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Autore: Boku no Seida    06/05/2013    4 recensioni
A pensarci mi veniva sempre da ridere. Non sapevo nemmeno il suo nome.
Ma mi sembrava talmente naturale stare con lei che l’idea di perdere tempo prezioso per chiederle una cosa tanto stupida mi sembrava uno scempio. Forse lo ero davvero, alla fine. Pazza. Ma forse lo era anche lei. Quindi andava tutto bene.

Luka è una liceale che soffre di depressione, bersaglio di bullismo che ormai si è rassegnata ad accettare. Un giorno i suoi assalitori vengono allontanati da una sconosciuta piuttosto rozza che, insperabilmente, le cambia la vita. Ma sarà sufficiente la sua vicinanza per salvarla dal suo odio per il mondo e soprattutto per se stessa?
Basata sulla famosissima World's End Dancehall. Linguaggio molto volgare (specialmente da parte di Miku, che in questa storia non sarà uno stinco di santa) e tematiche che potrebbero urtare il lettore (quali bullismo, sottomissione, violenza fisica trattata superficialmente e omosessualità).
L'ho messa sotto raiting arancione per non limitarne la lettura, ma consiglio comunque di maneggiarla con cautela.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Luka Megurine, Miku Hatsune
Note: Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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2; people








«Gran bella topaia.»
Anche se non avesse usato il tono sarcastico, avrei capito che mi stava prendendo in giro. Casa mia era una villa nel quartiere più lussuoso della città, e potete immaginare che di sicuro non rientrava nella categoria delle topaie a priori. Certo, poteva essere un po’ malandata a causa della mia negligenza, ma nessun dubbio sul fatto che c’era chi avrebbe venduto sua madre per viverci.
La sconosciuta entrò prima di me, scansandomi con una forza inaspettata dall’ingresso per precedermi. Io estrassi le chiavi dalla serratura e mi chiusi la porta alle spalle, accendendo la luce.
«Wooow» fece lei. «Che figata che figata che figata! È una cosa assurda! Questa cazzo di casa è enorme...» Allungò il collo per cercare di vedere la fine del corridoio che si snodava davanti a lei, senza successo. «Potrebbe ospitarcene dieci di famiglie, mica una sola.»
Poi si voltò verso di me, che intanto appoggiavo la cartella sul pavimento. «Che c’è per cena?»
«Che intendi?»
«Non era chiaro?» Si portò, con un gesto quasi involontario, una mano alla tasca nella quale nascondeva la pistola. «Che voglio che mi prepari qualcosa da mangiare per cena. Dio sa da quant’è che tutto quello che ingoio è l’aria che respiro. Ho una fame porca.»
«Ma non ho niente in frigo» arrossii appena. «Neppure in dispensa. Mangio solo per pranzo, a scuola, dove posso comprare...»
«Nessuno ti ha insegnato a fare la spesa?» mi interruppe la mia ospite inattesa.
Guardai lei, poi la mia cartella, che giaceva ai miei piedi. Mi chinai, la aprii e ne estrassi un fagotto avvolto in carta stagnola. Era metà del panino che avevo mangiato per pranzo quel giorno, nella mensa della scuola. Anch’io avevo un certo languorino, ma avevo paura che se prima non avessi sfamato quella ragazza, sarebbe stato un macello.
Glielo porsi, e lei me lo strappò di mano con una smorfia. «Mpf. Davvero non hai niente di meglio per colei che ti ha salvato il culetto?»
«Non è che tu abbia fatto chissà quale impresa» le dissi. La lasciai nella hall, incamminandomi verso le scale che portavano alla mia camera.
Sentii i suoi passi seguirmi con insistenza. «Eh? Ma sei matta o cosa? Sono stata una cazzo di eroina super figa, invece! Una tipo film d’azione: sai, no, quei film con il protagonista sexy che basta che dica una cazzata d’effetto con la faccia da duro li fa scappare tutti a gambe levate? Cazzo se mi sentivo così! E tu non l’hai notato? Dai, è impossibile. Sembrava una scena di un film d’azione di Hollywood, quelli che nominano agli Oscar. “Meglio maledetta pazza che figli di puttana del cazzo”. Ma mi hai sentita? No, dico... è stata una cosa fottutamente incredibile.»
In tutta la durata del monologo io mi ero già cambiata e messa in tuta, cercando di ignorare gli intercalari poco fini che amava inserire ogni due parole e che mi facevano sobbalzare ogni volta. «Guarda che se ti sei divertita così tanto, potrei fartelo rifare. Quella gente mi aggredisce quasi tutti i giorni dopo la scuola, quindi basta che passi da quelle parti e ci trovi lì.»
Lei assunse un’espressione interrogativa ma io la ignorai. Infilai la porta della mia camera, sentendola sempre trotterellarmi dietro, e una volta raggiunto il salotto mi sedetti sul divano e feci per prendere il telecomando.
«No, no. Non hai capito niente dalla vita» la sentii schiamazzare. «Via dal divano grande, lì mi ci stravacco io. Te siediti sulla poltrona, va’. Muoviti.»
Feci come mi aveva detto senza fiatare.
Dopo un po’ di tempo, mi guardai attorno, e finalmente mi resi pienamente conto di quanto fosse strana la situazione in cui mi trovavo.
Me ne stavo rannicchiata sulla poltrona di casa mia e guardavo la TV al plasma che trasmetteva un film che nemmeno mi interessava, e fin lì niente di nuovo. Ciò che c’era nuovo era che, di fianco a me, una perfetta sconosciuta che mi aveva salvata da tre assaltatori e che mi aveva costretta a ospitarla a casa mia, se ne stava, perfettamente a suo agio, in panciolle sul mio divano, e mi osservava in modo molto poco piacevole. Come se avesse da ridire sul fatto che io fossi lì.
Sembrava veramente che tra le due l’estranea fossi io. Era talmente pazzesco che, invece che farmi arrabbiare, la cosa mi stordiva soltanto, lasciandomi basita.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma un rumore improvviso la fece tacere. Io non ci feci caso e ignorai anche la seconda volta che lo stesso rumore si riprodusse. Alla terza, lei non riuscì a stare zitta e sbottò: «Ehi, vuoi far suonare quell’affare ancora a lungo o ti decidi a controllare la posta?»
Scrollai le spalle con indifferenza, cosa che la fece imbestialire ancora di più. Al quarto avviso della mail in arrivo la vidi alzarsi e stiracchiarsi. «Mi hai rotto le palle. Ora vado a dare un’occhiata io. E non ti lamentare se mi faccio i cazzi tuoi, non è colpa mia se lasci il computer acceso e non controlli le tue...»
Mentre parlava aveva raccolto il computer dal pavimento sotto il tavolo sul quale giaceva e aveva dato un’occhiata al suo schermo. Quel semplice gesto la fece tacere. Poi mormorò «Ma che...» e maneggiò il mouse del computer con una certa incredulità mista a impazienza. Quando ebbe finito i suoi occhi erano grandi come piattini. Mi guardò con una certa indecisione. «Ehi, senti... em, ti sono arrivate delle... strane notifiche...»
Io non staccai gli occhi dalla TV. «Oh, non ti disturbare a sentirti sorpresa. Sono le cose normali che mi mandano. Battute oscene, insulti, foto di me che annego nel sangue, video di me che vengo picchiata... solite cose. La routine.»
La ragazza sembrò leggermente scioccata, sulle prime, ma poi si ricompose. Digitò qualcosa con determinazione, poi spense il computer e lo lasciò così come l’aveva trovato, sotto il tavolo. Abbandonò la postazione per prendere quella originaria, sul divano.
Ma da quando aveva visto le notifiche sul computer sembrava irrequieta, e molto più disposta a parlare di quanto non fosse prima. «Che palle!» strepitò, rivolta alla TV. «Ma che razza di mortorio è? Spegni quella lagna. Mi dà sui nervi.»
«Ma io guardo sempre la TV di sera.»
«Bene, stasera no. Spegni quella cazzo di TV, dico sul serio.»
La guardai, impassibile. «Solo altri dieci minuti» richiesi.
Lei balzò sui cuscini del divano, digrignando i denti. «Ti ho detto di spegnere. A me non va di vedere tutte le puttanate che fanno la sera in TV. Spegni, oppure...»
«Oppure mi spari?»
In uno scatto aveva già la pistola in mano, e me la stava puntando alla testa. «E che ne diresti se lo facessi davvero?»
Io non mi spostai di un millimetro, ma continuai a fissarla in quegli occhi azzurri, attraversati da una rabbia insensata, come di bambina viziata. «Probabilmente» commentai in un soffio, «probabilmente direi che sarebbe molto meglio.»
Spiazzata dalla risposta, il suo dito tremò sul grilletto, prima di premerlo.













Hai haaai~!
Saa saa, minna-san! Grazie per aver aperto anche questo capitolo, malgrado non fosse lungo né, magari, all'altezza del primo. Ma suvvia, dovevo solo introdurre il modo in cui per tutta la fiction Luka e Miku interagiranno.
E sì, non è che sia proprio tutto rose e fiori la loro prima esperienza da coinquiline... Miku le spara pure... insomma, qualcuno le dovrebbe insegnare che bisogna prenderla persa quando le si nega qualcosa, e che non è affatto educato prendere la pistola e cercare di assassinare la gente solo perché non le va a genio.
E ora ecco a voi alcuni quesiti a cui rispondere tanto perché non so cosa scrivere in questo angolo: secondo voi la pallottola l'ha beccata? O Luka si è spostata? Cosa succederà adesso e secondo voi per quale motivo Miku l'ha costretta a ospitarla a casa sua?
Ommioddio, sono elettrizzata quanto voi! [questononèveromafacciamofintadisì]
E mi raccomando, ditemi che cosa ne pensate della situazione nella quale vive Luka. Purtroppo è una realtà per molti adolescenti, adesso. Le sentirete tutte le cose orribili che succedono in giro a causa del bullismo fisico e informatico... persino io che ci scrivo sopra la trovo una cosa assurda. Però in un certo senso capisco anche le ragioni di Luka nell'essere depressa e lasciare che sia così. Prossimamente approfondirò anche questo punto di vista e mi direte che ne pensate.
Nel frattempo be happy!
BNS 
  
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