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Autore: LindaBaggins    27/04/2013    6 recensioni
Nel passato di Thorin Scudodiquercia non ci sono solo un regno e un tesoro perduti. Nel passato di Thorin Scudodiquercia c'è anche una ragazza, che gli era stata promessa in sposa e da cui la caduta di Erebor l'ha separato. Molti anni dopo, però, il passato tornerà a trovarlo, portandosi dietro complicazioni e vecchi segreti che il tempo non è riuscito a cancellare.
STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6. UN NUOVO INIZIO

La porta della Sala del Consiglio si aprì di schianto, e Thràin, accompagnato da due guardie, fece il suo ingresso come un uragano.
Coprì in due lunghi, possenti passi la distanza che lo separava dall’enorme tavolo di quercia intagliata e afferrò le due frecce che vi erano posate sopra, osservandone con sospetto lo strano colore e la forma rozza e minacciosa. Poi, dopo qualche secondo, sollevò sui presenti uno sguardo carico di furente incredulità.
«Nel nome di Durin, che sta succedendo qui?» tuonò passando in rassegna i volti davanti a lui, finché i suoi occhi scuri non incontrarono quelli del figlio.
Thorin ricambiò il suo sguardo con l’aria di chi si ritrovi ad essere, suo malgrado, ambasciatore di notizie poco allegre. Si sentiva esausto. Una volta concluso il combattimento con gli Orchi, senza nemmeno darsi il tempo di recuperare le forze, era tornato immediatamente ad Erebor al galoppo, scortato dalle guardie armate che nel frattempo, avvertite da Dìs, erano sopraggiunte in loro soccorso. Una volta arrivato, aveva subito dato ordine di convocare nella Sala, con la massima urgenza, suo padre, suo nonno e l’intero consiglio. Balin e Dwalin erano accorsi subito, scrutando con aria incredula i suoi vestiti stracciati, la sua spada insanguinata e il suo volto sporco. L’occhiata eloquente che si erano scambiati una volta messi al corrente dell’accaduto aveva confermato a Thorin, ancora assai disorientato, che la situazione era troppo strana per non destare preoccupazione.
«Un’imboscata di Orchi, a nord della Montagna» rispose infine con un sospiro carico di significato, fissando suo padre con aria cupa. Fu incapace di aggiungere altro, per il momento. Il suo cervello faticava ancora a dare coerenza agli ultimi avvenimenti: era successo tutto così velocemente che i suoi ricordi si limitavano ancora a confuse macchie sfocate, a scoppi di urla grottesche e rantoli bestiali, e a immagini fulminee della sua spada che affondava in corpi dalla spessa pelle livida, per poi uscirne intrisa di sangue nerastro.
E, naturalmente, allo sguardo attonito di Elinor, abbandonata contro quella roccia con l’arco stretto in mano. Ai suoi occhi verdi e dorati fissi nei suoi, pieni di mute domande a cui nessuno dei due sapeva dare risposta.
Thràin lo fissava con occhi spalancati che sembravano volergli rimbalzare fuori dalle orbite. Il suo tozzo corpo muscoloso tremava di una rabbia e di un’indignazione incontrollabili, e il pugno stringeva così spasmodicamente intorno alle due frecce che minacciava di spezzarle da un momento all’altro.
«Orchi?» gridò con voce strozzata, mentre chiazze rosse cominciavano a comparirgli sul viso e sul collo. «Dentro i nostri confini?»
« Sono esterrefatto quanto voi, padre.»
Thràin fece saettare lo sguardo da un volto all’altro, come aspettandosi che qualcuno lo contraddicesse, o desse una versione diversa e più plausibile degli avvenimenti. Sembrava che non riuscisse a trovare un senso alle parole che aveva appena sentito. Thorin non lo biasimava affatto. Se fosse stato al suo posto, probabilmente avrebbe pensato che suo figlio era diventato completamente pazzo.
«Quanti?» fu la sola cosa che riuscì a chiedere l’erede al trono del regno di Erebor, muovendo appena le labbra.
Thorin sospirò e si passò una mano sul viso, mentre una terribile spossatezza gli gravava sulle spalle, facendolo sentire più vecchio di almeno dieci anni. «Quindici, forse anche di più» rispose stancamente. «Ci hanno colto di sorpresa. E’ stata una fortuna riuscire ad uscirne vivi.»
E’ stata una fortuna che Elinor avesse con sé quell’arco…
Thorin sapeva di essere un combattente valoroso e instancabile, come la maggior parte dei Nani, ma il suo orgoglio non arrivava certo a fargli credere che, colto alla sprovvista e in netta inferiorità numerica, avrebbe potuto aver ragione, completamente solo, di quasi venti Orchi. Gli costava ammetterlo, dopo aver giurato di disprezzarla per il resto dei suoi giorni, ma le frecce di Elinor e la sua abilità con l’arco erano stati provvidenziali.
Non sarei qui a raccontare com’è andata, se non fosse stato per lei.
Il pensiero lo colpì con tanta violenza che, se gli avessero assestato uno schiaffo in pieno viso, il suo sgomento sarebbe probabilmente stato minore.  Che lo volesse o no, tecnicamente doveva la vita ad Elinor di Dale. Questa consapevolezza gli procurava uno strano miscuglio di sentimenti, che andavano dal senso di colpa per la durezza con cui l’aveva trattata, alla confusione nel vedere completamente cambiate le carte in tavola nel loro rapporto.
«Ma che cosa ci faceva un branco di Orchi così vicino ai nostri confini?» chiese Balin, le braccia incrociate sul petto e l’alta fronte calva solcata da profonde rughe. «E’ rarissimo che si spingano così a sud delle Montagne Grigie…»
Un cupo silenzio denso di interrogativi seguì la domanda. La maggior parte dei presenti si limitò a scuotere la testa e a scambiare occhiate dubbiose con i propri vicini, mentre Thorin, ancora turbato dall’accaduto, fissava in silenzio il pavimento, la mascella contratta e tutti i muscoli del corpo tesi come se da un momento all’altro dovesse affrontare altri Orchi.
«E in pieno giorno, per di più» aggiunse brevemente Dwalin come a completamento della domanda del fratello, i grossi bicipiti incrociati sull’ampio petto e gli occhi ridotti a due fessure. Thorin incrociò per un attimo il suo sguardo, e, senza che ci fosse bisogno di dire nulla, vi lesse la stessa inquietudine che imperversava nella sua testa. Dwalin aveva ragione, rifletté il giovane principe, certo che anche tutti gli altri, nella stanza, stessero pensando la stessa cosa. Gli Orchi erano creature delle tenebre, vivevano in sudice caverne e fetide gallerie, aggirandosi come topi nel buio e cibandosi delle poche forme di vita che condividevano il loro ambiente, non di rado indulgendo al cannibalismo. La luce del sole, insieme alla razza elfica, era la cosa che più detestavano al mondo: li rendeva deboli e disorientati, ma, paradossalmente (o forse proprio per questo) ancora più aggressivi. Solo in casi di estrema necessità si arrischiavano a mettere il naso fuori dai loro cunicoli all’interno delle Montagne Grigie…
Un verso sprezzante del re ruppe il pesante silenzio che si era creato, mentre Thràin scaraventava di nuovo le due frecce sul tavolo con un gesto stizzito.
«Mi caschino tutti e due gli occhi, se so cosa ci facevano quelle fetide bestiacce a zonzo per le nostre terre!» borbottò cominciando a misurare a grandi passi il lato più lungo del tavolo. «Quello che so è che hanno attentato alla vita dei miei figli e di una mia ospite, e questo non posso tollerarlo, per Durin! … Dove diavolo è il re, si può sapere?!»
L’ultima parte della frase fu sbraitata contro una povera guardia appena entrata nella stanza, che Thràin doveva evidentemente aver mandato a chiamare Thròr e che era, suo malgrado, tornata a mani vuote.
«Su… Sua Maestà mi manda indietro a dirvi che è molto impegnato, mio principe… e… che non potrà presenziare alla riunione…» balbettò il nano, come temendo che Thràin potesse prendersela con lui.
E in effetti, per un momento, parve che le sue paure fossero fondate: il viso del principe ereditario si coprì di chiazze rosse, le sue grandi mani callose si strinsero a pugno, e i presenti trattennero all’unisono il respiro, vedendolo già scagliarsi pieno di collera contro lo sfortunato ambasciatore.
Thorin non biasimava la sua rabbia e la sua frustrazione: il messaggio di suo nonno aveva lasciato attonito anche lui. E, senza bisogno di voltarsi, poteva immaginare le espressioni basite dei nani intorno a lui, poteva vedere gli sguardi di muto stupore che si stavano scambiando. Se Thròr non emergeva dalla Camera del Tesoro nemmeno alla notizia che un gruppo di Orchi aveva attaccato due dei suoi nipoti all’interno dei confini di Erebor, significava che né Thorin, né suo padre, né alcuno dei presenti aveva nemmeno lontanamente capito quanto fosse grave la situazione in cui versava la sua mente …
Per fortuna, all’ultimo momento, Thràin parve recuperare il controllo di sé. Benedetto dai Valar con la capacità di dominare i propri focosi impulsi (caratteristica che a Thorin era stata elargita con grande parsimonia), sembrò capire che, per il momento, il problema più urgente da affrontare era un altro, e che la malattia di suo padre avrebbe dovuto aspettare ancora per un po’.
«Bene» disse in tono sbrigativo, volgendo le spalle alla guardia (che pensò bene di svignarsela alla chetichella dalla stanza) e poggiando i pugni sul tavolo con aria, se possibile, ancora più cupa. «Questa faccenda è gravissima, e deve essere affrontata con la massima urgenza. Thorin, che cosa sei riuscito a capire sul conto di quelle immonde creature?»
Thorin giunse le braccia dietro la schiena e spinse il mento in fuori, cercando di ostentare fermezza e una calma che in quel momento era assai lontano dall’avere. Se c’era uan cosa che suo padre gli aveva insegnato, era che non doveva mai mostrarsi debole, di fronte al suo popolo.
«Ben poco, padre» rispose, senza riuscire a nascondere una sfumatura di amarezza nella voce. «Ci sono balzati addosso all’improvviso, abbiamo avuto a malapena il tempo di renderci conto di ciò che stava succedendo…»
La treccia bionda di Elinor che si agitava selvaggiamente nella foga del combattimento…
La sua spada che usciva, lorda di viscido sangue nero, dal ventre di un orco ragliante…
Gli occhi famelici dell’orco a capo del gruppo, che scrutavano bramosi le sue membra scomposte sull’erba…
Le sue fauci aguzze che schioccavano nella sua direzione…
Thorin chiuse gli occhi per un momento e li riaprì. I consiglieri li guardavano in silenzio, i volti scuri e le mani che lisciavano la punta delle barbe con fare meditabondo. Maledì il fatto di non avere nient’altro di utile da dire.
«Tuttavia, trovo sorprendente che quindici orchi siano stati sconfitti pur essendo in netta maggioranza, e benché fossero riusciti a coglierci di sorpresa» aggiunse, esitante. «Sembravano… deboli. Deboli e molto, molto affamati. Come se non mangiassero da diverso tempo.»
Come se stessero scappando da qualcosa…
Il pensiero gli sovvenne senza che l’avesse minimamente chiamato, in modo tanto repentino e inaspettato, che senza rendersene conto socchiuse le labbra e sbatté le palpebre con aria sconcertata. Sapeva perfettamente quanto bizzarra e incredibile potesse suonare alle orecchie di chiunque, eppure questa era l’impressione che aveva avuto.
Lanciò una breve occhiata alla sua destra. Balin e Dwalin lo fissavano con un’aria strana che Thorin non riuscì a decifrare: non era sicuro se stessero seriamente valutando al sua affermazione o se invece stessero dubitando della sua capacità di giudizio.
Suo padre, in compenso, sembrava aver udito a malapena quello che Thorin aveva appena detto. Aveva ripreso a marciare avanti e indietro con le mani giunte dietro la schiena, sprizzando collera e preoccupazione da tutti i pori.
«Se gli Orchi si sono fatti talmente audaci da spingersi così vicino ad Erebor, e per di più in pieno giorno, non c’è dubbio che stiano tramando qualcosa» abbaiò Thràin. «E non è da escludere che prima o poi ne arrivino altri.»
Un’esplosione di sconcerto seguì queste parole. Un brusìo concitato si levò dal gruppo di consiglieri, che iniziarono a borbottare, a parlottare tra di loro e a scuotere la testa, rabbuiati.
«Voi… voi credete che gli Orchi stiano preparando un attacco a Erebor e che quelli fossero… esploratori?» chiese titubante Balin, come accertandosi di aver capito bene. Dwalin non parlava. Se ne stava immobile con le poderose braccia conserte e gli occhi socchiusi, scrutando in silenzio le reazioni concitate degli astanti.
«Ci scommetto al mia barba, che è così» rispose Thràin con risolutezza. «Non c’è altra spiegazione. Quei luridi abomini della natura non hanno mai nascosto al loro brama di impadronirsi della Montagna Solitaria e di tutte le ricchezze che ci sono dentro, ma sono sempre stati troppo pochi e troppo male organizzati per avere anche la minima possibilità di sopraffarci.»
«Se hanno mandato fuori degli esploratori, però, forse si stanno organizzando» intervenne uno dei consiglieri più anziani. «Forse sono diventati abbastanza numerosi da tentare un attacco. Gli Orchi si riproducono molto velocemente, questo è risaputo…»
Thorin, benché non riuscisse a scacciare la sensazione che in tutta quella storia ci fosse qualcosa che gli sfuggiva, dovette ammettere che quell’ipotesi era più che realistica. E gli scenari che apriva non erano per nulla rassicuranti…
«Beh, ci troveranno pronti a riceverli, questo è certo!» esclamò in tono battagliero Bohr, il marito di Dìs, un nano dalla folta barba nera come il carbone. «Mi occuperò personalmente di intensificare l’addestramento dei soldati, mio principe! Farò in modo che quei cani rabbiosi trovino pane per i loro denti!»
«Ma perché aspettare che vengano a cercarci?» intervenne in quel momento Frèrin, il fratello minore di Thorin, facendo saettare sui presenti i focosi occhi azzurri. Era giovane, talmente giovane che la sua barba si limitava ad uan rada peluria appena accennata sul mento. In ogni caso, era troppo giovane per essere già consigliere, ma Thràin e Thròr avevano convenuto che, in quanto maschio della famiglia reale, avesse comunque il dovere di prendere parte alle sedute del consiglio per fare esperienza. «Andiamo noi a stanarli, invece! Riuniamo le nostre forze e marciamo sulle Montagne Grigie! Quando li avremo annientati una volta per tutte, non potranno più escogitare nessun piano!»
Thorin roteò gli occhi e represse a malapena un sorriso esasperato. Suo fratello era senza dubbio coraggioso, e non mancava di una certa dose di capacità strategiche, ma a volte (fin troppo spesso) si lasciava sopraffare dall’irruenza e parlava senza riflettere. Il concetto di “prudenza”, in particolare, sembrava essergli del tutto sconosciuto.
Ci pensò suo padre a frenare sul nascere i baldanzosi impeti del minore dei suoi pargoli: interruppe improvvisamente il suo nervoso andare avanti e indietro e gli piantò in faccia uno sguardo a dir poco fulminante.
«Non rischierò le vite di tutti noi per quella che, per adesso, non è altro che una semplice supposizione. Molto probabile, certo, ma sempre una supposizione» replicò in tono di raggelante severità, mentre Frèrin si faceva piccolo piccolo e tentava di mimetizzarsi con la parete alle sue spalle. «Tuttavia,» continuò Thràin, riprendendo a camminare «delle precauzioni vanno prese, e in fretta.»
Thorin vide Balin, alla sua sinistra, fare un passo avanti con aria risoluta. Benché fosse piuttosto basso per la media nanica, e benché la maggior parte dei presenti lo superasse in altezza di una buona spanna, in quel momento parve al giovane principe che il Primo Consigliere svettasse su tutti loro, tali erano la forza e la determinazione che trasmetteva il suo sguardo.
«Se mi è concesso esprimere un parere, mio principe,» disse Balin «direi che la prima cosa da fare è disporre delle sentinelle sul versante nord della Montagna e intensificare per qualche tempo il servizio di guardia, in modo da evitare altri eventuali attacchi a sorpresa.»
Thràin gli rivolse un burbero e confidenziale cenno di assenso, facendo capire che approvava la sua proposta senza riserve od obiezioni di sorta. «Bohr, Frèrin!» si limitò a dire con tono autoritario, rivolto al genero e al figlio minore. «Voglio che vi occupiate personalmente di organizzare i turni di guardia sul lato nord, e assicuratevi che chiunque sia sorpreso a dormire o a distrarsi durante il suo turno venga severamente punito! Andate!»
I due Nani si congedarono con un rapido e profondo inchino e poi uscirono dalla stanza a passo svelto.
«C’è anche un’altra cosa che deve essere fatta al più presto, senza perdere tempo» continuò Thràin mentre la porta si chiudeva alle spalle dei due. Fece una breve pausa, come seguendo il filo di un altro pensiero, e poi riprese: «Dobbiamo affrettare i preparativi per il matrimonio, nonché le trattative di alleanza con gli Elfi tramite la mediazione di Dale. Se davvero gli Orchi si stanno preparando ad attaccarci, allora ci sarà necessario il sostegno del maggior numero possibile di alleati.»
Il suo sguardo, che fino a quel momento aveva passato in rassegna uno a uno i volti dei presenti, si fermò sul viso di Thorin. «Il governatore è già stato mandato a chiamare?» chiese Thràin.
Thorin annuì. «Sì, padre. Ho mandato un messaggero appena tornato ad Erebor.»
Da parte del principe ereditario ci fu solo un breve cenno di approvazione con il capo. «Voglio che, subito dopo aver visto sua figlia, venga condotto da me in questa stanza. Abbiamo diverse cose di cui parlare» stabilì, senza smettere di fissare Thorin negli occhi.
Il giovane nano, le narici dilatate e la mascella contratta per il nervosismo, sostenne con fermezza lo sguardo del padre. Non ci fu bisogno che aggiungesse nulla: gli era perfettamente chiaro quello che Thràin voleva comunicargli. Gli stava silenziosamente chiedendo di non abbandonarlo, di continuare a sostenerlo in quel progetto di alleanza e di non deluderlo. Gli stava facendo capire che, ora più che mai, contava su di lui. E Thorin non si sentì mai orgoglioso come in quel momento di poter fare la sua parte, una parte importantissima, in quella vicenda. Quando suo padre gli aveva proposto quel matrimonio aveva accettato a malincuore, ingoiando a denti stretti come fosse un boccone amaro che, tuttavia, doveva mangiare per forza. Aveva passato i giorni successivi ad avvelenarsi il cuore e l’anima pensando egoisticamente soltanto alla sua libertà perduta, alla sua avversione per il matrimonio che era stato costretto, suo malgrado, a mettere da parte. Ma allora non aveva ancora subito un attacco degli Orchi, non aveva ancora sperimentato sulla pelle cose significasse veramente vedere la propria incolumità e quella del proprio popolo messe a repentaglio da un nemico ad un tratto così terribilmente vicino e concreto. Adesso invece, come se dalla sua mente fosse stato rimosso un velo, poteva vedere tutto con molta chiarezza.
Solo adesso si rendeva conto di quanto erano stati sciocchi i dubbi e il malcontento con cui, qualche giorno prima, aveva accolto al proposta di suo padre. Che importanza poteva avere la rinuncia alla sua libertà, in confronto al rischio (che ora, dopo averlo toccato con mano gli sembrava così concreto) di vedere Erebor invasa dagli Orchi? Ad un tratto, nemmeno la prospettiva della convivenza con Elinor lo spaventava più: nemmeno l’orgoglio dei Nani era così tenace da riuscire a continuare ad odiare una persona che ti aveva appena salvato al vita.
«Molto bene» concluse suo padre con aria cupa, dopo aver impartito altri ordini ai consiglieri rimasti. «Potete andare, per il momento. Voglio ritrovarvi tutti qui tra un’ora, quando riceverò il governatore.»
Ci furono alcuni secondi di sommesso scalpiccìo, mentre i presenti, parlottando tra di loro con aria preoccupata, si dirigevano insieme verso la porta appena spalancata dalle guardie. Thorin si ritrovò ultimo insieme a Balin e Dwalin, ma mentre stava per uscire dalla stanza la voce di Thràin lo richiamò indietro.
«Thorin, aspetta un momento.»
Il giovane nano salutò con un cenno del capo i due amici, che lo superarono battendogli entrambi una solidale pacca sul braccio, e tornò sui suoi passi. Suo padre era appoggiato con i pugni chiusi al grande tavolo di pietra, la testa dai folti capelli crespi incassata nelle ampie spalle. Quando si voltò a guardarlo, però, la sua espressione non era più quella del futuro re preoccupato per le sorti del suo popolo, ma quella di un padre turbato dal fatto che suo figlio avesse appena rischiato di perdere la vita. Gli posò una mano sulla spalla, il volto tirato che pareva invecchiato di dieci anni.
«Tutto bene, figliolo?»
Thorin deglutì e annuì brevemente, abbassando lo sguardo, la tensione che, poco a poco, iniziava ad allentarsi. Non aveva mai visto la morte così da vicino come quel giorno, e il pensiero che in quel momento avrebbe potuto non essere lì lo turbava profondamente. Thràin mantenne un burbero e virile silenzio, ma Thorin capì, da come aumentò la stretta sulla sua spalla, che suo padre aveva intuito i suoi pensieri con molta facilità. Non gli avrebbe mai detto quanto era felice di rivederlo, Thorin lo sapeva. E tuttavia, non face poi molta fatica a leggerglielo negli stanchi occhi scuri contornati da piccole rughe.
«E come sta la ragazza?» domandò ancora Thràin. «Deve essere spaventata a morte…»
Thorin sorrise debolmente. Elinor piaceva a suo padre, si capiva dalla paterna sollecitudine con cui aveva chiesto di lei. E, probabilmente, gli sarebbe piaciuta ancora di più, se l’avesse vista fare quello che aveva appena fatto con arco e frecce contro quegli Orchi…
«L’ho affidata a Rolgha perché le facesse fare un bagno e la rimettesse in sesto» rispose con voce roca per la stanchezza. «Ma credo che abbia preso la cosa meglio del previsto. E’ molto più forte di quanto pensassi...» Tacque per un momento e abbassò lo sguardo. «Non sarei qui, se non fosse stato per lei» aggiunse a mezza voce.
Thràin annuì, le labbra strette. «Quando avrà riposato, desidero andare a ringraziarla personalmente.»
Thorin piegò un angolo della bocca in un sorriso a metà fra l’ironia e l’amarezza. «Forse tocca a me ringraziarla per primo» disse debolmente. Il lungo sospiro di suo padre gli fece capire, senza bisogno di guardarlo, che la sua decisione di mettere da parte l’orgoglio e l’ostilità nei confronti di Elinor sollevava enormemente Thràin. Come a tutto il resto di Erebor, anche a lui dovevano essere arrivate voci riguardo ai loro recenti diverbi, e Thorin era sicuro che non li avesse considerati dei grandi passi avanti per la buona riuscita di quel matrimonio e dell’alleanza con gli Elfi.
Suo padre lo fissò a lungo senza parlare. Poi un impercettibile sorriso fece capolino fra i folti baffi castani. «Vai a farti un bagno anche tu, adesso» gli intimò Thràin, l’ordine sensibilmente addolcito da una sfumatura di affetto. «Voglio che tu sia presente, quando riceverò il governatore.»
 
 
Elinor non sapeva da quanto tempo stesse fissando, completamente immobile, le leggere increspature sul pelo dell’acqua in cui era immersa. Sapeva soltanto che, da quando aveva messo piede ad Erebor, qualche giorno prima, non aveva mai provato dentro di sé una quiete tanto profonda.
Non sentiva nulla. Era come, se, all’improvviso, la sua mente si fosse svuotata. Eppure aveva appena affrontato un branco di quindici Orchi quasi completamente da sola! Avrebbe dovuto sentirsi spaventata, elettrizzata, o anche soltanto un po’ in agitazione … Aveva rischiato di morire, per Eru!
Invece, dentro di lei c’era solo un’enorme, spiazzante calma. Forse era tutto merito di quell’acqua calda in cui Rolgha l’aveva infilata senza tanti complimenti, e che adesso, pur essendo diventata nient’altro che tiepida, continuava ad accarezzarla in un abbraccio avvolgente… 
C’era solo una cosa a cui non riusciva a smettere di pensare, ed era il viso di Thorin. Quello sguardo nei suoi occhi quando l’Orco che stava per ucciderlo era caduto a terra, abbattuto dalla sua freccia. Il modo in cui le sue iridi azzurre si erano allargate mentre la fissava ammutolito, incapace di pronunciare una sola parola.
Nemmeno lei era riuscita a parlare. Sapeva che ci sarebbero state moltissime cose da dire, ma le parole le erano rimaste impigliate in gola. Non aveva aperto bocca nemmeno quando erano arrivati i soccorsi da Erebor, prontamente chiamati da Dìs. Ricordava vagamente di come Thorin l’avesse aiutata a rialzarsi e l’avesse sostenuta mentre saliva con le gambe tremanti sul cavallo di lui, miracolosamente rimasto in vita. Poi il nano si era issato a sua volta sul pony, davanti a lei, e aveva dato di sprone sul fianco dell’animale. Erano ripartiti lentamente verso Erebor, scortati da una decina di guardie assolutamente incredule di averli ritrovati entrambi vivi. Se chiudeva gli occhi, Elinor poteva ancora sentire il dondolìo rassicurante dei passi del pony. Poteva ancora sentire le sue braccia strette intorno alla vita di Thorin, e quell’odore caldo, di terra e sudore, che emanava dal corpo del principe. Anche quello, in un certo modo, le era sembrato rassicurante
Nemmeno quando Rolgha, di gran lunga più spaventata di lei, l’aveva presa in consegna per condurla in un posto dove potesse farsi un bagno e riprendere le forze, lei e Thorin si erano detti nulla. Il nano si era limitato a rivolgerle un lungo, indecifrabile sguardo, che non l’aveva abbandonata finché non era scomparsa al di là della porta.
Elinor era consapevole che quello che era successo quel giorno aveva cambiato in qualche modo la natura del suo rapporto con Thorin, ma non era ancora in grado di dire quanto e in che senso. Non finchè non avesse avuto di nuovo occasione di ritrovarsi da sola con lui, il che, data l’urgenza della situazione gli obblighi che Thorin aveva in quanto erede al trono e partecipe delle decisioni del consiglio, avrebbe potuto avvenire anche tra diverso tempo…
«Elinor? Mia signora?»
Un discreto bussare alla porta e l’incerta voce di Rolgha, timorosa di disturbarla, la distolsero dai suoi pensieri.
«Ci sono vostro padre il governatore e il vostro consigliere che desiderano vedervi. Li ho fatti aspettare nella Sala Est…»
«Grazie, Rolgha. Di’ pure loro che scenderò tra poco.»
I passi della serva si allontanarono svelti lungo il corridoio. Elinor rimase immobile ancora per qualche secondo, cercando di rimandare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto alzarsi e abbandonare quel piacevole tepore. Ma non aveva scelta, purtroppo: prima o poi avrebbe dovuto farlo.
Con un profondo sospiro si levò in piedi, spargendo tutt’intorno una pioggia di piccoli schizzi, e allungò una mano verso un grande asciugamano di lino poggiato sulla sedia accanto alla vasca. Si frizionò energicamente braccia, gambe e il resto del corpo finché non fu sufficientemente asciutta, e, dopo aver cercato invano di districare con le dita i lunghi capelli biondi, iniziò ad indossare i vestiti puliti che Rolgha aveva poggiato, accuratamente ripiegati, sulla stessa sedia di legno.
Per quanto ne sapeva, la prima delle periodiche visite che Uren e suo padre le avevano preannunciato avrebbe dovuto tenersi soltanto un paio di giorni dopo. L’imboscata degli Orchi, però, doveva aver modificato i loro piani, facendoli accorrere ad Erebor prima del tempo: Elinor aveva sentito personalmente Thorin, quando erano tornati alla Montagna, ordinare che venisse mandato un messo a Esgaroth per avvertire il governatore dell’accaduto.
Il semplice vestito di lino marrone le scivolò con un fruscio lungo i fianchi. Nel camino di pietra, il fuoco scoppiettava e danzava allegramente, ed Elinor rimase per lunghi istanti a godersi quel piacevole calore sulle membra esauste, le fiamme che si riflettevano nei suoi occhi.
Non riusciva a capire bene perché, ma il pensiero della reazione entusiasta che suo padre, probabilmente, avrebbe avuto alla notizia della scoperta del nascondiglio dell’Archepietra, la metteva a disagio. La infastidiva, quasi. Il che era una cosa ridicola e insensata, perché lei stessa avrebbe dovuto condividere la felicità di Eevar: in fondo, avvicinarsi all’Archepietra significava avvicinarsi sempre di più alla sua libertà… allontanarsi sempre di più dall’obbligo di dover sposare Uren… Dove accidenti era finita l’euforia che, solamente pochi giorni prima, aveva provato dopo aver seguito re Thròr nella Camera del tesoro?
Scosse debolmente la testa. Probabilmente quel distacco e quell’indifferenza erano dovuti solo alla stanchezza. Quando si fosse ripresa del tutto, sarebbe riuscita a guardare la situazione dalla giusta prospettiva, e a ritrovare quell’entusiasmo che lo scontro con gli Orchi sembrava aver messo in secondo piano.
Attese soltanto il tempo necessario perché i capelli si asciugassero un po’ al calore del fuoco, e poi, dopo aver calzato un paio di scarpe basse comode, si decise finalmente a scendere ai piani inferiori.
Rimase piacevolmente sorpresa rendendosi conto che, qualsiasi nano o nana incontrasse sul suo tragitto, questi si affrettava subito a chiederle in tono preoccupato se stesse bene, concludendo, prima di continuare per la loro strada, con un profondo inchino e l’assicurazione di essere “al suo servizio” per qualunque cosa. I Nani saranno stati anche la più burbera della razze della Terra di Mezzo, rifletté Elinor, procedendo a passo svelto verso la Sala Est, ma di sicuro non mancava loro la capacità di farti sentire apprezzata e ben accetta. Era quasi doloroso, si rese conto con un amaro sorriso, il pensiero di doverli tradire tutti, alla fine…
Fu inevitabilmente costretta a mettere da parte questi pensieri quando finalmente si ritrovò davanti alla porta della Sala. Le guardie che stazionavano davanti ad essa la aprirono per lei, ed Elinor scorse all’interno al figura di suo padre, seduto su una sedia dall’alto schienale di legno istoriato, e quella tozza di Uren, in piedi dietro di lui. Al suo ingresso si voltarono entrambi.
«Elinor!» esclamò il governatore, alzandosi di scatto e andandole incontro con aria preoccupata. «Stai bene? Sei ferita?»
La ragazza sorrise debolmente, mentre il padre la raggiungeva in due grandi falcate e le prendeva il viso tra le mani, scrutandola pieno di apprensione. Per un fulmineo istante le balenò nella mente una scena avvenuta più di dieci anni prima: lei, bambina selvaggia e irrequieta, che si scorticava un ginocchio correndo a perdifiato per i corridoi del palazzo di Esgaroth, suo padre e sua madre che la circondavano di ansiose attenzioni, incuranti del fatto che lei fosse assolutamente tranquilla e non stesse versando neanche una lacrima.
«Sto bene, padre» assicurò, sforzandosi di allargare il sorriso a maggiore garanzia della sua incolumità e tranquillità. «Sono solo molto molto stanca. Tutto qui.»
Eevar chiuse per un attimo gli occhi ed emise un breve sospiro di sollievo, come se, pur avendo visto che Elinor non presentava nessuna ferita evidente, aspettasse di sentirselo confermare da lei.  «Che i Valar siano ringraziati! Quando il messaggero è arrivato ad Esgaroth dicendo che avevate subìto un attacco degli Orchi ho temuto il peggio!»
“Anche io ho temuto il peggio” pensò Elinor, mentre le immagini del combattimento le passavano davanti agli occhi per l’ennesima volta. Valutò per un momento l’ipotesi di rivelare a suo padre che era stata lei a salvare le vite di entrambi, e che l’aveva fatto proprio con quell’arma che Eevar l’aveva obbligata a lasciare chiusa nella sua stanza ad Esgaroth, sostenendo che non fosse adatta ad una ragazza di nobili origini. Sarebbe stata curiosa di vedere la sua espressione. Un momento dopo, però, si rimproverò per questo suo impeto vendicativo: suo padre era chiaramente preoccupato per lei, e sarebbe stato ingrato, da parte sua, ripagarlo con uno sterile e meschino tentativo di provocazione.
«Ma... come è potuto accadere?» stava chiedendo il governatore, sconcertato. «Gli Orchi non si spingono mai così a sud delle Montagne Grigie!»
Elinor sospirò. «E’ quello che ci chiediamo tutti» rispose stancamente. «So che Thràin ha tenuto una riunione nella Sala del Consiglio, pochi minuti fa. Immagino che siano giunti a delle conclusioni al riguardo, anche se non ne sono a conoscenza. Non mi è stato permesso partecipare…»
Le ultime parole furono pronunciate con una punta di amarezza, ma Eevar parve non farci caso. Continuava a fissare il volto di Elinor come se lo vedesse per la prima volta, e a carezzargli le guance con i pollici.
«Oh, bambina mia!» esclamò, affranto. «Mi dispiace così tanto di averti messo in questa situazione! Solo adesso mi accorgo di quanto… di quanto sia difficile quello che ti sto chiedendo!» Si interruppe per un attimo, scrutando ansiosamente il suo viso. «Ma tu… tu capisci quanto è importante, vero? Capisci che il nostro futuro dipende interamente da te?»
Elinor distolse lo sguardo dal suo, per evitare che il padre leggesse la delusione e la rabbia nei suoi occhi. Per un breve, meraviglioso attimo aveva creduto che suo padre, spaventato dal rischio di perderla che aveva corso, stesse per dirle che avrebbe rinunciato al loro piano, o che, perlomeno, avrebbe trovato un altro modo di portarlo a termine che non la coinvolgesse direttamente. Invece, a quanto pareva, nulla riusciva a distogliere la sua mente da quella pietra grande come un pugno che in quel momento brillava nel suo nascondiglio nelle viscere della Montagna. Alzò lo sguardo oltre la spalla di suo padre: Uren era rimasto defilato, a qualche metro di distanza, apparentemente per dare loro un po’ di intimità, ma Elinor sapeva che la sue orecchie non perdevano una parola di quello che lei e Eevar si stavano dicendo. I suoi occhi porcini la fissavano senza abbandonarla un attimo, passandola da parte a parte. La ragazza sostenne il suo sguardo per lunghi istanti con aria di sfida, poi li distolse con freddezza.
«Sì, padre» si limitò a dire in un bisbiglio appena udibile. «Capisco…»
Il volto di Eevar subì un tale cambiamento che, se Elinor non l’avesse conosciuto da quando era nata, avrebbe creduto di trovarsi davanti ad un’altra persona. Il governatore si illuminò di un sorriso pieno di gratitudine e di orgoglio, e la strinse alcuni secondi in un forte abbraccio commosso.
«Ma certo che lo capisci» mormorò, la voce che gli tremava per il sollievo. «Sei una brava ragazza, Elinor… una brava ragazza… Ora,» disse abbassando ancora di più la voce e staccandola da sé per guardarla negli occhi «dimmi: ci sono… novità?»
Elinor esitò per un momento. All’improvviso, senza che li avesse minimamente chiamati, le erano passati davanti agli occhi il viso sorridente di Balin, l’espressione stupita di Thorin, i Nani di Erebor che si preoccupavano della sua incolumità e si piegavano fino a terra in sorridenti inchini. Dovette fare un tremendo sforzo per concentrarsi sul viso di Uren, che ancora la fissava con cupidigia, e scacciarli dalla mente.
«A dire la verità, sì, ci sono novità» rispose con espressione dura. Lanciò prudentemente un’occhiata dietro le spalle, per assicurarsi che la porta fosse ben chiusa, e poi riferì tutto quello che aveva scoperto riguardo al nascondiglio dell’Archepietra. Mentre raccontava, vide gli occhi di suo padre allargarsi sempre di più, e quando giunse alla parte finale in cui vedeva Thròr entrare nel nascondiglio incantato, Eevar soffocò a stento un gemito di entusiasmo.
«Ma… ma è stupefacente!» esalò, tentando di controllare l’euforia e di parlare più piano possibile. «Uren, hai sentito? Hai sentito?»
«Ho sentito, mio signore» rispose Uren con la sua voce untuosa, staccandosi dalla sedia e avvicinandosi finalmente a loro. «Vostra figlia ha raggiunto un ottimo risultato, e non vorrei essere io a farvi notare questo, ma... se non riusciamo ad ottenere la parola magica che apre la porta, sarà stata tutta fatica inutile.» Il suo sguardo saettò verso Elinor. «Ammirevole, senza dubbio… ma inutile.»
Elinor sentì montare dentro di sé una rabbia cieca, e dovette fare un eroico sforzo per dominarsi. L’eccitazione per il combattimento non era ancora passata del tutto, e sentiva che se quel disgustoso individuo avesse anche solo pronunciato una parola in più non avrebbe risposto delle sue azioni. Aveva appena affrontato quasi completamente da sola un branco di Orchi: non sarebbe stato un nano laido e meschino a spaventarla!
«Non credo che sarà difficile riuscire a scoprire la parola che ci serve» rispose gelida, fulminando il consigliere con lo sguardo. «Sono stata io a salvare la vita al principe Thorin, e sono piuttosto sicura di riuscire a guadagnarmi in breve tempo la sua fiducia.»
Uren sogghignò impercettibilmente. Sembrava divertirsi alla sua rabbia, ed Elinor non riuscì a trattenersi.
«Al contrario di quello che sembrate pensare, sono in grado di assumermi questa responsabilità,» sbottò, rivolta al nano «e anche di più impegnative, se si renderà necessario!»
Eevar, rendendosi conto finalmente dello scontro visivo e verbale che stava avendo luogo tra sua figlia e il suo consigliere, aveva fatto rimbalzare per tutto il tempo lo sguardo dall’una all’altro, esterrefatto, finché le dure parole di Elinor non gli fecero capire che era ora di intervenire.
«Oh, via, via, Elinor!» esclamò con una risata bonaria. «Non dire così! Uren non intendeva certo dire che non sei in grado di assolvere questo compito! Non è vero, amico mio?»
«Certo che no, Eccellenza!» assicurò Uren, come se il solo pensiero lo indignasse. «Vostra figlia sa bene quanta… ammirazione io provi nei suoi confronti.»
Questo fu quello che disse. Quello che Elinor sentì, però, fu: “Vostra figlia sa bene di non avere scelta: o la perdita della sua libertà o la dannazione eterna della sua coscienza.”
Il disgusto prese il sopravvento su di lei, tanto che dovette distogliere lo sguardo da quello palesemente canzonatorio del nano per non perdere del tutto il controllo.
«Elinor è sicuramente molto stanca, Uren. Devi perdonarla» stava dicendo intanto suo padre in tono conciliante. Poi, rivolgendosi di nuovo a lei con un sorriso rassicurante, aggiunse: «Non preoccuparti, mia cara. Ho piena fiducia in te, e so che riuscirai ad assolvere il tuo compito in un batter d’occhio. Vedrai, sarai fuori da questa situazione prima di quanto tu immagini!»
«Non ne dubito, padre» mormorò Elinor, lasciandosi baciare sulla fronte. Staccando le labbra dalla sua pelle, Eevar la rimirò per un momento con sguardo commosso.
«Sono fiero di te, figlia mia.»
Elinor si sforzò di sorridere. Essersi guadagnata l’orgoglio di suo padre la rendeva molto felice, ma era una felicità intrisa di una leggera punta di amarezza. C’erano molte cose, nella sua vita, per le quali avrebbe desiderato che suo padre fosse orgoglioso di lei, e che la abbracciasse come stava facendo in quel momento. Moltissime. E l’aver scoperto il modo per ingannare un popolo che non le aveva dimostrato altro che amicizia, non era decisamente tra queste…
Il rumore delle porte della sala che si spalancavano li fece voltare, separandosi l’una dall’altro. Fu con un bizzarro guizzo del cuore che Elinor vide, fermo sulla soglia con espressione accigliata e le mani giunte davanti a sé, il principe Thorin.
«Eccellenza. Consigliere» salutò il nano, con un profondo inchino in direzione di suo padre e uno un po’ più rigido rivolto a Uren.
«Principe Thorin!» esclamò Eevar in tono cerimonioso, sciogliendosi dall’abbraccio di Elinor e ricambiando con un inchino che lo portò quasi a sfiorare il pavimento con il naso. «Ho saputo dell’increscioso incidente a nord della Montagna, ero così in ansia! Spero non siate ferito!»
«Vi ringrazio per la vostra sollecitudine, ma no: sto bene» rispose Thorin in tono cortese, cercando chiaramente di nascondere il suo fastidio per l’atteggiamento fin troppo ossequioso del governatore. Esitò un momento, il suo sguardo si soffermò su quello di Elinor. «E credo sia tutto merito di vostra figlia» mormorò muovendo appena le labbra.
Elinor, presa alla sprovvista, gli rivolse un piccolo sorriso imbarazzato. Non si aspettava di rivederlo così presto, dopo gli avvenimenti di quella mattina. E, sopra ogni altra cosa, non si aspettava che fosse lui per primo, e per giunta davanti ad altri, a fare riferimento a quello che era accaduto con gli Orchi.
Thorin indugiò ancora qualche secondo, i suoi occhi azzurri fissi in quelli della ragazza. Poi parve ricordarsi perché era lì. «Perdonatemi, Eccellenza» riprese, ritrovando il suo solito tono fermo e burbero, così simile a quello di suo padre e di suo nonno. «Sono venuto a dirvi che mio padre richiede la vostra presenza nella Sala del Consiglio. Al più presto.»
«Oh, certo… certo. Saremo da lui immediatamente» rispose subito il governatore. Dalla sua espressione confusa, era chiaro che non capiva bene che cosa stesse succedendo.
«Mio padre vuole discutere con voi riguardo ad un’eventuale accelerazione dei preparativi per il matrimonio e delle trattative con Thranduil» spiegò Thorin a suo beneficio. «Gli avvenimenti di questa mattina hanno reso evidente la necessità di misure di protezione preventive per Erebor.»
Un tuffo al cuore le mozzò per un attimo il respiro il respiro di Elinor. «No…» esalò senza riuscire a trattenersi, ringraziando subito dopo i Valar che nessuno l’avesse sentita. Non aveva valutato quell’eventualità. Significava che avrebbe dovuto raddoppiare, triplicare i suoi sforzi, mentre suo padre, dall’altra parte, avrebbe dovuto cercare di rallentare le trattative con BoscoVerde… Sentì un enorme peso opprimerle il petto, mentre guardava suo padre dirigersi verso la porta seguito a pochi passi di distanza da Uren.
«Concordo pienamente con la decisione di vostro padre, Thorin» stava dicendo Eevar. Elinor era più che sicura che in quel momento stesse pensando esattamente le stesse cose che pensava lei, e non poté non sentirsi ammirata per l’abilità con cui riusciva a nascondere la sua preoccupazione. «E voglio chiarire fin da subito che vi fornirò la mia piena collaborazione!»
«Non ne dubito» rispose Thorin, una punta di impazienza nella voce. «Vi sarei grato se riferiste a mio padre che vi raggiungerò a breve. Vorrei scambiare due parole con Elinor, prima di unirmi a voi.»
«Naturalmente, naturalmente! Elinor, cara, passerò a salutarti dopo che la riunione sarà conclusa. Vieni, Uren!»
Elinor non riuscì a fare altro che annuire con aria rassegnata, guardandoli allontanarsi fuori dalla sala. Fece appena in tempo a scorgere il sogghigno beffardo e lo sguardo malizioso che Uren le lanciò, prima di avvertire la presenza di Thorin vicino a sé.
Alzò lo sguardo su di lui. Il principe si era avvicinato di qualche passo e adesso la fissava di sottecchi con aria indecifrabile, le mani giunte dietro la schiena. Era in condizioni molto migliori di quando avevano fatto ritorno ad Erebor. Gli abiti stracciati e sporchi di sangue erano stati sostituiti con altri puliti, e dai lunghi capelli corvini, intrecciati sul davanti alla maniera nanica, era stata lavata via la polvere. Elinor non poté fare a meno di seguire con lo sguardo il percorso di una delle due sottili trecce, che dalla clavicola arrivava a sfiorare la pelle del petto, parzialmente scoperta dalla camicia leggera. Era abbastanza vicino perché la ragazza potesse sentire che l’odore di terra e sudore era stato sostituito da un leggero profumo di sapone.
Thorin si schiarì la voce, facendola sobbalzare impercettibilmente.
«Come vi sentite?» chiese il nano senza guardarla. Suonava molto come un goffo tentativo di iniziare la conversazione, ma ad Elinor parve di scorgervi all’interno una nota di genuina preoccupazione.
«Un po’ stordita, credo» rispose abbozzando un sorriso. «Ma, rispetto a come ho sempre immaginato i postumi di una battaglia contro quindici orchi … direi piuttosto bene.»
Scrutò ansiosamente il suo volto, sperando di sorprendervi l’ombra di un sorriso, ma Thorin non abbandonò nemmeno per un attimo la sua espressione seria. Ottimo. A quanto pareva, oltre che di gentilezza e di loquacità, la stirpe di Durin era gravemente carente anche di senso dell’umorismo …
«Me ne compiaccio» disse Thorin, leggermente sollevato (o, almeno, così Elinor interpretò l’impercettibile spianarsi della sua fronte). «Avete avuto modo di riposare un po’?»
«Non molto, ma spero di riuscirci prima di scendere per la cena.» Esitò un istante, poi azzardò: «E … voi come state?»
Thorin parve riflettere qualche secondo, prima di dare una risposta.
«Esausto» disse infine. «Ma immensamente felice di essere vivo.»
L’ultima parte della frase fu pronunciata alzando lo sguardo su di lei, con un’espressione talmente eloquente che per Elinor fu impossibile comprenderne il significato. Passarono altri secondi di pesante silenzio, lunghi istanti durante i quali quel muto legame che si era creato quando i loro occhi si erano incontrati, subito dopo lo scontro con gli orchi, trovò una nuova concretezza. Era come se tra di loro fosse teso un filo, un lungo filo fatto di parole non dette.
«Mi … dispiace non potervi dedicare più tempo, ma mio padre insiste perché sia presente alla riunione» disse il nano in tono di scusa. Elinor rimase piacevolmente sorpresa: non sembravano parole di circostanza sputate fuori di malavoglia, come la maggior parte delle volte che le si rivolgeva. Sembrava che fosse veramente dispiaciuto di non potersi trattenere di più. Questo al sconcertò a tal punto che, sul momento, fu incapace di trovare qualcosa di sensato da rispondere. Attese quindi, pazientemente, che Thorin continuasse il suo discorso; e infatti, dopo pochi secondi di esitazione, il principe riprese:
«Volevo solo dirvi che quello che avete fatto oggi è stato … sono rimasto molto colpito, e … desideravo che sapeste …»
Elinor non poté trattenere un sorriso. Non avrebbe mai immaginato che fosse così difficile, per un nano, esprimere a parole la propria gratitudine. Forse era il caso di venirgli incontro e alleviare un po’ la sua tortura …
«A nome del popolo di Erebor, ma soprattutto mio …»
«Non c’è di che, Thorin» lo interruppe gentilmente, prima che potesse aggiungere altro. Il nano la fissò per un momento, sconcertato; poi, poco a poco, la sua espressione cominciò ad addolcirsi, e anche lui cedette ad un debole sorriso.
«Dovete perdonarmi» disse. «L’orgoglio dei Nani è maledettamente duro a morire. A volte, anche più del necessario.»
Avrebbe dovuto sorridere più spesso, venne da pensare ad Elinor, osservandolo. Quando lo faceva, sembrava che da quei suoi occhi azzurri venissero spazzate via le nubi, ed era una sensazione estremamente piacevole.
«Credo di avere più volte passato il limite della sgarbatezza, negli ultimi giorni» continuò Thorin. «Forse è già troppo tardi per scusarmi, ma dopo quello che è successo oggi mi rendo finalmente conto che la mia rabbia è stata eccessiva. Non meritavate un simile trattamento da parte mia.»
Elinor scosse la testa. «Siete voi che dovete perdonare me» disse in tono pacato. «Non siete stato certo l’unico ad avere avuto un comportamento sgradevole, nei giorni scorsi.»
Thorin fece un passo verso di lei, fissandola negli occhi con determinazione. Elinor, imbarazzata per quell’improvviso accorciarsi della distanza tra di loro, sentì le guance imporporarsi. Era abbastanza vicino perché potesse sentire il suo respiro nervoso, e intravedere il sottile taglio rossastro che, dall’attaccatura del naso, gli scendeva fino allo zigomo sinistro.
«Qualunque cosa abbiate detto o fatto, non posso ignorare quello che è successo oggi» replicò il nano con fermezza. «Voi mi avete salvato la vita, Elinor, e ve ne sono infinitamente grato. Per questo vorrei che ogni dissapore tra di noi venisse messo da parte…» Si interruppe per un attimo, come se gli fosse appena sopravvenuta alla mente un’idea che finora non aveva considerato. «Sempre che anche voi lo vogliate, naturalmente» concluse, incerto.
Elinor si trattenne dallo scoppiare in una risata divertita: come se nei giorni appena trascorsi non avesse passato gran parte del suo tempo a cercare di convincerlo ad acconsentire ad una tregua!
«Speravo tanto che me lo chiedeste» si limitò a rispondere, sorridendo rassicurante. 
Non avrebbe mai pensato di poter vedere il sorriso di Thorin allargarsi ancora di più, e invece fu proprio quello che accadde. Il nano trasse un lungo respiro, come se la risposta di Elinor gli avesse tolto un gran peso.
«Vi ringrazio, Elinor.»
«Non dovete. Sono felice di fare la mia parte affinché questo … matrimonio vada a buon fine.»
Fu come se, mentre pronunciava queste parole, una mano le ghermisse lo stomaco e lo torcesse, stringendolo in una morsa. La ignorò con tutta la determinazione di cui era capace, come ormai aveva imparato a fare da diverso tempo.
Thorin, ora più rilassato ma ancora chiaramente a disagio, si lanciò un’occhiata nervosa e piena di disappunto dietro le spalle. «Perdonatemi, ma adesso devo proprio raggiungere mio padre e il vostro nella sala del Consiglio» disse in tono di scusa. «Spero ci vorrete fare l’onore di cenare con noi, stasera: verrano in visita i nostri parenti dai Colli Ferrosi, per … conoscervi, temo.»
Elinor scoppiò a ridere, sconcertata. «Temete
«Sì. Voglio dire … temo per voi» spiegò Thorin, con un sorriso imbarazzato. «Ecco, diciamo che … non sono esattamente il genere di compagnia che vorreste avere a tavola … né in qualunque altro momento della giornata, se è per questo.»
«Oh, andiamo, non saranno così tremendi!»
Thorin emise una bassa risata sarcastica. Elinor non si ricordava di averlo mai visto accennare nemmeno una vera risata in sua presenza, quindi immaginò che fosse un notevole passo avanti.
«Ho paura che vi ricrederete molto prima di quanto pensiate» le assicurò il nano. «Adesso scusatemi, ma devo proprio andare. Estenderò l’invito a cena a vostro padre, appena ne avrò l’occasione. Al vostro servizio.»
E così dicendo, accennò un rigido inchino, che Elinor fece appena in tempo a ricambiare con una leggera riverenza, prima di voltarle le spalle e allontanarsi a grandi passi.
«Al vostro …» mormorò la ragazza guardandolo scomparire oltre la porta. Rimase per diversi secondi immobile, fissando il punto in fondo al corridoio dove la figura di Thorin si rimpiccioliva sempre di più, mentre il carattere surreale dell’intera situazione le si dispiegava davanti agli occhi, chiaramente come non le era mai successo prima d’ora.
Stai fingendo un matrimonio per evitarne un altro.
Se non avesse provato una terribile vergogna per se stessa, probabilmente avrebbe riso fino alle lacrime.
Sospirò, riscuotendosi e rammentando ciò che Thorin le aveva appena detto. Era invitata a cena con quelli che si prospettavano essere i Nani meno piacevoli di tutta la Terra di Mezzo, e se voleva che il suo piano si mantenesse nella congiuntura più che favorevole in cui si trovava al momento, avrebbe dovuto fare del suo meglio perché la trovassero di loro gradimento.
C’era soltanto un problema: non aveva la più pallida idea da dove cominciare.
 
 
«Ahi!»
«Silenzio! Ho quasi finito.»
«Ma fa male!»
«Oh, per l’amor del cielo! Sbudelli un branco di orchi e poi fai tutte queste storie per due treccine!»
Il tono di Dìs era talmente sbrigativo e autorevole – talmente simile a quello di suo fratello – che Elinor non poté fare altro che stringere le labbra e sopportare in silenzio la fastidiosa sensazione che qualcuno le stesse sradicando dalla testa il cuoio capelluto.
D’altronde, aveva ben poco di cui lamentarsi: era stata lei stessa, nella prospettiva di dover incontrare una legione di scorbutici parenti dei Colli Ferrosi, a chiedere a Dìs di darle un aspetto il più possibile “nanesco”. La nana non se l’era fatto ripetere due volte: dopo anni passati insieme a due fratelli maschi, in mezzo a spade, cavalli e asce, non le sembrava vero di avere finalmente qualcuno da vestire e pettinare che non fosse una bambola di pezza. Aveva preso a cuore la richiesta della ragazza, e adesso, dopo essersi a sua volta preparata per la cena, si stava occupando con grande zelo della sua chioma bionda. Peccato che, sebbene le intenzioni di Dìs fossero mosse da autentica premura e solidarietà femminile, il suo tocco, di femminile, avesse ben poco…
«Così tuo padre e il vostro consigliere non verranno a cena?» le domandò curiosa, la punta della lingua che spuntava dalle labbra per la concentrazione.
«No» rispose Elinor, senza riuscire a nascondere una smorfia di dolore quando Dìs le tirò con poca grazia una ciocca di capelli. «Hanno non so quali faccende urgenti da sbrigare in città…»
«Sì, ne stavano discutendo mentre uscivano dalla Sala del Consiglio . Passavo di lì, e ho sentito quel vostro consigliere insistere con tuo padre che, in seguito all’attacco degli Orchi, l’incontro con le autorità cittadine di Esgaroth non poteva assolutamente essere rimandato.»
Dìs le aveva riportato quello che aveva sentito in tutta naturalezza, come se fosse la cosa più normale del mondo, ma Elinor non riuscì a non stringere gli occhi con aria sospettosa. Di solito Uren era untuoso e mellifluo con chi era molto più potente di lui, e non perdeva occasione per compiacere con prontezza i suoi desideri. Aveva fatto in modo che persino suo padre, un tempo un uomo austero e dignitoso, fosse influenzato da questo suo modo di fare. Quindi perché, questa volta, tutta quella fretta di rientrare a Esgaroth? Il consiglio della città avrebbe potuto benissimo aspettare fino alla mattina dopo. Senza contare che, se ben ricordava, anche Uren era originario dei Colli Ferrosi. Avrebbe dovuto essere felice di incontrare di nuovo la sua gente … Si ripromise di chiarire la questione non appena avesse rivisto suo padre.
«Comunque è un po’ strano, non è vero?» le stava chiedendo Dìs nel frattempo.
«Chi?»
«Uren! Il vostro consigliere!»
Elinor si concesse la soddisfazione di un piccolo ghigno compiaciuto. «Più che strano, lo definirei inquietante
«Non saprei come spiegarlo» continuò la nana, facendo lavorare velocemente le dita tra i capelli di Elinor «ma ha sempre l’aria di qualcuno che stia tramando qualcosa …»
La ragazza si sentì gelare e trattenne istintivamente il fiato. Per alcuni lunghissimi, interminabili istanti, le sembrò che il suo cuore avesse cessato di battere. Dìs taceva, come se stesse riflettendo su quello che aveva appena detto, ed Elinor la immaginò con sommo orrore mettere insieme, in qualche modo, i pezzi del puzzle e intuire quale fosse il loro piano. Cosa avrebbe dovuto fare, lei, a quel punto? Non aveva mai pensato ad un’eventualità del genere …
«Oh, perdonami, Elinor!» esclamò Dìs d’un tratto, ridendo di gusto con la sua voce bassa e un po’ maschile. «Sono veramente maligna a parlare così di quel poveretto! Come se tuo padre non avesse decantato migliaia di volta in presenza di tutti la sua saggezza, la sua fedeltà e il suo acume nel dare consigli!»
Elinor lasciò andare lentamente il fiato, il petto che le si allargava per il sollievo e le mani che tremavano appena sui braccioli della sedia.
«Sì, lui … è un po’ bizzarro, forse, ma … molto prezioso … per la nostra famiglia …» riuscì a balbettare, cercando di nascondere meglio che poteva il suo turbamento.
«E se posso permettermi di parlare in confidenza, visto che ormai siamo quasi cognate,» aggiunse Dìs in tono malizioso «si vede lontano un miglio che è innamorato di te.»
Elinor deglutì e abbassò lo sguardo. Dìs non aveva idea di aver centrato esattamente il punto della questione, quello de cui avevano avuto origine tutti i suoi problemi …
«Già, è … piuttosto evidente, non è vero?» disse sforzandosi di ridere, con voce più acuta di quanto avrebbe voluto. Dietro di sé, sentì la nana sbuffare divertita.
«Beh, mettiamola così, cara: se ti fissasse solo un po’ più intensamente di quello che fa di solito, con tutta probabilità ti ritroveresti nuda in mezzo alla stanza.»
Elinor sentì le guance e le orecchie prendere fuoco. Si era dimenticata che i Nani non avevano la stessa reticenza degli Uomini, nel parlare di argomenti di quel genere. Senza contare che l’immagine di se stessa nuda associata a quella di Uren (anche solo completamente vestito) la disgustava a tal punto che non riusciva nemmeno a trovare le parole adatte per rispondere.
«Se fossi in lui, comunque, comincerei a rivolgere a qualcun’altra sguardi di quel genere» continuò Dìs in tono pratico, senza attendere la sua replica. Sembrava non si fosse nemmeno accorta del suo imbarazzo. «I Nani sono una razza molto possessiva, e mio fratello … beh, hai già avuto modo di scoprire che tipo è. Non tollera che si metta gli occhi su ciò che è di sua proprietà.»
Un altro strattone a una ciocca di capelli, un altro grugnito di dolore. Forse un po’ più esagerato di quanto avrebbe voluto, ma Elinor sospettò che il fastidio non fosse dovuto solo al tocco poco delicato di Dìs: le parole della nana l’avevano oltremodo indispettita.
«Proprietà …» ripeté in tono leggermente ironico. «Non è una gran bella parola per descrivere i rapporti tra uomini e donne.»
«Può darsi. In ogni caso, a loro piace pensare di avere la totale esclusiva su di noi. Fa sviluppare loro la strana idea che, in tal modo, la loro virilità aumenti in modo ragguardevole. Capisci cosa intendo?»
Elinor, nonostante l’evidente, abissale diversità di vedute, non riuscì a trattenere un sorriso. «Sì, capisco.»
Fuori da Erebor, le cose non andavano poi molto diversamente. Forse, i Nani erano solo più collerici e meno abili degli Uomini a contenere la loro possessività. Cercò per un momento di immaginarsi Thorin geloso di lei, i suoi occhi azzurri che si stringevano fino a ridursi a due fessure e i grossi pugni che si contraevano, questa volta non per rabbia nei suoi confronti, ma perché qualcuno la guardava e la toccava senza il suo consenso. Una sensazione inaspettatamente piacevole, la sensazione della vanità mai lusingata da nessuna gelosia maschile, la colse alla sprovvista rimescolandole lo stomaco. Fu, però, subito messa in secondo piano dell’ennesimo piccolo, fastidioso strattone al cuoio capelluto, nonché dalle parole divertite di Dìs: «In ogni modo, davanti agli altri si comportano tanto da duri, ma se hai polso e sei abbastanza astuta, una volta che li hai in pugno sei in grado di rivoltarli come più ti piace.» Scoppiò in una sonora risata che le fece sobbalzare su e giù il seno prosperoso: «Sono così teneri, quando credono di avere tutta la situazione sotto controllo, mentre invece sei tu ad avere il coltello dalla parte del manico! … Ho finito, cara. Puoi alzarti.»
Elinor, le ginocchia leggermente indolenzite per essere rimasta seduta troppo a lungo, si levò in piedi e prese lo specchio tondo che la nana le porgeva. Per un attimo faticò a riconoscersi nell’immagine riflessa, tanto era diversa da quella della Elinor di sempre. 
Dìs aveva fatto un lavoro stupefacente: i suoi ondulati capelli biondi, sebbene lasciati per la maggior parte al naturale, erano intrecciati sulla sommità del capo in tante piccole, fitte treccine; in mezzo ad esse ne spiccava una più grossa delle altre, che le cingeva la parte superiore della testa come una corona, e altre due trecce più spesse le scendevano da dietro alle orecchie giù fino a sfiorarle i seni. Questi, come il resto delle curve del suo corpo, erano messi bene in risalto dall’abito di foggia nanica, blu scuro con fregi dorati, che Dìs le aveva prestato, molto più attillato, fluente e vistoso di quelli in stile elfico che la ragazza era abituata a portare. Dalle orecchie le pendevano due grossi dischi dorati, ognuno dei quali pesava abbastanza da farle temere che i lobi le si staccassero da un momento all’altro. Un vago imbarazzo per quell’abbigliamento così estraneo al suo modo di vestire, mescolato ad un’appagante sensazione di compiacimento, le imporporò le guance.
«Beh …» balbettò, sorridendo. «Fa uno strano effetto, ma … decisamente piacevole, devo ammetterlo.»
Dìs la fissò con un largo sorriso stampato sul faccione cordiale, compiaciuta e quasi commossa dal risultato del suo lavoro.
«Cara, credo proprio che stasera tu abbia decisamente il coltello dalla parte del manico» disse dopo alcuni istanti di soddisfatto silenzio. «E se quel burbero cocciuto di mio fratello non cadrà immediatamente ai tuoi piedi sciogliendosi come una zolletta di zucchero, non sarà più degno di posare gli occhi su un altro essere di sesso femminile per il resto della sua vita.»
Elinor scoppiò in una risatina nervosa, l’imbarazzo che cresceva ogni secondo di più.
«Credo che sia meglio scendere, Dìs» osservò. «Si sta facendo un po’ tardi.»
La nana si disse d’accordo con lei, e dopo essersi agganciata intorno al collo una preziosa collana di gemme provenienti dalle miniere di Erebor, donatale dal marito per il loro matrimonio, la seguì fuori dalla stanza e giù per la scalinata che conduceva ai piani inferiori.
«Non fare caso se le nostre cugine non ti dimostreranno troppa simpatia» la avvertì Dìs con discrezione, mentre percorrevano il complicato tragitto di corridoi che Elinor aveva imparato a conoscere quasi alla perfezione. «Prima che nostro padre pensasse seriamente all’accordo con tuo padre e con gli Elfi, erano loro ad ambire alla mano di Thorin, e non hanno preso molto bene questo improvviso … cambio di rotta.»
«Oh ... Capisco.»
Elinor represse a fatica un sorriso amareggiato: forse queste famose cugine sarebbero state felici di sapere che, in realtà, Thorin non era promesso proprio a nessuna, e che molto presto (almeno, lei sperava che fosse molto presto) avrebbero potuto ricominciare la loro opera di persuasione nei confronti dell’erede al trono …
Quando giunsero davanti alle porte della Sala dei Banchetti, le guardie le spalancarono per loro, e subito furono investite da un forte odore di arrosto, birra e vino, mescolato ad un gioviale chiacchiericcio e a sporadiche esplosioni di risate.
Ad Elinor bastò un’occhiata per rendersi conto che i nani nella sala erano molto meno numerosi di quelli presenti al banchetto di benvenuto organizzato in suo onore. Alla tavola più vicina a quella della famiglia reale scorse Balin, che le rivolse un affettuoso sorriso e una strizzata d’occhio, e Dwalin, che la fissò per qualche secondo con aria indecifrabile prima di venire distratto dal passaggio di Rolgha.
«Come mai stasera la sala è così vuota?» bisbigliò all’orecchio di Dìs, grata che la musica sovrastasse le sue parole.
«Perché mio zio Nàin e il mio prozio Gròr, suo padre, sono due vecchi bisonti scorbutici che detestano avere intorno a sé più gente del necessario» rispose Dìs, rivolgendo affabili sorrisi a destra e a manca in risposta ai saluti che le venivano rivolti avanzando lungo la sala. «E se finora ti è parso che mio padre e mio nonno fossero burberi e poco loquaci, farai bene a ricrederti presto.»
Elinor, trattenendo a stento la risatina che le stava affiorando alle labbra, sbirciò verso la tavola reale e individuò subito due nani tarchiati, uno dai capelli grigio ferro con in testa una corona d’oro massiccio e l’altro dalla chioma scura, che dovevano essere proprio i soggetti a cui si riferiva Dìs. In effetti, dovette ammettere, la loro espressione non era delle più incoraggianti… Subito dopo scorse anche re Thròr, già seduto al centro della tavola, che osservava con bramosa attenzione una posata d’argento rigirandosela fra le dita, e sembrava accorgersi a malapena di dove si trovasse. 
«Ah, eccole qui, finalmente!» esclamò Thràin con voce gioviale e tonante rivolto nella loro direzione, facendo voltare anche chi ancora non si era accorto della loro presenza. Elinor vide Thorin, in piedi accanto al padre, alzare distrattamente lo sguardo dal boccale di birra che aveva appena portato alle labbra e bloccarsi con il braccio a mezz’aria. Le sue sopracciglia scure ebbero un guizzo, e per un attimo i suoi occhi parvero raddoppiare, mentre la osservava attonito venire avanti lungo i tavoli. La ragazza ebbe la sgradevole consapevolezza che le sue guance stavano assumendo un vivace color rosa acceso, e sostenne il suo sguardo finché l’imbarazzo glielo permise.
«Zio… cugini … cugine» annunciò Thràin in tono orgoglioso, mentre Elinor e Dìs giungevano presso la tavola «voglio presentarvi Elinor, mia futura nuora e figlia del governatore Eevar di Dale. Elinor, questo è Gròr, fratello di Sua Maestà e re dei Colli Ferrosi.»
Elinor sfoderò il sorriso più dolce che riuscì a trovare e si piegò in una leggera riverenza, come Dìs le aveva insegnato quel pomeriggio. «Vostra Maestà…»
Con suo grande disappunto, Gròr si limitò a ricambiare il saluto con un rigido cenno del capo. «Beh, per essere per metà donna, è decisamente meglio di quello che mi aspettassi» disse il nano sporgendosi verso l’orecchio di Thràin, senza curarsi di parlare piano e facendo come se Elinor non fosse presente. La ragazza sentì immediatamente un moto di rabbia salirle alla testa, e ma si ricordò quello che Dìs le aveva detto riguardo all’invidia che sicuramente avrebbe suscitato nei loro parenti e si sforzò di restare impassibile e mantenere il sorriso inalterato. Thràin, che aveva fulminato lo zio con un’occhiata di avvertimento, andò avanti con le presentazioni: «E questi sono i miei cugini: Nàin e sua moglie Helga, i loro figli Dàin e Dròr, e le loro figlie Audhilde Birgit.»
Elinor si inchinò con grazia al nano dai capelli scuri, che la salutò né più né meno come aveva fatto suo padre, e alla nana che gli stava al fianco, molto in carne e dai lineamenti nobili e fieri (coperti però quasi interamente da una barba folta quasi quanto quella del marito), la quale la fissò con la stessa aria di superiorità con cui avrebbe guardato una servetta venuta a riempirle il bicchiere. Le sue labbra sottili furono increspate solo da un sorriso che somigliava più alla smorfia di chi ha appena inghiottito un limone, e che Elinor ricambiò con deferenza prima di rivolgere la sua attenzione ai figli maschi della coppia, due nani poco più giovani di Thorin.
«Dàin…»
«… e Dròr. Al vostro servizio, mia lady.»
Si inchinarono facendo quasi toccare terra alle loro barbe (una rossiccia e una castano scuro) e le rivolsero un sorriso abbastanza cordiale. Non altrettanto accomodante fu invece l’accoglienza delle loro sorelle, che a occhio e croce dovevano avere l’età di Elinor, e che le si avvicinarono con l’espressione di chi avrebbe di gran lunga preferito trovarsi in tutt’altro posto.
«Elinor» disse la più alta delle due, concedendole un sorriso che non coinvolse gli occhi. «Finalmente ci incontriamo.»
«Eravamo oltremodo… curiose di fare la vostra conoscenza» aggiunse l’altra, senza riuscire a trattenersi dallo squadrarla da capo a piedi.
«Vi assicuro che la curiosità era reciproca» rispose Elinor chinando il capo in un rispettoso cenno di saluto e ignorando il suo sguardo di sufficienza. «Thorin e Dìs mi hanno molto parlato di voi.»
«Oh, davvero? Molto bene, voglio sperare!»
«Come sempre, cugina.»
Le tre ragazze si voltarono. Thorin, posato il boccale di birra, le aveva raggiunte, e adesso, con le mani giunte dietro la schiena, fissava Elinor con un leggero sorriso e un sopracciglio impercettibilmente sollevato in un’inequivocabile espressione d’intesa. La ragazza, che ricordava fin troppo bene i suoi avvertimenti di quel pomeriggio riguardo al carattere poco piacevole dei suoi parenti, fece del suo meglio per non scoppiare a ridere.
«Thorin…»
Lo salutò con una piccola riverenza, ricambiando il sorriso. Rimasero a guardarsi in silenzio per qualche secondo, ed Elinor non poté fare a meno di notare quanto gli donassero la camicia blu e il gilet di cuoio scuro che indossava quella sera.
«Elinor…» disse Thorin inchinandosi brevemente. Alla ragazza non sfuggì la rapida occhiata che rivolse alla sua figura. Non ne fu infastidita come era successo un momento prima con Birgit: era estremamente chiaro che il nano aveva apprezzato quello che aveva visto, ed era altrettanto chiaro che era lui il primo ad esserne imbarazzato.
«Siete … diversa, stasera.»
Diversa. DIVERSA. Nel nome di Eru, qualcuno deve assolutamente insegnargli come si fa un complimento ad una ragazza!
Elinor sorrise, lusingata. «Vi ho detto che avrei fatto del mio meglio per imparare le usanze dei Nani.»
Gli occhi di Thorin parvero illuminarsi.
«Comunque, è tutto merito di vostra sorella. Mi ha aiutata lei a prepararmi.»
Dìs, che a circa un metro di distanza da lì tentava di origliare la loro conversazione, vedendo l’attenzione del fratello spostarsi su di lei, esibì il sorrisetto imbarazzato di chi è stato colto sul fatto e si dileguò all’istante in cerca di un bicchiere di vino. Thorin, dopo aver lanciato un’occhiata inceneritrice in direzione della sua schiena, tornò a rivolgersi ad Elinor.
«Siete molto … molto …» deglutì e sbatté le palpebre, in cerca di parole che non arrivavano «Dìs ha fatto un buon lavoro, ecco.»
«Vi ringrazio» rispose Elinor, capendo che, per il momento, avrebbe dovuto accontentarsi di questo.
«Vogliamo sederci?»
«Con piacere.»
Si sedettero l’uno davanti all’altra, mentre anche il resto della famiglia prendeva posto e gli invitati iniziavano ad essere serviti con le prime portate.
La prima parte della cena fu piuttosto tranquilla, sicuramente molto migliore di quanto Elinor si sarebbe aspettata da come Thorin e Dìs le avevano descritto la famiglia di Gròr. I nani dei Colli Ferrosi, a parte rivolgerle a malapena la parola (cosa che ad Elinor andava benissimo) ed interloquire con aria di arroganza e superiorità, non si dimostrarono particolarmente sgradevoli, e si limitarono a conversare di argomenti innocui con Thràin e Thròr. Quest’ultimo, da parte sua, quando riusciva a prestare loro abbastanza attenzione da rispondere, lo faceva con grugniti infastiditi e monosillabi svogliati. Era abbastanza chiaro che tra lui e suo fratello non ci fosse grande affetto: questa totale mancanza di empatia si concretizzava nell’aria pesante che si respirava a tavola, e che soltanto Dìs, ogni tanto, tentava di alleggerire con qualche battuta.
Fu inevitabile, comunque, che prima o poi la conversazione cadesse sull’argomento più importante di quella giornata appena trascorsa…
«Ho sentito che questa mattina avete avuto uno spiacevole inconveniente con degli orchi, Tràin» osservò Gròr, staccando un pezzo di carne dalla coscia di montone che aveva fra i denti. «Ai Colli Ferrosi sono giunte delle notizie, ma scarse e tutte molto confuse…»
«Oh, una brutta faccenda, zio» rispose Thràin in tono amaro, scuotendo la testa. «Davvero una gran brutta faccenda. Per fortuna Thorin ed Elinor sono stati pronti a reagire, altrimenti a quest’ora staremmo festeggiando il loro funerale, invece che il loro fidanzamento.»
Thorin prese la parola per raccontare brevemente l’accaduto, e quando giunse alla parte in cui Elinor gli salvava la vita alzò lo sguardo dal suo piatto per incontrare quello della ragazza.
«Non sarei qui, adesso, se non fosse stato per lei» concluse a mezza voce, come se nella sala ci fossero solo loro due, fissandola così intensamente da farle abbassare gli occhi per l’imbarazzo.
In torno a loro calò un silenzio attonito. Elinor rialzò lo sguardo, e si accorse che i parenti la stavano tutti fissando con un’espressione a metà tra lo stupito, lo scandalizzato e il divertito. Non che si aspettasse applausi e dimostrazioni di ammirazione, tantomeno da parte loro, ma di sicuro non era preparata ad una reazione del genere. Helga sembrò essere la prima a riscuotersi.
«Una donna che si dedica alle armi…» constatò in tono sorpreso e velato di tagliente ironia, mentre tagliava la carne con fare noncurante. «Non ne avevo mai incontrata una. A Dale hanno davvero un modo bizzarro di educare le ragazzine.»
Elinor avvertì un vago sentore di irritazione alla bocca dello stomaco, ma Dìs, incrociando il suo sguardo, le fece segno di non farci caso e lasciar perdere.
«Veramente» replicò nel tono più gentile e affabile che riuscì a trovare «non è a Esgaroth che ho imparato a usare l’arco, ma a BoscoVerde.»
La nana piegò le labbra in un sorriso affettato. «Capisco» disse alzando lo sguardo dal piatto e fissandola con fare canzonatorio. «Vostro padre sarà molto felice di questa vostra … predisposizione, immagino.»
Elinor rimase impassibile, anzi, se possibile allargò ancora di più il sorriso. «Dopo stamattina lo è decisamente diventato» si limitò a rispondere, sostenendo il suo sguardo.
Capì subito di aver segnato un importante punto a suo favore, perché il sorriso di Helga s’incrinò visibilmente, e la nana tornò a dedicarsi al suo piatto.
«Quindi, Thorin» intervenne Dàin in tono divertito «in conclusione ti sei fatto salvare la pelle da una ragazza
Thorin si voltò lentamente verso di lui, con l’aria di chi sta disperatamente cercando di mantenere la calma. «Pare che sia così» rispose con la voce vibrante di irritazione repressa.
Dàin scoppiò in una sguaiata risata, la bocca ancora mezza piena di cibo. «Allora ti ha già in pugno, cugino! Scordati di sgarrare anche solo di un capello, nel vostro matrimonio: sarà sempre pronta a rinfacciarti di quando ti ha salvato la vita da un branco di orchi! Ti terrà decisamente per le…»
«Grazie, Dàin» lo interruppe Thràin gelidamente. «Abbiamo capito il concetto.»
Elinor abbozzò un sorriso imbarazzato, ma si accorse che quasi nessun altro, a parte lei, stava facendo lo stesso. Audhild e Birgit, che si erano fatte sfuggire alcuni risolini dietro la mano, furono subito ridotte al silenzio da un’occhiata fulminante della loro madre. Dìs aveva roteato gli occhi verso l’alto, nauseata, e Thràin e Thròr fissavano Dàin con aria tutt’altro che divertita. Il disappunto più evidente, però, era quello di Thorin: il nano aveva contratto la mascella ed era diventato grigio, poi bianco come un lenzuolo, poi rosso acceso. Sembrò che stesse per rispondere al cugino per le rime, e invece, con grande sorpresa di Elinor, non disse nulla, limitandosi a sfogare la rabbia strizzando il tovagliolo nella mano sinistra finché le nocche quasi non gli schizzarono via dalle mani. Ma non fu il suo strano sforzo di autocontrollo che preoccupò Elinor, quanto l’effetto che quella battuta infelice avrebbe potuto produrre nella sua mente. Dàin era chiaramente un idiota la cui opinione valeva quanto lo sputo di un goblin, ma Elinor temeva che quella considerazione avrebbe potuto risvegliare, seppur inconsciamente, l’avversione per il matrimonio di cui Thorin non aveva mai fatto mistero, e quindi anche l’ostilità nei suoi confronti. Era vero che quello che era successo con gli Orchi quella mattina aveva migliorato notevolmente il loro rapporto, ma ancora era ben lontana dall’aver conquistato pienamente la sua fiducia. E l’ultima cosa che le serviva per la buona riuscita del suo piano, era che i progressi che aveva faticosamente ottenuto fossero annullati dalla battuta infelice di uno stupido.
Per fortuna (e non avrebbe mai creduto di poterlo pensare), proprio in quel momento Birgit prese la parola per cambiare argomento, evitando così a tutti di soffermarsi troppo con la mente su quello che era appena successo.
«Elinor» le si rivolse la giovane nana in tono affettato «immagino che, oltre a tirare con l’arco, tu sappia anche ricamare molto bene. Mi piacerebbe vedere qualcuno dei tuoi lavori, una volta o l’altra. E noi, magari, possiamo mostrarti i nostri…»
Se Birgit si aspettava una risposta immediata, e soprattutto entusiasta, rimase enormemente delusa. Elinor, che si stava portando alle labbra una coppa di vino, interruppe il gesto a metà, completamente colta alla sprovvista. Volse lo sguardo intorno a sé, rendendosi conto con orrore che gli sguardi di tutti erano puntati su di lei, in attesa della sua risposta.
«Veramente» iniziò imbarazzata «non ho mai imparato a ricamare molto bene…»
Aveva la precisa sensazione che non fosse esattamente la risposta giusta da dare, e infatti i suoi sospetti furono confermati. Gli occhi di Birgit e quelli della sorella diventarono grandi come piattini, e la fissarono come se avesse appena dichiarato di essere un Ent travestito da donna.
«P…prego?» chiese Audhild, come sperando di aver capito male.
«Hanno provato ad insegnarmi, ovviamente» riprese Elinor in fretta. «Ma non sono mai stata molto portata. Beh, diciamo che … non mi piaceva granché, ecco. Quando arrivava la mia maestra di ricamo, trovavo sempre il modo di sparire e nascondermi da qualche parte. Le sculacciate che mi sono toccate per questo!»
Concluse la spiegazione con una risatina nervosa e forzata, sperando di buttarla sul comico, ma come c’era da aspettarsi non ottenne l’effetto sperato: i volti dei Nani dei Colli Ferrosi avevano espressioni che spaziavano dall’attonito alla disapprovazione più assoluta.
«Ma … quindi …» domandò confusa Audhild, che evidentemente non riusciva a concepire l’assenza dell’attività del ricamo nella vita di una persona di sesso femminile «chi ha cucito il tuo corredo di nozze?»
«Non … non ho un corredo di nozze» rispose Elinor disorientata. E come poteva averlo, se quel fidanzamento era tutta una farsa? «Voglio dire, ho quello di mia madre. E’ ancora in perfette condizioni, e a lei, beh … non serve più, purtroppo. Immagino che possa andare bene lo stesso … no?»
Le ci volle un attimo per capire che aveva detto la seconda cosa sbagliata nel giro di due minuti scarsi. Si guardò intorno in cerca di approvazione, ma tutti rimasero impassibili. Solo Dìs cercava di soffocare disperatamente una risata nel boccale di birra che aveva davanti, mentre Thorin accennava un piccolo sogghigno divertito sotto i baffi.
Passarono diversi minuti prima che qualcuno prendesse di nuovo al parola, ma alla fine fu il vecchio Gròr a spezzare il pesante silenzio che si era formato.
«Thràin devo ammettere che la scelta della futura sposa per tuo figlio è oltremodo … interessante» osservò il re dei Colli Ferrosi in tono leggero, tagliando la sua carne. Doveva probabilmente suonare come un’affermazione innocente e del tutto priva di sottintesi, ma Elinor capì senza troppa difficoltà che si trattava di una critica nei suoi confronti. Anche Thràin dovette capirlo benissimo, perché rispose con un grugnito indecifrabile (subito soffocato da una sorsata di vino) che avrebbe dovuto scoraggiare un proseguimento della conversazione. Gròr, però, sembrava deciso ad andare fino in fondo, perché, ignorando il suo palese tentativo di lasciar cadere il discorso, continuò: «Mi sorprende soprattutto la scelta di mescolare il sangue nanico con il sangue umano. Sai come la penso al riguardo, ma … sono sicuro che avrete avuto le vostre buone ragioni.»
Il moto di rabbia nello stomaco di Elinor si fece più acuto, e la ragazza strinse spasmodicamente la seta della veste all’altezza del ginocchio, pregando a denti stretti di non perdere la pazienza. Non riusciva a credere che stessero continuando a parlare in quel modo mentre lei era lì, presente e in grado di sentire tutto quello che dicevano! Evidentemente avevano una così bassa considerazione di lei, da ritenere la sua presenza trascurabile, e il rispetto nei suoi confronti una pura perdita di tempo …
«Il nostro seme è forte, zio, lo sai bene» stava cercando di difendersi intanto Thràin. «Elinor e suo padre differiscono dal nostro popolo solo per pochi tratti somatici, e godono del beneficio della lunga vita esattamente come noi. E, in ogni caso, è risaputo che il sangue puro si indebolisca con il passare delle generazioni. I loro discendenti saranno molto più forti di quanto lo siamo noi adesso.»
Gròr smise di tagliare la carne e levò sul nipote uno sguardo glaciale. «Mi sfugge come del sangue annacquato possa diventare più forte» disse, la voce carica di freddo sarcasmo. «Comunque, la scelta è vostra, e non ho intenzione di immischiarmi ulteriormente. E’ l’altro aspetto della questione, piuttosto, a preoccuparmi.»
«A cosa ti riferisci?» domandò Thràin in tono polemico.
«A questo folle tentativo di alleanza con gli Elfi, ecco a cosa mi riferisco. Se vuoi la mia opinione, è soltanto un’enorme perdita di tempo.»
Elinor chiuse gli occhi per qualche secondo, sentendo la soglia di sopportazione crollare poco a poco, e si chiese quanto ci avrebbe messo a intervenire in toni poco gentili. Sapeva di non doverlo fare: avrebbe dato loro la soddisfazione di vederla perdere la calma, e in ogni caso perché avrebbe dovuto prenderla tanto sul personale? La sua presenza lì era solo funzionale alla riuscita del piano, non avrebbe mai sposato veramente Thorin, non sarebbero mai diventati i suoi parenti … Eppure sentiva che, se la conversazione fosse proseguita su quei toni, non avrebbe risposto delle sue parole.
«Perdita di tempo?» intervenne in quel momento Thorin, freddo. «Abbiamo bisogno di alleati, non possiamo permetterci di rimanere isolati per sempre. L’attacco degli Orchi di questa mattina lo dimostra chiaramente, direi.»
Nàin, qualche posto più in là, scoppiò in una sprezzante risata. «Bisogno? Ogni guerriero nano vale cinque volte un guerriero elfo! Perlomeno … ogni guerriero nano dei Colli Ferrosi. Noi non lasciamo che siano le nostre donne a salvarci la pelle, sai» concluse con un sorrisetto canzonatorio. Thorin, che era diventato rosso per l’ira e stava per scagliarglisi contro (probabilmente non solo a parole), fu bloccato in tempo dal padre, che gli mise una mano sul braccio e gi fece cenno di restare seduto. Fu un’altra voce, però, a levarsi in suo appoggio con un ringhio.
«Attento a come parli … ragazzo.»
Tutti si voltarono all’istante. Re Thròr, che fino a quel momento era sembrato presente solo fisicamente alla loro tavola, stava fissando il giovane nano con gli occhi scuri stretti minacciosamente sotto le cespugliose sopracciglia grigie. Naàin sembrò perdere improvvisamente l’uso della parola, ma ci pensò suo padre, forte della corona che aveva in testa e della sua condizione di fratello di Thròr, a continuare in vece sua.
«Dovreste rifiutarvi persino di condividere la stessa aria con gli Elfi» affermò nello stesso tono sprezzante del figlio. «Figuriamoci farci alleanze! Se proprio lo volete sapere, questo, per me, significa mancanza di spina dorsale!»
Fu in quel preciso momento che la rabbia di Elinor ruppe gli argini e dilagò. Le sue labbra e la sua lingue si mossero da sole, prima che chiunque altro potesse dire qualcosa, e la ragazza si ritrovò a sputare fuori tutto quello che le ribolliva nella testa senza più freni inibitori.
«Mancanza di spina dorsale?» scattò con voce vibrante di rabbia. «Con tutto il rispetto, Maestà, ma mi sembra che questo sia tutt’altro che mancanza di spina dorsale! Re Thròr, il principe Thràin e il principe Thorin hanno deciso di compiere il notevole sforzo di superare le divisioni tra razze e cercare un’intesa con gli Elfi, rifiutandosi di rimanere arroccati su prese di posizione e sterili pregiudizi! Per come la vedo io, non sono certo loro a mancare di spina dorsale!»
Il silenzio che seguì il suo sfogo fu talmente denso, lungo e pesante, che Elinor non ricordava di avere mai assistito a niente del genere prima d’ora. Si lasciò cadere all’indietro sullo schienale della sedia, lasciando andare il fiato e fissando con aria di sfida re Gròr, il quale, da parte sua, la guardava con un’espressione livida a metà tra l’indignato e il disgustato. Elinor era consapevole degli sguardi di tutti gli altri su di lei: di quelli sbalorditi di Dàin, Dròr e Nàin, di quelli scandalizzati di Helga, Birgit e Audhild, di quelli attoniti della famiglia reale di Erebor e di tutto il resto dei nani presenti nella sala. Persino l’orchestra aveva smesso di suonare, sconcertata dal suono della sua voce che, via via, si era fatto sempre più alto. D’improvviso, come tornando in sé da un raptus, avvertì l’impellente bisogno di alzarsi e scappare via dalla sala, ma capiva che, se l’avesse fatto, Gròr e tutto ‘esercito dei suoi arroganti figli e nipoti avrebbero vinto. E lei non poteva permetterlo.
Poi, finalmente, nel silenzio si levò la voce burbera e un po’ divertita di Thròr.
«Allora!» tuonò. «Credo che sia arrivato il momento di servire il dolce!»
Alle sue parole, la sala sembrò riprendere vita: i nani agli altri tavoli ricominciarono a parlare tra sé (anche se a voce molto bassa e lanciando di tanto in tanto occhiate alla tavola reale), l’orchestra riprese a suonare e i servitori ad andare su e giù con piatti e vassoi. Elinor cercò di dedicarsi alla gelatina di more che le era stata appena messa davanti, ma la mano che reggeva il cucchiaino non voleva saperne di smettere di tremare. Dovette respirare profondamente per un paio di secondi, prima di riprendere il controllo di sé.
“Che cosa diamine mi è preso?”
Solo ora si rendeva conto di quanto si fosse spinta oltre. Non era pentita di quello che aveva detto, quei boriosi arroganti non si meritavano niente di meno, e non era certo la loro opinione a preoccuparla. Temeva solo di aver compromesso in qualche modo i rapporti tra le due famiglie, benché fosse chiaro che, anche prima delle sue parole, essi non godessero propriamente di buona salute …
Alzò lo sguardo dal piatto. Thorin, davanti a lei, non aveva neppure toccato la sua gelatina, e la fissava in silenzio con aria indecifrabile, le sopracciglia scure leggermente corrugate e le labbra appena dischiuse. Se si fosse di nuovo infuriato con lei, questa volta non avrebbe avuto speranze di riconquistare la sua fiducia: sarebbe stato molto più semplice darsi per vinta e rassegnarsi a sposare Uren …
«Che abbiano inizio le danze!» esclamò Thràin in quel momento, battendo le mani, e l’intenso scambio di sguardi che si era instaurato tra Elinor e Thorin fu bruscamente interrotto.
Come in occasione del banchetto di benvenuto, le tavole e le panche che si trovavano in mezzo alla sala (questa volta decisamente meno numerose) furono addossate al muro, e l’orchestra iniziò a suonare motivi decisamente più ballabili, mentre i presenti si accalcavano intorno alla pista per osservare le coppie che danzavano.
«Ben fatto, cara!» le bisbigliò Dìs con una strizzata d’occhio, passandole accanto per trascinare suo marito nella pista. «Non avrei saputo dire di meglio!»
«Grazie» rispose Elinor con un debole sorriso, guardandola sparire tra la gente. Provò ad allungare il collo in cerca di Thorin, ma le operazioni di sgombro della sala e l’accalcarsi della gente li avevano fatti perdere di vista. Proprio in quel momento, mentre cercava di alzarsi sulle punte dei piedi per sbirciare dietro le schiene di un gruppo di nani, sentì una mano gentile posarsi sul suo braccio. Si voltò: Balin era accanto a lei, un sorriso bonario sulle labbra e uno sguardo affettuoso negli occhi.
«Il mio ruolo, la mia età e il mio buonsenso mi imporrebbero di rimproverarvi, ma sarei un ipocrita se lo facessi» le disse il nano. «E dire che, dopo stamattina, ero preoccupato per la vostra salute e il vostro morale … Vedo che vi siete ripresa più che bene!»
Elinor rise stancamente e scosse la testa. «Ho fatto una sciocchezza, invece. Non avrei dovuto perdere il controllo in quel modo.»
Balin si strinse nelle spalle. «Se la conversazione fosse andata avanti ancora per molto, probabilmente sarebbe stato Thorin a perdere la pazienza, e non sono sicuro che sarebbe finita molto meglio di così.»
Un incerto sorriso si fece strada sul volto di Elinor. «Come sempre, siete troppo gentile con me, Balin.»
Il nano agitò una mano, ridendo. «Non dite sciocchezze! Piuttosto, ho sentito della vostra riconciliazione con Thorin di questo pomeriggio. Sono immensamente felice per voi.»
«Vi ringrazio.»
Si accorse di riuscire a malapena a respirare. Il caldo, la confusione e il nervosismo andavano a formare una miscela decisamente poco gradevole. Sentiva che, se non fosse uscita fuori almeno per qualche minuto, avrebbe seriamente rischiato di svenire.
Scambiò ancora qualche parola con Balin, e poi, dopo aver gentilmente declinato la sua proposta di ballare dicendo di avere bisogno di una boccata d’aria, cercò di farsi largo in mezzo alla gente per guadagnare l’uscita.
«Impudente, irrispettosa, e per di più senza un filo di barba!»
«E non sa nemmeno come si usano ago e filo! Vorrei proprio sapere come pretende di poter essere una buona moglie se non sa nemmeno comportarsi come una donna che si rispetti!»
Le parole, condite da risatine sprezzanti , arrivarono alle orecchie di Elinor mescolate alla musica, alle risate e ai battimani, ma chiare e inequivocabili. Si voltò, e alla sua sinistra scorse Audhild e Birgit parlottare tra sé. Quando si accorsero che le stava guardando e che le aveva sentite, le rivolsero un falso sorriso affettato, che Elinor ricambiò con uno sguardo gelido, prima di sorpassarle senza tanti complimenti e uscire dalla grossa porta di quercia.
Cominciò a sentirsi un po’ meglio già quando, a metà del corridoio, la musica e la confusione iniziarono a scemare, ma sapeva perfettamente che, finché non avesse raggiunto la pace dei Giardini Interni, non sarebbe riuscita a calmarsi e riprendersi del tutto. Perlomeno, adesso riusciva a respirare in modo normale. Si godette la piacevole sensazione dell’aria che andava a gonfiarle i polmoni, mentre, per l’ennesima volta, la sua parte debole le chiedeva se tutto quello che stava subendo – la tensione continua, il rischio di morire o di venire scoperta, il vedersi insultata apertamente, il senso di colpa lancinante – fossero davvero il giusto prezzo per la sua libertà.
Non essere ridicola. La tua libertà vale questo e anche di più.
Fu felice di vedere che ormai, aveva quasi raggiunto il corridoio laterale che conduceva alla porta dei Giardini Interni. Già pregustava la quiete, l’aria dolce di primavera e il bellissimo panorama che avrebbe trovato fuori. Era sicura che l’avrebbero aiutata a scacciare tutti i suoi spiacevoli pensieri e tutto il cattivo umore accumulato durante la cena …
«Elinor! Aspettate!»
Si immobilizzò nel punto in cui si trovava, lo stomaco che, d’istinto, compiva una buffa capriola all’indietro.
Si voltò.
Thorin veniva verso di lei a grandi passi dal fondo del corridoio, il fuoco delle torce che disegnava strani giochi di luci e ombre sul suo volto.
 
ANGOLO AUTRICE: Ebbene sì, sono ancora viva! Non mi hanno mangiato gli Orchi! Chiedo perdono per la lunga attesa, ma purtroppo in questo periodo l’università e lo studio hanno occupato gran parte del mio tempo libero! So che il capitolo non è molto movimentato, ma mi serviva una parte di “assestamento” perché Elinor e Thorin avessero modo di riconsiderare il loro rapporto dopo quello che è successo con gli orchi. Spero che non vi annoiate e che riusciate ad arrivare vive e vegete alla fine!
Grazie a chi recensirà di nuovo, a chi recensirà per la prima volta, e anche a chi si limiterà soltanto a leggere!
Buona lettura e a presto!
Linda
   
 
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