Anime & Manga > Vocaloid
Segui la storia  |       
Autore: Boku no Seida    30/04/2013    4 recensioni
A pensarci mi veniva sempre da ridere. Non sapevo nemmeno il suo nome.
Ma mi sembrava talmente naturale stare con lei che l’idea di perdere tempo prezioso per chiederle una cosa tanto stupida mi sembrava uno scempio. Forse lo ero davvero, alla fine. Pazza. Ma forse lo era anche lei. Quindi andava tutto bene.

Luka è una liceale che soffre di depressione, bersaglio di bullismo che ormai si è rassegnata ad accettare. Un giorno i suoi assalitori vengono allontanati da una sconosciuta piuttosto rozza che, insperabilmente, le cambia la vita. Ma sarà sufficiente la sua vicinanza per salvarla dal suo odio per il mondo e soprattutto per se stessa?
Basata sulla famosissima World's End Dancehall. Linguaggio molto volgare (specialmente da parte di Miku, che in questa storia non sarà uno stinco di santa) e tematiche che potrebbero urtare il lettore (quali bullismo, sottomissione, violenza fisica trattata superficialmente e omosessualità).
L'ho messa sotto raiting arancione per non limitarne la lettura, ma consiglio comunque di maneggiarla con cautela.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Luka Megurine, Miku Hatsune
Note: Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Intoxicate; the world is getting
.
.
.
high




1; when






 
Quella che stavo vivendo non era una scena inusuale nella mia vita. Anzi, a dire il vero era piuttosto consueta. Quasi quotidiana, con una piccola eccezione nei weekend, quando mi chiudevo in casa e non mettevo il muso fuori per non farmi beccare. Non che mi lasciassero in pace anche in quelle occasioni. Loro sapevano come arrivare a me. In qualunque momento... sempre.
Da un po’ di tempo, all’uscita da scuola, prendevo una strada diversa da quella solita per raggiungere casa mia, insomma, con l’intenzione di disorientarli. Le prime volte c’erano cascati, ed ero riuscita a seminarli. Non appena voltavo l’angolo all’incrocio nel quale di solito andavo dritta, sparivo dalla loro vista, e loro tornavano indietro. Però sapevo che quel momento di pausa non sarebbe durato.
Quattro giorni. Allo scoccare del quinto già avevano trovato la mia scorciatoia e mi avevano guidata con grande disinvoltura nel posto che volevano loro, uno in bicicletta e gli altri a piedi. Per quanto la scena fosse la stessa, i posti erano diversi, ma avevano tutti qualcosa in comune. Un vicolo cieco senza scampo, isolato dalle altre case, lontano dalle orecchie delle persone. Una trappola in tutto e per tutto. E mai una volta che non la passassero liscia. Mai una volta in tre anni.
«Ehi, qual è il problema? Ti sei già stancata di scappare?»
«Dobbiamo ammetterlo, l’espediente di cambiare strada ci aveva un po’ scombussolati. Dopo tutto questo tempo, non ci aspettavamo davvero che ancora cercassi di evitarci.»
«Già. Pensavamo fosse chiaro da un bel pezzo che è inutile ribellarsi, Luka.»
Quel giorno erano tre. Pensai che mi era andata bene. Certe volte erano di più, e i loro pugni e i loro calci mi raggiungevano in più parti del corpo a una velocità superiore. Facevano meno male, i loro colpi, se a circondarmi erano solo sei braccia e sei gambe. Specialmente, con solo tre persone riuscivo sempre a trattenere i gemiti di dolore.
Tutto quello che mi limitavo a fare e serrare forte i denti, stringere i pugni, ripararmi la testa e gli occhi con le braccia e lasciarli fare finché non si stancavano. Certe volte erano più indulgenti e non mi lasciavano nemmeno un livido. Certe altre ci prendevano la mano, e allora era dura sopportare il dolore. In entrambi i casi io non mi facevo sentire, cercando di dare l’impressione di colpire qualcosa di inanimato per far perdere loro il gusto. Era una specie di tattica per la sopravvivenza, e decisi di sperimentarla anche quel giorno.
Il primo ragazzo, uno palestrato del club di nuoto con spalle larghe e mento sporgente, mi colpì con un calcio al ginocchio facendomi barcollare all’indietro. Mi diede un paio di spintoni, fino a spingermi contro la rete metallica che delimitava la zona. Lì un suo amico appena più mingherlino, ma parecchio dinoccolato, mirò al volto con un pugno che ricevetti senza fiatare. Mi prese per i capelli e mi gettò per terra, dove il terzo, che non aveva ancora avuto il piacere di picchiarmi, mi atterrò con un calcio sulla schiena. Sentii la polvere che mi riempiva le narici e tossii piano per non farmi sentire.
«Bene bene. E così sei riuscita a evitarci per un po’ di giorni. Dovremo recuperare, non credi?»
«Sì, facciamo qualcosa di intenso per recuperare quattro giorni in un solo pomeriggio.»
«Kaji, muoviti, falla alzare.»
Quello obbedì, afferrandomi per le spalle e tenendomi ferma, in ginocchio sull’asfalto. Il ragazzo che aveva parlato (il terzo, capelli pettinati impeccabilmente e vestito come un figurino) si mise di fronte a me, il cavallo dei suoi pantaloni all’altezza del mio viso.
«Sai cosa fare.»
Quello che mi teneva ferma eseguì l’ordine afferrandomi per i capelli e inclinando il mio volto verso l’alto. In quella posizione potei vedere sia la mano del tipo in piedi slacciarsi la cintura dei pantaloni, sia il suo ghigno divertito.
«Oh, non fare quella faccia, puttanella. Ti piacerà. E mi pregherai di farlo finché non muori asfissiata, vedrai.» disse ridendo.
«Ma lei sa come si fa?» chiese, dubbioso, quello del club di nuoto.
«Le insegneremo. Nessuno nasce imparato, no? Vedrai che dopo qualche lezioncina insieme a noi sarà...»
Un rumore di passi echeggiò lungo la via nella quale ero imprigionata, facendolo fermare nell’atto di abbassarsi i boxer davanti alla mia faccia. A quanto pareva, di chiunque fossero quei passi non doveva essere una persona attesa, tanto meno un loro degno compare. Si richiuse la cerniera in fretta e furia, e tutti e tre si voltarono di scatto per fronteggiare il nuovo arrivato.
O meglio, la nuova arrivata. Perché si trattava di una ragazzina, una semplice ragazzina di non più di sedici anni. Non indossava alcuna divisa né aveva una cartella, il che mi rese difficile capire se per caso venisse nella mia stessa scuola o no. Io non l’avevo mai vista. E, a quanto pareva, nemmeno i miei seviziatori.
Quando la videro osservare la scena con espressione indecifrabile scoppiarono a ridere.
«Oh, guardate. Questa piccina si è persa. Dove sono la tua mamma e il tuo papà?»
Lei aggrottò le sopracciglia. «Sapete, questo non è il vostro posto.» Aveva una voce melodiosa, che avrei definito di velluto.
Per contrasto, il tono di quello che mi teneva inginocchiata per terra si fece duro e minaccioso. «A me sembra che sia tu quella fuori posto. Ora torna a casa, prima di fare una brutta fine.»
Lei si schiarì la gola. «Forse non avete capito molto bene. Questo non è il vostro posto, brutti bastardi.»
In un attimo fui mollata e sbattuta a terra, e tutto ciò che riuscii a intravedere furono quei tre che si avvicinavano lentamente alla figura gracile della ragazzina.
«Che hai detto, mocciosa? Vuoi ripeterlo con la bocca sanguinante?»
«Lascia perdere quel che ha detto» ordinò il damerino. «Valla a prendere a tienila ferma, dopo Luka ci occupiamo anche di lei.»
Ma non fecero un passo avanti e rimasero immobili davanti a me, che intanto mi ero alzata in piedi, incuriosita da cosa li avesse fermati. Quando vidi qualcosa brillare nel buio, in mano alla ragazza, rimasi sinceramente impressionata. Aveva una pistola. Ora capivo cosa la rendesse così sicura nell’affrontare quei ragazzi.
«Ah, anche questo. Non è così che si tratta una signora. Dì, ti piacerebbe se io adesso puntassi la mia pistola al tuo amichetto là sotto e te lo sgonfiassi come un palloncino bucato?»
E lo fece davvero. Puntò l’arma al suo pene, e il ragazzo, ingenuamente, se lo coprì con le mani, urlando come un forsennato. «Sei una maledetta pazza!»
Lo sguardo della ragazza si fece di ghiaccio. «Sempre meglio maledetta pazza che figli di puttana del cazzo. Sapete che se si fa esplodere il cranio di un coglione come te e i tuoi amici non c’è niente dentro? Vogliamo provare?»
«Questa m-me la paghi!» I ragazzi corsero via dal vicolo con la coda tra le gambe, superando la ragazzina e la sua pistola. Vidi uno di loro guardarmi prima di sparire: «Tu e la tua amichetta, ce la pagherete!»
E sparirono, lasciandomi sola insieme alla pazza con la pistola.
Lei mi guardò inclinando il capo di lato, come se volesse studiarmi. Io non ricambiai, mi limitai a scrollarmi via la polvere dai vestiti e raccolsi la mia cartella. Mi aggiustai un’ultima volta i capelli e aggirai la sconosciuta, riprendendo la strada di casa da dove l’avevo interrotta come se nulla fosse successo.
«Vai a piedi?» la sentii chiedere, dietro di me.
Mi voltai e mi strinsi nelle spalle in tacito assenso.
Lei indicò con il pollice la bicicletta di uno dei ragazzi che mi avevano intrappolata. In tutto quel trambusto doveva averla dimenticata lì, incustodita. Mi fece cenno di avvicinarmi e io obbedii lentamente, guardandola mentre con una forcina apriva la catena e le toglieva il cavalletto. Per la seconda volta le rivolsi un’occhiata ammirata. Lei si inchinò davanti a un pubblico immaginario.
«Grazie, grazie. Troppo buoni.» Si infilò la pistola in una tasca interna del giubbotto turchese, in perfetta sintonia col colore dei capelli e degli occhi, poi si scansò. «Vai, sali.»
Malgrado la voce sottile sembrava una belva dentro, non solo per come mi aveva salvata ma anche per come si rivolgeva a me: sicura e autoritaria, come se fosse sempre abituata a ottenere quel che voleva. Sentii che se non avessi obbedito sarebbero stati guai. Così lo feci. Salii e misi un piede sul pedale, pronta a partire. A fermarmi fu una sua mano che si appoggiò sulla mia spalla, per aiutarsi a salire e sedersi, schiena contro schiena con la mia, sul portapacchi. «Portami a casa.»
Esitai e feci, con un filo di voce: «Mi spiace, ma non so dove abiti.»
«No, intendevo di portarmi a casa tua.»
Sapevo che avrei dovuto come minimo chiederle perché. O almeno chi fosse lei, come si chiamasse, o cosa volesse da me. Ma, per un qualche motivo, anche se era una sconosciuta e aveva una pistola, non mi sentivo nervosa. Forse era perché ero abituata a quel tipo di cose - essere in balia di qualcuno di pericoloso, intendo. Così, alla fine, l’unica protesta che uscì dalla mia bocca fu: «Non credo sia una buona idea farti vedere in bicicletta con una come me.»
«Se qualcuno avesse qualcosa da ridire potrei farlo tacere con un po’ di piombo in bocca.» La sentii ridere mentre concludeva: «E poi non ho una reputazione da mantenere qui in giro. Quindi zitta e pedala.»
Mi strinsi di nuovo nelle spalle e feci come mi era stato detto, in silenzio.










Hai haaai~!
Come si dice, il lupo perde il pelo ma non il vizio, e iniziare così le mie note d'autrice mi piace così tanto che ormai penso lo farò in tutte le storie che pubblicherò. A proposito di questo, questa è la mia seconda fanfiction, starring Miku e Luka, una coppia che stra-amo e che fa sempre la sua sporca figura. World's end dancehall... scommetto che la conosciate tutti, questa, in caso contrario disonore su di te disonore sulla tua mucca vi consiglio vivamente di dargli un'occhiata. Sul serio, ne vale la pena.
Chiaro che la mia è solo un'interpretazione. Ma in fondo quale canzone dei vocaloid non va a interpretazione? L'unica cosa è che vi consiglio di non tenere in considerazione la fine ufficiale del pv, perché potrei sempre cambiare qualcosina. Anche se diciamolo, i finali tragici hanno sempre il loro fascino...
HHHALT! Un'ultima cosa! vi raccomando di farmi sapere se per caso dovrei aumentare il raiting o se per adesso va bene arancione. Le tematiche le sapete, quindi dovreste essere in grado di giudicare... essendo relativamente nuova qui non so bene come gestirmi ^^"
BNS vi ringrazia in anticipo!


ps. i titoli dei capitoli, a fine fanfiction, formeranno la frase di una canzone bellissima che mi ha dato molta ispirazione per scrivere. Soprattutto perché è una canzone niente male come sottofondo per deprimersi. 
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Vocaloid / Vai alla pagina dell'autore: Boku no Seida