aspetti. Devi essere davvero motivata per vincere.»

«Cosa succederà dopo?» gli chiese, mentre gli si accomodava accanto.

Freddie alzò le spalle, poi rispose: «Dopo... si vedrà. Dipende da come ti comporti, penso.»

«In che senso, scusa?» incitò l'amico a spiegarsi meglio.

«Io non ho mai visto la Mano Bianca di persona... capito per la prima volta in questo posto, proprio come te. Mentre salivamo, però, una signora in pianura mi ha detto qualcosa sul bosco, niente di che. Forse voleva avvertirci, chi lo sa. In ogni modo, mi ha spiegato un po' come funziona tutto l'ambaradan: arrivi qui, ti godi il cielo e la tranquillità, ti porta via la Mano Bianca, ti conduce nella stanza bianca, un cerchio di fuoco sostituisce il ring, delle creature cercheranno di ammazzarti... Ma ricorda: è in quel frangente che decidi il tuo futuro, Elle. Se scegli di batterti, la Mano riconoscerà il tuo istinto di sopravvivenza e ti trascinerà fuori, dandoti l'opportunità di vivere di nuovo la tua vita; se resterai lì senza lottare, interverrà la Mano Artigliata, che ti trainerà nel cosiddetto “Consuma anime”, un luogo contornato da fiamme, che funge da inceneritore degli spiriti presenti, ove ti esaurirai pian piano, mangiata in continuazione dalla paranoia, mentre assisterai all'uccisione di persone tue conoscenti o meno; invece, nel caso abbandonassi la battaglia dopo aver combattuto per poco tempo, la Mano Bianca ti farà tornare nel bosco, affinché tu possa diventare più motivata la prossima volta. Ti prego, battiti.»

Helen guardò gli occhi di Freddie fino ad arrivare in profondità, cercando di catturare la sua anima nel suo cuore, per tenerla con sé per sempre.

«E tu? La Mano Bianca ti verrà a prendere?»

Il ragazzo si incupì. No, non sarebbe venuto a prenderlo nessuno, per ora. Quel silenzio parlava da sé, ma Helen volle sentirselo dire.

«No – confermò sospirando, - Credo non sia ancora giunto il momento per me, Elle. Sei fortunata.»

«Non è vero, non sono affatto fortunata. - dissentì, mentre scuoteva la testa, - Se non mi prometti che ci sarai anche tu, io non vado da nessuna parte.»

Freddie si girò verso la ragazza, lusingato da quella dichiarazione occulta.

«Tutte scuse... avanti, ammetti che sei una fifona!» la prese in giro, per distogliere la sua attenzione dai sentimenti che gli stavano sbocciando dentro.

Sul viso di Helen comparve un'espressione stizzita.

«Stupido! Lo sai cosa intendevo!» esclamò, nel momento che le sue gote acquistavano un colore rosso acceso.

«No, non lo so.» decise di assillarla, serio in faccia.

Helen non ebbe il coraggio di ripetere più chiaramente ciò che gli aveva appena confessato; così lasciò il compito delle labbra e delle corde vocali agli occhi castani.

Restarono in quel modo per una manciata di secondi, che risultarono interminabili.

«Fallo per me, Elle. Scegli la vita per me, per favore.» quasi la implorò, con un tono insolitamente dolce e supplichevole.

«D'accordo... lo farò.»

Freddie sorrise di rimando, mentre mille boccioli si dischiudevano nel suo corpo.

«Tieni, - le disse, mettendole in mano una specie di amuleto, - questo ti servirà.»

«È di titanio, se non sbaglio.» suppose, osservando il colore grigiastro e tastando l'elevata durezza.

L'altro annuì; poi le consigliò di indossarlo al collo, così sarebbe stato più comodo. L'altra obbedì.

In quell'esatto istante videro la Mano Bianca che scendeva dal cielo stellato, la quale raccolse Helen e la portò in alto. Quando sorpassò il cielo, sentì un rumore strano, quasi come se un barattolo sottovuoto venisse aperto, quello schiocco che si ode quando il coperchio viene svitato dal resto.

Subito dopo il rumore delle fiamme arrivò alle sue orecchie; si sentì bruciare dentro, come se il cuore venisse reso in cenere da esse. Una camera bianca dalle pareti imbottite fu la prima meta.

La sua voce rimaneva ovattata tra le mura senza fine; si sentiva minuscola davanti a quel bianco troppo luminoso, tanto insignificante quanto devastante.

Un cerchio infuocato formò una specie di ring, mentre dei mostriciattoli pelosi e forniti di denti aguzzi avanzavano verso di lei. L'aria minacciosa di quegli esseri la spaventò e, di certo, l'unica cosa che voleva fare era tutt'altro che combattere. Per di più era disarmata, mentre loro battevano le clave appuntite contro la mano, desiderosi di utilizzarle per frantumarle le ossa. Rabbrividì solo al pensiero. Parevano non avere un punto debole: la pelle era coriacea e verdiccia, le mani artigliate, le mascelle muscolose, i piedi da orchi e armi che l'avrebbero uccisa all'istante.

Le venne in mente che Freddie, quando le aveva consegnato l'amuleto, le aveva detto che le sarebbe tornato utile. Così lo sfilò dal collo e pensò a come usarlo. Doveva sbrigarsi, però: i mostri si stavano avvicinando sempre più, tirando fuori dai vestiti anche alcune pistole. Appena partirono i primi proiettili, Helen ricorse al talismano di titanio per schivarli. Funzionò alla perfezione: deviava tutti i colpi. Con un solo movimento del braccio riuscì a colpire in testa le creature con le pistole, riuscendo ad ucciderle. Si sorprese di quella forza improvvisa, ma non si deconcentrò; stava andando bene, e non era il momento di rovinare tutto. Intanto, il cerchio di fuoco si stringeva sempre più, finché le fiamme non divorarono lei e l'ultimo sopravvissuto. Fu lì che rimase stupita: la sua pelle non prese fuoco e i suoi occhi riuscivano a vedere l'avversario, come se fossero stati di un materiale ignifugo. La clava urtò la sua anca, ma, stranamente, non percepì alcun dolore e il colpo rimbalzò, fino a scontrare l'occhio del mostro e farlo sanguinare. La bestia urlò dal male, ed Helen ne approfittò per finirlo: con un pugno sullo stomaco lo mise a terra, poi si pose sopra di lui e lo percosse per bene, mentre grumi sanguigni gli fuoriuscivano dalla bocca bavosa; infine, mirò più in alto, sulla cassa toracica. Udì le costole fracassarsi e, poco dopo, il cuore smise di battere. Ce l'aveva fatta. Era riuscita a vincere, a rivincere la vita. La mano chiusa a pugno non sanguinava; toccò le nocche e sentì un rumore metallico, come se fosse diventata di titanio anche lei. Guardò l'amuleto, come se volesse ringraziare Freddie, e l'oggetto riassorbì dal suo corpo gli atomi che gli appartenevano. L'incrocio di fuoco si era spento e la Mano Bianca la sollevò per la seconda volta.

Di nuovo percepì il suono del barattolo sottovuoto nel momento che viene svitato. Aprì gli occhi di scatto e prese una boccata d'aria tutta in una volta, come per riprendere la respirazione dopo un'apnea lunghissima. Era sdraiata su un letto bianco, simile a quello di un ospedale; dei tubi per le flebo erano attaccati ai suoi avambracci, in cui poteva intravedere il suo sangue scuro, probabilmente mentre veniva purificato; il battito cardiaco era scandito da un elettrocardiografo.

L'aria le parse quasi rafferma; le mancò il fiato. Tante domande spingevano per uscire dal suo cavo orale, ma le labbra le sembrarono come incollate le une alle altre. La gola le doleva e le bruciava, se la sentiva graffiata. I muscoli davano l'impressione che fossero incapaci di contrarsi per compiere anche un movimento dei più semplici, come alzare un braccio o, addirittura, un dito.

Le ciglia premevano sulle palpebre affinché si richiudessero e la facessero tornare a dormire. Non percepiva nulla, i suoi sensi apparivano annullati del tutto. Percepì, ad un certo punto, un contatto freddo al di sotto del suo palmo. Le venne naturale provare ad alzare il collo, ma tentò invano, poiché una forza oscura le tirava la testa all'indietro. Era totalmente incapace di funzionare, almeno a livello fisico. Un barlume si accese quando scorse un'infermiera, la quale stava avanzando in direzione del suo letto. Esclamò qualche parola, forse doveva trattarsi di una cosa a suo favore, dato che un sorriso comparve sulle sue labbra. Aveva bisogno di piangere, un terribile bisogno di lacrimare e di urlare. Ma nessuno poteva capirla.

 

Passò un mese, un eterno periodo di trenta giorni e trenta notti, dal risveglio di Helen.

Le spiegarono che lei e Freddie avevano avuto un grave incedente stradale, che aveva provocato dannose conseguenze ad entrambi, facendoli entrare in uno stato di coma. Cominciò a sentirsi meglio, dopo varie terapie e cure all'ospedale. Freddie non si era ancora svegliato, però.

Helen restava a vegliare su di lui tutto il tempo, sperando che potesse destarsi dall'intorpidimento che aveva tenuto stretto, sospeso nel vuoto, anche lei. Nessuno, a parte Elle, lo andava a trovare. Frederick non aveva più nessuno, era stato abbandonato da tutti, ogni suo parente lo aveva rifiutato, lo aveva tralasciato in un angolo, fingendo di non udire il suo bisogno d'affetto, in seguito alla morte della madre. Helen no: Lei c'era sempre stata, e avrebbe continuato a farlo.

L'amuleto le aveva portato fortuna, ma, con tutta la probabilità, non avrebbe giovato al caro amico, giacché ora era in suo possesso. La ragazza si sentì in colpa, perché riteneva che non si sarebbe mai potuto difendere senza il portentoso oggetto. Versò molte lacrime amare sopra quelle lenzuola così nivee e immacolate, sopra quelle braccia inanimate, sopra il volto di un amico che, forse, non avrebbe più rivisto. Gli aveva obbedito, aveva scelto la vita per lui, ma lo stesso toccava a Freddie, ora. Però non era detto che avrebbe agito analogamente, se non avesse avuto un motivo valido per cui lottare.

 

Oramai era da un bel po' che faceva avanti e indietro nervosamente, senza una meta precisa.

Dinanzi a lui si estendeva un bacino d'acqua azzurra, quasi trasparente, ove si potevano contare tutti i pesci che vi nuotavano dentro. Decise di sedersi su un masso sulla riva, per tentare di immaginare meglio il suo possibile futuro. Gli sembrò di trovarsi in un libro fantasy, in cui bisogna prima consultarsi con un oracolo o una sfera di cristallo per compiere un duello. Helen era sicuramente uscita dal coma, mentre lui ancora no. Ripensò all'amuleto di titanio, e a come potesse definirsi spacciato senza esso. Era un talismano molto prezioso e raro, che cresce solo nelle acque profonde del lago Fajro, nelle regioni fredde del vasto bosco. Glielo aveva donato la strana signora della pianura, e gli aveva detto che gli sarebbe servito una volta che la sua ora sarebbe giunta. Tirò un sassolino nello specchio cristallino, il quale lasciò tre cerchi concentrici attorno al punto di caduta. Il leggero tonfo prodotto da quell'ammasso di minerali, gli fece realizzare che gli mancava Helen. Non era una cosa da prendere alla leggera, si sentiva male quando pensava a lei, a come si fossero dati un addio insapore, rispetto a come l'aveva immaginato nei suoi piani. Era a conoscenza del fatto che anche Elle fosse, per lo meno, invaghita di lui, l'aveva capito da tempo, ormai. Un sorriso malizioso si materializzò sul volto, contento di quella capacità così potente di capire al momento le cose. Caspita, senza di lei si sentiva svuotato.

 

Regnava un silenzio strano, un silenzio imparagonabile ad altri. Le faceva male la schiena, dato che era da tre notti di seguito che dormiva su una scomoda poltrona. Freddie non si decideva ad accennare un segnale vitale, e ciò le dava sui nervi. Non poteva abbandonarla, non glielo avrebbe mai perdonato. Erano trascorse altre due settimane. Durante un pomeriggio di pioggia, si stufò di tutto ciò. Basta, voleva mettere fine a quell'attesa interminabile. “O la va, o la spacca”, pensò tra sé e sé parecchie volte. Si assicurò che non venisse vista da nessuno, prese la pietra grigia e gliela mise in mano, serrandola in un pugno. «Spero che ti raggiunga» gli disse, mentre chiudeva gli occhi e pregava chiunque potesse avvantaggiare la sua azione.

 

Freddo. Un masso grigio scuro cadde dal cielo stellato, come un vero e proprio meteorite durante un'apocalisse. Gli cadde in mano, e subito lo riconobbe: era l'amuleto di titanio, il magico aggeggio di cui necessitava. Sorrise, sollevato. Ora sì che era pronto alla battaglia, era arrivato finalmente la sua ora. La Mano Bianca si calò dal cielo senza confini, lo elevò e lo trasportò nella stanza bianca.

Si batté per Elle, ritenne solo lei il suo unico scopo. Era inutile insistere a quel gioco insensato di occhiatine e piccoli, microscopici segnali: Freddie si era innamorato della sua migliore amica.

Non voleva più mentire a se stesso, accettò i suoi sentimenti per intero, una buona volta. Appena si sarebbero rincontrati le avrebbe comunicato ciò che provava per lei, lo avrebbe eseguito senza alcuna esitazione. Dopo la sua vittoria la Mano Bianca lo riportò alla vita reale.

 

Era completamente sveglio. Sbarrò gli occhi, la luce fece dilatare le sue iridi nuovamente cerulee.

Inspirò a pieni polmoni, quasi come se fosse divenuto insaziabile di aria. Istintivamente constatò se l'amuleto era ancora con lui, stringendo le mani per sentire meglio il contatto.

Elle sobbalzò, svegliata da quei rumori strani e, soprattutto, identici a quelli del suo risveglio dal coma. Freddie era sveglio su quel letto d'ospedale, completamente sveglio.

Non indugiò per precipitarsi ad abbracciarlo, senza più contenere il suo entusiasmo crescente.

«Sapevo che saresti tornato, lo sapevo!» esclamò, mentre affondava la sua testa nell'insenatura tra il collo e la clavicola destra del ragazzo. L'amico esibì il suo miglior sorriso, mentre la stringeva più a sé. Era tornato cosciente, capace di ragionare. Quel lasso temporale era apparso senza fine, proprio come quel cielo scuro arabescato da piccoli punti luminosi, gli astri più ammirati: le stelle.

Il cielo si annuvolò, e cominciò a versare lacrime dolci, dapprima leggere e quasi impercettibili, in seguito pesanti e impetuose. Il torace di Elle prese a compiere un movimento oscillatorio, in su e in giù, per far scivolare via i singhiozzi che si erano rintanati dentro la sua pancia. Freddie rafforzò la stretta, come se volesse rincarare la dose d'affetto perduta. Le accarezzò la schiena e le spalle, cercando di rincuorarla. Si trattenne dal non unirsi al pianto di gioia dell'amica, ma si limitò a sorridere con amore. Il tempo e lo spazio erano, in quell'attimo, svaniti, lasciando il posto ai sentimenti allo stato puro. L'allontanò dal suo petto per ammirare il suo viso pulito da ogni specie di preoccupazione. Era bellissima, ma neanche in quell'istante ebbe il coraggio di dirglielo.

Tuoni e lampi rumoreggiarono nel cielo livido, stormi di uccelli scapparono via gracchiando.

Helen si fece più vicina al suo viso, per avverare ciò che bramava da parecchio tempo. Freddie la lasciò fare, felice che fosse stata lei ad eseguire il primo passo di un capitolo appena iniziato, inserito in un racconto che era scritto da tempo. Di fuori infuriava un temporale universale, e fu proprio quando rimbombò il tuono più fragoroso che le loro labbra si toccarono e si lasciarono cullare da un primo bacio umido, un po' salato e tanto desiderato. Quando si staccarono, si guardarono negli occhi e si sorrisero, estasiati da quel gesto tanto semplice quanto importante.

Le pupille nere brillavano di una luce magica, quella posseduta dalle stelle, un chiarore abbagliante. Forse, con quelle innumerevoli volte che avevano scrutato il cielo del bosco, i loro occhi avevano preso il suo stesso colore, una sfumatura speciale che non si può riscontrare in altri luoghi.

 

Sentì un beccare al vetro della sua finestra. Riconobbe il suo profilo maestoso, il portamento regale e quegli occhi così grandi e gialli.

«Nuntius, come mai qui?» gli chiese con tono pacato. Il gufo reale sbatté le palpebre scure, sembrò si schiarisse la voce e disse: «Sono entrambi fuori. Ho potuto vederli al momento del risveglio del ragazzo e, debbo dire che la questione si fa parecchio interessante tra quei due, Agatha.» le annunciò.

La donna dai capelli argentati e gli occhi verdi incurvò le labbra in un sorriso.

«Ne sono sicura, Nuntius. Grazie per il tuo lavoro, te ne sono grata. È rilevante per me sapere che mio figlio non si trovi più qui... insomma, ora va tutto alla grande: c'è Helen, e questo mi rallegra.

Quella ragazza è in gamba, e ha tanto amore da donare; è la persona adatta per prendersi cura di Frederick. Mi fido di lei.» ribatté l'anziana, con le lacrime agli angoli degli occhi.

«Agatha, non vedo il tuo talismano...» le fece notare il gufo, dando un'occhiata dettagliata alla piccola casa di legno.

«L'ho dato a Freddie, ne aveva più bisogno di me.» disse, facendosi un po' cupa.

«Ma... come farai per la battaglia?» le domandò, premuroso.

La donna scrollò le spalle. «Non ci sarà nessun combattimento, Nuntius. Oramai non vale più la pena di battersi. È tardi, ho perso l'occasione quando avrei potuto rimediare.»

Il gufo bubolò per esprimere la sua sorpresa. «Ma come? Non potrai rimanere nella Pianura Intermedia per sempre... prima o poi la Mano Bianca o la Mano Artigliata ti verrà a prendere!» esclamò.

Agatha scosse la testa. «Io voglio restare qui, Nuntius. È un luogo tranquillo, e sto bene così. Non ho detto a Freddie di questa zona, come non gli ho rivelato la mia vera identità. Lo conosco, e si sarebbe fermato qua con me. Ma io non voglio che viva in questo modo... lui ha avuto la fortuna di non sostare per tanto tempo fino ad innamorarsene del bosco stregato, mio figlio ha saputo individuare lo scopo che lo spinge a rimanere in vita: l'amore che prova per Elle. Per me è un altro discorso, Nuntius. Oramai nessuno attende il mio ritorno, e poi, siamo a conoscenza del fatto che sono stata io a cercarmi questa situazione. L'oracolo mi aveva proposto due possibilità, e io ho fatto la mia scelta. Quindi, non mi resta che accettare i fatti come stanno.» gli spiegò, mentre osservava il cielo sempre notturno.

«Come vuoi, Agatha...» gli sfuggì in un soffio unico. Le diede un breve sguardo e si alzò in volo, verso i confini di altri mondi a cui solo lui aveva accesso.

La donna sospirò, pentendosi della sua decisione. Era stata egoista, allora: aveva preferito soggiornare in una regione ove è tutto inerte, dove niente muta il proprio andamento. Aveva preferito scampare al “Consuma anime” e fermarsi nella Pianura Intermedia, in una fascia erbosa di passaggio per chi aspetta qualcosa, ma non sa quando arriverà. Agatha non era in attesa di niente, ma solamente era da parecchi lustri che prendeva tempo. Si diede della sciocca e dell'ingenua: aveva abbandonato il figlio piccolo al proprio destino, senza mai stabilire un vero rapporto con lui, poiché lo interpretava solo come un peso enorme, invece che come un dono molto prezioso. Quel bambino di appena otto anni stravedeva per lei, chiunque glielo avrebbe letto negli occhi uguali ai suoi. Solo dopo averlo perso era riuscita a realizzare quanto fosse stata egocentrica e crudele. Agatha, ora più saggia perché aveva constatato le conseguenze alle sue azioni errate, pianse. «Mi dispiace, Frederick. - cominciò, con la voce rotta dal pianto, - Non dovevo farti questo. Sono una persona orribile... e se tu mai provassi odio per me, ti capisco, perché ne sto provando anch'io per me stessa. Ma ora sii felice, perché hai una persona straordinaria al tuo fianco, una ragazza degna di te. Vivi la tua vita, che sei ancora giovane... non mi dimenticare, Freddie. Ti chiedo solo ciò: non mi dimenticare.» concluse, rivolgendosi alla stella più luminosa di tutte, alla quale aveva donato il nome del figlio.

 

Si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi in una volta sola.

«Mamma» mormorò, come se avesse udito i bisbigli della pianura. Un suo braccio stringeva Elle, che dormiva sonni quieti. «No, non ti dimenticherò. Te lo prometto.» le confermò, riprendendo a riposare come prima.
 

 

FINE

   
 
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