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Autore: _Candy_    10/05/2013    2 recensioni
Salvami.
Portami via.
Dammi un paio d'ali e insegnami a volare, come fai tu.
Fammi respirare il profumo delle tue labbra.
Permettimi di assaggiare il sapore delle tue mani.
Ma non lasciarmi qui, no, ti prego.
____________________________________________
Candy, quasi sedici anni. Capelli rossi. Occhi spenti. Carnagione pallida. Dalla morte di sua madre vive da sola con il fratello, Jake, capelli ricci e azzurri, logicamente tinti. Si è chiusa nelle pagine dei quaderni che riempie di pensieri, ma ritroverà l'amore che ha perso in seguito ad una violenza e ritroverà la vita.
Un bacio (:
Ila
Genere: Comico, Poesia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14_ Die Hope.
 
Erano passati quattro mesi da quel giorno, e l'avevo sempre evitato accuratamente. Evitavo le sue mani, i suoi occhi, le sue labbra. Non sapevo bene fino a quando sarei potuta andare avanti in quel modo. 
Ero sdraiata a pancia in giù sul letto e sfogliavo le pagine inquieta. Non sapevo cosa cercavo, giravo rapida le pagine di quel diario, apparentemente senza motivo, ma forse ero in cerca di un frammento di ricordi di attimi, minuti o poco più che mi riportasse un'ombra di sorriso sul mio volto cupo, o forse stavo semplicemente cercando di dare un senso a quelle mie lacrime che mi avevano bagnato la maglia, il cuscino, mi avevano gonfiato il viso e arrossato gli occhi. I jeans a vita bassa scoloriti, diventati troppo larghi, lasciavano intravedere un lembo sottile di pelle, troppo pallida per la primavera. La maglietta verde attillata, che lasciava in evidenza le curve e i rotolini di troppo, cadeva su una spalla in modo trasandato. I miei bei capelli lunghi, di solito di un bel rosso acceso, morbido, delicato e gioioso, si erano trasformati in ciocche castane rossicce, lisce e tristi, sciolte indisciplinatamente sulla schiena curva e affranta e sul diario. Il telefono cominciò a squillare. No, non avrei risposto. Continuava, e la suoneria mi stava davvero stressando. Vinta dalla curiosità, chiusi momentaneamente il diario e gettai un occhio allo schermo luminoso del mio celluare: Chiamata entrante da Lela. Non avevo voglia di parlare con nessuno, nemmeno con la mia migliore amica, ma la forza dell'abitudine mi fece accettare quella chiamata.
"Candy? Candy come stai? Perché non sei venuta alla festa ieri sera? Stai male? Candy?!"
Insistente e adorabile, dolce e rassicurante, la voce di Lela. Riattaccai: semplicemente non avevo voglia di parlare. Pochi istanti dopo, alcuni messaggi inviati dalla mia premurosa amica furono annunciati da quell'odiosa suoneria. Non li lessi, facendola preoccupare. Lela. La mia migliore amica dai tempi delle altalene e dei giochi nella vasca della sabbia. Una ragazza di una bellezza rara, con due occhi del colore dei sogni d'estate, di un blu intenso, un viso da angelo contornato da un'aureola di corti capelli biondi. Le labbra, del colore delle rose rosse, contrastavano con la sua carnagione chiara, che tradiva il suo frequente arrossire alla vista di Josh. Mi sentii in colpa, e la stavo per richiamare, quando vidi due occhioni blu da cerbiatto spuntare dalla finestra socchiusa. La sua manina destra, delicata come il tocco di una fata, bussò timidamente alla porta. Mi alzai dal letto e, andando ad aprirle, vidi Lela strabuzzare gli occhi, forse per via del mio aspetto: dovevo essere in condizioni pietose. Non mangiavo dal giorno prima, e avevo pianto ininterrottamente per giorni. Lela entrò come una furia e mi abbracciò con uno slancio più affettuoso del solito. I nostri capelli si mischiarono in un abbraccio tenerissimo di ciocche bionde morbide come quelle di una bambola e di ciocche del colore delle volpi tendenti al crespo. Le mie mani strinsero la presa sulla giacchetta di Lela, e lacrime crudeli mi rotolarono giù per le guancie, lavando via ogni traccia di quel flebile sorriso appena spuntato, lasciando spazio ad una smorfia sofferente.
"Ancora?"
Annuii.
"Oh, Candy. Mi dispiace, ma non devi starci così male, che ci sto male anche io."
"Lela, grazie, ma non ci riesco. Mi manca. Mi mancano i suoi baci e i suoi abbracci. Era più di un amico per me. Molto di più."
L'abbraccio aumentò di intensità, percependo il mio bisogno di affetto.
"Hai bisogno di distrarti. Vieni dai. Ti sei lasciata cadere e ti stai trascurando. Vieni in bagno che ti sistemo io."
Uno shampoo veloce e dei riflessi rossi fai-da-te ai capelli, una nuova piega ai capelli, un velo di ombretto azzurro e sembravo diversa. Andammo nella mia camera e scegliemmo un abito estivo di un bel giallo, molto carico e gioioso, lungo fino a poco sopra le ginocchia, senza scollo davanti, e con uno scollo molto ampio dietro, chiuso da dei simpatici laccetti bianchi. Gli abbinammo delle ballerine bianche e la pochette bianca e gialla. Trovò dei braccialettini con i campanelli colorati, piccoli trucchi finali che mi rendevano perfetta, e sembravo addirittura un po' più felice. Mi trucco in modo molto semplice: eyeliner nero e ombretto giallo. Evitammo il mascara per non rovinare il trucco, pasticcione com'eravamo. Lela era sempre perfetta e bellissima, anche in quel momento, con il suo bel vestitino corto come il mio a righe bianche e blu, con i bottoncini rossi, le ballerine di paglia, gli orecchini rossi a forma di pesci, e, a completare il look da marinaia, una piccola ancora ricamata sul vestito e un cappellino di paglia, con un nastro rosso. Le sue labbra bellissime erano state ravvivate da un velo di rossetto rosso. Sulle palpebre, come se fosse l'ombra delle ciglia, aveva applicato un soffio di matita blu. Lasciammo i capelli sciolti, anche se mi vergognavo un po' di farmi vedere con la mia bellissima migliore amica. Uscimmo di casa, il passo spedito e allegro di chi vuole scaricare quella tensione che si accumula in una stanza dove c'è odore di lacrime. Nella mia pochette c'era una foto, un ragazzo con i capelli ricci e castani, gli occhi verdi e la faccia sorridente che faceva un cuore con le mani. Non la notai subito, ma sentivo che era con me. Sesto senso, lo chiamano i filosofi. Sfiga, la chiamo io. Harry, quel maledetto Harry. Siamo stati insieme per due mesi, in cui ci eravamo amati tanto. Poi, quel giorno, quella scena. La mia ragine di vita, il mio perfetto ragazzo, che dormiv abbracciato alla ragazza di mio fratello. Decisi di non pensarci. Ci fermammo a prendere un gelato anche se io non ero molto d'accordo.
"Ma... la dieta... cioè, tu sei uno stecco, ma io devo dimagrire..."
"Non c'è nulla di più bello del sorriso di una ragazza che si gusta un buon gelato, e poi sei stata due giorni a digiuno!! Bacio, fior di latte e panna montata per me. Per te?"
"Una granita..."
"No, tu prendi un gelato alla crema, pistacchio e panna montata. Grazie."
Lela pagò (almeno non mi sentii troppo in colpa di essermi procurata da sé grassi superflui) e ci allontanammo gustando quelle calorie disgraziatamente irresistibili. E fu mentre ci godevamo i nostri gelati che Lela se ne accorse. Un ragazzo alto, snello, capelli boccolosi e castani, occhi di un verde acceso, ci fissava. Non mi voltai. Non mi volli voltare. No. Non poteva essere lui. Mi ero sicuramente sbagliata. Aumentai il passo, formulai la domanda con gli occhi e Lela annuii triste. Accelerammo ancora, ormai quasi correvamo, il gelato che si scioglieva e disegnava ghirigori appicicosi verdi e marroni sulle nostre braccia. Ma il ragazzo mantenne un'andatura costante e sufficiente a non perderci di vista. Ogni tanto ci fermavamo per vedere se era ancora lì. Dopo dieci minuti di ansia e passo accelerato, mi fermai. Lela si voltò accigliata e preoccupata, come a dire "Sei stata tu a farmi iniziare a correre e ora ti fermi?!" ma, come sempre, invece di rimproverarmi si limitò a snocciolare poche sillabe in modo dolce ma solerte.
"Candy, dai!!"
"No, se è lui ci dobbiamo chiarire."
Ero ferma e decisa, e Lela non si sentì di contraddimi. Si allontanò, ma non troppo, per potermi soccorrere se fosse stato necessario.
La mano del ragazzo sfiorò la mia.
"È lui." Pensai.
Presi fiato e stavo per cominciare la mia predica, ma lui mi prese per mano e mi condusse sulla panchina dove tante volte ci eravamo amati. Ci sedemmo. Tacqui. Lui fissò lo sguardo in un punto non definito del terreno. Allora mi innervosii. Scattai in piedi e urlai con un fragore tale che i vecchietti si voltarono tutti, chi tranquillizzando il cagnolino, chi tranquillizzando il nipotino.
"Quindi?! Ti senti realizzato ora che mi hai rovinato l'estate, se non la vita?!"
"Ehm.."
"Stupido!! Idiota!!" Continuai nonostante le occhiate di disapprovazione dei nonnini che tappavano le orecchie ai nipotini. "Rispondimi!! Piango il giorno, piango la notte, sono ridotta a uno zombie formato depressione."
"Io ti amo Candy. Scusami. Ho fatto una cazzata, e me ne sono accorto troppo tardi. Non piangere, ci sarò sempre per te."
"Certo certo come no!! Tu non conosci il potere delle parole, tu non sai che ognuno di noi ha in bocca un'arma letale con cui può far innamorare o uccidere, tu non sai che se avessi disposto le parole in un ordine diverso, se mi avessi detto il tutto in un modo più dolce e più sincero, ti avrei perdonato.. forse."
Quelle tre parole, 'ti avrei perdonato', le dissi immaginando che fossero tre pugnali conficcati nel suo cuore. Ma quel suo cuore granitico, duro, di pietra non si può scalfire neppure con mille pugnali, figuriamoci con tre parole dette da una ragazza in lacrime. Fu mentre pensavo a quanto fosse insensibile per restare lì, muto impassibile, che vidi quel guizzo di luce nascere nei suoi occhi, percorrere quelle guance sulle quali c'era ancora il profumo dei miei baci, per poi inumidirgli le labbra e cadere in terra. Una piccola briciola del suo cuore forse si era staccata dal blocco di marmo inscalfibile, ed era precipitato giù, passando dagli occhi.
"Credi di commuovermi con una lacrimuccia finta?! Non ce la farai mai, ragazzo, perché quella goccia insignificante non era nulla in confronto a tutte le lacrime che ho versato io per te."
Mentre parlavo mi resi conto di come ero debole, fragile, un piccolo filo d'erba piegato dal vento in confronto al suo cuore di pietra, nel quale forse si era aperta una microscopica breccia. Ma non volevo perdonarlo, volevo farlo soffrire. Mi si riempirono gli occhi di lacrime, e lui si alzò, impietosito, mi abbracciò come ai vecchi tempi, mi strinse forte. Per pochi istanti mi sentii a casa tra quelle braccia in mezzo al parchetto, ma solo finché tacque.
"Allora, smetti di piangere. Andiamo a prenderci un gelato, facciamo come se non fosse successo nulla. Ti prego, stella del mio cielo, Candy."
Appena aprì bocca mi venne la nausea. Che verme, come posso fingere che non sia successo nulla? Mi staccai violentemente da quell'abbraccio finto.
"Vattene, mostro!! Non voglio la tua pietà, voglio le tue lacrime, voglio vederti soffrire come soffro io, anche se l'uomo non è stato fatto per soffrire, mentre la donna deve subire e basta, in questa stupida società maschilista!!"
Si levarono un paio di "Brava!!" e di "Tu si che ragioni con la testa, altro che i politici di adesso, che ragionano con il loro portafoglio!!" dal gruppetto di nonni e nonne e nipoti attorno a noi, che ci seguivano come se fossimo uno spettacolo televisivo, e commentavano. Incoraggiata dalle loro voci e dal suo silenzio, continuai.
"Oh, stai zitto ora eh? Com'è che se mi ribello non sai come ribattere?! Tanto lo so che volterai l'angolo, ti fermerai alla fermata del bus, troverai una ragazza seduta da sola, un po' triste, com'ero io, e la illuderai con baci, carezze, promesse di amore eterno, poi la lascerai e lei soffrirà. E chissà quante altre ragazze hai fatto soffrire e soffriranno per te..."
Un grupetto di bambini maschi si schierarono dalla sua parte, dicendo "Botte!! Botte!!" e invece, alcune bambine, adorabilmente agghindate con gonnelline e vestitini, dimostrando la superiorità femminile rispetto all'encefalogramma piatto maschile, dicevano "Macché botte, ha ragione la ragazza!!". Una addirittura, che avrà avuto circa 4 anni, al massimo 5, corse tra me e Harry, urlandogli, dimenando le braccine, "Bambino cattivo!! Vai via, vattene, lascia in pace la dada, piange!!". Mi commossi a quelle sottili parole, uscite da una boccuccia che, tutta sorridente, mi mostro una bella finestra in mezzo a quel sorrisone soddisfatto. Le lacrime continuavano a scorrere, chissà l'eyeliner dov'era finito, e gli occhi era gonfi come quando le lacrime scorrono da troppo tempo, e tu non puoi farci nulla perché la causa delle lacrime è davanti a te, e mi bruciavano, perché le lacrime sono più dolorose se non c'è un sorriso ad asciugarle, ti corrodono la vista, ti acciecano d'odio. Sentivo in bocca il sapore amaro delle parole che avrei voluto urlargli, ma quell'esserino stretto intorno alle mie gambe nude mi fece chinare su di essa. Le sorrisi dolcemente, e lei fermò una lacrima che stava scendendo con un piccolo ditino. Mi abbracciò stretta e disse:
"Anche la mia mamma piangeva tutti i giorni perché papà la faceva arrabbiare. Ma adesso papà è in prigione, non può più far piangere la mamma, anche perché lei è lassù, ora mi sta guardando e mi sta dicendo che questo ragazzo non deve farti ciò che il mio papà ha fatto a lei. Non piangere, no, le lacrime fanno male, non voglio che anche tu vada lassù in cielo con la mia mamma, e non voglio che lui vada in prigione con il mio papà."
Il padre di quella piccola bambina, quindi, le aveva rovinato la sua giovane vita, sua madre era morta, forse uccisa dal padre, forse si era suicidata, e quella piccola mente limpida aveva collegato il nostro litigio ai litigi tra i suoi genitori, e aveva cercato di fermarci. Forse lei era rimasta incinta giovane, e avevano sempre litigato, forse si erano amati solo una notte o solo un'estate, forse... Forse cosa?! Le incertezze non nutrono speranze. Ormai la vita di quella piccola bambina era rovinata, ma lei non se ne preoccupava, ma voleva solo che io non rovinassi la mia vita, quella di Harry e la vita di una eventuale futura bambina. La abbracciai, e in quel momento una specie di istinto materno si svegliò in me, mentre la piccola ricambiava il mio abbraccio. Avevo capito li suo messaggio, e lei aveva compreso il mio.
"Come ti chiami, piccolina?"
"Hope, ma non so cosa significhi, la nonna non me lo vuole mai dire. Tu lo sai?"
"Hope... Speranza. È un nome bellissimo, piccola Hope, devi andarne fiera."
Una donna sui cinquant'anni si avvicinò.
"Hope... piccolina, come stai? Scusi, l'ho persa un attimo di vista e si è immischiata... Mi dispiace tantissimo, davvero!!"
Interruppi la parlantina della donna.
"Non si preoccpi, signora, è stato davvero un piacere. Se ha bisogno per badarla, la terrei molto volentieri, è una bambina brillante!!"
Lela accanto a me si limitava ad accarezzarmi una mano premuorosa. La donna lo notò.
"Scusate, una domanda un po', emh, indiscreta... Siete una coppia omo?!" Chiese titubante e schifata.... Ah, le generazioni omofobe, roba ormai superata.
"Chi, noi?!" Scoppiammo in una risata convulsiva, e gli occhi ripresero a lacrimarmi dal ridere. Harry osservava da lontano la scena, ma non si era mosso, e aveva ascoltato ogni parola della piccola Hope.
"No, siamo semplicemente migliori amiche. Il ragazzo castano con cui stavo litigando è il mio ex."
"Ah mi scusi..."
"Si figuri."
"Allora, io direi che possiamo anche togliere il disturbo, no, Die Hope?!"
Die Hope?!
"Scusi, ma Die Hope è il nome completo?!"
"Sì..."
Speranza Morta, è così che si chiama l'esulo frammento rimasto da un amore infelice e tragicamente concluso. 
"No nonna, voglio restare con dada!!"
"La prego, signora, non disturberà assolutamente!!"
"I tuoi genitori che diranno?"
"Non creeranno problemi!!" Non credo che mia madre, da lassù, con la mamma di Hope, avrebbe impedito che donassi qualche goccia di felicità al quell'angioletto. Mio padre nemmeno, non sarebbe certo tornato, considerato il modo in cui l'avevamo cacciato la volta precedente. 
"Allora... a che ora passo a prenderla?"
"Ti va di restare a cena con me?"
"Sììì!!"
La Speranza Morta sprizzava gioia: era bello far sorridere un così dolce esserino, bisognoso di coccole, affetto e di una famiglia, soprattutto.
"Allora direi che può passare a quest'indirizzo verso le 21, se le va bene..."
"Direi che è perfetto."
La nonna di Hope era una donna simpatica, ma non più adatta a fare da mamma. Forse io non ne ero ancora in grado, ma di certo avrei dato tutto ciò che avevo per Hope.
Mi girai verso Lela, che sorrideva. Il sole era ancora alto in cielo, erano solo le 17, così presi in braccio la piccola Hope e andai da Lela. Passando da Harry, che non si era mosso di un centimetro, Hope gli fece una linguaccia. Sorrisi a quella piccola bambina così incredibilmente matura per la sua tenera età. Forse lo shock di perdere la mamma così piccola l'aveva portata ad uno sviluppo celebrale prematuro. Così, io, Lela e la nostra nuova, piccola amica ci incamminammo verso casa mia. Passando davanti ad un cartellone colorato, pieno di caramelle, bambini che si divertivano e giostre, Hope si mise a battere le sue tenere manine: voleva andare al Luna Park. Le bestò un'occhiata perché io e Lela ci sciogliessimo sotto il suo sguardo che brillava di una luminescenza verde quasi sovrumana, come se fosse una specie di folletto. Come mi piacerebbe credere ancora nelle favole e nella magia. Chissà se Hope si aggrappava alla magia per continuare a vivere, o se si era semplicemente rassegnata. Arrivammo all'entrata del Luna Park, pagammo gli ingressi e tre bastoncini di zucchero filato, rosa per Hope, bianco per me e per Lela. Mentre ci impiastricciavamo a vicenda i capelli con lo zucchero, Hope scelse la giostra da fare. Era una specie di castello degli orrori per bambini, e lei ne era così convinta, che la portammo. Appena entrati, una raffica di vento, proveniente dalle griglie metalliche aperte sulle quali stavamo camminando, ci sollevò le gonne a tutte e tre, provocando vari fischi dai ragazzi presenti nel castello. Hope strillava divertita ad ogni pesciolino o pipistrello fosforescente che vedeva. Ad un certo punto sbucò dal nulla uno scheletro e iniziai a strillare come una pazza, mentre Hope si contorceva dalle risate. Sentii qualcuno abbracciarmi da dietro e pensai che fosse Lela, visto che stavamo camminando in fila indiana in un cunicolo buio senza fine, stretto e umido, ma Hope sembrava meno spaventata di me. Il qualcuno che mi abbracciava mi sussurrò nell'orecchio.
"Ehi, piccola, non abbiamo continuato la nostra discussione prima..."
Mi voltai di scatto.
"Verme schifoso!! Mi hai anche seguita eh!? Comunque se il messaggio non fosse stato del tutto chiaro, è finita."
Avevo dimenticato che ero immersa in un gruppo di ragazzini, che iniziarono a prendere in giro Harry.
"Lela dov'è?!"
"È qui.."
"Lela!!"
"Candy!! Eccomi.."
Le afferrai la mano e non la lasciai più. Harry, umiliato dai ragazzini, tornò indietro, deriso ancora di più perché era uscito da quelle che si chiamano le "Uscite di sicurezza per chi se la fa in mano". Uscite dal tunnel decidemmo di andare a casa, avevo avuto fin troppa paura. Passando in un percorso obbligato all'aperto per uscire dal castello degli orrori, che costeggiava l'intero castello, mi accorsi che il percorso era fatto con le stesse griglie malefiche che avevamo incontrato all'inizio, l'unica differenza era che qui eravamo all'esterno, e che quindi non vedevano solo i ragazzi nel cunicolo scarsamente illuminato. Si levarono di nuovo fischi e applausi, nonostante ci tenessimo ferme le gonne alla meno peggio. Uscite da quell'incubo, proposi di uscire dal Luna Park, ed eravamo tutte d'accordo, e tornammo a casa mia. Parcheggiai Hope sul tappeto insieme ai miei vecchi giochi. Vivendo da sola, era tutto com'era sempre stato ai tempi in cui in quella casa viveva una famiglia unita. Lela si sedette incantata a guardarla inventare storie con un vecchio orsetto, e io la raggiunsi poco dopo con tre tazze di cioccolata in mano. Amavamo i bambini più di ogni altra cosa: quelle manine, così piccole e grassottelle, quegli occhi, così innocenti e curiosi, quelle parole così pure.. Piccoli miracoli, che crescendo si sarebbero sporcati d'umanità. Ognuno di noi è stato buono e puro, da bambino. Qualcuno rimane buono e puro, ma la maggior parte no. La mia nuova piccola amica era incantata da un orsetto rosa con gli occhietti azzurri. Disse che la sua mamma ne aveva uno molto simile, che però era di plastica dura, e lei non ci poteva giocare, perché dentro ci teneva i trucchi, la mamma. Probabilmente era uno di quei regali che si fanno a San Valentino, un cofanetto PUPA a forma di cuore o di orsetto con tutte le parti mobili, completamente apribile, con vari trucchi, da ombretti a rossetti a lucidalabbra a ciprie varie. Le regalai quel vecchio peluche, che per lei evidentemente significava molto più di ciò che significava per me: un normale giocattolo della mia infanzia, nient'altro che un ricordo dell'era dei giochi. Era ormai sera, il sole stava tramontando, e approfittammo degli ultimi raggi scarlatti per andare a comprare le pizze, e passammo davanti al cimitero. Non ci feci caso subito, ormai era una routine per me: esco di casa, attraverso la strada, percorro il grande vialone, oltrepasso il cimitero e sono in centro. Ma sul momento, con Hope stretta addosso, una sensazione sconosciuta, attraverso degli strani brividi che mi percorsero la schiena, mi assalì, mi attraversò, mi fulminò. Mi sentii strana, non ero la solita ragazza diplomatica che non entra mai nei cimiteri, anche se nella sua famiglia sono poche le persone ancora vive; non ero la solita ragazza che va nei cimiteri una volta all'anno, il Giorno dei Morti, a spolverare le lapidi dei cari defunti e a fingere di soffrire e pregare. No, non ero più quella. Io stavo entrando, immersa in un impenetrabile silenzio, in una mia bolla isolante invisibile, che non mi faceva sentire le proteste di Lela, terrorizzata dai cimiteri. La vocina squillante di Hope mi riportò alla realtà. Ci trovavamo davanti ad una lapide piccola, grigia, adornata da lettere scritte con un carattere semplice, molto fine, di un bel color bronzo tendente all'oro. Ero troppo concentrata sulle parole che sgusciavano dalle sottili labbra di Hope e arrivavano tenuamente alle nostre orecchie per riuscire a leggere nella penombra il nome del defunto. Accanto al nome, una piccola cornice dorata a forma di cuore. Dentro la cornicie, una donna con i capelli rossi, e gli occhi di un bel blu, ora spenti per sempre. Scrutai a fondo Hope, per la prima volta, e notai che aveva lo stesso nasino all'insù della donna, gli stessi occhioni, stessa carnagione chiara. L'unica differenza tra la giovane donna sorridente della quale restava solo un mucchietto di ossa e quell'angioletto con i capelli rossi che avevo in braccio erano i capelli. Stesso colore, ma quelli di Hope erano soffici e boccolosi, al contrario di quelli della donna, perfettamente lisci, come i miei. Hope sfiorò le lettere con le sue piccole dita, cercando di decifrarle, poi passò la manina sul viso della donna. Una goccia di luce le illuminò gli occhi, poi scese lungo quel suo piccolo viso in lacrime.
"Mamma..."


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Spazio Autrice che non sa da dove cavolo ha tirato fuori Hope :)
Ehm, ciiiiao :3
Che ne dite?? Bho, Hope mi è saltata in mente così... ed eccola lì, vicino alla tomba della mamma.
Non sono brava a commentare, e poi esagero sempre con lo Spazio Autrice, quindi direi che ringrazio come sempre IfallinlovewithanIrish, _Mauna, whatamilivingfor, PiccoloAngeloSenzaAli e Artemisia246 (scusa se non ti ho citata anche nel capitolo precedente, eh la memoria, ma grazie di esserci sempre!) .. Grazie anche alle nuove recensitrici, che si fanno vive ogni tanto. Mi interessa ogni critica, positiva o negativa che sia. 
Spero che vi piaccia, mi sono impegnata a scrivere questo capitolo.
Basta, cavolo! Ah, scusate le parolacce, ho cercato di non esagerare :)

Comunque.... ho scritto una nuova storia, si chiama DRUGS, non è sugli One Direction, è in Generali-> Drammatico :') Se passaste mi fareste un grande favore :)
Ila <3
  
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