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Autore: Evenstar75    10/05/2013    8 recensioni
Trovata la Cura per il vampirismo, Bonnie ha evocato un incantesimo che lascia libera scelta: vivere una vita mortale oppure trascorrere un'eternità da vampiro o da ibrido.
Damon è scomparso da anni e nessuno ha più sue notizie.
Elena ha scelto Stefan e insieme vivono felicemente da umani al pensionato di Zach.
In casa Salvatore è nata una bambina dai meravigliosi occhi azzurri, a cui è stato dato il nome di Demetra.
Sedici anni dopo, Damon è tornato per lei.
'I know the risk but I have to know her'.
Intanto Rebekah Mikaelson trama vendetta contro i suoi nemici di sempre per uno sgarbo che le ha portato via il 'lieto fine'.
Una nuova maledizione incombe sulla ignara e spensierata 'next generation' di Mystic Falls.
I nostri eroi dovranno fare un salto nel passato per salvare il futuro dei loro figli e, per riuscirci, dovranno collaborare e riaprire molte ferite e questioni irrisolte.
Le avventure di Matilde 'Matt' Lockwood, Sheila Bennet, Nick Mikaelson e Demi Salvatore... in capitoli ispirati ad un'ipotetica serie tv :D
Saranno molto gradite le recensioni :D
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Nuovo personaggio, Stefan Salvatore, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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POV Elena Gilbert

Mi voltai placidamente nel letto, cambiando lentamente posizione e sentendo un fruscìo di soffici lenzuola accompagnare i miei movimenti. Così comoda e al sicuro, sdraiata sul materasso candido e profumato di lavanda della mia camera matrimoniale, non avevo poi molta voglia di aprire gli occhi alla luce del giorno. Dopo la cupa e sconvolgente serata precedente, infatti, per me era stato un vero sollievo potermi abbandonare assieme a Stefan al buio del nostro rifugio di sempre e fingere per qualche ora che nulla, nel Pensionato, fosse davvero cambiato… 
-Sei sveglia?- domandò ad un tratto mio marito, osservandomi con aria incuriosita nella penombra della stanza. 
Il sole filtrava a malapena attraverso la tapparella abbassata con cura dell’unica finestra lì accanto, forse per evitare l’ingresso o anche solo gli eventuali occhi indiscreti di qualche corvo appollaiato sul davanzale. 

Pensandoci distrattamente, senza troppa convinzione, bofonchiai qualcosa in risposta a Stefan, ed affondai dispettosamente la faccia nella stoffa soffice del cuscino. 
Il vampiro sorrise tra sé e si avvicinò a me, puntellandosi risolutamente su un gomito. 
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Percepii le sue mani spostarmi i capelli scompigliati dal viso e le sue labbra fresche ed asciutte posarsi con delicatezza infinita sulle mie palpebre serrate, invitandole dolcemente a schiudersi. -… mmmhh… non ancora…- osservò lui, scendendo a baciarmi anche il naso, la fronte, gli zigomi e le ciglia, e sentendo la mia pelle riscaldarsi ed arrossire sempre di più sotto quel contatto. 
Emettendo un versetto compiaciuto, sollevai appena il viso e socchiusi le labbra, continuando a tenere gli occhi chiusi e abbandonandomi a quelle effusioni. 
Stefan era così… era come un lento balsamo profumato e tiepido che si spandeva da padrone sul mio corpo, rinvigorendolo e coccolandolo; era come un dono del cielo, come uno specchio magico attraverso il quale solo le cose più meravigliose e più spontanee della vita prendevano forma e colore, lasciando da parte l’oscurità e le insopportabili paure che essa, puntualmente e senza alcuna pietà, scatenava dentro di me. 
- Sei di buonumore?- gli chiesi con voce buffa e un po’ sorpresa, socchiudendo finalmente un occhio per dargli un po’ di soddisfazione. 
Stefan, sovrastandomi in un abbraccio, mi guardò con tenerezza infinita, poi scosse la testa, un po’ più serio. 
- Neanche un po’.- sussurrò, con tono basso e suadente. Come poteva esserlo, dopo tutto quello che era successo alla nostra famiglia? Demi non era ancora tornata a casa dopo quella drammatica esperienza al Lago e probabilmente non si sarebbe mai più fidata di noi come un tempo, eravamo tutti terrorizzati dalle nuove scoperte emerse riguardo ai piani di Rebekah e alle sue tragiche intenzioni distruttive, l’ombra di Klaus era tornata a soffocare la nostra esistenza e avevamo anche un ospite assolutamente bizzarro sotto lo stesso tetto…
- Oh… non essere arrabbiato con Damon.- mormorai, protettiva, dandogli un colpetto affettuoso sul braccio. – Lui non voleva nemmeno restare qui per dormire… sono stata io ad insistere. Davvero tu lo avresti lasciato a poltrire nel tetro cimitero per il resto della sua permanenza a Mystic Falls?- Stefan finse di prendere in considerazione l’ipotesi per scherzare un po’ ma poi, notando la mia espressione eloquente, si lasciò andare ad un sorriso un po’ strano, quasi intimorito.
- No, non l’avrei fatto.- ammise lui, sincero, dopo aver deglutito. – è mio fratello e, anche se è tornato senza avvisarmi, si è introdotto furtivamente nella nostra abitazione, ha interrotto un nostro momento d’intimità, ha frugato tra i tuoi diari e ha maltrattato i nostri ospiti… sono felice di rivederlo. Ammetto solo che sarà un po’ assurdo ritrovarselo per casa dopo sedici anni.- 
Scoppiai a ridere, perfettamente d’accordo con lui, poi, spingendo via con una piccola spinta le coperte, mi sedetti sul bordo del letto, sfiorando con i piedi nudi il pavimento freddo e liscio della stanza. 
Stefan comparve sulla mia spalla e mi appoggiò addosso la vestaglia di morbidissimo tessuto color malva, aiutandomi ad indossarla affinchè non prendessi freddo. Era così dolce da parte sua quel continuo preoccuparsi per la mia sicurezza ed il mio benessere che quasi riuscii, temporaneamente, a dimenticare il fatto che, essendo tecnicamente un vampiro, neppure una bufera di neve avrebbe mai potuto causarmi un comunissimo quanto umano raffreddore.
- Vado a preparare la colazione.- annunciai animatamente, alzandomi definitvamente per uscire dalla camera e dirigermi nel corridoio. La stoffa sottile della mia veste fluttuò leggermente nell’aria, assecondando i miei passi, e strappò un sorriso divertito a Stefan. 
Lungo il tragitto mi passai le dita tra i capelli scompigliati per districarli e li spostai da una spalla all’altra, tentando nervosamente di acconciarli nel modo migliore possibile. Non mi ero mai sentita così a disagio prima d’allora a causa di quel dettaglio talmente normale nella quotidianità ma adesso, con Damon in giro, percepivo uno strano stato di tensione emotiva tenermi sempre vigile e concentrata su qualsiasi particolare circostante. 
Le lancette del vecchio orologio di legno, ad esempio, segnavano le sette del mattino e, con il loro ticchettìo intermittente, mi ricordavano dolorosamente come, effettivamente, lo scorrere del tempo non si fosse mai fermato davvero, in quella casa. 
Certo, la famigerata Cura aveva avuto degli effetti collaterali davvero miracolosi su di noi, riuscendo a donare a coloro che l’avevano assunta, assieme alla tanta agognata mortalità, anche un’innaturale giovinezza, ma io sapevo bene che la mia bellezza fisica, pur intaccata solo in modo lento ed impercettibile dalla vecchiaia, aveva assunto negli anni nuove sfumature, diversi dettagli: il mio viso, ad esempio, aveva perso un po’ della propria ingenuità adolescenziale e le le mie forme, leggermente arrotondate, si erano ammorbidite in seguito alla gravidanza di Demi… ‘Demi’. 
Il tiepido pensiero di mia figlia mi sfiorò come il vento carezzevole delle serate primaverili faceva da sempre con l’acqua limpida sulle rive del Lago, provocandomi un doloroso quanto intenso senso di malinconia. 
Dov’era lei, adesso? 
Mi mancava come l’aria nei polmoni, più di ogni altra cosa al mondo, e mi sembrava spesso di vederla ancora in giro per il Pensionato, come quando era solo un cucciolo piccolo e indifeso e, ancora traballante sulle gambe paffute, scorazzava senza sosta per le stanze alla ricerca di attenzioni e baldoria. 
Nonostante quelle immagini di purezza ed infanzia mi scaldassero il cuore un po’ avvizzito dalla nostalgia, però, era la Demetra adulta ad affollare tutti i miei pensieri, la stessa ragazza che, proprio come un bel frutto ancora acerbo ma prossimo a maturare squisitamente, si stava affacciando alla vita giorno dopo giorno, crescendo e sbocciando in bellezza, orgoglio ed intelligenza. Mi mordicchiai le labbra, soffocando un sospiro di profonda e lancinante colpa: era stato semplicemente terribile, per me, vederla raccogliere le proprie cose in un paio di grigiastre valigie e lasciarsi la nostra dimora alle spalle, con quell’espressione desolata e triste sul volto, con quella delusione stampata nell’anima come un marchio rovente. Non riuscivo a perdonarmi per averle mentito tanto spudoratamente e, conoscendola forse come nessun’altro al mondo, sapevo perfettamente che, chiusa in quel silenzio vuoto e ferito, mia figlia aveva tenuto per sé un dolore, uno sgomento ed una frustrazione indicibili, fuori dal comune, per evitare che quelle sue tormentate sensazioni facessero male anche a noi. Era sconvolgente quanto fosse simile a qualcuno di mia conoscenza, per certi aspetti del suo carattere: era testarda, fiera e tenace ma, segretamente, era anche la persona più bisognosa di sicurezze e meno egoista del pianeta, proprio come...
Confusa e guidata da quell’irrazionale e spontaneo flusso di considerazioni, senza quasi accorgermene, finii con lo svoltare dal lato sbagliato della casa, quello opposto alla cucina, trovandomi davanti agli occhi la porta color ciliegio della stanzetta di Demi. Per giorni rimasta chiusa, custodendo una camera silenziosa e deserta, disabitata, ma ora era stranamente socchiusa, come se qualcuno, entrando, si fosse dimenticato di far scattare la serratura. Immediatamente, davanti a quella scena, sentii un brivido indesiderato quanto familiare farsi strada sulla mia pelle e, riconoscendo l’unico possibile artefice di quella mossa così spavalda, distratta e un po’ provocatoria, sbirciai attraverso la splendente fetta di stanza lasciata visibile dalla porta appena accostata. 
Damon si era prevedibilmente addormentato, completamente vestito, in posizione fetale, con la guancia appoggiata al cuscino candido e ricamato e con un grosso libro spaginato abbandonato pigramente tra le mani. 
La sua pelle era così pallida e luminosa da assorbire e modellare su di sé, con una nuova sfumatura perlacea, tutti i raggi di sole che penetravano dalla finestrella poco distante, e le sue labbra rosee erano socchiuse in una smorfia tenera, imbronciata. Fissandolo, non riuscii a trattenere un sorriso emozionato: doveva essersi assopito nel pieno delle sue frenetiche ricerche notturne, come testimoniavano i fogli e le fotografie che erano scivolate dal diario sul pavimento tutt’intorno a lui, e senza aver ottenuto dei risultati soddisfacenti, cristallizzando così sul proprio volto quell’adorabile espressione sfinita ma ancora risoluta. Vederlo disteso sul lettino di Demi mi aprì una profonda crepa nel petto, come se una grossa dose di calore si fosse improvvisamente abbattuta tra le pareti del mio cuore, sciogliendo un po’ di quel ghiaccio che la sua assenza aveva stratificato attorno ad esse. Per giorni interi, quando lui era misteriosamente scomparso dalla città, avevo vagato per quegli androni e quelle salette senza sosta, senza meta, nella speranza di vederlo comparire dietro l’angolo più buio, con un bicchiere di cristallo tra le dita, pronto ad imprecare contro qualcosa e a sorridermi in quel modo inimitabile, ammiccante, ironico… senza successo, senza fermarmi, senza rendermi conto di quanto fosse inutile.
Una volta Stefan mi aveva ritrovata nella camera di Damon, seduta sul pavimento con le gambe contro il petto e circondate dalle braccia, il mento appoggiato sulle ginocchia, il viso rigato di lacrime incandescenti. Le sue parole di spavento e conforto mi erano sembrate provenire da un’universo parallelo, rese irriconoscibili dai miei sensi annebbiati dall’agonia. Tutto mi era sembrato identico a come lui lo aveva lasciato: il suo lussuoso letto disfatto, i suoi libri preferiti accatastati con cura sul lato destro, le lampade dalle luci blande, il tappeto dai bordi rossicci posato sfrarzosamente sul pavimento di legno liscio, le candele grassocce e translucide sulla sua scrivania, la sua vasca da bagno… ogni cosa era rimasta intatta dopo la sua partenza, o quasi. 
Con un nodo in gola tornai a mettere a fuoco l’immagine del vampiro davanti a me, così beatamente addormentato, così presente e concreto. Mi resi conto con un misto amarezza e sollievo che miei ricordi erano sempre stati delle evanescenti illusioni rispetto alla realtà: nessuno di loro aveva mai reso giustizia a quei tratti fini e, in quell’istante, esausti. Damon si stava impegnando così tanto per trovare delle risposte all’enigma di Demetra, cercando senza sosta tra gli appunti e i documenti del passato in nostro possesso… le aveva salvato la vita una volta, proteggendola istintivamente contro un pericolo ben più grande di entrambi, e adesso continuava ad essere così meravigliosamente premuroso, con lei… 
Feci un passo verso l’interno, scansando accuratamente le pergamene che erano ammucchiate al lato del letto per non stropicciarle e per non fare rumore, e mi avvicinai al vampiro, il quale continuò a ronfare lentamente e dolcemente, beato. Non riuscivo a svegliarlo, non potevo. Mi sembrava un crimine terribile quello di interrompere i suoi sogni e così rimasi a fissarlo, quasi senza respirare, immobile sul posto, con un buffo formicolìo nelle dita. I capelli d’inchiostro di lui sembravano avere una vita propria, tanto erano arruffati, ma gli conferivano, come al solito, quell’aria di distratta eleganza che aveva fatto strage di cuori per secoli e secoli. Chissà cos’era accaduto in quei sedici anni, se lui era riuscito a liberarsi da quell’amore corrosivo e implacabile che ci aveva quasi condotti sull’orlo della follia, per ricominciare un vita serena e normale, sfacciatamente e favolosamente normale, come la mia, come quella che Stefan aveva deciso di donarmi nonostante tutto, magari accanto ad un’altra donna che… 
Cercando di scacciare quel pensiero cocente, distolsi ostentatamente lo sguardo e fissai un foglio di carta ingiallita e scricchiolante che era proprio accanto al viso di Damon, adagiata sul materasso dopo un’ultima consultazione da parte sua. Non era contrassegnato dalla mia scrittura né da quella di Bonnie ma, al contrario, era libero da qualsiasi iscrizione manuale; una grossa figura tracciata con inchiostro nero sovrastava completamente la facciata principale, ritraendo una bizzarra figura geometrica triangolare, all’interno della quale erano disegnate delle inquietanti figure stilizzate, scheletriche, circondate da simboli lunari. 
Mi chinai per scrutare con maggiore attenzione il decrepito disegno dai margini lacerati e aggrottai le sopracciglia in un’espressione concentrata. Dovevo averlo già visto da qualche parte ma non ricordavo di averlo inserito personalmente nel diario; doveva essere stata Bonnie a farlo, magari durante il periodo della sua custodia, forse per nasconderlo dalla propria memoria senza doverlo distruggere definitivamente. 
Certo, lo riconoscevo: era il Triangolo, il correlativo oggettivo di un magico processo di sacrifici umani programmati in tre località geografiche equamente distanti tra loro, destinato a concentrare e ad amplificare tutta l’energia mistica di una stregoneria sanguinaria e pericolosa chiamata ‘Espressione’. 
Durante la battaglia di sedici anni prima, quel semplice schizzo geometrico era costato la vita a ben trentasei innocenti (streghe, umani e ibridi), tutti immolati in tre gruppi di dodici persone ciascuno in nome del terribile Silas, il vampiro millenario custode della Cura e condannato da una strega crudele ad un’eternità di supplizi, mancanze e sofferenze. Mentre cercavo di sfilare dalla presa di Damon quel foglietto, delicatamente e senza fiatare, sporgendomi su di lui per limitare al massimo le possibilità di destarlo, udii un bisbiglio.
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-Elena…- mormorò Damon, d’un tratto, facendomi sobbalzare e ritirare immediatamente la mano. Beh, come non detto. La sua voce era impastata di sonno ma sorpresa, quasi compiaciuta, e il profumo delizioso della sua pelle mi lambì le narici, a tradimento. Cercai di rimettere il moto il cervello nel minor tempo possibile e sentii l’eco dei battiti accelerati del mio cuore disperdersi nella stanza. 
I suoi occhi azzurri mi osservarono perplessi mentre lui realizzava, con un lampo di lucidità, la ragione per cui mi ero avvicinata così tanto a lui. Un angolo della sua bocca si inarcò in un sorriso beffardo. -… ammetto di aver sognato spesso un risveglio del genere ma, nella mia fantasia, non avevi quella faccia atterrita. Buongiorno, signorina ‘sono in una missione.’- con un movimento fluido e veloce si mise a sedere ed afferrò il disegno del Triangolo dell’Espressione, tirandolo fuori dalla mia portata e infilandoselo gelosamente nella tasca posteriore dei jeans, al sicuro. Immediatamente, mi risentii ma, per il momento, rinunciai a cercare di riacchiapparla, anche per paura di strappare quella carta così incartapecorita e fragile da essere simile a ruvida e friabile sabbia.
- Volevo soltanto dare un’occhiata a quella strana figura.- balbettai vaga e sospettosa, a mo’ di giustificazione. Poi, guardandolo, il mio viso si addolcì e si soffuse di tenue rossore. – e, comunque, buongiorno anche a te signor ‘ho trascorso tutta la notte a tradurre geroglifici per Demi.’- le sue iridi si riscaldarono immediatamente a quella battuta colma di gratitudine, come se fossero state invase da una sensazione, se non di soddisfazione, di lavoro ben fatto. Rapida com’era venuta, però, quella luce svanì, inghiottita dal disappunto.
- Non ancora sono riuscito a venirne a capo.- ammise, con un’alzata di spalle. 
- Ma ci stai provando... con tutte le tue forze. Se non fosse stato per te staremmo ancora brancolando nel buio più completo per quanto riguarda le intenzioni di Rebekah.- replicai, nel tentativo di incoraggiarlo, di confortarlo. Lui restò in silenzio, abbassando la testa con una smorfia combattuta ad irrigidirgli il viso, poi fece un respiro profondo e tornò a guardarmi negli occhi, intensamente. Probabilmente le mie parole avrebbero stonato con i miei desideri più intimi e nascosti ma mi costrinsi a pronunciarle per dovere, per giustizia: – Damon non devi farlo, se non vuoi, non devi sentirti responsabile di quello che sta accadendo qui… non hai nessun obbligo nei nostri confronti…-
- No?- chiese lui, sarcastico, ma il suo sguardo si era improvvisamente incupito. Trasportata dal solito, singolare ed infallibile intuito che avevo verso di lui non riuscii a comprendere l’orgine di quella malcelata angoscia senza esserne a mia volta travolta: il ricordo delle nostre responsabilità in quell’assurda faccenda di sangue, sacrificio e vendetta erano urticanti e insopportabili come ferite, come spine nella carne. Le sue parole cominciarono a traboccare veloci, nervose, e fui costretta a sforzarmi per cogliere il senso di ognuna. – Sono stato io a scatenare tutto questo casino con Rebekah, d’accordo? Se vuole davvero vendicarsi con qualcuno, dovrebbe prendersela con me… non con voi. E, soprattutto, non con la ragazzina.- il suo tono divenne protettivo e minaccioso, inebriante, ma non vi badai troppo, confusa dalle frasi che lui aveva appena pronunciato. 
Sentivo la testa pesante e non riuscivo a capire il vero significato di ciò che aveva detto. 
Sono stato io? 
- Damon…?- cominciai, quasi senza muovere le labbra dallo sgomento. Prima che potessi aggiungere altro, però, Stefan comparve sulla soglia della stanza, quasi precipitandosi per il corridoio. Si era vestito in fretta ed il colore acceso della sua maglia donava moltissimo al suo incarnato pallido… ma sembrava stravolto. Il suo viso finemente modellato e le sue labbra tremule tradivano un’urgenza che mi terrorizzò all’istante. Stringeva convulsamente il cellulare nella mano destra e il vacuo bagliore bluastro sul display indicava chiaramente la fine recentissima di una conversazione telefonica tra lui e qualcun altro. 
- Che cosa è successo?- chiese duramente Damon al mio posto, prima che potessi dare voce alle mie disordinate preoccupazioni. Sembrava assorto e squadrava suo fratello come se riuscisse a leggergli dentro. Per un po’, di fronte a tutta quell’incoffessabile, tacita ed affettuosa intesa, mi sembrò di essere un’estranea tra i due.
- Caroline mi ha appena chiamato.- rispose Stefan, respirando a fatica, accennando al proprio cellulare. I suoi occhi ardevano febbrilmente e, quando continuò, la sua voce era densa di rammarico. – Ha scoperto la ragione per cui Tyler non è venuto alla nostra riunione, ieri sera. C’è stato un incendio terribile in città e una ragazza di sedici anni è stata uccisa.- Mi sentii raggelare e mi portai istintivamente le mani alla bocca, per coprire una smorfia di puro orrore. Damon non disse nulla ma il lieve colorito che aveva aleggiato sulla sua pelle fino a quel momento, in un guizzo definitivo, svanì. Quando emisi un gemito soffocato, Stefan mi sfiorò il braccio con la mano, nel vano sforzo di consolarmi, ma i suoi muscoli erano contratti e rigidi almeno quanto i miei. 
- Com’è potuto accadere?- biascicai, con un groppo in gola. – Chi…?-
- Si chiamava Tina O’Neil, frequentava il college assieme a Demi.- sussurrò mio marito, cupo e teso come il cielo prima di un temporale. Quel nome mi ricordava indistintamente qualcuno; doveva essere una delle compagne di classe di mia figlia, di quelle con cui lei non aveva mai legato a sufficienza ma verso le quali, comunque, nutriva un sincero rispetto, frutto di intere giornate trascorse insieme tra i banchi di scuola, a mensa, nel cortile. Sì, l’avevo sicuramente incontrata, qualche volta… Tina doveva essere quella ragazza dalle spalle larghe e dal sorriso reso argenteo dall’apparecchio per i denti che faceva parte della squadra di nuoto agonistico di Mystic Falls. Ed ora... era morta. – E’ stata coinvolta nell’incendio appiccato non molto lontano dalla Biblioteca… ma pare che non sia stata questa la vera causa della morte.- Stefan fece un gesto eloquente, passandosi la lingua sui denti e soffermandosi sui canini appuntiti. Compresi immediatamente la tacita e micidiale allusione ai morsi di un vampiro e rabbrividii. – Per non creare ulteriore panico stanno tenendo segreto questo macabro particolare della tragedia, attribuendo per il momento la ragione delle sue ferite all’aggressione di un animale, ma Caroline mi ha supplicato di raggiungere subito lei e Tyler sul posto… forse possiamo dare una mano allo Sceriffo Forbes per la ricerca di dettagli e per tenere calmi gli animi.- senza riuscire a pensare coerentemente, annuii e, per non lasciarmi sommergere dalla sensazione straziante di perdita e smarrimento che quella notizia aveva risvegliato spietatamente in me, mi avviai pesantemente alla porta. Sarei tornata in camera mia e avrei indossato qualcosa al volo, poi ci saremmo precipitati sul luogo del delitto. Avevano strappato la vita ad una bambina… la morte era tornata, velenosa e implacabile, ad infiltrarsi tra le ormai da decenni sicure mura della città. 
Un imprecisato mormorìo sfiorò le mie orecchie mentre raggiungevo rapidamente il mio armadio e lo spalancavo per darci un’occhiata e, riconoscendo debolmente le voci di Stefan e Damon ancora nella stanza di Demetra, cercai di affinare i miei sensi uditivi per rendere più chiare le frasi che si stavano scambiando sommessamente in mia assenza.
- La casa data alle fiamme è proprio quella di Matt Donovan.- stava dicendo Stefan, a bassa voce. Trasalii, immaginandomi la faccia di Damon davanti a quella rivelazione. Senza volerlo trattenni uno spasmo di disgusto e ripensai alla catapecchia abbandonata dei Donovan che, dopo la morte del suo unico proprietario, era caduta nel disuso e nella desolazione più assoluti. La madre di Matt, Kelly, non era mai tornata a rivendicare il suo possesso e, in qualche modo, riuscivo a comprendere la sua volontà di tenersene alla larga: non riuscivo ad immaginare l’idea di perdere un figlio, di subire la scomparsa di Demi come i genitori di Tina avrebbero, adesso, patito quella della loro creatura. Le lacrime affiorarono ai lati delle mie ciglia senza che potessi fermarle e le sentii bruciare contro la mia pelle, annebbiarmi la vista e la ragione. 
- Una coincidenza molto strana.- commentò Damon in risposta, con un tono che non tradiva particolari emozioni. Era sempre stato bravo, lui, a nascondere la paura ed il tormento. -… hanno qualche sospetto concreto riguardo al colpevole?- 
- Sì, il ragazzo che è stato visto per ultimo assieme a Tina è tra gli indiziati ma è uno straniero, non l’hanno ancora identificato. Anche un’amica della povera ragazza è stata fermata ma è in stato di shock e non sono riusciti a tirarle fuori molto.- rispose Stefan, con improvvisa veemenza. - Credo che abbiano intenzione di interrogarli ma, se non ci sbrighiamo, probabilmente li lasceranno andare per insufficienza di prove.- 
- Vengo con voi.- concluse risoluto il maggiore dei fratelli. Udii le molle del materasso lamentarsi appena e capii che lui si era alzato in piedi, con quell’aria fiera e testarda, per fronteggiare Stefan.
- No.- lo bloccò quest’ultimo, probabilmente afferrandolo per un braccio per fermarlo. Mi immaginai lo sguardo improvvisamente furioso ed impenetrabile di Damon davanti a quel rifiuto e qualcosa nel mio stomaco si ribellò. Cosa si aspettava, Stefan, che sarebbe rimasto con le mani in mano in attesa di novità? -… non è il caso che tu ti faccia troppa pubblicità in giro.- proseguì lui, con voce pacata e severa ma piena di buonsenso. – Per quanto ne sappiamo Rebekah potrebbe essere in giro per le strade, praticamente ovunque, e non credo che rivederti qui le farebbe piacere. Se, come pensiamo, c’è davvero lei dietro tutto questo, io non ho intenzione di provocarla… e scommetto neanche tu.- 
Sbattei le palpebre, frastornata, nuovamente perplessa davanti a quelle parole così ambigue e, per me, prive di un qualsiasi senso logico. Perché Damon doveva tenersi alla larga da Rebekah? Se la bionda sorella di Klaus ci odiava tutti, senza particolare distinzione, per averle rubato il futuro che tanto avrebbe desiderato assieme a Matt… perché lui, in modo particolare, doveva starle lontano e ritardare il più possibile la scoperta del proprio ritorno in città?
- Posso tenerle testa, adesso, fratello.- sibilò Damon, lanciando un’occhiata di traverso a Stefan. La sua chiara allusione al Potere che aveva accumulato in quei sedici anni di vagabondaggio per il mondo mi diede la nausea, vibrando nel mio sterno con un irragionevole misto di invidia e repulsione.
- Non è solo per te che sono preoccupato.- replicò lui, irremovibile. – Una ragazzina è stata uccisa, stanotte, Damon… riesci a capire cosa questo voglia dire? Una sedicenne piena di vita, di sogni e di speranze è stata inghiottita dalle tenebre e non tornerà mai più ad abbracciare i propri familiari. Se Rebekah dovesse perdere la testa e decidere di prendersela con qualcun altro? Magari con Demi…- la sua voce già roca si spense in un soffio impotente e anche Damon tacque, scosso da quella drammatica eventualità. 
- D’accordo, ho capito, dannazione.- sbottò, mentre la sua rabbia sbolliva con la stessa rapidità con cui si era presentata e lasciava il posto alla delusione. Mi chiesi come fosse stato possibile far desistere tanto facilmente il vampiro dai propri propositi, come avesse potuto il solo nome di Demi smontare la sua audace e baldanzosa volontà di rendersi utile, di mostrarsi. – Quindi dovrei starmene qui a consultare vecchi diari e a rimurginare su quanto Barbie Klaus continui a condizionare la mia esistenza? Grandioso, davvero, potrei mettermi a saltellare dalla gio...- 
- In realtà…- lo interruppe bruscamente Stefan. -… pensavo di chiederti di andare da lei, da Demetra.- sia io che Damon ammutolimmo all’istante, scioccati da quella inaspettata volontà. Il tono di Stefan era più morbido, adesso, quasi affettuoso e, mentre indossavo una camicia liscia e color pervinca, ebbi l’impressione di aver frainteso le sue parole. Voleva mandare Damon da nostra figlia mentre noi andavamo ad aiutare le autorità a far luce sullo scellerato crimine che aveva coinvolto una sua sfortunata coetanea? Sentii Damon considerare la possibilità di obbedire a Stefan, poi lui, con estrema cautela, fece schioccare la lingua.
- Perché io?- domandò, incredulo, con una punta di scetticismo. – Sei impazzito, vero?- aggiunse, caricando di una sfumatura scherzosa ed accattivante la propria considerazione. Stefan scosse la testa e, dal modo in cui sussurrò le proprie motivazioni, capii che stava sorridendo.
- Perché lei ha bisogno di essere sorvegliata e protetta, ora più che mai. E’ una ragazza sveglia e furba, sa come gestire le situazioni difficili senza dare troppo nell’occhio ma è anche impulsiva e testarda e, quel che è peggio, è ferita dalle circostanze. La situazione potrebbe facilmente sfuggirle di mano e potrebbe ritrovarsi di nuovo nei guai. Non posso permettere che accada, le difese che ha usato contro di me quel giorno in veranda potrebbero non essere sufficienti a risparmiarle la vita.- Damon sollevò un sopracciglio, quasi divertito, guardando di sottecchi l’espressione accorata del fratello, poi mormorò:
- Ha proprio un bel caratterino, eh?- 
- Come te.- disse Stefan, sospirando. Sbarrai gli occhi nella penombra della mia camera matrimoniale, con le mani sudate sospese ed inerti sui bottoni della giacca. Sentivo il cuore rimbombarmi nella gabbia toracica e il mio respiro non accennava a tranquillizzarsi. Odiavo sinceramente quando il mio corpo si rifiutava di nascondere le mie tempeste emotive: possibile che fossi così nervosa nell’ascoltare un dialogo così apparentemente pacifico e nel sapere che presto Damon avrebbe goduto della risata spensierata di Demi, della sua dolcezza contagiosa e della sua indole innata così affine a quella del vampiro? – Lei ce l’ha con me e con Elena per averle raccontato un sacco di bugie ma non ha nessun rancore nei tuoi confronti. E’ incuriosita da te, lo è stata fin dal primo istante… magari potresti parlarle, provare a conoscerla, convincerla a tornare qui, a casa sua. Arrivare ad una parte di lei che per noi adesso è così irraggiungibile. Ho bisogno di sapere che è al sicuro, Damon… e mi fido abbastanza di te per dire che non l’abbandoneresti mai in un momento di bisogno.- mi asciugai le guance inondate con il dorso della mano, tirando su con il naso senza emettere alcun suono. 
- Potrei provarci.- sorrise brevemente Damon, in risposta, con la voce che tremava nel tentativo di mascherare la propria riconoscenza. Sentivo in lui il desiderio di mettersi alla prova, di avere uno scopo ben preciso, di rivedere la ragazzina che aveva salvato qualche tempo prima e alla quale, sicuramente con enorme sofferenza, aveva cercato di far dimenticare il loro primo incontro. Un tonfo soffice mi fece comprendere che i due fratelli dovevano essersi scambiati una pacca sulla spalla, in un raro segno di accordo. Da qualche parte, fuori dal Pensionato, un uccellino cantò allegramente ma il sole sembrò splendere più pallido tra le nuvole sparse e zuccherose del cielo. 

***

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-Oh, Demi… non c’è bisogno di viziarci in questo modo, dico sul serio!- mormorò Bonnie con un sorriso intenerito mentre Demi si alzava da tavola con grazia e afferrava prontamente le tazze dei cereali della colazione ormai completamente vuote per posarle sul lavandino splendente della piccola e rustica cucina di casa Bennett. Dal giorno in cui era arrivata in quell’appartamento e aveva disfatto pazientemente le proprie valigie, la piccola Salvatore non aveva mai perso occasione di rendersi utile e, ogni santissimo giorno, si era spontaneamente data da fare per far sì che la dimora delle sue ospitanti fosse sempre perfettamente pulita ed in ordine.
- E’ il minimo che io possa fare per ripagarvi, Bon.- sorrise la ragazza, con una scrollatina di spalle. 
Nella stanza aleggiava ancora un delizioso profumo di caffè, marmellata e frittelle che la madre di Sheila aveva preparato con una cura particolarmente meticolosa e decorato con dello squisito sciroppo alla frutta, proprio come piacevano alla figlia di Elena. Non erano identiche a quelle inimitabili di Stefan ma Demi aveva comunque molto apprezzato quel concreto tentativo di farla sentire in famiglia; la Bennett si impegnava molto per essere affettuosa nei suoi riguardi e, nel profondo, Demi sapeva di farle un po’ di compassione. 
-Dove andrai oggi, mamma?- chiese Sheila, con la voce resa ancora brusca e bisbigliante dal sonno, stropicciandosi pigramente un occhio e poi passandosi una mano nella arruffatissima e riccioluta chioma corvina. Bonnie indossava dei jeans dal taglio elegante, una canotta nera e austera, dalle cui maniche spuntavano le sue sottili braccia color del bronzo, e aveva anche pettinato i capelli come se dovesse andare in giro per effettuare delle commissioni particolarmente importanti. -… non sapevo che avessi degli impegni… è sabato mattina!- Demi fece scorrere di proposito l’acqua ghiacciata e zampillante nel lavandino per dare una sciacquata alle stoviglie ma anche per coprire alla meglio l’eventuale risposta che la madre avrebbe pronunciato, con un gesto di discrezione che Bonnie colse immediatamente con un moto di ammirazione.
- Ho un paio di questioni da sbrigare ma sarò a casa per l’ora di pranzo, lo prometto.- rispose immediatamente lei, con tono evasivo ed un sorriso che era appena accennato, afferrando la propria borsa di cuoio scuro e sistemandosela su una spalla. – perché?-
- Così.- Sheila emise un comico verso di disinteressato in risposta e, rassegnata, si sporse leggermente sul posto per lasciarsi baciare dalla madre in segno di saluto. Demì udì il dolce schiocco di quel buffetto affettuoso posarsi sulla guancia della propria migliore amica e sentì una stretta micidiale chiuderle lo stomaco con crudele fermezza: era così che Elena l’aveva sempre salutata, ogni mattina, prima di vederla sparire oltre la soglia verso una nuova giornata scolastica, era così che l’aveva spesso coccolata quando entrambe avevano voglia di stringersi l’una all’altra in segreto, magari durante un terribile temporale, nella poltrona più soffice del salotto, condividendo senza sforzo o problemi un unico e scomodo posto a sedere pur di addormentarsi così abbracciate e al sicuro. 
- Mmmmh, ok.- mormorò Bonnie, scrutandole con poca convinzione e infilandosi le chiavi dell’auto nella tasca sinistra dei pantaloni. - Fate attenzione e non combinate guai. Non aprite la porta a nessuno e riordinate la vostra stanza.- Demi percepì le sue amorevoli dita tiepide posarsi anche sulla propria testa in una carezza di congedo ed uno strano senso di colpevolezza le bruciò nel petto, ribollendo, a quel contatto. La ragazza, tuttavia, si sforzò comunque di esibire uno dei propri più fulgidi e rassicuranti sorrisi. 
- D’accordo.- acconsentì con aria innocente, mantendo lo sguardo color zaffiro fermo e deciso per un bel po’, precisamente fino a quando la padrona di casa non si fu diretta verso il minuscolo ingresso e non si fu definitivamente richiusa la porta cigolante di legno bruno dietro le spalle. 
Sheila rimase in ascolto per qualche istante di silenzio, tendendo l’orecchio, poi, dopo aver ascoltato il rombo dell’automobile della madre che lasciava il giardino, rivolse la propria attenzione su Demi con raro un ghigno malandrino strampato sulla bocca. 
- Via libera?- chiese, accennando distrattamente al cortile finalmente deserto, in cerca di una conferma.
- Yep*... vado a prenderlo.- annunciò con entusiasmo la Salvatore, chiudendo di colpo il rubinetto e acchiappando al volo uno strofinaccio per asciugarsi le mani bagnate e rese profumate dal detersivo per i piatti. Sheila però, inaspettatamente, fu più veloce di lei e si precipitò per prima nel corridoio, scivolando con un suono bizzarro sul pavimento immacolato con le proprie bitorzolute pantofole color smeraldo. 
Demetra rise tra sé e sé a quella vista, soddisfatta della riuscita del piano che lei e l’amica avevano finemente elaborato sotto le coperte proprio la notte precedente, cioè quello liberarsi di Bonnie il più in fretta possibile e, ovviamente, prendere in esame con tutta calma ed in completa solitudine la migliore fonte di informazioni che avessero avuto la fortuna di ritrovarsi tra le mani fino a quel momento: il foglio di pergamena che Nick Mikaelson aveva rubato durante la famigerata notte in Biblioteca, poco prima dell’aggressione, mentre lei e Sheila erano impegnate a sfogliare gli alberi genealogici della città alla disperata ricerca di Damon. 
Quel pezzo di carta che era costato loro tanti rischi e tanta sofferenza e che, adesso, assurdamente, si rivelava così fondamentale per le loro personalissime indagini, Nick glielo aveva ceduto la sera della loro riunione a casa di Matt, quando lei lo aveva accompagnato fuori e lui si era messo a frugare tra i sedili lucidissimi e impeccabili della sua fiammante Ferrari nera.

>> Demi era uscita assieme a Nick per respirare sulla pelle ardente un po’ dell'aria piacevolmente fresca di quella notte calma e silenziosa, così meravigliosamente diversa da quella tenebrosa e burrascosa che li aveva avvinghiati l’ultima volta che erano stati insieme fuori dall’ambiente scolastico, tra gli scaffali polverosi del Reparto Proibito e, poi, tragicamente, anche tra gli alberi antichi e indifferenti della Foresta. 
Le stelle avevano palpitato ininterrottamente nel cielo color pece sopra di loro e la Luna li aveva osservati a lungo guardinga e in attesa, sbirciando tra le rade nuvole dispettose. 
Nick aveva abbassato lentamente il viso, fissando l’erbetta del giardino di villa Lockwood per una manciata di secondi, durante i quali i suoi lieneamenti definiti, delicatamente marcati, fini e assurdamente belli si erano distesi in un sorriso ansioso. Era tornato a fissarla, con un’espressione seria e intensa, mentre le sue labbra si stringevano, le sue ciglia sbattevano e lui ritornava cosciente della presenza della ragazza proprio lì, accanto a sé.
- Idea tua?- Demi si era decisa a parlare per prima, per interrompere quel silenzio troppo ricco di sensazioni contrastanti ancora sospeso tra loro: desiderio, timore, senso di colpa, impotenza, ingenuità… c’era tutto questo nei loro occhi attenti e molto di più. Più di ogni altra cosa la Salvatore aveva voluto subito sapere chi era stato il vero artefice dell’incontro combinato appena conclusosi.
- Quale?- aveva chiesto Nick, quieto e vago, come se non avesse sul serio capito a cosa lei si stesse riferendo.
- Quella di questa...- la voce le era venuta fuori in una specie di ringhio basso, perché quando lui faceva il finto tonto la mandava in fibrillazione. Era mettere in moto una reazione chimica esplosiva o un turbine di emozioni che non potevano far a meno di manifestarsi tra le righe sconnesse delle sue parole. Demi non era però riuscita ad impedirsi di sorridergli a sua volta quando aveva visto lo sguardo del nipote di Rebekah velarsi dalla spontanea paura di averla fatta infuriare di nuovo. Non era il caso di litigare, era un peccato... oltre che uno spreco di fiato. Demi era convinta che non sarebbe mai riuscita ad imporsi davvero su un tipo come lui. Nick era troppo, incredibilmente persuasivo. -… di questa piccola riunione a sorpresa.-
-... Ah, quella.- aveva sussurrato lui, ridacchiando, facendo un passo azzardato verso di lei. -... no, è stata la nana a organizzare tutto. Io non c’entro.- aveva ammesso. 
- Oh, certo.- aveva mormorato la Salvatore, voltandosi un momento di lato per sfuggire allo strano effetto che solitamente la voce del giovane, così bassa e vicina a sé, le provocava nello sterno e alla bollente e impercettibile delusione suscitata dalla sua confessione. – … capisco.- aveva bofonchiato, senza guardarlo. 
- Sono davvero contento che l’abbia fatto.- l’aveva assicurata Nick, esitante, come se avesse capito di aver in qualche modo fatto capire il contrario. Demi aveva sentito l’aria muoversi piano, in un sospiro silenzioso, il braccio del ragazzo che si spostava, le sue dita che si avvicinavano per sfiorarla delicatamente. Non si era girata, avava solo atteso e bramato la sua carezza, senza però muoversi di un millimetro, come paralizzata dalla trepidazione. Lui le aveva scostato timidamente una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio, provocandole un profondo brivido dietro la schiena. Lei aveva socchiuso le palpebre a quel tocco e aveva cercato di aggrapparsi a quella bella sensazione per dimenticare le sconvolgenti verità che aveva appena ascoltato davanti al camino del lussuoso maniero dei Lockwood, ma, sopraffatta dal turbamento, si era lasciata sfuggire una sorta di sospiro malinconico. Nick l’aveva guardata con aria dubbiosa e poi, con tono comprensivo e premuroso, aveva mormorato: - Stai bene?- 
- E’ un po’ difficile per me gestire tutta questa situazione ma ci sto provando.- aveva risposto Demi, con un tono un po’ più distaccato. Era sempre così: più cercavano di scavare dentro di lei per cercare reazioni autentiche, più riempiva intenzionalmente di strati spessi la sua corazza. Contro di lui, contro la verità, contro quel mondo che non riconosceva come proprio, contro quel dannato formicolìo nelle dita. Avrebbe tanto voluto ricambiare quei piccoli e tanto bramati gesti di tenerezza ma qualcosa, nel suo animo, stentava ancora a lasciarsi andare. Gli occhi neri, misteriosi e brillanti di Nick erano come due baratri immensi e senza fondo e Demi aveva una paura terribile, nonché perfettamente giustificata, di precipitarci senza più trovare la via del ritorno... di nuovo. 
- Ce la farai… possiamo riuscirci, ci vorrà solo un po’ più di tempo del previsto.- l’aveva incoraggiata lui, convinto e pieno di speranza. A lei era piaciuto moltissimo il modo in cui lui aveva usato il plurale per descrivere la loro condizione. – Matt mi ha dato piena fiducia e le cose stanno già cominciando a migliorare, da quando in giro c’è lei. Sarà fuori come un balcone ma è l’unica amica che io abbia mai avuto in vita mia. Grazie a lei sono riuscito ad incontrarti stasera, sono qui con te in questo momento… e anche la Bennett ha ascoltato il mio racconto senza fare troppe storie. Direi che è un bel passo in avanti.- la sua voce era sembrata un soffio imperettibile, irresistibile. Demi aveva preso in considerazione l’idea che lui adorasse particolarmente parlarle in quel modo, come se le stesse confidando un segreto, così, senza quasi che lei si accorgesse della sua presenza. – Demi, vorrei poter cancellare in un attimo i tuoi dubbi sul mio conto ma non ho idea di come fare…- 
- Potresti sforzarti di trovare un modo efficace.- aveva esalato la Salvatore, apparentemente misurata ma con il cuore in gola. Nick non era mosso, ma lei lo aveva sentito irrigidirsi leggermente sul posto. Era stata abbastanza vicina a lui per poter notare ogni piccola inclinazione del suo corpo… >>


-E’ stata davvero un’ottima idea quella di sfruttare il tuo amico Licantropo un aiutino.- proclamò Sheila, tornando in cucina con un poderoso libro di Storia tra le mani. Demi si riscosse bruscamente dai propri pensieri e guardò con una punta di perplessità il volume dalla copertina malconcia e Sheila alzò le spalle con aria di superiorità, scaricandolo rumorosamente sul tavolo davanti a loro. – Non fare quella faccia… tu mi hai detto di nascondere quella maledetta pergamena in un posto sicuro ed io ho pensato ‘Quale posto più sicuro di questo?’. E’ il libro che dovremmo usare per le lezioni della professoressa Mikaelson ma, visto e considerato che neppure imparando ogni singolo capitolo a memoria potremmo avere un voto decente con lei… eccoci qui.- urtando sul legno, il libro si era aperto e aveva lasciato intravedere che, tra le pagine intatte, era ben occultato un foglio di pergamena incartapecorita e ancora leggermente curva agli angoli, proprio come un oggetto cartaceo che è stato a lungo arrotolato su se stesso e tenuto nascosto agli occhi del mondo.
- Non gliel’ho chiesto esplicitamente… è stato Nick a darmelo spontaneamente come pegno di fiducia. Credo che abbia molto valore per lui, considerando che ci ha quasi fatte ammazzare per trovarlo tra le cianfrusaglie in Biblioteca.- Demi nascose una punta di amara ironia sotto i baffi, ragionevole, poi si sporse subito per osservare meglio i simboli tracciati sulla carta ingiallita: un triangolo di modeste dimensioni, qualche runa che le sembrava appartenere all’alfabeto di chissà quale antica civiltà, un paio di macchie d’inchiostro nei pressi dei bordi cartacei lacerati dal tempo e da qualche inclemente strappo e delle parole incomprensibili elencate accanto ai disegni. 
- Emh.- grugnì Sheila, scrutando torva quella pergamena priva di alcun apparente significato logico. Il suo iniziale entusiasmo si era spento come una lampadina improvvisamente fulminata. – vuoi dirmi che stavamo per essere sbranate da un branco di manigoldi per questa ‘roba’?- Demi piegò appena la testa lateralmente, lasciando che i capelli corvini le scorressero sulla schiena come cioccolato fuso, un po’ stordita. La pergamena che il giovane Mikaelson aveva tirato fuori, esultante, dall’ammasso disordinato di libri di occulto e folklore era lì, davanti ai loro occhi, eppure non avevano la più pallida idea di come fare a decifrarne il contenuto. 
- Nick mi ha detto che ha a che fare con la Maledizione della Clessidra e che ci avrebbe aiutati a saperne di più al riguardo.- borbottò la Salvatore, aggrottando le sopracciglia e sfiorando la carta ruvida con le dita impazienti. – ma non ha accennato al fatto che sarebbe stato facile servirsene. Forse l’ha data a noi perché credeva che, in qualche modo, avremmo trovato il modo di interpretare queste iscrizioni.- ipotizzò, rimurginando e stringendo le labbra. Un triangolo equilatero… la ragazza ricordava di aver letto da qualche parte che quella figura geometrica, in molte culture, rappresentava, attraverso la propria perfetta proporzionalità, l’armonia, la connessione e l’equilibrio quasi divino presente nella natura. Sentì un brusco respiro bloccarsi nella sua gola mentre un’idea bizzarra le illuminava il cervello. -… Sheila, osservalo attentamente. Non ti viene in mente nulla?- 
- Perché dovrebbe? Mi sembrano solo un mucchio di linee.- sbuffò subito la Bennett, incrociando le braccia sul petto con aria corrucciata. 
- Che ne so, sei tu quella delle visioni mistiche. A cosa serve essere la lontana pronipote dei magici abitanti di Salem se non puoi tradurre un paio di rune per me?- la punzecchiò Demi, affilando lo sguardo. Se tutto quello che avevano scoperto sulle loro famiglie era vero, infatti, Sheila aveva in sè del sangue Bennett, quello di una delle discendenze di streghe più potenti dell’intero pianeta. Se solo la ragazza non fosse stata così razionale e restìa nell’accettare le proprie origini e le proprie potenzialità, dunque, forse avrebbe potuto davvero contribuire alla risoluzione di molti misteri. -… prova solo a concentrarti. Canta qualche strana litanìa celtica, improvvisa un balletto, riporta alla tua mente brillante qualunque cosa abbia una minima connessione con questa pergamena... coraggio!- Sheila le lanciò un’occhiataccia, a metà tra l’impaurito e l’intrepido, ma poi le sue pupille si dilatarono leggermente quando tornò ad osservare, attentamente, il simbolo impresso sulla paginetta consunta.
- Non sarò un più il genio di Storia che ero prima che quella cattedra fosse assegnata alla bionda malefica…- esordì lei, lentamente. – ma ho divorato interi libri di storia antica, nei primi anni di lezione. Il primo significato di triangolo che mi viene in mente è quello delle civiltà Paleolitiche, i cui graffiti ritraevano come il grembo generatore della Grande Dea Madre, dispensatrice di vita e protettrice dei legami familiari più intimi e ristretti.- Demi si inumidì le labbra ed espirò profondamente, riflettendo su tutti i possibili collegamenti mentali che quelle parole riuscivano a suscitare.

-Nick, quel giorno sul Lago, mi ha detto che noi non saremmo dovuti nascere affatto… che le colpe dei nostri genitori hanno causato uno squilibrio nella Natura creatrice.- sussurrò, turbata, riportando alla mente quei ricordi con un po’ di timore ma anche con urgenza. – potrebbe essere un’allusione a questo? Ad un equilibrio violato dalla presenza sulla Terra di creature come me, Mattie e Nick?- Sheila annuì piano, senza staccare gli occhi dal simbolo.
- Potrebbe, certo…- il suo indice corse a ricalcare i contorni netti e precisi del Triangolo, seguendone la sinuosità. – E se fosse quello che non ci aspettiamo? Non un triangolo ma una lettera alfabetica, come queste tracciate qui accanto… un Δ greco, per esempio?- Demi, cercando di vagliare con cura anche quell’ipotesi, sentì un leggero brivido attraversarle la spina dorsale e farle venire la pelle d’oca sulle braccia candide. Uno strano calore la intossicò e le invase le guance, imporporandole. 
< Dal greco 'Δημήτηρ', il suo nome è quello della Dea Madre, sovrana dell'agricoltura, artefice del della rinascita delle stagioni, della vita e del ciclo continuo della Natura. > 
-Hei… tutto bene?- le chiese improvvisamente Sheila, guardandola preoccupata, come se improvvisamente avesse acquisito un aspetto strano e malaticcio. Demi si passò una mano tra i capelli, arruffandoli leggermente, per darsi una calmata, mentre il cuore le martellava nel petto e le orecchie le ronzavano, isolandola dalla realtà e contribuendo attivamente alla sua deriva tra le congetture più assurde. Δ come Dea, come Demetra, come…
- Demi…- una voce estremamente roca, quasi inudibile ma in qualche modo familiare, si sostituì bruscamente, come un sordo sibilo, a quel brusìo confuso di suoni e impressioni, facendosi spazio dentro di lei, nella sua testa, nelle sue ossa. Era certa di averla già sentita prima, magari nel segreto del suo inconscio, nei suoi sogni remoti, nella memoria, ma non riusciva ancora ad identificarne con chiarezza il possessore. 
- Hai sentito qualcosa?- chiese, sobbalzando istintivamente e incrociando gli occhi scuri, tesi e sfavillanti di Sheila. Il panico si insinuò nelle loro vene come lava bollente e le due amiche presero a guardarsi intorno, spaesate, alla ricerca di qualcosa di insolito o pericoloso nelle vicinanze. 
- No, solo un leggero stridìo…- disse la Bennett, spostando una sedia per avere maggiore libertà di movimento attorno al tavolino e tendendo nuovamente le orecchie verso il minimo movimento all’esterno. -… come il verso di un animale, di un uccello… e tu?- domandò, trafiggendo con lo sguardo la porta dell’ingresso adiacente, come se potesse riuscire a vederci attraverso. Demi non riuscì a rispondere in tempo perché i suoi respiri, spezzati e brevi, sembravano infuocarle i polmoni un attimo dopo l’altro, sempre più violentemente ed insopportabilmente. Era un po’ come quel giorno in veranda, quando la nebbia aveva avvolto lei e Stefan prima che la tragedia si consumasse, proteggendola da un pericolo, da suo padre… 
- Demi…- il suono nome risuonò meno stridulo di prima, più vicino, più caldo e accattivante che mai. Non assomigliava affatto al grido gracchiante di un animale, come Sheila aveva appena affermato, ma ad una voce perfettamente umana, ricca di sfumature carezzevoli, quasi melodiose. Ancora una volta, solo lei sembrò percepirla davvero. Le parve perfino di aver sentito un altro, bisbiglio, una parola, ma si impose di non pensarci, concentrandosi sul luogo di provenienza della voce. Si udì un ticchettìo leggero sulla lastra trasparente e luccicante dell’enorme vetrata della cucina, come quello proodotto da un becco rapace che picchia forte per annunciare la propria presenza. Sheila si voltò di colpo in direzione di quello schiocco, come pronta a difendersi da un nemico invisibile… poi lo notò.

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- Oh, cavolo! Quello è…- era un corvo decisamente grosso, pigramente tenuto sospeso a mezz’aria dal battito delle sue meravigliose ali lucide. Le sue piume nere avevano riflessi davvero ipnotici, quasi blu notte, e rifulgevano dei colori che Demi preferiva in assoluto. Il suo becco era come socchiuso e ricurvo, appuntito, ma furono i suoi occhi intensi e fieri a turbarla. Immaginò se stessa vista attraverso quello sguardo austero, così fragile e pallida come un raggio di pura luce lunare, con l’espressione assorta eppure consapevole, con il corpo teso in posizione pronta a scattare o a sciogliersi, così combattiva eppure così dolce… e si riconobbe. 
- … Damon.- soffiò la ragazza, come in un sospiro di sollievo, sentendo una brezza delicata inondarle i polmoni e rinfrescarli, calmarli. I tratti aguzzi del corvo ebbero un fremito e si mossero in un cenno. 
Erano solo loro, due creature sconosciute che si studiavano davvero per la prima volta, fiutando l’uno nell’altra l’ansia, la curiosità, il terrore, la voglia di conoscersi e… di salvarsi. 

  
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