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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    22/04/2013    4 recensioni
[Angst/HurtComfort/FamilyFluff][PostHades]
Versione riveduta e corretta, divisa opportunamente in capitoli, della mia fic con lo stesso nome.
Quando non si sa se le cose miglioreranno o meno, quando un certo numero di segreti sono talmente dolorosi da rischiare di distruggere una famiglia ancora prima che questa possa muovere i primi passi...
Quando la Guerra Santa porta ferite molto più profonde di quelle fisiche.
Genere: Drammatico, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Pegasus Seiya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nei Giardini Che Nessuno Sa'
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NEI GIARDINI CHE NESSUNO SA

Non volendo togliere nulla all'immenso Renato

§§§

CAPITOLO 1

TANTI PICCOLI COCCI

Senti quella pelle ruvida,
un gran freddo dentro l'anima,
fa fatica anche una lacrima a scendere giù.

Nei Giardini che Nessuno Sa, Renato Zero

N-Non respira...”

Col fiato corto e le lacrime agli occhi, Shun strinse al petto la mano di Seiya che si faceva via via sempre più fredda tanto più il mondo attorno a loro velocizzava a disfarsi e a cadere in pezzi mentre Ikki, sorreggendo stancamente Saori, lasciava silenziosamente spazio a Shiryu per chinarsi sul lembo di terra su cui avevano trovato momentaneo rifugio e prendere tra le proprie braccia il corpo del tredicenne ferito.

Non disse nulla, il suo viso era pallido, tra il sangue dei graffi e lo sporco, ma la carezza che sfiorò la guancia del ragazzino più giovane fu improvvisa e delicatamente struggente come la lacrima che gli aveva solcato la guancia.

Sentiva freddo al cuore, il Saint di Dragon, dannatamente freddo: amava Seiya, non poteva neanche lontanamente immaginare il futuro senza di lui.

Portiamolo a casa...” sussurrò Hyoga, fattosi avanti a sorreggere Shun: “Torniamo a casa...” mormorò ancora, facendo in modo che la propria mano sfiorasse, in un movimento rassicurante, i capelli chiari del fratello stretto a sé.

Osservarono assieme il cielo, in quei lunghi secondi che erano il preludio o della fine o della vita e quel che videro, nel profondo dell'Universo che si disfaceva e riannodava i propri fili, fu quel che li aspettava a casa.

Quella promessa che, fatta al ritorno dalla Grecia dopo i lunghi giorni di pioggia, e le ferite profonde del corpo e dell'anima, doveva essere mantenuta.

Si erano ritrovati tutti sotto il portico, in quella mattina di primavera fresca e silenziosa.

Sparsi un po' dappertutto, ma sempre molto vicini gli uni agli altri, sapevano di dover parlare ma volevano strappare quei pochi attimi per loro, volevano vivere quell'illusione di pace ancora per qualche secondo.

Volevano ricostruire la loro famiglia, volevano farla tornare a vivere, volevano imparare a viverla, ma forse era la paura a fermarli.

Non sapevano cosa dire né cosa fare, eppure erano lì.

Ikki stava in piedi, l'unico, poggiato contro la colonna del portico, e osservava in lontananza qualcosa che non potevano vedere, qualcosa che, probabilmente, vedeva soltanto lui e che non aveva nulla a che fare col verde smeraldo del prato o degli alberi.

Hyoga stava poggiato con la schiena contro il quinto gradino, sorrideva appena malgrado qualche sporadico dolore all'occhio ferito che gli faceva aggrottare la fronte, e stringeva da dietro Shun, assonnato tra le sue braccia.

Le gambe di Shiryu invece facevano da cuscino a un Seiya che probabilmente solo d'istinto si era trascinato fin lì ma che il sonno ancora non aveva abbandonato, non del tutto almeno, ma fu proprio lui il primo ad aprire bocca, sussurrando appena come se non volesse svegliare nessuno: non coloro che dormivano all'interno della grande casa alle loro spalle e non Shun che sonnecchiava là fuori accanto a lui ma non c'era traccia di incertezza nel suo tono.

Dovremmo dirglielo.”

Era convinto di quel che voleva dire con quelle due parole.

Dove pensi di scappare poi?” ribatté con tono severo Ikki, senza distogliere un attimo lo sguardo.

Piantala, sono serio...” bofonchiò stancamente il ragazzo, massaggiandosi la spalla e rannicchiandosi maggiormente nell'abbraccio del cinese: “Dobbiamo dire loro che sono nostri fratelli, che siamo tutti figli di Mitsumasa Kido. Glielo dobbiamo...”

In virtù di cosa? Non mi sembra che si meritino il premio per Fratelli dell'Anno.” - E neppure io, tra parentesi –

L'ultima frase Ikki se la tenne per sé, consapevole dell'errore che stava facendo nel negare quella possibilità di riappacificazione ma convinto a propria volta di quel che stava facendo, della testardaggine che stava dimostrando.

In virtù del fatto che abbiamo lo stesso sangue!” la voce del Pegaso si alzò di qualche tono e si sarebbe anche alzato se solo Shiryu non lo avesse tenuto fermo: “Siamo Guerrieri votati alla Dea Athena, siamo orfani! Siamo da soli...” mormorò tra sé e sé, “Abbiamo solo noi stessi e questo legame di sangue... Non possiamo lasciare che muoia con noi senza far nulla per impedirlo.”

Seiya... Io non credo sia una buona idea...”

Shun, forse svegliatosi per la confusione dovuta alla discussione, si era messo seduto e osservava alternativamente i due fratelli: “Io... Io credo che sia meglio lasciare le cose così come stanno...” aggiunse, conscio dello sguardo ferito del più giovane ma forse troppo spaventato per affrontarlo, “Almeno per ora,” si affrettò a precisare, anche se non troppo convinto a propria volta, “Non pensi che potrebbero... rifiutarci definitivamente? Che potrebbero allontanarci e andarsene via, lontano, senza la possibilità di poter iniziare anche solo a ricostruire un rapporto?”

Perché dovrebbero rifiutarci?” chiese il ragazzo, stringendo il pugno fino a ferirsi di proposito il palmo.

E mentre il sangue scorreva piano, imbrattandogli le dita, si era alzato e, stringendo rapidamente le mani di ciascuno, le aveva macchiate di rosso prima di tornare a stendersi sulle ginocchia del cinese, che lo fissava inebetito.

Questo sangue scorre uguale in ciascuno di noi, è ciò che ci rende fratelli. Perchè negarlo? Se lo facessimo, se precludessimo loro questa possibilità, forse verrà un giorno in cui ce ne pentiremo... Magari... Magari... Io un giorno potrei non esserci più e...”

Non dire stupidaggini.” lo rimbeccò Shiryu con voce seria, e un pochino tremante, bendandogli la mano con un vecchio fazzoletto da tasca: “Il giorno che tu... morirai, probabilmente noi saremo tutti al tuo fianco... Non pensare neppure un attimo all'eventualità che tu possa morire da solo.” mormorò, accarezzandogli distrattamente la mano ferita, “Nessuno nega il fatto che siamo fratelli, altrimenti non saremmo qui...” gli bisbigliò rassicurante, “Ma forse è troppo presto per dirlo anche a loro.”.

Perché?”

Per la prima volta nella sua vita, Shiryu trovava difficile rispondere a Seiya, non sapeva cosa dire, non sapeva come dirlo...

Va bene, ho capito...” bofonchiò infine il Pegaso, alzandosi in piedi: “Allora facciamo così. Se, per un qualche dannato motivo, uno di noi dovesse... andarsene... Voglio che mi promettiate che glielo diremo, o glielo direte. Insomma., devono saperlo.”

Che male poteva fare una promessa del genere a fronte della prospettiva, neppure tanto remota, che sarebbero morti assieme su di un campo di battaglia?

E quindi l'avevano promesso.

E ora, dovevano mantenerla.

Nel cuore di quella distruzione, s'aprì un timido spiraglio di luce, il Cosmo della loro Dea li abbracciò con tutto l'amore di cui ella era capace: li avrebbe riportati a casa, ci avrebbe pensato lei a loro.

Almeno quello glielo doveva.

Nel tempo che passò rapido come un battito di ciglia, quando riaprirono gli occhi che neppure erano certi di aver chiuso, scoprirono di essere tornati al Santuario, di rivedere il Sole, finalmente e di sentire la Terra crepitare ancora di vita.

Athena cadde in ginocchio, ansimando senza forze e senza fiato, Ikki le stava coscienziosamente accanto, incapace di guardarsi attorno, incapace di affrontare la perdita che avevano subito...

S-Seiya respira di nuovo... Il cuore batte ancora...”

Saori gli strinse la mano mentre gli sussurrava quelle poche parole, sorridendogli esausta: “Non l'abbiamo ancora perso...”

Con una stilla di coraggio sopravvissuto, la Fenice alzò lo sguardo.

Shun era stretto a Hyoga per evitare di cadere e quest'ultimo aveva la bocca vicino al suo orecchio, pur non potendolo sentire, sapeva che gli stava mormorando qualcosa che doveva calmarlo, tranquillizzarlo e rassicurarlo.

Mentre Shiryu, stava levando pezzo per pezzo la Cloth di dosso a Seiya, riverso privo di sensi tra le sue braccia.

Vai da lui...”

Suonava come un ordine più che come un suggerimento, un ordine e un imperativo che provenivano direttamente dal suo cuore ma che solo Athena era in grado di tramutare in realtà e che solo così poteva seguire.

La fece sedere a terra poi, con cautela, si assicurò che gli altri due fratelli stessero bene prima di chinarsi per levare il pettorale della Cloth di Pegasus orribilmente spaccato in due all'altezza del cuore.

Con gli ultimi frammenti del proprio Cosmo, allontanò la propria God Cloth e, strappando un lembo di maglietta ancora integro, tamponò la ferita pregando che i soccorsi si sbrigassero ad arrivare: non potevano tardare, dovevano essere stati senza dubbio sentiti e percepiti.

E infatti...

Athena! Ragazzi!”

Il primo a comparire sulle colline ammantate di Sole fu Jabu, anche da laggiù potevano vederne il sorriso allegro e sollevato a dispetto delle ferite, e poi in rapida successione Ichi, Nachi, Geki – che portava Kiki in spalla – Ban...

Ma quando videro Marin e Shaina guidare lungo il sentiero impervio che conduceva al cimitero del Santuario una ragazza, dai lunghi capelli rossi, ricci come quelli della Sacerdotessa dell'Aquila e dai lineamenti familiari, tutti sentirono distintamente il cuore fermarsi nel petto.

Perchè Seiya non aveva solo loro al mondo: c'era anche qualcun'altro di ugualmente importante, qualcuno che aveva cercato per tutti quegli anni, che aveva perso in tenera età e che, segretamente, temeva di non poter più rivedere.

S-Seika-san...” balbettò Shun con le lacrime agli occhi, consapevole dell'identità della giovane ma stupito e spaventato dalla sua presenza.

Non in quel momento...

Non lì...

State bene?!” Nachi e Ichi erano giunti assieme, sorreggendosi l'uno all'altro, e guardavano preoccupati lo spettacolo penoso che offrivano la Dea e i suoi compagni di lotta: “Vi abbiamo sentito, sapevamo che sareste tornati... Noi...”

Il bofonchio debole e rotto dalla stanchezza e dal sollievo dell'Hydra venne interrotto da un gesto gentile e da un sorriso affettuoso di Athena: “Lo so, so cosa avete affrontato per noi... Grazie.” disse lei con tono leggero e tranquillo, “Però non stiamo bene...” concluse lei tristemente, spostando lo sguardo a seguire Jabu che, superata Saori senza neppure salutarla, si era gettato su Ikki e Shiryu ma soprattutto...

Seiya! Razza di stupido! Non ho protetto tua sorella per farle vedere questa scena pietosa!” sbottò Unicorn, sostituendo la pezza ormai zuppa di sangue con una nuova, più pulita: “Cos'è successo?!” sbraitò poi con gli occhi spalancati e lucidi.

H-Hades l'ha trapassato...”

Era stato Hyoga, con voce insolitamente monocorde, a rispondere e le sue parole ebbero come effetto uno stupore generale mentre i soldati semplici, arrivati in estremo ritardo, cercavano come meglio potevano di aiutare a stabilizzare il tredicenne ancora disteso in braccio a Shiryu.

Come a volerla proteggere, Marin e Shaina tenevano Seika indietro e questa non replicava: in ginocchio sui sassi, teneva le mani giunte in preghiera e non si mosse neppure quando il suo fratellino, la persona per la quale aveva affrontato le peggio difficoltà e che, nel profondo del cuore, non aveva mai scordato, venne portato via con estrema delicatezza da quella che era stata la sua inflessibile quanto importante maestra.

In quella lunga giornata che volgeva ormai al crepuscolo, dopo la lunga notte artificiale, la Luna forse voleva farsi vedere, rassicurante nella sua luce, si ritrovarono riunite alla bell'e meglio due famiglie che forse neppure sapevano di esser tali.

Da una parte, i Saint, superstiti e non, che cercavano di farsi forza gli uni con gli altri, dall'altra, Seika, che non aveva interrotto un attimo la propria preghiera.

Ce la fate?” chiese preoccupato Kiki, avvicinandosi a Ikki per dargli sostegno: “Siamo stati così in pensiero per voi...” mormorò il bambino con gli occhietti lucidissimi.

Annendo faticosamente, la Fenice gli scompigliò i capelli: “Non siamo noi a rischiare la vita.”

Il suo Cosmo è scomparso, non lo sento più...” sussurrò Jabu, seduto accanto a Shiryu che non pareva dare più alcun segno di coscienza di sé e di ciò che lo circondava

Hades... Hades l'ha colpito... Ha perso sangue...” respirò appena Shun, ancora restio a interrompere il contatto col corpo pulsante di vita di Hyoga: “L'abbiamo visto cadere... Per difendere Athena...”

E' sempre stato così... irruento. E pazzo.” concluse il russo, osservando il cielo mentre si punteggiava di stelle: “Ma ora...”

Seiya starà bene... Non si lascerà morire così facilmente.” cercò di dire Geki, più nel tentativo di convicere sé stesso che altro: “Vedrete che si riprenderà presto.”

E poi, c'è Seika-neesan!” replicò Kiki testardamente, strappando un gemito silenzioso ai quattro fratelli consapevoli, troppo preoccupati, stanchi e spaventati per reagire in altra maniera.

Ma la ragazza rivolse loro un tiepido sorriso mentre, aiutata da Saori si alzava per raggiungere il gruppo; con la mano tesa ad accarezzare la guancia dei giovanissimi God Saints, la sua voce appena appena ridotta a un fievole mormorio fu la più grande rassicurazione e il più grande terrore.

Lo so.”

E con il cuore pesante e i corpi martoriati, la triste marcia che si mosse da lì fu lenta nel ritornare a casa, nel viaggio di ritorno ad una casa dal futuro incerto, con una famiglia che pareva in procinto di disfarsi ancora prima di incominciare ad esistere.

E una promessa che pendeva sulle loro teste come una Spada di Damocle.

§§§

SETTE MESI DOPO

La figura eterea e leggera di Shun fece il suo ingresso nella grande e tranquilla hall della Clinica della Fondazione, lo sguardo triste e lucido di lacrime incrociò dolcemente quello dell’infermierina al bancone dell’accettazione; la donna, minuta e dall’aria gentile, gli rivolse un sorriso incoraggiante: “Buongiorno Shun-chan,” la sua voce suonava musicale nel silenzio dell’ingresso di primo mattino, “Come stai?” domandò con aria materna, sfiorandogli con una mano il viso smagrito, “Dovresti mangiare di più, stai dimagrendo a vista d’occhio.” lo sgridò con tono velato di preoccupazione.

Il bruno dall’aria angelica chinò il capo in un cenno rispettoso di saluto nei confronti della fanciulla dalle sembianze di bambina, tentando di ricambiare il sorriso: “Non ho molta fame…” ammise malinconicamente il ragazzo, stringendo a sé l’involto che portava tra le braccia, “Ma la ringrazio dell’interessamento.” la sua voce in spense in un sussurro, “Mi scusi.” aggiunse, congedandosi con un leggero inchino, “Shiryu-niisan mi sta aspettando.” e senza dire altro si inoltrò nel corridoio.

L’infermiera lo seguì con gli occhi fino a quando ne vide i ciuffi del colore del rame sparire dietro l’angolo poi sospirò cupamente non appena i passi del piccolo ragazzo si furono zittiti.

Meiko-san, chi è quel ragazzo?”

Il tono curioso e interessato della più giovane collega dai capelli neri come la notte con cui divideva il turno la fece trasalire.

Scrollò il capo, vergognandosi per essersi distratta: eppure, gli occhi di quel ragazzo che, puntuale, ogni mattina alla stessa ora entrava da quella porta e ne usciva dopo parecchie ore, svolgendo infaticabile un compito doloroso come il suo, la faceva sempre pensare e soffrire; frugò qualche minuto nelle cartelle cliniche degli ospiti della casa di cura e ne tirò fuori una voluminosa, di un bel rosso acceso: “Kido, Seiya-kun, l’ospite della 119.” mormorò la donna cupa, “Lo sai, è stato ricoverato sette mesi fa e finora è stato mantenuto in vita dalle macchine. Shun-chan invece è il fratello, uno dei tanti in verità. Credo ce ne siano altri…” la sua espressione si fece pensosa per un momento, “almeno altri otto, Satsuki-chan.” rispose con voce incerta.

Un momento.” la frenò la più giovane, “Hai detto Kido? Non è che…?” fece per dire, “Si, sono fratelli di Lady Saori,” la prevenne con un gesto della mano, “Uno tra tutti loro sta sempre nella stanza di Seiya-kun, Shiryu mi sembra si chiami, lo sorveglia, gli parla in continuazione, non lo lascia mai. Da quando è arrivato qui, non è mai tornato a casa, nemmeno per un'ora. Poveri cari.” sospirò con voce rotta, “Hanno sofferto tanto e stanno soffrendo ancora, sono così giovani e non se lo meritano.” disse, sedendosi al proprio posto; con cura, Satsuki prese tra le mani la cartelletta, esaminando i dati del paziente: “Ha solo 13 anni??” esclamò orripilata mentre il fascicolo le cadeva dalle mani tremanti, “Ma come è possibile riportare ferite del genere??” chiese con aria alterata.

Meiko si chinò, prendendo il dossier e riponendolo con attenzione: “Te l’ho sempre detto, questo è uno schifo di mondo.” sbuffò lei furibonda.

§§§

Troppe attese dietro l'angolo,
gioie che non ti appartengono.
Questo tempo inconciliabile, gioca contro di noi.
Ecco come si finisce poi,
inchiodati a una finestra noi,
spettatori malinconici,
di felicità impossibili...

Shiryu, sono Shun, posso entrare?”

Il tono tenero e incerto del ragazzino al di là della porta fece sussultare il giovanotto seduto sulla poltroncina accanto al letto; con aria confusa e stravolta, si stropicciò gli occhi, osservando con un misto di delusione e dolore la figuretta distesa tra le coltri candide del letto, il macchinario al suo fianco emetteva regolari bip ogni due secondi, Shiryu li aveva contati prima di crollare addormentato contro la propria volontà.

E ora, erano di nuovo lì al suo risveglio, un risveglio che aveva il sapore del tradimento: lo aveva lasciato solo, seppur per poco meno di un paio d'ore, cedendo al sonno che si era ripromesso di cacciare a ogni assalto.

Non se lo sarebbe più permesso.

Il moro sospirò pesantemente, sentendosi la bocca impastata e i muscoli delle spalle indolenziti per la scomoda dormita; si alzò, barcollando leggermente, per avvicinarsi al giaciglio su cui il più piccolo dei suoi fratelli non smetteva di lottare. Non gli avrebbe mai permesso di andarsene senza di loro e restare lì al suo fianco era il modo migliore che avesse trovato per dimostrare al mondo la forza della sua risoluzione.

Gli accarezzò il viso smagrito e pallido, un rito ormai quotidiano, di cosa voleva sincerarsi con quel gesto?

Forse che era ancora lì, che giorno dopo giorno sarebbe rimasto lì?

Di nuovo quel bussare gentile alla porta, questa volta non poteva esimersi dal rispondere: “Entra, Shun..” disse a voce bassa, quasi non volesse disturbare il sonno del bambino che vegliava.

Il viso appena appena illuminato da un sorriso dell’Andromeda fece capolino dalla fessura lasciata dalla porta semichiusa: “Buongiorno!” salutò, cercando di mostrarsi il più allegro possibile, “Ti ho portato alcune cose.” disse, mostrando l’involto che trasportava, “Vestiti di ricambio, una coperta e qualcosa da mangiare.”.

Grazie..” borbottò lui di rimando, sempre però stando seduto accanto al letto senza minimamente staccare lo sguardo dal corpo di Pegaso.

Shun entrò dentro, poggiando tutto quello che si era portato dietro da casa sul mobiletto più vicino: “Se vuoi andarti a fare una doccia, resto io con lui.” propose, levandosi la sciarpa per poggiarla sull’attaccapanni.

Non ce n’è bisogno, resto io con lui.”

La voce del Dragone suonava fredda, era difficile ritrovare in quel tono gelido il calore che emanava ogni parola detta dal cinese fino a pochi mesi prima.

Shun tremò, sentiva come se la temperatura interna si fosse abbassata di parecchi gradi, ma non disse nulla, continuò a tirare fuori ora pigiami puliti ora contenitori pieni di cibo ancora caldo: “Dovresti mangiare qualcosa.” provò a dire, sempre però restando girato, notando che le pietanze che aveva portato il giorno prima erano intonse, “Non ti fa bene saltare i pasti…”.

Fu un attimo.

Il bicchiere sul comodino di Seiya andò a infrangersi contro il muro, spingendo il più piccolo a buttarsi per terra, con la testa coperta dalle mani in un moto istintivo di difesa.

Ma non c’era nessun nemico, nessun messo di Hades superstite.

Sopra di lui, c’era Shiryu, con lo sguardo furente, il Cosmo del Dragone che crepitava, pieno di rabbia: Shun non l’aveva mai visto così, era fuori controllo, sembrava impazzito.

Ed era terrorizzato da lui.

Come se fosse stato una bambola, il cinese lo afferrò per il bavero della giacca, sollevandolo con facilità in piedi; i loro visi si avvicinarono pericolosamente, tanto che il quattordicenne poteva quasi specchiarsi negli occhi vitrei del fratello maggiore.

E poi, quelle parole che lo colpirono al cuore come una pugnalata.

Se Seiya è in queste condizioni, è solo colpa tua…”

Parole piene di cattiveria, di dolore, che esprimevano tutto quello che in quei lunghi mesi lì, seduto ad aspettare, l’animo di Shiryu aveva maturato, nel suo spasmodico desiderio di rivedere il Pegaso in piedi, vivo e in buona salute.

Shun sentì gli occhi pizzicare, non riusciva a trattenere le lacrime, e a malapena riusciva a respirare per la presa ferrea che il fratello esercitava sul suo collo, più cercava di dimenarsi, più si stringeva: era come se Shiryu stesso cercasse di ucciderlo.

A quel pensiero, si fece prendere dal panico.

Cominciò a urlare, a implorare aiuto tra i gemiti soffocati, e fu solo allora che, nel momento esatto in cui la porta della stanza si era spalancata con un tonfo sordo, che il Dragone sembrò risvegliarsi, come da un incubo.

I loro occhi si incrociarono per un attimo, quelli pieni di lacrime dell’Andromeda e quelli confusi del Saint di Draco e, all’improvviso come era stato afferrato, il bruno venne lasciato andare: cadde a terra scompostamente, sbattendo con la testa sul linoleum del pavimento.

Si lasciò scappare un lamento mentre un paio di braccia forti e familiari lo sollevavano da terra e un rumore di passi nervosi si allontanavano dalla stanza.

Stai bene, Shun?” chiese Ikki preoccupato, tastandogli la testa per sentire se per caso non ci fosse qualche bernoccolo; il fratello annuì, asciugandosi le lacrime, anche se queste continuavano a scendere, senza pietà, senza volersi fermare.

Se Seiya è in queste condizioni, è solo colpa tua…”

Le parole che il cinese gli aveva rivolto erano state crudeli, questo era indubbio…

Ma se fossero state vere?

   
 
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