L'aria era calda. Molto calda. Troppo.
Soffocava.
Piccole goccie di sudore le imperlavano il viso arrossato.
Niente aveva senso, il mondo intorno a lei era diventato un vortice di vapore biancastro e ustionante.
Era al centro di un vulcano attivo.
No.
Peggio.
Era al centro esatto dell'inferno.
Un volto indistino le si parò davanti.
Emma urlò.
E si svegliò, il cuore che batteva all'impazzata, gli occhi sbarrati, pieni di lacrime. Casa. Era a casa. Scalciò le lenzuola e, tremante, corse in bagno a sciacquarsi la faccia. Quando si rimirò nello specchio davanti al lavandino, per poco non urlò: una ragazza dalla pelle d'ebano la fissava amichevole. I corti capelli neri le si arricciavano in modo attraente intorno al viso angelico; indossava una divisa nera con lo stemma di un Mewtwo dalla coda arricciata attorno ad una bacchetta cucito sul petto. << Emma, giusto? Ciao, scusa se ti ho fatto spaventare. Sono Ebony, Ebony Freeman. Sono la tua tutor. Dobbiamo partire, ho già preparato il tuo baule mentre tu dormivi.>> << Partire? Adesso? Ma è notte fonda! E poi... come cavolo hai fatto a entrare in casa mia? Non avete il concetto di privacy per caso?>> Ebony fece un sorrisetto a metà tra il colpevole e il divertito, e disse schiettamente: << No, affatto. Ora che l'abbiamo chiarito, possiamo sbrigarci? Domani mattina abbiamo un appuntamento con Olivander e sia mai che lo facciamo aspettare.>>
<< E i miei genitori?>> << Beh, che cosa ti aspettavi? Che dei babbani avrebbero potuto sapere ciò che accade nel mondo magico?>> << Non penso di seguirti.>> << Emma, Emma. Gli abbiamo cancellato la memoria, no?! Ora la famiglia DeLuca non ha mai avuto una figlia.>>
La brunetta osservò il suo viso nelle foto appese sulla parete svanire lentamente. Anche la E ricamata sul suo asciugamano si dissolse.
Corse in cucina: i suoi disegni appesi al frigo erano scomparsi. La letterina per la festa del papà ora recitava solo “ti voglio bene, da Matteo”.
“Ti vogliamo bene, da Emma e Matteo. E' sempre stata così. E così dev'essere... io sono loro figlia.”
Crollò in ginocchio. I singhiozzi iniziarono a scuoterle le spalle.
<< E' ora di andare, Em.>> disse la mora dolcemente. La guardava piena di comprensione. Anche lei era una nata babbana, anche lei aveva dovuto subire quel trattamento.
Senza aspettare risposta, prese la sua bacchetta -ebano, dieci pollici, rigida, nucleo di corda di cuore di drago- e, afferrandole la mano, borbottò parole incomprensibili.
Un vortice le avvolse. Faceva caldo, e il viso di Ebony risultava indefinito agli occhi della giovane Haiku.
<< Benvenuta nei tuoi sogni, Emma. Benvenuta all'inferno.>>