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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    03/05/2013    2 recensioni
[Angst/HurtComfort/FamilyFluff][PostHades]
Versione riveduta e corretta, divisa opportunamente in capitoli, della mia fic con lo stesso nome.
Quando non si sa se le cose miglioreranno o meno, quando un certo numero di segreti sono talmente dolorosi da rischiare di distruggere una famiglia ancora prima che questa possa muovere i primi passi...
Quando la Guerra Santa porta ferite molto più profonde di quelle fisiche.
Genere: Drammatico, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Pegasus Seiya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nei Giardini Che Nessuno Sa'
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CAPITOLO 2

IL LIMBO DI UN'ATTESA

Tanti viaggi rimandati e già,
valigie vuote da un'eternità...
Quel dolore che non sai cos'è,
solo lui non ti abbandonerà mai, oh mai!

Beffardamente, in quei lunghi sette mesi, il Sole non era quasi mai mancato. Avevano trascorso una primavera calda, insolitamente calda, un'estate afosa ma tranquilla e infine quell'autunno che, quietamente, si stava tramutando in inverno non aveva avuto troppi giorni di pioggia, anche la stagione dei tifoni era stata insolitamente mite.

A questo pensava Seika, seduta al capezzale del fratello intubato, completamente da sola per la prima volta: aveva spesso dato il cambio agli altri o fatto compagnia a Shiryu per qualche tempo ma, da quando erano tornati in Giappone dalla Grecia, non era mai rimasta sola con Seiya e la cosa le sembrava così strana e dolorosa che, se solo non avesse avuto l'incrollabile speranza di poterlo rivedere presto in piedi, sarebbe scoppiata a piangere.

Quei lunghi anni di lontananza, di oblio, in quella terra rocciosa e lontana dal suo cuore e dal suo mondo ancora non li aveva del tutto realizzati, come neanche aveva realizzato quel che aveva compreso in quel breve istante in cui aveva incrociato gli sguardi dolorosamente consapevoli di quei ragazzi che le avevano riportato il fratello minore, quei ragazzi che, come lei, erano legati a Seiya dal sangue.

Fratelli, quindi...?” bisbigliò lei, sorridendo appena nel sollevare lo sguardo per incrociare il viso del bruno addormentato: “Chissà cos'hai pensato quando l'hai saputo... Come ti sei sentito... Forse sperduto, forse felice ma confuso...” disse, accarezzandogli la guancia pallida e magra e sentendo il cuore stringersi in una morsa nel percepirne il gelo.

E' strano, fratellino... Neppure io sapevo di questa cosa... Okaa-san e Otou-san... Non me lo hanno mai detto. Altrimenti avremmo potuto cercarli, farglielo sapere... E invece...” sussurrò, mentre il Sole accarezzava la sua mano poggiata su quella inerte di Seiya: “Mi spiace di averti lasciato solo... Di essere scappata per non lasciarti solo, io...”

Lui non la penserebbe così.”

La voce severa, macchiata di stanchezza, di Ikki interruppe il filo dei suoi pensieri mentre il più giovane entrava dalla porta alle sue spalle, portando uno scialle sotto braccio e una serie di pacchi tra le braccia: lo scialle le venne messo, senza alcuna protesta da parte sua, sulle spalle mentre il resto venne posato sul mobiletto che ancora recava i segni della scaramuccia di qualche ora prima.

Shun come sta?” chiese lei, alzandosi per aiutarlo: “Cosa ha detto il dottore riguardo al bernoccolo?”

Ikki sospirò ma lo sguardo restò ostinatamente concentrato sui contenitori e sui cambi di vestiti che aveva portato con sé: “Non è nulla, è a casa con Saori adesso, sono nel suo studio da quando...”

Sai che non è colpa di Shiryu, vero? Sai bene che non pensa davvero quel che ha detto.” cercò di rassicurarlo lei, conscia dell'accaduto.

Saori-san l'aveva chiamata in tutta fretta per chiederle di restare lei con Seiya, le aveva raccontato della litigata tra il Saint di Andromeda e quello di Dragon, dell'allontanamento improvviso di quest'ultimo e lei non aveva fatto domande.

Sapeva che, se per lei era doloroso, per loro che gli erano rimasti accanto in ogni battaglia doveva essere stato ancora peggio.

Lo so, non lo biasimo per questo. E neppure Shun.” sbottò rude: “Ma non avrebbe dovuto comunque prendersela con lui per qualcosa del genere, non avrebbe dovuto dirgli quel che gli ha detto!” Ikki non aveva la forza per essere furioso, non sapeva come rapportarsi con quella ragazza che, fino a pochi mesi prima, era solo l'utopico obiettivo di una ricerca che aveva sempre ritenuto impossibile da portare a termine ma che, ora che era lì, in carne ed ossa, non sapeva come gestire, come comportarsi.

Era spaventato, come tutti, e c'era ancora quella promessa a pendere sulle loro teste.

Deve essere stata dura.”

Ikki alzò di scatto la testa, osservando quella figuretta magra mentre pescava una crocchetta da uno dei bento che aveva portato con sé e la portava alla bocca: “Voglio dire, quando hai scoperto che non solo Shun era tuo fratello, quando lo hai detto a Seiya...”

Te ne ha parlato Saori, vero?”

Sì.”

E quindi sai anche di quel che ho fatto.”

Perchè non me lo dici tu? Lei mi ha detto poco e mi ha consigliato di chiedere a voi.”

Scuotendo la testa irritato, Ikki agguantò il bento già per metà mangiucchiato e si sedette accanto a lei, a pochi passi dal letto, osservò a lungo il suo occupante poi distolse lo sguardo che minacciava di riempirsi di lacrime e lo rivolse all'esterno, al tiepido sole che brillava nel giardino della casa di cura: “Fu il mio maestro a dirmelo, quando lo ammazzai con questo pugno.” disse lapidario, fingendo di non udire il mugolio strozzato di stupore di Seika mentre le mostrava l'arma dell'assassinio che aveva perpetrato, “Seiya era incredulo quando glielo confessai, ricordo che i suoi occhi erano confusi, sperduti, forse anche pieni di disgusto. Sono stato cresciuto ed educato nell'odio, cosa poteva aspettarsi da me?!” sbottò.

Lui non la penserebbe così.” sorrise lei incoraggiante, poggiando la propria mano su quella molto più grande e massiccia del ragazzo più giovane: “Non è da lui provare disgusto per qualcuno, soprattutto se questo qualcuno ha il suo stesso sangue. Credo tu lo sappia meglio di me.” Seika sembrava così convinta nella sua idea che Ikki, per un attimo, sentì la morsa che gli attanagliava il cuore allentarsi e lasciandolo libero di respirare a pieni polmoni per la prima, forse, volta nella sua vita.

Poi cosa accadde?” proseguì la ragazza.

Ikki sospirò stancamente, si massaggiò le tempie e abbasso lo sguardo a incrociare il viso pallido di Seiya, concentrandosi sul tubo che gli pompava aria nei polmoni, nella flebo che, sottile e quasi invisibile, spariva nel braccio magro e ossuto: “Io volevo ucciderli. Volevo eliminare ogni legame di sangue che potevo avere con Mitsumasa Kido, volevo uccidere Shun... Volevo eliminare tutti e nove i miei fratellastri sopravvissuti e Athena me ne scampi! Volevo bagnarmi del loro sangue nella stupida speranza di dimenticare tutto quel che avevo vissuto all'inferno, ma mi sbagliavo.” confessò amaramente lui.

L'ho capito solo quando mi sono trovato davanti a Seiya che non avrei avuto il coraggio di alzare ancora la mano su di loro, inconsciamente forse avevo capito che non era a loro che dovevo addossare le colpe delle mie sofferenze, che erano vittime innocenti come lo ero io, ma ero cocciuto, immerso nel mio odio e nel mio disprezzo per la vita altrui.”

Però io so che li hai salvati, che li hai protetti più volte. Che sei corso ad aiutarli ogni volta che te ne si offriva la possibilità. Che sei tornato indietro dall'Aldilà anche per loro.”

Sì, l'ho fatto, ma questo che significato ha?!” sbottò il ragazzo, alzandosi di scatto in piedi: “Volevo ucciderli tutti, volevo eliminare la mia famiglia... Shun...”

Seika scosse la testa e gli prese gentilmente la mano tremante: “Anche nelle migliori famiglie ci sono degli screzi. Voi siete nati in un mondo che non vi ha voluto lasciare la possibilità di scegliere una vita normale, avete sofferto ma avete vinto e superato ostacoli enormi, vi siete fatti da soli, affidandovi gli uni agli altri... Se io sono qui adesso è solo grazie a voi, a Jabu e agli altri che mi hanno protetto, a Marin-san e Shaina-san... E se tutti noi siamo ancora vivi è solo merito vostro e del vostro legame unico e speciale.” la sua voce era chiara e limpida, senza la minima traccia di astio o disgusto come invece Ikki si sarebbe aspettato, “Non so molto dei Saint o di Athena, so solo che sono viva, che posso sperare di vedere un'altra alba e tutto grazie ai vostri enormi sacrifici. Quindi, grazie.”

Un bussare insistente, seppur debole, alla porta e il cigolio che ne annunciava l'apertura attirarono la loro attenzione mentre la figura alta e slanciata di Shiryu compariva silenziosamente sulla soglia.

Aveva gli occhi lucidi, le palpebre un po' arrossate e i suoi vestiti erano piuttosto sporchi e malconci ma, nel complesso, sembrava più calmo di qualche ora prima.

Egli guardò confusamente prima Ikki poi Seika, come se non si aspettasse di vedere né l'una né l'altro.

Ikki lo squadrò con occhio critico: “Dove sei stato?” gli chiese con tono severo.

A fare due passi... Stavo cercando Shun...”

La ragazza gli fece cenno di entrare: “E' con Saori-san.” rispose lei incoraggiante, facendogli spazio sulla sedia, “Come ti senti? Un po' meglio?” domandò poi.

Shiryu annuì impercettibilmente: “Io volevo...”

Se le mie orecchie non mi ingannano, questo rumore è quello dell'auto di Saori. Quello che vuoi credo sia meglio che lo dica tu stesso all'interessato. E prima di uscire da questa stanza, cambiati e datti una ripulita alla mano, sanguini.”

Ikki uscì in tutta fretta dalla stanza, lasciando Seika a ripulire efficentemente la ferita profonda che solcava il dorso della mano del più giovane.

§§§

Sicuro di stare bene?”

Mentre Saori scendeva dall’auto, stretta nel cappotto, Shun annuì distrattamente, alzando lo sguardo verso la struttura ospedaliera: “Stai ancora pensando a quello che ha detto Shiryu, vero?” chiese la ragazza, con una sfumatura di dolore nella voce arrochita.

Athena allungò una mano tremante per poggiargliela sulla spalla, ma il Saint di Andromeda si scostò, senza avere il coraggio di guardare la sua Dea in viso: “Io credo che abbia ragione…” mormorò con un filo di voce il bruno, fermandosi all’improvviso, con la portiera per metà aperta.

Non si mosse, semplicemente restò lì, con la mano nuda poggiata sul freddo metallo, lo sguardo basso e la testa incassata nelle spalle, come se fosse una tartaruga in cerca di scampo.

Saori ritrasse di scatto la mano, come se si fosse scottata, e lo guardò con espressione smarrita e spaventata.

Non è colpa tua, Shun… Lo sai…” disse lei, cercando di tenere la voce il più possibile ferma e decisa: “Shiryu ha detto quelle cose perché le persone tendono a prendersela con chi sta loro attorno, quando soffrono… E lui soffre, forse più di tutti noi…” sussurrò, allungando le mani per stringere le sue, “Anche lui è umano, ha solo bisogno di tempo… E che Seiya si risvegli.”.

A quell’ultima frase, se possibile, Shun impallidì più di quanto già era.

Non sapeva che dire, sentiva una gran voglia di piangere per tutta quella situazione assurda, avere cinque minuti per sé, per disperarsi quanto più possibile, per sfogarsi, ma non poteva permettersi quel lusso: troppe erano le cose da fare, troppi i tasselli da rimettere assieme nel puzzle delle loro esistenze.

Una volta di più, ricacciò in gola il groppo che gli mozzava il fiato e sorrise all’indirizzo della coetanea, stringendo a sé la tracolla blu gonfia di fogli: “Andiamo.”

Senza salutare?”

Nel secondo che passò tra l'udire la voce di Ikki e il gettarsi tra le sue braccia, Shun sostituì alla propria espressione triste e cupa un sorriso il più possibile incoraggiante ma forse ugualmente malinconico.

Niisan...” mormorò il tredicenne, lasciando che la borsa piena di documenti andasse a cozzare contro la sua coscia.

Hai la testa abbastanza dura?” chiese il maggiore con un vago tono di scherzo nella voce mentre gli scompigliava i capelli: “Sì, non è nulla...” minimizzò Andromeda, scostandosi per permettere al fratello di salutare la Dea ancora vicino all'auto.

Saori sorrise affettuosamente: “Hai portato qualcosa a Seika-san?” chiese lei.

Ikki annuì: “E l'ho lasciata a rattoppare un testone impossibile.” aggiunse, incrociando poi lo sguardo del fratello minore, “Shiryu è tornato poco fa e ti stava cercando,” precisò, scrutando nei suoi occhi alla ricerca del minimo segno di stress alla notizia.

Ma vi lesse solo un debole baluginio di speranza.

Hyoga non è voluto venire con noi ma se ci siamo noi tre, forse, potrebbe essere più facile per gli altri accettare la cosa...” sussurrò Shun, afferrando le mani di Ikki nel timore che questi fuggisse via: “Niisan, l'abbiamo promesso... Seiya... Seiya vorrebbe...”

Lo so che abbiamo promesso, otooto-kun, non ho intenzione di nasconderlo ulteriormente. E non me ne andrò, non preoccuparti.”

Quando Shiryu arrivò nel cortile, trovò Shun ad aspettarlo, seduto su una panchina, con Saori e Ikki al suo fianco.

Per un attimo, si fece prendere dal panico, panico che scomparve letteralmente nel nulla quando Shun, alzatosi e con passo tremante, non lo raggiunse, spingendolo ad avvolgerlo in un abbraccio soffocante.

Scusami Shun... Io...”

E' colpa mia...”

No, sono stato io ad aver esagerato. Tu non hai colpa, tu non sei Hades, non sei stato tu ad alzare la spada contro Seiya e io ho sbagliato a dire una cosa che neppure pensavo...” Shiryu si rendeva conto solo in quel momento, sentendo la camicia inzupparsi di lacrime all'altezza della spalla, del male che aveva fatto al fratello minore.

Non si era mai reso conto, fino a quel momento, di quanti danni avesse effettivamente fatto Hades.

Con un'ultima stretta fortissima, Shun lasciò la presa, permettendo a Shiryu di asciugargli gli occhi con la manica, poi lo prese per mano e fece la stessa cosa con Ikki: il sorriso che offrì a entrambi era già più luminoso del solito.

Ci stanno aspettando.”

§§§

E' un rifugio quel malessere,
troppa fretta in quel tuo crescere.
Non si fanno più miracoli,
adesso non più.

MALEDIZIONE!”

Il grido pieno di dolore di Jabu si alzò fino alle stelle, mentre il giovanissimo guerriero colpiva ripetutamente il muro della Clinica coi propri pugni.

DANNAZIONE!! NON CI CREDO! NON VOGLIO CREDERCI!” singhiozzò, ignorando il dolore alle mani, sentiva le dita scricchiolare ma non ci badò, il male vero e proprio se lo portava dentro.

Era confuso, non riusciva a ragionare con lucidità, era terrorizzato per il futuro.

Un futuro che non sapeva come affrontare, che non sapeva se avrebbe avuto la forza di affrontare, in ogni caso; le guance scarne bruciavano per il vento gelido di quella notte fredda e cupa che era calata su Tokyo, portando con sé una cappa di gelo e umidità opprimente, non insolita per la stagione ma particolarmente pressante.

Improvvisamente, tutte le forze lo abbandonarono e lui sentì la testa girare, il corpo tremava, se per il freddo o la sofferenza non sapeva, e si ritrovò a terra con la schiena poggiata contro la parete; non c’era parte del suo corpo che non gli dolesse, sotto le bende e i cerotti, la pelle appena rimarginata gli faceva un male del diavolo.

Ansimando, si strinse le mani al petto, massaggiandosi lo sterno, quasi gli era difficile respirare.

Con la vista ottenebrata dalle lacrime, alzò lo sguardo al cielo.

A dispetto della pena del suo animo, le stelle lassù splendevano come non le aveva mai viste brillare.

Jabu gemette, affossando il viso tra le ginocchia: “Non è possibile…” mormorò, “non posso crederci… non voglio crederci… e se… Come potrei reagire…” balbettò convulsamente, tormentandosi le dita, “NON VOGLIO!” urlò col cuore colmo di amarezza e angoscia, le mani andarono a sorreggere la testa, strinse le dita sulle tempie, nel vano tentativo di cacciare lontano i pensieri, i ricordi e il suo cuore che si era irrimediabilmente spezzato sotto la pressione

Voleva solo dormire.

Con le mani tremanti, Jabu accolse tra le dita il sottile plico di fogli che Shun gli passava, senza per questo avere il coraggio di leggere cosa ci fosse scritto sopra.

Era più che eloquente l’espressione smarrita degli altri.

Saori stava in piedi di fronte a loro, con aria triste e cupa e l’unico rumore che si sentiva nella stanza era il fruscio dei fogli mentre venivano sfogliati, distrattamente, senza quasi forza.

Shiryu fissava fuori dalla finestra con l'ombra di una lacrima sulla guancia.

Ikki era poggiato contro il muro, il viso rigido e gli occhi smorti.

C-Cosa vuol dire…?” mormorò Ichi, con le lacrime agli occhi, mentre stringeva al petto il suo involto, puntato il proprio sguardo smarrito in quello della quattordicenne.

Quello che c’è scritto, Ichi-kun…” bisbigliò Shun, che stava accanto alla Dea: “Noi dieci Saint di Bronzo siamo fratelli, fratelli di sangue. Figli di Mitsumasa Kido.”

Stava ormai per abbandonarsi al sonno, sentiva le membra farsi pesanti, quando una mano sottile giunse a scrollarlo con decisione e una voce familiare e triste lo fece riemergere dall’oceano dei sogni in cui si stava a poco a poco lasciando annegare: “Jabu! Non puoi dormire qua fuori! Congelerai!” gridò quasi, preoccupata e un caldo abbraccio lo avvolse mentre l’Unicorno sentì la propria testa poggiare contro un tessuto morbido e caldo, all’apparenza doveva essere seta.

Qualcuno di considerevolmente forte lo sollevò e il suo corpo tremante fu avvolto da un soffice e caldo maglione di lana grezza: “Non avresti dovuto lasciare la stanza.” borbottò Shiryu, “Saori-san era matta per la preoccupazione.” la voce del Dragone gli giunse vaga e lontana, quasi non la riconosceva.

La luce intensa della hall della clinica gli ferì gli occhi tenuti socchiusi, tanto che dovette rannicchiarsi col viso contro il petto del fratello maggiore, il fastidio era quasi insopportabile; passò un tempo che il ragazzo pensò quasi infinito prima di sentirsi depositare tra fresche lenzuola, la testa poggiata su un morbido guanciale. Una fitta di dolore intenso proveniente dall’avambraccio gli fece capire che il compagno aveva risistemato anche la flebo.

Grugnì di disappunto, nascondendo il viso nel cuscino.

Il fastidioso stridio della sedia sul pavimento in cotto precedette l’affettuosa carezza del Dragone sui suoi capelli sudati e spettinati: “Se ti lascio solo cinque minuti per andare ad avvertire Milady, non scappi di nuovo, vero?” chiese il cinese con voce stanca e spenta; Unicorn annuì, rannicchiandosi sotto le coperte.

Tese l’orecchio, sentendo il passo leggero del fratello allontanarsi fino a scomparire del tutto.

La stanza piombò di nuovo nell’oscurità, un’oscurità che gli occhi del tredicenne accolsero con gran sollievo.

 Non si era nemmeno accorto di essersi addormentato: lo comprese nel momento in cui il rumore penetrante di una sirena lo fece trasalire, quasi cadde dal letto per lo spavento, nel buio non riusciva a capire da dove venisse, ma il groppo in gola che gli mozzò il respiro…

Cosa stava accadendo?

Rapidamente, scese dal letto, sorreggendosi al reggiflebo e mosse qualche passo incerto sul pavimento gelido della camera, raggiunse la porta e la aprì, trovandosi inondato dalla fredda e impersonale luce al neon e circondato da grida e schiamazzi misti a un lontano rumore di passi in corsa.

Confuso, Unicorn si guardò intorno e distinse in lontananza la sagoma massiccia di Geki correre verso di lui: “Rientra in stanza, subito!” gli urlò il fratello, spingendolo verso la porta, “Non ci penso nemmeno! Che succede?” chiese preoccupato, guardandosi attorno, il fischio della sirena, se possibile, si fece più forte e vicino, “RIENTRA IN CAMERA, È UN ORDINE!” urlò il maggiore, Jabu notò che aveva gli occhi lucidi.

Un’orrenda sensazione gli ghiacciò il sangue nelle vene: “È Seiya, vero…?” balbettò il moro e senza nemmeno aspettare una risposta cominciò a correre lungo il corridoio, non sapeva da dove venisse la forza che lo muoveva ma non gli importava.

Davanti alla porta della camera di Pegasus c’era una gran confusione, l’Unicorno vide la sua Dea parlare animosamente coi medici, vide Shun con gli occhi sgranati e pieni di lacrime abbandonato su una sedia.

Al di là della porta spalancata, i medici si affannavano attorno a un corpicino pallido, bianco come la neve, abbandonato tra le lenzuola del letto sfatto; con gran clangore metallico, l’asta reggi flebo cadde a terra e il liquido medicinale si sparse a terra.

Immobile come se lo avessero colpito a morte, Jabu annaspava stringendo i pugni in preda al terrore: “No..” sussurrò tra le lacrime che gli bruciavano gli occhi, “No…” scosse la testa, respirando affannosamente, “NO!!!!” urlò il ragazzo e, istintivamente, espanse il Cosmo, che si elevò forte e furibondo sino al cielo, tanto forte che perfino Shun alzò di scatto lo sguardo, impaurito per quella reazione folle da parte del fratello.

Nessuno però poté prevedere quello che accadde subito dopo.

Perché Unicorn sfrecciò nella stanza tra i medici, si gettò sul corpo esanime del minore e lo abbracciò con forza, chiamandolo a gran voce per nome e implorandolo di resistere, si strinse alla figuretta morente con tutta la propria forza, gridando tutto il suo dolore.

La sua voce sovrastava quasi il rumore dei macchinari che parevano impazziti, tutti i medici erano rimasti ammutoliti, quel ragazzetto, sino a poche ore prima talmente debole da non riuscire a muoversi, ora, come una belva feroce che cerca di difendere il suo cucciolo dai cacciatori, si era gettato sul lettino del fratello, abbracciandolo e mostrando una forza senza eguali.

Meiko entrò nella stanza a larghi passi seguita da Satsuki e prese Jabu gentilmente per le spalle, sorridendogli come una mamma: “Sta tranquillo…” gli sussurrava mentre il rumore a poco a poco scemava, azzittendosi del tutto in pochi istanti, “La crisi è passata…” lo rassicurò, accarezzandogli la testa, “Il suo cuore ha ripreso a battere, è tutto finito…”.

Jabu si lasciò abbracciare dalla donna, scoppiando poi a piangere, tremando di freddo: “Riportalo in camera.” ordinò subito dopo a Ban con aria severa, facendo cenno al corpulento ragazzo di occuparsi del compagno; Leone Minore scattò in avanti, afferrando l’Unicorno per riportarlo in fretta in stanza, il ragazzetto era semisvenuto e nell’incoscienza lo si poteva udire mentre chiamava Seiya.

A poco a poco, la stanza cominciò a svuotarsi mentre alcune infermierine si prodigavano a sistemare alla bell’e meglio la stanza disastrata ma lasciando dietro di sé una cappa greve di paura e angoscia palpabilissime.

Paura e angoscia che forse non se ne sarebbero mai andate.

   
 
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