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Autore: drawandwrite    29/04/2013    5 recensioni
Ryan Gray è un normalissimo studente Americano, da poco trasferito in Giappone per studi specifici.
La sua vita viene da subito turbata da un incontro particolare, che lo spaventerà e ecciterà al contempo.
Nel frattempo le vite Di Nozomi, Komachi, Karen, Urara, Rin, e Kurumi trascorrono tranquille.
E così sarà finché la loro strada non si incrocerà con quella di Ryan Gray.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ryan non annuì né si mostrò contrario. Rimase impassibile, lo sguardo vacuo e la mente persa in sentieri intricati ed oscuri. La comparsa in rapida successione di più combattenti, il breve dialogo fra pareri contrastanti, l’alito della bestia aleggiante fra di loro. Tutto aveva contribuito a stordirlo e a forzarlo ad allentare la presa sulla sua lucidità. Credeva di aver afferrato la situazione, un guizzo rapido, sfuggente, con dita repentine ed una stretta salda che non si sarebbe lasciata scappare quel poco di informazioni assorbite e intuite. Invece, la comprensione stessa aveva preso a scivolargli lentamente dalle mani, dalla pelle, dalle membra.
Sentiva di essere irrilevante in quel contesto, nonostante lui fosse il centro di tutto. Si, lo aveva capito. Lo aveva intuito. Gli sguardi fuggevoli che riceveva di sottecchi erano al pari di stilettate, sottili eppure profondi, tanto profondi da raggiungere il suo intimo e ferirlo. Ryan non capiva la situazione, non capiva il punto di vista delle combattenti, né capiva il suo.
Sapeva in qualche modo di essere l’occhio del ciclone. La causa e la colpa. Eppure non conosceva soluzioni, né immaginava come diavolo fosse entrato in quel tornado terrificante. Il comportamento di chi gli stava intorno lasciava trapelare dubbio, interesse, domande  e, nel peggiore dei casi, sospetto.
Era tenuto sotto stretta sorveglianza, lo aveva dedotto. Le combattenti avrebbero potuto tranquillamente lasciarlo al suo destino, ordinarli di fuggire e disinteressarsi beatamente di ciò che gli sarebbe accaduto nell’imminente frangente.
No, invece. Aveva ben due guardie del corpo. Era controllato, e non ne conosceva la ragione.
Era diverso, questo lo sapeva. Diverso non da loro, dalle combattenti, da Rin. Diverso dal resto dell’umanità, inconscia del pericolo e ignara di avvenimenti esclusi dalla vita ordinaria. Avvenimenti che nessuna mente riuscirebbe a concepire senza sfumarli di un certo surrealismo o, addirittura, di una certa ilarità. Si, perché, in fondo, ciò che per giorni aveva scosso il suo animo, divorato il suo sonno, segnato il suo viso, si verificava solo nei fumetti.
Era diverso. E non lo pensava per vanità, egocentrismo e idiozie simili. Ne aveva la certezza, perché era l’unico –escluse le combattenti – a non venire abbattuto come un birillo inanimato al momento dell’intervento nemico. Era l’unico che la coscienza non abbandonava quando avvenimenti al di fuori del realismo, esclusi dalla sfera della credibilità umana, si susseguivano a ritmi mozzafiato.
Si, era diverso. Si sentiva diverso. Come un alieno di sette braccia e un occhio. Era come il rosso su sfondo grigio. Come un colore acceso su sfondo monocromo. Come l’eccezione sulla folla.
Come Rin.
Il filo dei suoi pensieri si strozzò con le proprie mani, stridendo come una disco stride quando viene brutalmente interrotto.
Rin?
Di nuovo. Lo aveva fatto di nuovo: si era insinuata nei suoi pensieri con una sfacciataggine degna del suo carattere.
Scosse il capo,come a voler scacciare pensieri sciocchi come quelli, decisamente inadatti al contesto pericoloso in cui era stato inserito a forza, da qualcuno di esterno. Come fosse una partita a scacchi, lui si sentiva una stupida pedina inanimata, impotente e inerme.  I turni si succedevano senza il tempo di un respiro, stretti e accorciati dalla volontà contrastante dei due  giocatori.
-Sei troppo lento, zoppo!- la voce di Rin, distante eppure maledettamente tagliente, allungò le sue braccia e lo afferrò, riportandolo sgarbatamente alla realtà.
La ragazza gli urlava nelle orecchie di aumentare il passo e allungare le falcate. Ma Ryan non rispondeva. Non perché non lo volesse. Non riusciva ad uscire dallo stordimento di incomprensione cui era caduto vittima. L’altra compagna, invece,  lo sorreggeva, nel tentativo di alleviare il peso sulla sua gamba destra, dolorante, sebbene radicalmente migliorata dopo il trattamento di …
Be’, il concetto era che non riusciva ad aumentare il ritmo dei propri passi. Era spossato, a pezzi, frustato. E faticava. A muoversi, a ragionare. Qualsiasi cosa facesse gli costava un immenso sforzo; si sentiva in un mare di melassa che gli bloccava corpo e mente, lo rallentava e lo indeboliva.
Lasciò vagare lo sguardo vuoto nei dintorni, sforzandosi di concentrarsi sulla purezza dei propri sensi, sulla loro veridicità. Si assicurava che non fossero alterati dal panico, dalla fretta pressante, che non fossero vittima di futili illusioni. Ma ormai era ridotto ad uno stato in cui persino il proprio stesso corpo pareva un enigma irrisolvibile.
-va tutto bene- si sentì sussurrare con voce gentile –siamo quasi arrivati-
Sentì le dita della ragazza che lo sorreggeva stringersi più forte sul suo costato. Faticava, era palese. Be’, in fondo non era per nulla un dolce peso, lui. C’era pur sempre il piccolo particolare dell’altezza a fregarlo puntualmente. Riusciva a distinguere, vaga ed indistinta, la sagoma di un edificio in lontananza, probabilmente si trattava della tanto aspirata “Natts House”.
Sospirò di sollievo. Quello riusciva ancora a farlo.
Non sapeva spiegarsi perché si sentisse sollevato, in fondo non aveva idea di cosa lo aspettasse là dentro. I ruoli si sarebbero potuti persino invertire. Chi gli assicurava che non si sarebbe trovato faccia a faccia con qualcosa che sfiorasse l’inferno? Con qualcosa che degenerasse persino messa a confronto con la bestia che se la vedeva, nella palestra comunale, con due combattenti?
Semplice: Rin e la compagna.
Si fidava ciecamente, nonostante non le conoscesse. Forse era ingenuo. Forse troppo espansivo ed estroverso. Forse l’avrebbero fregato.
Chi poteva saperlo?
Scrollò le spalle. Ormai aveva toccato il fondo, era arrivato a sfiorare la pazzia, ad essere torturato giorno e notte da infide allucinazioni terrificanti, a mettere a dura prova il proprio autocontrollo, turbato da molesti sibili, frutto unicamente della sua immaginazione. Non aveva nulla da perdere. Come diceva il proverbio “Tentar non nuoce”.
Avanzò di qualche passo incerto, avvertendo una sempre minore pressione alla gamba, ma in quel medesimo istante la ragazza che lo sosteneva cedette, piegandosi in due per riprendere fiato e implorando per una tregua.
Rin fece un gesto seccato, lanciando uno sguardo inquieto alla propria schiena.
-Lo porto io. Andiamo-
Era angosciata. Forse non credeva nella riuscita del compito delle sue compagne? Forse diffidava della loro resistenza? In fondo erano solo in due. In due contro un bestione bello grosso.
Gli si avvicinò per poter alleggerire il peso con le sue spalle, ma qualcosa andò storto.
Rin sgranò gli occhi, il viso contorno in un espressione indecisa fra lo stupore e il dolore aspro. Le sue pieghe emotive si fecero gradualmente più vivide nei suoi tratti.
Ryan corrugò la fronte, tentando di capire cosa turbasse Rin al punto di pietrificarla e piegarla in una frustrante posa dolorante. Allungò le braccia verso di lei, per impedire che crollasse sul suo stesso corpo. La prese per i polsi, ma lei sembrò non rendersene conto. Il suo capo ciondolò sul petto, le labbra boccheggianti nell’estremo tentativo di catturare aria per i propri polmoni. Alzò lo sguardo, chiuso nella smorfia sofferente del suo viso, e Ryan giurò di vedere il suo fuoco estinguersi pian piano. Rin tentò di aggrapparsi, ma la presa diveniva gradualmente più debole, impotente, finché non scivolò piano a terra, Crollando come un solido muro di mattoni, con una velocità e semplicità disarmante.
Sulla schiena di Rin si contorceva un tentacolo  corvino, lucido, ricoperto di una patina viscida. Non la stava stringendo, non la stava soffocando, non lambiva i suoi fianchi come una morsa terribile, sembrava la stesse assaggiando.
La punta del tentacolo era radicata fra i dorsali di Rin, impiantata nell’abbraccio freddo delle vertebre, scuoteva l’esile corpo della ragazza al ritmo delle sue contorsioni, come crudeli convulsioni squassanti, violente, impietose.
Ryan agì senza pensarci due volte, avanzò e pestò il tentacolo come una ragazzina isterica e aracnofobica  pesta un povero ragno innocente che si fa una scampagnata nella sua camera. Percepì sotto i suoi piedi, nonostante la reazione fosse ovattata e attutita dalla suola e dagli strati di gomma della scarpa, il tentacolo irrigidirsi e contorcersi, nel tentativo di divincolarsi come un serpente sibilante.
E in effetti il sibilo giunse.
Ma non dal tentacolo.
Qualcosa gemette nell’ombra, distante, confuso.
Un’oscurità cupa, tetra, incutente un terrore gelido nonostante il buio le scivolasse addosso, occultandola agli sguardi indiscreti.
Il tentacolo diede uno strattone più forte, inatteso, gettando il ragazzo a terra come se fosse scivolato su una latra ghiacciata, e portandosi con sé Rin, spenta ed inerme, gettandola con una potenza e una velocità inconcepibile contro una rete delimitante un giardino. Il corpo della ragazza non oppose resistenza alcuna e sfondò la rete con tutto il proprio peso, sradicando piante e infangandosi di terra. La sua corsa fu arrestata dalla corteccia di un albero che la frenò impietosamente con un colpo sulla schiena. Rin atterrò ai piedi dell’albero. E lì ci rimase.
 
Accadde tutto troppo in fretta. Cure Mint fece appena in tempo ad alzare lo sguardo, quando Ryan crollò a terra e Rouge fu scagliata brutalmente fuori strada. Il terrore si agganciò nuovamente alle sue viscere, accorciandole il respiro. Due attacchi di seguito, in un temibile susseguirsi stravolgente. Senza lasciare troppo spazio alla sua mente per concepire l’accaduto, si piazzò davanti a Ryan e invocò la “Mint protection”, innalzando una cupola protettrice avvolgente lei e Ryan.
E lo fece giusto in tempo.
Lo scudo era ancora agli inizi quando un secondo tentacolo si abbatté sulla resistenza rifulgente, riportando un potente impatto a Cure Mint. Con grande sforzo, la ragazza si concentrò e continuò l’opera, rivestendo lo scudo di un ulteriore strato protettivo, nel disperato tentativo di renderlo più solido, imponente, infrangibile.
Un tentacolo nero come il petrolio si avventò, feroce come una vipera furiosa, contro lo scudo, trasmettendo il colpo deciso alle braccia di Mint, la quale sussultò sotto la potenza. Notò che, quando il tentacolo si ritirò per acquisire più rincorsa e quindi più potenza, lo scudo, vagamente traslucido, riportò una macchia viscida, più scura, corrosiva.
Veleno.
Quei tentacoli erano pregni di veleno.
-Ryan, togli la scarpa- urlò –subito!-
Il ragazzo la guardò, disorientato, quindi ubbidì senza proteste. Si accorse che la gomma della scarpa era stata corrosa. Si bruciò le dita per toglierla, ma finalmente ci riuscì.
Cure Mint lanciò uno sguardo angosciato a Rouge.
Esanime. Inerme.
Le lacrime le salirono alla gola fino a colarle sulle guance.
Il tentacolo l’aveva afferrata di netto. Esplorata. Corrosa.
Avvelenata.
Stava bene?
Un colpo più forte la fece arretrare di un passo, mentre l’impatto le scuoteva i muscoli.
Strinse i denti. Per quanto egoista fosse la soluzione, non doveva pensare a Rouge. Doveva concentrarsi su se stessa, su Ryan e su ciò che aveva detto Aqua.
Tienilo d’occhio.
Si, Ryan ormai era dentro al problema fino al collo.
Si asciugò le lacrime e strinse forte i denti.
Rouge era forte. Lo era sempre stata. Avrebbe retto, avrebbe resistito. Non avrebbe ceduto al veleno, lo sapeva.
Con un urlo furioso avanzò, recuperando il passo perso. Le lacrime continuavano ad annebbiarle la vista, ma ora era carica di grinta.
Un colpo.
Un altro.
Sempre più potenti.
Prima due tentacoli, poi cinque, poi sette.
Infine dieci.
La schiacciarono letteralmente. Mint sentì le sue giunture urlare di dolore, i suoi muscoli implorare tregua e ogni centimetro del suo corpo urlare in protesta. Cadde sulle ginocchia, i colpi sempre più insostenibili.
Percepì il collo infossarsi fra le spalle dolorosamente, le braccia piegarsi senza che potesse impedirlo. Infine il busto cedere. Si accasciò di lato.
Lei tremò, ma lo scudo era ancora lì.
 
Ryan era incredulo. A bocca aperta osservava la ragazza combattere con la grinta di un leone, opponendo una resistenza tenace anche nel momento in cui era a terra, sfinita, sconfitta.
Lei piangeva. Tremava. Ma non si arrendeva, continuava a combattere con la forza residua raccolta in un angolino della sua mente.
Ormai i tentacoli erano sulla ventina, un ammasso di carne viscida che si divincolava, stringendosi assieme come fossero un unico, enorme ente. Si abbattevano di peso sullo scudo debole, appena percettibile, fragile.
Si accorse che stava piangendo anche lui.
Rin era distante.
Giaceva su un fianco, riversa nella terra, distrutta e in stato di incoscienza.
La compagna era in procinto di fare la stessa fine.
Si trascinò fino a raggiungerla.
Aveva gli occhi chiusi, il corpo abbandonato. Eppure l’espressione era di estrema concentrazione, e il velo di sudore che le ricopriva la fronte in continuo mutamento.
Non si era ancora arresa.
Le prese una mano e la strinse. Come se quel patetico gesto potesse aiutarla nella sua lotta impari.
Il tempo parve dilatarsi, passarono infiniti minuti, in cui lo scudo si piegava inesorabilmente sotto la violenza nemica, e Ryan pregava per un aiuto che sapeva non sarebbe giunto.
Quando un orribile rumore di vetri infranti lo scosse, Ryan percepì il corpo della ragazza fremere, quindi abbandonarsi e perdere calore. Non osò alzare lo sguardo. Sapeva che lo scudo no c’era più.
Sapeva di essere spacciato.
Una rabbia cieca lo percorse come un onda ardente, bruciando il suo corpo e riempiendolo di un energia senza nome.
Rin e la compagna.
Entrambe esanimi per colpa sua.
Ne era terribilmente consapevole.
Lacrime di rabbia gli bruciarono il viso.
Strinse i denti, tra i quali sentì il respiro aumentare, farsi pesante, insostenibile. I polmoni erano frustati dal ritmo del’aria, e le tempie presero a pulsare.
Una calma gelida si posò su di lui come un velo.
Si sentì strano, traboccante di energia e sottile. Il vento lo trapassava da parte a parte senza subire la sua resistenza.
Alzò lo sguardo rabbioso e gli venne spontaneo.
Urlò.
Fino a farsi bruciare la gola.
Una freschezza incredibile gli congelò i muscoli, gli inebriò la mente, mentre una corrente continua d’aria vorticava nel suo corpo.
Un ondata di energia piegò l’erba circostante, scosse le fronde degli alberi, spazzò la ghiaia e innalzò un muro di polvere.
Un incredibile rumore, come un ululato di vento, gli riempì le orecchie, un sapore di pioggia gli stuzzicò la lingua, la vista divenne improvvisamente cieca, abbagliata da un bianco innaturale, sferzato solo da volute eleganti e terse.
In meno di un secondo, tutto finì. E il peso del suo corpo riprese a gravare su Ryan.
Alzò lo sguardo.
Di tentacoli,nemmeno l’ombra.
 
Kurumi urlò di frustrazione, prendendo il cappotto, allacciandosi il bracciale e facendo per uscire.
La porta le si spalancò davanti al naso, offrendole una scena agghiacciante.
Cure Mint si reggeva sui malapena sulle sue gambe, sorretta da Ryan,stravolto, il quale teneva fra le braccia Cure Rouge priva di segni di vita.
  
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