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Autore: Cara_Sconosciuta    09/05/2013    3 recensioni
A volte serve qualcosa di davvero sconvolgente per cambiare una situazione orma in stallo da tempo.
Siamo dopo la terza stagione: Elliot non parla più a JD dal matrimonio di Carla e Turk e lui non ha idea di come aggiustare le cose.
Finché, improvviso come un lampo, in ospedale non arriva Toby, giovane artista in attesa di qualcosa che possa salvargli la vita, di un cuore che possa ridargli i suoi ventitré anni.
E chissà che non sia proprio il giovane malato la cura per i problemi dei giovani medici del Sacro Cuore...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Elliott Reid, John 'J.D.' Dorian
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le mie disavventure


“Non... non sapevo che Elliot avesse un fratello.”

Toby soffiò via un ciuffo di capelli che gli era caduto davanti agli occhi.

“Elliot è una brava persona ma ci tiene un po'troppo a salvare le apparenze. Io sono il figlio maledetto, per cui...”

“In che senso, se posso?”
“Beh, in sostanza, i genitori di Elliot mi hanno adottato quando avevo due anni fondamentalmente per fare bella figura con l'alta società. O, almeno, questa è la versione ufficiale. Io sono convinto di essere figlio di una scappatella, ma non è importante. A sedici anni mi hanno regalato un SUV che non sapevo guidare. Due mesi dopo, quando è morto il mio cane, ho venduto quella macchina maledetta per comprarmi una moto e farmi questo.”

Mentre parlava, si sollevò la maglia fino a scoprire la porzione di schiena tra le scapole, dove campeggiava un meraviglioso ritratto di un levriero persiano nero come la notte, circondato da un bosco autunnale. Sotto di esso, la scritta, in una grafia meravigliosamente semplice, Più veloce del tempo.

“Wow...” Si lasciò sfuggire JD. “Sembra vero...”

Toby sorrise, orgoglioso.

“È il mio primo tatuaggio. Lo ha fatto Martha Carson, una delle migliori. Quando ho deciso di andare a bottega da lei per imparare il mestiere di tatuatore, i Reid, già, passami il termine, incazzati neri per la vendita del SUV, mi hanno diseredato. Ho praticamente vissuto per due anni tra lo studio di Martha e la mensa dei poveri, finché a diciotto anni non ho avuto un infarto. Sindrome di Null al ventricolo destro. Sono in lista d'attesa per un trapianto da allora.”

A quel punto, JD aveva iniziato a scorrere velocemente la cartella.

“E sei qui perché, a quanto pare, il tuo cuore nuovo è in dirittura d'arrivo.”
“Speriamo.” Esclamò Toby, sempre sorridente. “Per quanto sia da stronzi pregare per la morte di qualcuno... dovrebbe vedere di sbrigarsi ad andarsene, perché sono piuttosto stufo di frequentare i gruppi per malati terminali. E poi, dottor Dorian, non faccio sesso da quando avevo diciotto anni.”

Quell'ultima frase, pronunciata con un tono piuttosto greve, fece sorridere JD, che appoggiò amichevolmente una mano sulla spalla del giovane, proprio a lato del colletto della t-shirt, dal quale fuoriusciva una piccola zampa rossiccia che si arrampicava su per il collo, giocando con una pallina blu disegnata con tale maestria che nessuno lo avrebbe biasimato se avesse provato ad afferrarla.

“Con Elliot invece sei rimasto in buoni rapporti.”

Toby annuì.

“Sì, certo, soprattutto da quando quelle pie persone dei suoi genitori hanno diseredato anche lei... anche se non sono ancora riuscito a farla entrare nel mio studio. Penso abbia paura che io l'aggredisca con un ago pieno d'inchiostro.”

Pur con tutta l'ironia che il giovane riusciva a fare sulla sua vita presente e passata, non era difficile, pensò JD, leggere in lui una profonda malinconia.

La forza d'animo di quel ragazzo, di così pochi anni più giovane di lui, gli provocava allo stesso tempo un moto di ammirazione e di imbarazzo, perché sapeva che lui non sarebbe mai stato in grado di reagire allo stesso modo a tante disgrazie e situazioni difficili.

“Beh, Toby, vado a terminare il giro visite.” affermò con gli occhi bassi. “Vuoi che ti mandi Elliot?”

“Mi farebbe piacere. A presto, dottor Dorian.”

Non appena JD fu uscito dalla camera, l'Inserviente tornò a sedere sul lettino, uscendo da quella sorta di coma autoimposto nel quale era crollato.

“Quindi, per quel tatuaggio...”



Quando Jill si risvegliò, le sue mani corsero automaticamente a massaggiarsi i capelli, come avevano fatto ogni mattina per tutti i suoi ventisei anni di vita.

I capelli, però, non c'erano.

Con un singhiozzo, la ragazza richiuse gli occhi, desiderando ardentemente di essere ricatturata dal sonno pesante che la chemio le imponeva.

Aveva tirato troppo la corda con il destino, troppi ricoveri inutili per sfuggire alla solitudine piena di gente che era la sua vita, e ora l'ospedale le stava facendo pagare il prezzo.

E un tumore al cervello inoperabile era un prezzo molto più alto di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

La dottoressa Reid, Elliot, come ormai la chiamava, entrò nella stanza con un sorriso troppo smagliante per non essere costruito ad arte.

“Allora, Jill, come stai oggi?”

“Come una a cui sono stati dati dai due ai tre mesi di vita.”
“Jill...”

“No, senti, non mi va di parlarne.”

Silenzio.

Non ricordava di essere mai stata così acida in vita sua, eppure si sentiva in qualche modo giustificata.

Essere in punto di morte sembrava giustificare qualsiasi cosa, in effetti.

“Va bene. Ero solo passata a dirti che se vuoi tra poco c'è l'incontro dei malati terminali... se vuoi partecipare.”
“Ti sembra che io voglia partecipare?”

Con un gesto stizzito, Elliot appoggiò pesantemente la cartella che teneva in mano sul comodino della ragazza.

“Jill, adesso basta. Non te l'ho tirato addosso io il cancro, come non l'ha fatto nessun altro in questo ospedale. La dichiarazione dei tre mesi di vita non è una condanna a morte. A volte ci sbagliamo... più spesso di quanto credi, in realtà. Dovresti andarci a quell'incontro. Lì non importa niente a nessuno se sei arrabbiata o acida, o cattiva, anche, perché tutti sanno come ti senti. Conosco una persona che ci va da anni e...”

“Non è poi così terminale se ci va da anni.”

Elliot sospirò, soffiandosi via la frangetta dagli occhi.

“Jill, il problema non è quanto tempo hai da vivere, ma come lo vuoi spendere.”

Quando Elliot girò sui tacchi, Jill avrebbe tanto voluto richiamarla indietro, dirle che aveva bisogno di lei, di qualcuno, di chiunque, ma non lo fece.

Non lo fece perché era orgogliosa, e perché non sarebbe andata all'incontro dei malati terminali.

Se ci fosse andata, la sua malattia sarebbe diventata reale, molto più reale di quanto la facesse sembrare aver perso tutti i capelli.


Sulla soglia della stanza di Jill, nascosto dietro alla porta, il dottor Cox se ne stava in piedi, un fascio di cartelle strette al petto.

“Ehi Barbie.”

Esclamò, quando la vide uscire.

La giovane si girò di scatto, preparandosi ad una sfuriata.

“Sì, dottor Cox?”

“Bel lavoro.”


Continua...

   
 
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