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Autore: drawandwrite    06/05/2013    5 recensioni
Ryan Gray è un normalissimo studente Americano, da poco trasferito in Giappone per studi specifici.
La sua vita viene da subito turbata da un incontro particolare, che lo spaventerà e ecciterà al contempo.
Nel frattempo le vite Di Nozomi, Komachi, Karen, Urara, Rin, e Kurumi trascorrono tranquille.
E così sarà finché la loro strada non si incrocerà con quella di Ryan Gray.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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(Sono schifosamente in ritardo, chiedo scusa!!!) 

Cure Aqua strinse gli occhi, tentando di penetrare la nebbia densa formatasi ed individuare la sagoma goffa della bestia. Era trascorsa una mezzoretta, forse tre quarti d’ora, da quando gli altri erano  fuggiti. Cure Dream non aveva fatto altro che balzare da una parete all’altra, tentando l’offensiva, cercando la crepa nel muro delle difese. Eppure quel guscio acuminato che rivestiva la pelle del nemico impediva all’amica di avvicinarsi troppo e la teneva a debita distanza, creando un ostacolo non indifferente per la riuscita del loro scontro. Gli occhi acuti di Aqua saettarono da un punto all’altro della zona, cercando nella bruma illusoria l’esile linea di Cure Dream.
Improvvisamente arrestò il suo assalto. Si costrinse a ragionare e a rinfrescare la propria mente, rimanere lucida, ragionevole. La continua offensiva impulsiva non l’avrebbe portata ad un risultato ragionevole, solo al logoramento delle energie, sia fisiche che psicologiche. Si, perché, a differenza loro, il nemico non mostrava limiti di affaticamento, continuava a combattere, agitarsi e divincolarsi senza un preciso schema di combattimento. Tentare un casuale sfondo nella sua difesa, senza prima riordinare le proprie azioni, si sarebbe rivelato inutile oltre che estremamente pericoloso; lei e Dream avevano bisogno di rintracciare il punto debole del nemico, la crepa del muro, l’anello debole della catena. Facendo crollare questo,  sarebbe crollato tutto, aculei e fauci comprese.
Annuì decisa, come a confermare a se stessa, le proprie ipotesi e le relative conclusioni, quindi si sforzò di cogliere la sagoma sinuosa di Dream che, senza gettare in frantumi la propria forza di volontà, si scontrava ripetutamente con la difesa pungente del nemico, gettandosi fra le sue fauci, tentando un affondo, scrutando per scorgere un appiglio agevole per i propri fini. Sembrava una pallina da ping-pong impazzita, sfrecciante da destra a sinistra e viceversa, nell’insistente tentativo di abbattere le resistenze nemiche o, in ogni caso, di poterle almeno incrinare.
Nemmeno i suoi occhi abituati a scontri rapidi riuscivano a cogliere ogni particolare degli attacchi di Dream. Era veloce, si, ma non basava la sua offensiva su alcuna tattica, se non quella di dare addosso al nemico ripetutamente senza alcun ordine tra calci e pugni. Se avesse continuato così, oltre che esaurire le proprie energie, avrebbe finito per perdere concentrazione, prima o poi, intaccando la coordinazione perfetta e intralciandosi da sola, offrendo la vittoria al nemico su un piatto d’argento.
Cosa da evitare, possibilmente.
Non appena le fu possibile, Aqua afferrò Dream per un braccio, troncando la sua corsa mozzafiato.
-Dream!- le urlò nelle orecchie perché la sentisse chiaramente, fra il chiasso che emetteva la bestia nemica. Pareva un aeroporto in carne e fauci, più che qualcosa di simile ad un essere vivente.
L’amica si voltò, contrariata dalla stretta di Aqua sul suo polso che le impediva di tornare alla carica.
-che c’è?- urlò a sua volta.
-ho un piano-
Dream sgranò gli occhi, i capelli giacenti mollemente sulla sua schiena e sparsi in lunghe ciocche disordinate fra gli occhi -ancora?- esclamò.
Aqua prese fiato e aprì la bocca per rispondere, ma si dovette zittire e lasciar spazio al suo corpo per evitare che un simpatico aculeo le si incastonasse fra le costole. Balzò indietro, schivando di poco quello che sarebbe potuto rivelarsi un colpo fatale.
-La gola!- vociò per far sì che l’ordine giungesse anche a Dream, distante di qualche metro, inghiottita nella candida foschia densa. Sperò che l’amica avesse udito il suo messaggio, intuito ed agito.
Attese qualche secondo immobile, arco ti tempo in cui l’unico rumore a spezzare il silenzio fu il pesante respiro disgustoso dell’essere.
Ridusse gli occhi a due fessure in modo da poter penetrare il muro bianco che le si parava innanzi e mise all’erta i sensi, pronta a scattare ad ogni minima situazione richiedente il suo intervento.
Improvvisamente un urlo gutturale squarciò l’aria, vibrando nella nebbia con suono rauco ed aggressivo.
-ce l’ho!- sentì dire da Dream.
Aqua chiuse gli occhi, inspirò a fondo,corrugando le sopracciglia in un espressione concentrata. Percepì la familiare ondata gelida pervaderle le membra, rinvigorirle, espandersi dal petto agli arti a centri concentrici, come una goccia increspa il pelo dell’acqua. Alzò leggermente il capo, mentre l’energia le sgorgava nelle vene impetuosa e infallibile.
Aprì gli occhi –Saphire Arrow-
Un ventaglio d’acqua nitida e cristallina si sollevò dai suoi piedi, concentrandosi in un guizzo argentino nei suoi palmi, plasmandosi e danzando flessuosamente in ciò che appariva come un arco.
Un arco senza corda né frecce.
La nebbia si aprì davanti a lei come un sipario, ne uscì la bestia, infuriata, gli occhi infiammati d’ira e i muscoli tesi. Spalancò le fauci e liberò un raggelante ruggito.
E Dream? Dov’era Cure Dream?
Aqua , le braccia tese a mantenere l’arma limpida, indietreggiò di un passo, esplorando febbrilmente lo spazio con lo sguardo, all’estrema ricerca della compagna apparentemente scomparsa.
-Aqua, tieniti pronta!- urlò una voce vicina.
Lei tese con forza l’arco, stringendo i denti sotto lo sforzo e chiudendo un occhio, pronta a mirare la gola del nemico, unico spazio, oltre il viso, il quale si era palesemente rivelato solido come ferro, sgombero di aculei e, a prima vista, provvisto di pelle più sottile e cedevole del resto del corpo.
Le braccia di Dream comparvero sul muso della bestia, alla ricerca di un appiglio su cui fare affidamento per continuare la difficile scalata del dorso della bestia, tra aculei e protuberanze scomode, concludendo con l’afferrare due aculei più corti che spuntavano dalle tempie della bestia a mo’ di corna. L’amica di lasciò andare di peso, strattonando il capo nemico con furia, il quale tentava di dibattersi urlando e agitando pericolosamente gli arti. Alla fine, presa alla sprovvista, la bestia non poté far altro che cedere allo strattone brusco di Dream, lasciando che il capo le cadesse all’indietro, sul collo, lasciando esposta la gola.
Le dita di Aqua agirono di scatto, pronte, nervose, talmente rapide da sorprendere Aqua stessa.
Con un sibilo, il dardo immateriale prese velocità, cominciando la sua corsa abbracciato da perle di acqua fresca e limpida.
Il colpo andò a segno.
 
Ryan corrugò la fronte in una smorfia infastidita. Tentava disperatamente di forzare la propria mente alla concentrazione, ma quella mattina i suoi pensieri si rifiutavano con fermezza di disporsi in file ordinate, controllate, facilmente reprimibili. Aveva, invece, una gran confusione nella testa, un intreccio di ragionamenti e ripensamenti contrastanti che si stringevano e si scioglievano, scandendo un frustante ritmo imprevedibile.
Costrinse il proprio sguardo terso sul foglio, completamente in bianco, liscio e abbandonato sul banco da ben venti minuti. Giocherellò nervosamente con la penna nera fra le dita, producendo un irritante ticchettio che si espandeva nella sala, penetrando l’atmosfera immobile della classe, strisciando fra gli alunni dai capi bassi, intenti a riempire il proprio test.
Ryan si passò una mano sul viso, contraendo gli occhi in una smorfia insofferente. Inevitabilmente, lanciò uno sguardo al banco affiancato alla finestra.
Vuoto.
Seduta alla destra del banco si agitava Nozomi, in preda al suo stesso stato emotivo, braccata da pensieri e preoccupazioni non condivisibili. Teneva lo sguardo, perennemente lucido d’inquietudine, fisso al di là dei vetri della finestra, studiando la rifrazione della luce del sole che guizzava in vivaci giochi luminosi. Con l’indice tamburellava insistentemente sulla superficie del banco, seguendo il ritmo frenetico delle dita di Ryan, che ancora danzavano con la penna, chiusa sotto il suo cappuccio.
I loro sguardi si incrociarono per una frazione di secondo, quindi Nozomi espresse tutta la propria insofferenza, incidendola profondamente nelle pieghe del proprio viso e condividendola con Ryan, unico a poterla comprendere, in quel momento.
Il ragazzo forzò gli angoli della bocca, in un tentativo di quello che doveva essere un sorriso ma che, molto probabilmente, risultava più vicino alla colica. Cercava di incoraggiarla e incitare il suo morale a non rovinare a terra. Tentava di impedire che l’umore della ragazza raggiungesse il livello drastico del suo.
Sospirò e si voltò, cercando con lo sguardo la prima domanda del test. L’aveva letta una decina di volte, senza, però, leggerla seriamente. Nella sua mente scorrevano, nette e nitide, le lettere e le parole legate fra loro, ma nessun significato apparente giungeva al suo cervello, ad illuminarlo e a porgergli un appiglio su quel baratro.
Era troppo.
Sbuffò irritato, lasciò cadere la penna con un tintinnio, prese il test, lo accartocciò con rabbia, quindi si alzò ed uscì dalla classe.
Fortunatamente al posto d’insegnante sedeva Kokoda. Forse non gli avrebbe perdonato la trasgressione delle regole scolastiche, ma, perlomeno, ne avrebbe compreso il motivo.
Rimase qualche istante con la schiena appoggiata alla porta, le dita fra i capelli chiari che si stringevano nervosamente.
Rin era ancora alla Natts House.
Esanime.
Era passato un giorno, un giorno intero, ma gli occhi cremisi della ragazza non si erano più aperti.
Nozomi aveva chiamato la sua famiglia, aveva detto che sarebbe rimasta a dormire da lei.
Non era vero.
Rin era ancora alla Natts House.
Si ritrovò, assurdamente, a sorridere. Un sorriso isterico, beninteso, dettato nientemeno che dal nervoso accumulato di recente. L’ultima persona che si sarebbe aspettato di trovare, nella famosa “Natts House”, era un suo professore
Si era chiesto più colte quanto potessero essere gravi,le condizioni di Rin,  e l’aveva domandato, anche. Ovviamente nessuno si era degnato di rispondergli. Kokoda e Natsu gli avevano curato gentilmente le ferite, rassicurato, ma successivamente l’avevano costretto a tornare a casa senza dargli alcuna spiegazione. Gli avevano detto di tornare l’indomani, dopo la scuola.
Lui ci sarebbe tornato comunque, indipendentemente dal parere di quei due.
Ci sarebbe tornato per Rin.
Si passò una mano sul viso, tirandosi la pelle con rabbia.
Perché tutto questo doveva succedere a lui? perché avvenimenti stravolgenti come quelli gli davano il benvenuto in Giappone?
Strinse denti e pugni, costringendosi alla calma. Prese a camminare per i corridoi, senza prestare troppa attenzione a dove mettesse i piedi e verso quale sezione della scuola si stesse dirigendo.
Si, aveva chiesto delle condizioni di Rin. Kurumi gli aveva detto di non preoccuparsi, prima di chiudergli la porta in faccia, escludendolo dal loro mondo misterioso.
Sospirò, immerso nei suoi pensieri, finché una voce familiare non lo riportò alla realtà. Udì dei passi frettolosi echeggiare nel corridoio, quindi la voce pacata di Komachi, venata di una certa tensione, chiamare l’amica Karen.
Ryan s’illuminò. Le avrebbe raggiunte e avrebbe preteso da loro delle spiegazioni. Nozomi non aveva voluto aprir bocca. Ma ora era stanco di stare al gioco, di ubbidire e di sopportare segreti. Voleva sapere e, ora che anche lui ci era dentro fino al collo, voleva condividere il problema con gli altri, affiancarli nella ricerca di una possibile soluzione.
Udì le voci attutite discutere:
-dimmi- rispose Karen.
-vorrei parlarti-
Ci fu un attimo di silenzi in cui Ryan allungò il passo per raggiungerle.
-si tratta di Ryan-
Si bloccò. Come pietrificato, rimase dietro l’angolo con sguardo perso e il respiro ingabbiato nel torace.
 
Komachi sorrise nervosamente, scostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-avevi ragione- ammise, lasciando che lo sguardo guizzasse alle sue spalle, come per assicurarsi che non vi fosse nessuno nei paraggi –Ryan è preso di mira dal nemico-
Karen non si scompose, si voltò lentamente, distendendo le pieghe della sua divisa scolastica ocn una calma glaciale -lo dici per via dell’attacco di ieri?-
Lei annuì, agitata –per questo- aggiunse, alzando un dito –ho un sospetto-
Karen corrugò la fronte, interrogativa.
Komachi le si avvicinò ancora, abbassando ulteriormente il tono della voce, nonostante il corridoio fosse deserto.
-Quello che ha avvelenato Rin era un colpo indirizzato a Ryan- 
  
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