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Autore: lady hawke    13/11/2007    10 recensioni
Come puoi parlare quando i singhiozzi ti bloccano il respiro? Come puoi accettare un'ingiustizia del genere? Non ti è concesso urlare, puoi solo accettarlo e andare avanti. Puoi raccontare a quegli occhi pieni di domande la verità, sapendo che le farai male. Tonks e Andromeda insieme, all'alba, per dirsi che Sirius non è più con loro [Ispirata da un plot Bunny di ChaDo]
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Tonks, Nimphadora Tonks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole è malato

Tonks era ancora molto intontita, quando Moody si avvicinò a lei.

- Tutto bene, ragazza? A vederti sembri intera! – chiese bruscamente, tentando di rimetterla in piedi. Barcollarono entrambi, rischiando di cadere; Ninfadora non si sentiva affatto salda sulle sue gambe: tremava da capo a piedi. In una situazione normale qualcuno avrebbe trovato la cosa estremamente divertente, ma non in quel momento. La ragazza, confusa, si guardò attorno. Non prestò alcuna attenzione alle parole che le venivano rivolte, continuando a cercare i suoi compagni con lo sguardo. Li trovò tutti, tranne uno.

Dove diavolo era finito Sirius?

Non ci mise molto a capirlo: le urla di Harry riuscivano a sovrastare il caos della battaglia in corso. Continuava ad invocare il nome del padrino, mentre Bellatrix fuggiva, ridendo. Il velo ondeggiava ancora, vivo.

- Tonks! – la richiamò Moody, scuotendola dal suo stato catatonico – Stai bene?

- Sì, sì… sto bene – balbettò lei.

- Dovresti andartene all’ospedale, hai preso una bella botta – constatò l’uomo, quasi ammirato. - Ma io… La battaglia non è ancora finita Malocchio, e i ragazzi… - non completò la frase, ammutolita dal fragore proveniente dall’alto, dall’Atrium.

- Silente deve essere arrivato – mormorò Remus, pallido come non mai, avvicinandosi a loro. – Portiamo i ragazzi ad Hogwarts, dalla Chips – aggiunse.

- E i Mangiamorte?

- Silente manderà qualcuno del Ministero a prenderli. Non possono Smaterializzarsi, per cui sono bloccati qui.
- Andiamo allora – intervenne Tonks, con una certa urgenza nella voce. Non desiderava altro che andarsene.

****

La frenetica attività delle ore immediatamente successive l’assorbì completamente, non lasciandole nemmeno il tempo di pensare.

- Tonks, sei sicura di stare bene? – le chiese dolcemente Remus ad un certo punto.

- Sono solo stanca – mormorò, guardandolo negli occhi. Cercava in lui dolore, sopraffazione, il segno di una lacrima. Non poteva rimanere lì, calmo e disgustosamente freddo. Vi vide soltanto un gran vuoto, era come osservare una perfetta e lucida lastra di vetro. Non traspariva nulla. – Io… - disse poi – c’è ancora bisogno di noi?

- No, no. I ragazzi stanno dormendo e il preside è di sopra nel suo ufficio, con Harry.

- Sta bene?

- Immagino di sì. È forte quel ragazzo. – rispose Alastor. – Vai a casa, Tonks. Prenditi qualche giorno di riposo. Ne avrai bisogno. – aggiunse con fare quasi materno.

- Davvero Ninfadora, vai. Restiamo noi qui. – soggiunse Remus con voce soffocata. – Vuoi che ti accompagni?

- Vado da sola – disse lei, allontanandosi. Uscì dalla scuola percorrendo i corridoi come un automa. Sentì l’eco della voce di Moody dire “Un altro è andato, povero ragazzo”, e per un attimo provò l’impulso di tornare indietro e dare un pugno in faccia al vecchio Auror, per punire la sua fastidiosa mancanza di tatto, poi cambio idea. Raggiunse il primo punto di Smaterializzazione possibile, e svanì lontano.

****

Si ritrovò sola davanti a casa. Le strade tutt’attorno erano illuminate dalla tenue luce dell’alba, ormai prossima. Tonks entrò sbattendo violentemente la porta dietro di sé. Riposo, le aveva prescritto Malocchio. Non riusciva nemmeno ad immaginare di poter dormire, in quelle condizioni. Raggiunse la sua camera e di buttò sul letto, annientata. Ripensò velocemente a quello che era appena successo e si riscoprì a tremare febbrilmente. Un nome si formò rapidamente nella sua testa: Sirius. Non l’avrebbe rivisto mai più. Due lacrime calde scivolarono via dalle sue guance, fugaci. La voce rotta di Harry continuava a rimbombarle nella testa: era stato l’unico a reagire così violentemente.

Era semi svenuta quando tutto era successo, ma non aveva difficoltà ad immaginare ciò che i suoi occhi non avevano visto. Forse era meglio così.

Era colpa sua, in fondo. Il cuore mancò un battito quando comprese la cristallina verità. Si era fatta sfuggire Bellatrix. Era con lei che stava duellando, era lei che si era fatta colpire. Era una Auror, accidenti. Non sarebbe dovuto succedere; l’avevano addestrata per questo.

Tonks si mise bruscamente a sedere e la testa cominciò a girarle vorticosamente. Non ce la faceva, così. Non riusciva a sopportare un peso del genere: aveva voglia di urlare a squarciagola, come mai aveva fatto prima. Perché tutti se ne erano rimasti così tranquilli? Remus era il suo migliore amico e non aveva detto una parola. Non si era aperto nemmeno con lei, continuando a farfugliare dei superflui “Stai bene?”.

Alla giovane strega venne improvvisamente in mente sua madre. Avrebbe dovuto dirglielo. Si morse un labbro, quasi a sangue. Come poteva dire una cosa del genere?

Era pur vero che questo compito spettava a lei, non era giusto che lei lo venisse a sapere da altre fonti. Inspirò profondamente un paio di volte. La paura di dover parlare la stava soffocando.

Guardando la sveglia si rese conto che era troppo presto per recarsi a casa dai suoi genitori. Capì però che se avesse aspettato ancora non avrebbe più trovato il coraggio di aprire bocca. Tonks si sentiva esplodere. Non riuscendo a stare ferma seguì il suo istinto e decise di uscire: si diresse verso la porta quasi di corsa, come se l’aria nella casa si fosse fatta irrespirabile. Avrebbe potuto Materializzarsi immediatamente, ma preferì vagare per un po’ senza meta, come un cane randagio. Doveva riordinare le poche idee che invadevano la sua mente e ricacciare giù i singhiozzi che l’assalivano vigliaccamente.

Si ritrovò, troppo presto, davanti al famigliare portone di legno scuro di quella che era stata la sua casa per quasi vent’anni.

Bussò con una certa ansia. Sentì poco dopo dei rumori sordi provenire dall’interno insieme alla voce di suo padre che borbottava qualcosa di non bene udibile: tutto le rimbombò nella testa che ancora le doleva. Un attimo dopo se lo ritrovò davanti.

- Ninfadora, cosa ci fai qui? – esclamò, sorpreso – mi hai spaventato!

- Scusa – mormorò lei abbassando repentinamente la testa, secondo una consueta formula. Aveva sempre fatto così da che era bambina, ogni qualvolta veniva rimproverata. – Posso entrare?

- Certo – l’uomo si scostò, permettendole di oltrepassare la soglia. Sua figlia sembrava così strana, così turbata. Non ricordava vi averla mai vista in quello stato; non era da lei comparire così all’improvviso alle sei del mattino.

- E’ successo qualcosa? – chiese poi, con delicatezza, mentre la raggiungeva in soggiorno. - La mamma è sveglia? Devo dirle una cosa.

Ted notò l’agitazione del suono della sua voce. Cominciava ad essere veramente preoccupato.

- Ninfadora, cos’è successo? – domandò Andromeda, entrando; indossava ancora la sua camicia da notte.

La giovane strega la fissò e rabbrividì, notando, per la prima volta, la sconvolgente somiglianza tra la donna che le stava di fronte e Bellatrix Lestrange. Stessi lineamenti, stesso portamento elegante: l’unica differenza che balzava alla vista era l’espressione di dolcezza e preoccupazione che vide negli occhi di sua madre.

- Stanotte c’è stata una tremenda battaglia al Ministero, all’Ufficio Misteri e… - Tonks fu prontamente interrotta dalla voce dei genitori.

- Tesoro, stai bene?

- Sei stata colpita?

- Io…sto bene – ripetè per la quarta volta nella nottata, disgustata dalla sua stessa voce atona. – Volevano mandarmi al S. Mungo, ma mi sono rifiutata. Qualche giorno di riposo sarà più che sufficiente – spiegò brevemente.

- Ma…

- Davvero papà, è tutto a posto. Il punto è… - gli occhi pieni di domande di Andromeda la stavano uccidendo. Abbassò nuovamente la testa, mentre le lacrime cominciarono a bagnarle liberamente il viso. – Sirius è… - un singhiozzo la interruppe e lei non fu più in grado di continuare. Sentì il braccio di suo padre cingerle le spalle, mentre lei piangeva, inconsolabile.

Andromeda Black rimase immobile, sconvolta. Non reagì in alcun modo: i suoi occhi si inumidirono soltanto. Sul suo volto comparve un’amara espressione di rassegnazione. – Come? – chiese poi.

La ragazza si asciugò rudemente il viso con la manica della sua giacca, cercando di riprendere il controllo di sé.

- Io stavo duellando con Bellatrix, quando lei è riuscita a mettermi a terra. Lei e Sirius si sono scontrati e poi… lui è andato oltre il velo.

La giovane Auror vide sua madre così distrutta per la prima volta. Aveva mormorato un paio di volte il nome di sua sorella, ed era rimasta in silenzio. Lei era sempre stata così forte e orgogliosa da non essersi mai concessa il lusso di abbandonarsi allo sconforto.

- Mamma, è stata colpa mia. Io mi sono lasciata sopraffare – disse Tonks, all’improvviso. Finalmente aveva dato voce al suo tormento, si era svuotata del tutto. Si sentì peggio, come se fosse stato possibile provare ancora più dolore e senso di colpa. La morsa che la stava stritolando non accennava a darle tregua.

Andromeda si avvicinò a lei, abbracciandola delicatamente.

- Dora non è colpa tua. - disse piano – Sirius è sempre stato perfettamente in grado di badare a se stesso e Bella… - la donna non ebbe cuore di continuare, poiché non c’era nulla da aggiungere. Rimasero entrambe abbracciate, sotto lo sguardo amorevole di Ted.

Lui non aveva mai conosciuto Sirius Black, ma era l’unico della famiglia di cui era riuscito a sapere qualcosa, almeno fino alla notte di Halloween del 1981. Da quell’ennesimo tradimento la moglie si era comportata come un’orfana. Nessun’altra parola sui Black era più uscita dalle sue labbra.

Tonks distaccò dalla madre, e riprese a parlare: - E’ così ingiusto, lui non lo meritava.

La donna sospirò: no, non era giusto, si disse. Tante cose non lo erano.

- Ti dispiace se uso la mia vecchia camera? Ho bisogno di dormire.

- Sì, Dora. Dormi per tutto il tempo che vuoi, non ti disturberemo.

La metamorfomaga si avviò sotto lo sguardo vigile dei due coniugi. Entrò nella sua vecchia stanza, dove era sempre pronto un letto per lei, che spesso faceva improvvisate. Si seppellì sotto le coperte, fingendo di aver dimenticato ogni cosa di quella notte.

****

- Dromeda.. – chiamò Ted, parlando dopo molto tempo.

- Sai, mi aveva fatto avere questo biglietto tramite Ninfadora pochi giorni fa. Non l’ ho ancora letto. – rispose la donna, prendendo una piccola lettera abbandonata sul tavolo accanto.

- Vuoi che te la apra?

- No, non oggi. Non avrebbe più senso nemmeno leggerla. Torna pure a dormire, Ted.

- Non vieni?

- Non ho sonno. – disse, manifestando il desiderio di rimanere sola.

Il mago si alzò e, dopo averla baciata, si diresse verso la camera da letto. Sarebbe voluto rimanere per confortarla, o anche solo per starle vicino, ma capì che non sarebbe stato di nessun aiuto. Andromeda non aveva bisogno di un peso.

Lei rimase sola, con la lettera fra le mani.

Ricordava ancora con chiarezza il giorno in cui la sua piccola era tornata a casa esaltante. Le aveva raccontato di aver conosciuto suo cugino, del perché fosse finito ingiustamente ad Azkaban, dei suoi due anni di latitanza. Apprendere la verità su Sirius le aveva scaldato il cuore; lui era sempre stato l’unico ad accettarla per quello che era, ed era stato un suo merito farle capire che voler essere felici non era sbagliato.

Una fugace corrispondenza era cominciata così, quasi per gioco: brevi lettere spedite con cautela ed estrema attenzione per dare ad entrambi la gioia di avere una famiglia di appartenenza. Da che era scappata di casa, nemmeno Cissy aveva risposto ai suoi tentativi di riconciliazione.

Aveva Ted e Ninfadora, certo, ma quel nostalgico legame con quella sua giovinezza agrodolce aveva un gusto tutto speciale.

Sirius poi, la faceva ridere così tanto!

Sapeva che era orribile per lui stare chiuso in quella casa che malediceva ogni volta.

Andromeda pensò che non avrebbe dovuto: quell’uscita all’aria aperta implorata da mesi l’aveva ucciso, ironia della sorte. Anche Bella doveva aver pregato molto per quella notte di rivincita. Due lacrime salate bagnarono le sue mani; forse era questo a fare tanto male. Rinnegarla una seconda volta non avrebbe comunque cancellato il loro vincolo di sangue.

Si sentì improvvisamente stupida per le false promesse che gli aveva fatto.

Quando tutto sarà finito… scriveva spesso lei, per calmare quell’insofferenza che il cugino le raccontava e descriveva. Quanta frustrazione doveva aver provato, quanta impotenza: come lei ora.

Tutto in realtà era già finito; per lui, almeno.

Andromeda abbandonò la pergamena per osservare il panorama che la grande finestra le offriva. Poteva vedere il sole, fiero, ergersi in tutta la sua magnificenza sopra ogni cosa. Non l’aveva mai trovato così crudelmente abbacinante e freddo.


Note:Ringrazio ChaDo per l'idea suggerita sul forum di Accio, mi ha colpito subito. Credo che sia una delle storie oggettivamente più tristi che abbia mai scritto. Spero di non essere stata patetica, non era mia intenzione. Ho cercato di pensare a come si possa essere sentita Tonks: se ho pianto io alla morte di Sirius figuriamoci lei.
  
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