Fanfic su attori > Johnny Depp
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Autore: Nadim    23/04/2013    2 recensioni
Qualcuno vuole fare del male , qualcuno vuole vedere morto il famoso attore.
Lei è solo una cavia. E’ solo il suo lavoro e come tale lo deve svolgere al meglio.
Ma ella è inconsapevole. Si, scaltra,ma ingenua. Intelligente,ma sciocca.
Forse,questa volta, si è immischiata in un caso più grande di lei. Forse.
 ‘Il suo crimine?’ Pensava.
Non lo sapeva,ma non aveva importanza .Lei doveva solo uccidere.
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è facile leggere un libro due giorni di seguito senza tregua, soprattutto se il libro in questione è il più noioso e pesante che uno abbia mai letto; questo April lo sapeva bene.

Così come Johnny sapeva che non era affatto semplice sfogliare pagine di libri scontati e banali, ma contemporaneamente taglienti e acuti. Ma, poteva mai perdere una scommessa?
Certo che sì, oramai l’aveva capito che quello dei libri, era un pretesto che la ragazzina aveva usato per farsi portare a cena. Poteva dirlo direttamente, no?
Forse si vergognava, forse…
“Cavolo, ho cinquant’anni e mi metto ancora a perdere tempo con le ragazzine. A fare scommesse, addirittura. Sono le tre della notte e io sto ancora leggendo. Lo sapevo, non dovevo accettare quel maledetto caffè, non dovevo farmi incuriosire da lei. Ha ragione Jerry, è solo una fan, è chiaro che vuole solo cenare con ‘il suo attore preferito’. Vaffanculo, vaffanculo.”
E così pensando, chiuse il libro che stava leggendo e spense il lumino che gli stava permettendo tale attività.
Buio. Anche ad occhi aperti c’era buio…e il suo cuore si confondeva in quell’oscurità.
Lui lo sapeva, sapeva perfettamente che quello aveva detto poco fa a se stesso, non era ciò che credeva realmente. Era consapevole che quella ragazzina lo stava interessando, eccome. E quella consapevolezza lo stava stringendo in una potente e dura morsa.
Chiuse gli occhi sbuffando e rigirandosi nel letto.
Non poteva, non voleva, interessarsi. A che scopo?
Essere sicuro di non averla già vista, certo. Questo era lo scopo, doveva convincersi che lei non aveva nulla a che vedere con il suo passato. Perché era così, no?
Eppure i suoi occhi erano così familiari, così misteriosi.
Basta. Non ci doveva pensare. Aprì per un momento le palpebre e le richiuse velocemente, stringendo forte quelle due membrane per qualche secondo. E poi finalmente scoprì di nuovo i suoi occhi e questa volta li tenne aperti e nudi difronte al soffitto della sua camera, nero nel buio della notte.
Voleva solo restare tranquillo, essere sereno. Era andato via da casa perché…perchè con Vanessa non stava andando molto bene, anzi, per niente bene. E stare un po’ lontano da lei poteva aiutarlo a  riflettere…non a complicare i suoi pensieri!
Si girò di scatto, adirato, sul materasso.
Per mettere fine ai suoi pensieri aveva bisogno solo di una cosa: rivederla e schiarirsi le idee. E magari convincersi del fatto che Evelyn era solo una ragazza qualunque e nient’altro.
Accese il lumino e sbuffando, prese il libro in mano e ricominciò a leggere.
 
[…]
 
Tip. Tap. Tip. Tap.
“Mmmmh.” Mugolò.
Tip. Tap. Tip. Tap.
Strofinò piano la lingua contro il suo palato, per togliere quella sensazione di sonno impastato che risiedeva lungo tutta la sua bocca. Si passò, poi, una mano lungo la il suo viso e si stropicciò gli occhi, prima di aprirli flebilmente.
Tip. Tap. Tip. Tip. Tip. Tap.
Sbadigliò.
Stupidi uccelli, ma perché non andate a picchiare il becco vicino la finestra di qualcun altro?”
Tip. Tap. Tip. Tap.
“Grazie tante.”
E detto questo si alzò lentamente e si avvicinò alla tapparella, che non lasciava trapelare nessun raggio di luce. La aprì per illuminare la stanza e una volta fatto, vide oltre la finestra gli uccelli volare.
Non aveva nulla contro di loro, solo che appena sveglio non era mai molto allegro, soprattutto se la notte stessa l’aveva passata leggendo. Che ora erano?
Si diresse verso il suo comodino e prese la sveglia osservandola attentamente.
“Undici. E’ presto.” Disse tra se e se.
Così si gettò di nuovo sul letto, a peso morto.
Ci volle un attimo per realizzare che era in rit-
“Sono in ritardo!”
Ecco, appunto. Ritardo. E come una furia, scattò velocemente in piedi, correndo verso il bagno.
 
***
Era ovvio.
“E’ ovvio. Come ho potuto pretendere che lui, una Star famosa internazionale, mantenesse una scommessa con me? Avrà detto di si solo per farmi piacere. Ma grazie Signor Depp, non doveva illudermi, si figuri. E ora cosa dico a William?!”
April era a dir poco arrabbiata. Infatti, mentre imprecava camminava avanti e indietro davanti a quella libreria e ogni tanto, alzava le mani al cielo per scaricare il nervosismo.
Erano le undici e mezza, perché lui non c’era?
Forse era in ritardo, forse era successo un imprevisto o forse non era venuto perché semplicemente non gli interessava. Ecco, quest’ultima per April era l’opzione più plausibile.
Non riusciva proprio a calmarsi. Continuava a darsi della stupida. Per un momento pensò di mollare tutto. Stava facendo troppi sforzi, che non venivano affatto ripagati.
Perché continuare allora? Che senso aveva tutto ciò che stava facendo?
Doveva uccidere. Una persona qualunque sarebbe andata bene, no?
Sbuffò rabbiosamente e si fermò, cercando di calmarsi.
Sarebbe andata via. Oramai aspettarlo nella speranza che lui arrivasse, sarebbe stata solo un’illusione. Meglio non illudersi nella vita. E così, malinconicamente cominciò a camminare verso casa, cercando di trovare un’altra strategia per attirarlo a se.
 
Ma proprio mentre la sue speranze erano andate perse, proprio mentre cercava, comminando, di sbollir il sangue nelle vene, una mano toccò la sua spalla destra e fermò il movimento furioso dei suoi piedi.
“Ciao Evelyn.” Sussurrò a bassa voce.
April si girò di scatto, minacciosa, con gli occhi che parevano voler spruzzare fuoco su quella figura.
“Alla buon ora!” Disse alterata.
“Ho ritardato, lo so è nel mi-”
“Ma no, dai! Pensavo che addirittura tu fossi in anticipo. Ho ritardato. Lo so che hai ritardato, ce l’ho anch’io un orologio!”
Lo interruppe con voce che andava tra l’ironia e tra la rabbia.
“Mio DNA.”- concluse la frase in un leggero sospiro- “Ho letto il libro, comunque.”
La guardò intensamente negli occhi, con la speranza che lei si fosse abbastanza calmata per poter parlare, senza attaccarlo.
April intanto si sentì addosso il suo sguardo. Le faceva così uno strano effetto avere quegli occhi puntati su di se…erano così rassicuranti, dolci, caldi.
Decise di regolare la sua rabbia, cercando di farla scomparire del tutto. Non doveva agire con la testa di April. Ma con quella di Evelyn.
E aveva deciso che Evelyn sarebbe stata una ragazza abbastanza… dolce,sì.
“Anche io l’ho letto.” Dichiarò.
Johnny fu parecchio risollevato da quella risposta, anche perché non voleva fare scenate in pubblico. Già c’era gente che passava e lo guardava per una buona manciata di secondi…
“Allora, chi vince? Pari?”
“Assolutamente no. Io ho vinto.” Disse April con tutta semplicità.
“Tu che cosa?”
“Ho vinto.” Ribadì con un volto abbastanza soddisfatto. “Sei arrivato in ritardo, mi pare.”
“E allora?” Chiese perplesso.
“Cosa ne posso sapere io, che hai ritardato perché hai continuato a leggere? La gara finiva alle undici, no?”
“Beh, se la metti così…come posso sapere io se tu non hai fatto la stessa cosa e hai avuto solo fortuna ad arrivare prima di me?” Disse provocandola.
“In tal caso”- fece con tono sicuro- “se pur avessi commesso qualche irregolarità ho comunque imbrogliato meglio di te, ed ho letto prima di te. Ho vinto comunque.”
Gli sorrise. Un sorriso falso, indisponente, schietto.
Johnny sbuffò. Certo che ne aveva di pepe quella ragazzina, ma non poté fare altro che lasciarsi scappare una lieve risata.
“Oddio, è una situazione così assurda!” Pensò.
“Quindi dovrò portarti a cena.” Disse, infine.
“Esatto.”
“Mmmh…”- fece pensieroso- “...se volevi farti portare a cena da me, bastava dirlo.”
La punzecchiò con tono canzonatorio.
April inclinò di lato la testa, in effetti che bisogno c’era di fare tutte quelle cerimonie?
Poteva chiederglielo e basta, senza utilizzare la storia del libro. Ma chissà perché era convinta che se fosse tornata indietro, avrebbe fatto di nuovo la stessa e identica cosa.
“Magari,” -si disse-“è stato un modo per conoscerlo meglio.”
Oppure era anche un suo modo per divertirsi, per dimostrare che lei vinceva, sempre.
“Sarebbe stato troppo scortese.”
“Ma mi hai chiesto di prendere un caffè insieme.”
“Beh, quello te l’ho offerto io, che poi hai pagato tu è una altro discorso.”
“Già…” Rimasero per un attimo in silenzio.
“Allora ci vediamo stasera?” Riprese poi lui.
April annuì lentamente.
“ Sì, stasera, alle otto. Non tardare.”
Johnny rise.
“Ci proverò. Ti passo a prendere io. Va bene?”
“Va bene.” April ci pensò per un momento su e poi come colpita da un lampo di genio, parlò frettolosamente. “Facciamo che ci incontriamo qui, di nuovo. Passi a prendermi qui, ok?”
Johnny la guardò stranito.
“Sicura? Se mi mostri dove abiti passo lì…direttamente... per me non è un proble-”
“Sicura! Sicurissima, non ti preoccupare, va bene così.”
Esclamò tutto di un fiato.
“Contenta tu…” disse poco convinto. Poi continuò. “A stasera allora.”
“Si, ciao!”
E così, lo vide allontanarsi e raggiungere la sua auto, nella quale entrò poco dopo e partì, andando chissà dove.
April tirò un sospirò di sollievo.
Mai, mai portare in casa la propria vittima, faceva parte del regolamento stabilito dal Signor White.
C’erano tantissime regole che April doveva rispettare, alcune che capiva e altre no. Questa, per esempio, rientrava in quelle non comprese…ma nonostante tutto doveva adattarsi.
Le regole sono regole.
Camminò verso casa, euforica, era felice, felicissima. Aveva concluso ciò che voleva concludere e nulla era più appagante di questo. E poi aveva mantenuto la sua promessa con William, ora l’avrebbe dovuto solo chiamare per riferirgli la bella notizia e lo fece, non appena tornò a casa.
Prese il telefonino dalla sua tasca e compose il numero, poi si avvicinò al suo armadio, aprendolo e fissando il suo interno. Batté  più volte  il  piede a terra, con le mani sopra i fianchi e il cellullare tra l’orecchio e la spalla aspettando una risposta di William e cercando di decidere quale abito mettersi quella sera.
“Pronto?”
“E’ fatta.” Disse lei soddisfatta.
“Oh, Signorina…è fatta?” Chiese lui dall’altro capo del telefono con tono quasi incredulo.
“Si! Non è magnifico?!”
Incominciò a cacciare fuori dall’armadio dozzine e dozzine di pantaloni e maglie di qualsiasi tipo, osservandole attentamente per poi buttarle sul letto.
“Certo, è una cosa magnifica…” Disse lui insicuro. “Ma mi scusi Signorina, esattamente cosa sarebbe stato fatto?”
April si fermò un momento con una felpa in mano. Realizzò ciò che appena aveva detto William e con uno sguardo scettico scoppiò in una fragorosa risata.
“Ma come?”- sospirò divertita- “Il Signor Depp! La suddetta ragazza è stata invitata a cena stasera.”
Si avvicinò al letto, per posare anche quell’ultimo indumento, poi chiuse l’armadio e gli si appoggiò di contro, con la schiena, scivolando pian piano, fino ad arrivare a sedersi a terra.
“La-la su- sud-detta ragazza è stata invitata a cena stasera?” Fece con voce tremolante.
“Ah-ah.” Annuì col capo.
“Dal Signor Depp?!” Chiese con un soffio di voce.
“E da chi sennò?”
“Ma…ma…ma è magnifico!” –esultò- “Insomma, non credevo ce l’avreste fatta! Come ci siete riuscita?”
April sospirò, scuotendo la testa.
“Dubitavi di me, William?”- fece con fare falsamente offeso- “L’importante è farti sapere che ce l’ho fatta, non come…mmmh…ci vuole un po’ di astuzia.”
Concluse, infine.
“Non ho mai dubitato di lei.” Dichiarò con tono rassicurante e caldo.
April sorrise, poi si alzò da terra e si avvicinò al letto, osservando tutto ciò che poco fa aveva cacciato fuori dall’armadio.
“Secondo te, come mi dovrei vestire stasera?”
“Beh…conoscendolo…”-smise di parlare per pochi secondi-“…cioè, conoscendo le ‘Star’, credo che cenerai in un locale elegante.”
“Sì, lo penso anch’io, quindi?”
“Qualcosa di elegante Signorina! Tipo…un vestito, ecco.”
“Un vestito?!”- alzò il tono di voce con fare incredulo- “Io non ho un vestito! Non ho mai messo vestiti, e non ho intenzione di metterli proprio ora!”

In effetti era così. April non aveva  mai indossato nulla di prettamente femminile. Aveva sempre girato per le strade con jeans, pantaloni, shorts, maglie lunghe o corte, camicie, maglioni…ma mai con gonne né tantomeno vestiti o abiti da sera. Non aveva nemmeno scarpe col tacco o ballerine…
…solo quelle da passeggio e da ginnastica. Per non parlare poi dei trucchi. Il suo viso non aveva mai toccato nulla che avesse a che fare con polveri colorate, rossetti, brillantini, mascara, matite o quant’altro. Solo a pensarci, April sentiva un senso di ribrezzo scorrerle lungo tutto il corpo.
Pensava che era inutile sprecare soldi e tempo giusto per sembrare più carina e non mostrarsi, quindi, per quello che lei era veramente.
Anche riempirsi di bracciali, collane e orecchini, la vedeva come cosa poco conveniente, sì.
L’unico ciondolo che possedeva era quello di un aquila bianca, alla quale lei teneva molto e che portava sempre con se, ma non indosso. Di solito lo teneva o nella borsa o nelle tasche dei suoi pantaloni. L’unica cosa che forse, poteva far parte di quel mondo “femminile”, era il colore dei suoi indumenti, che erano quasi sempre colorati, giusto per rispecchiare il suo animo hippie.
In realtà non era neanche colpa sua, se provava una certa antipatia verso quegli oggetti.
Prima di tutto, il regolamento di Mr.White vietava qualsiasi tipo di accessorio o di trucco, che potevano essere un segnale di riconoscimento. Sì, insomma, se durante un delitto l’assassino si faceva scappare un bracciale oppure una polvere di qualche trucco? Poteva essere molto pericoloso.
Anche i capelli erano un problema, infatti il killer doveva o tagliarli molto corti, oppure nel momento dell’assassinio, raccoglierli in una crocchia perfetta.
April, aveva scelto la seconda opzione, non avrebbe mai rinunciato alla sua chioma.
Un altro motivo era lei non era cresciuta con una figura femminile accanto, non una mamma, non una zia, non un’amica che potesse mostrarle “certe” cose…c’era sempre e solo stato William, che di certo non badava a queste cose, ma non per cattiveria, semplicemente erano cose che non appartenevano al suo essere maschio. Sì, insomma…come poteva saperle?
April in quel momento ricordò il primo giorno in cui la sua infanzia fu stroncata dall’avvenire di un importante passaggio nella vita di qualsiasi bambina.
William non sapeva cosa fare, era imbarazzatissimo e lei, invece, piangeva perché credeva che stava per morire.
Rise tutt’ad un tratto.

“Perché ridete?”
“Nulla…pensavo ad una cosa…comunque, vedrò come vestirmi.”
Sospirò infine.
“Mi raccomando, nulla che la faccia somigliare ad-”
“ Uno scaricatore di porto.” Concluse con tono di cantilena. “ Lo so, lo so.”
“Bene…mi tenga aggiornato sui vostri prossimi movimenti…io informerò Mr. White. Alla prossima.”
“Ciao, Will.”
E così spense il cellulare che posò sulla scrivania.
Andò in bagno e si guardò allo specchio.
“Una cena con Johnny Depp…” Pensò.
Era solo l’una e mezza del pomeriggio. Aveva ancora tanto tempo per inventarsi possibili argomenti per la loro conversazione.
“Su, all’opera!”
 
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Buon pomeriggio!
Lo so, ho impiegato tantissimo tempo, mi scuso come al solito hahahah
Allora, che dire…il capitolo prossimo ce l’ho già pronto :33
Diciamo che l’ho spezzato perché altrimenti sarebbe stato troppo lungo o.o
Quindi…spero che questo vi sia piaciuto…davvero, per questa storia ci sto mettendo tutta me stessa.
Per la parte dei “trucchi, bracciali e co.” Beh, diciamo è un po’ la mia filosofia, hahahaha non odiatemi xD
Ringrazio tutti coloro che leggeranno e recensiranno! Ciaaaaaao <3
 




  
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