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Autore: drawandwrite    16/05/2013    4 recensioni
Ryan Gray è un normalissimo studente Americano, da poco trasferito in Giappone per studi specifici.
La sua vita viene da subito turbata da un incontro particolare, che lo spaventerà e ecciterà al contempo.
Nel frattempo le vite Di Nozomi, Komachi, Karen, Urara, Rin, e Kurumi trascorrono tranquille.
E così sarà finché la loro strada non si incrocerà con quella di Ryan Gray.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’oscurità prese ad afferrare il manto candido del cielo con le lunghe braccia, avvolgendo le nuvole di spennellate color pesca e donando le prime sfumature violacee, mentre il buio scendeva lento, araldo dell’imminente notte.
Ryan appoggiò il viso al dorso della mano, lasciando che lo sguardo affogasse tra le prime stelle della sera. Era inquieto, agitato, nervoso. Nel suo petto si rimescolava un turbinio informe di emozioni contrastanti, ma lo sfondo non cambiava mai nota: paura. Era letteralmente terrorizzato da ciò che avrebbe potuto incontrare nel prossimo futuro. Era braccato.
Si, questo lo aveva capito. Eppure, le parole taglienti di Kokoda lo avevano sconvolto. Avevano reso la situazione più concreta, reale. Avevano sferrato un forte colpo alla sua consapevolezza, sfumando qualsiasi speranza di fuga dal suo crudele ruolo in quella recita.
Era braccato. Ed era indifeso.
Non aveva alcuna speranza. Aveva acquisito un flusso di energia. Ma non era in grado di utilizzarlo. Non ne aveva la piena padronanza.
Era braccato. Era indifeso. Ed era un Errore.
Se quella mattina, per puro caso, avesse imboccato un vicolo diverso, una piazza gremita di gente, se solo avesse smarrito la strada o se solo la sua cartina geografica si fosse rovinata sotto la pioggia, ora non sarebbe una preda. Se non avesse messo piede su quelle dannate strisce pedonali, ora non dovrebbe pianificare la difesa del suo stesso corpo, non dovrebbe umiliarsi al punto di farsi accompagnare ovunque da una delle combattenti, come un bambino piccolo si fa accompagnare dalla balia perché incapace di badare a se stesso.
Ora non starebbe occultando la propria rabbia, paura, colpa dietro un infida maschera passiva, inutile quanto estranea al tumulto che si agitava nel suo intimo.
Le parole dei presenti in sala si accavallavano una sull’altra, si coprivano, si impastavano in un amalgama  indefinito che non riusciva ad inglobare l’interesse di Ryan nonostante lui fosse al centro della discussione. Ere l’argomento, eppure ne era escluso. Decidevano per lui, evitando accuratamente di chiedere direttamente il suo intervento nella discussione. Pareva che nulla lo riguardasse. E lui rimaneva nell’angolo, ubbidiente, senza protestare. Era stanco:  finora era stato meta di pellegrinaggio per guai e problemi. Sapeva che avrebbe dovuto prendersi le proprie responsabilità, ma come poteva riuscire ad orientarsi in un mondo così diverso? In una realtà cosi paradossale da riconoscerlo come estraneo? Ancora non aveva assimilato l’idea di essere l’occhio del ciclone. Era ancora nella mente del bambino indifeso, dipendente dalle cure altrui, riluttante all’idea di prendere la situazione in mano e maledettamente terrorizzato.
-E’ tardi. Dovrei tornare a casa-
Rin aveva sussurrato con voce rauca, aspra, la gola stanca della battaglia incessante contro il veleno. Fu un semplice sussurro tagliente, ma nella testa di Ryan sovrastò le altre voci e riecheggiò dolorosamente. Si voltò verso la ragazza, che si stringeva nel maglione scuro prestatole da Kokoda. Aveva ancora la febbre, ma continuava ad insistere sul fatto di rimanere partecipe alla riunione.
Nonostante i sintomi pesanti del veleno, che la piegavano, la spossavano e la colpivano incessantemente, Rin manteneva la sua autorità severa e aggressiva, lo sguardo alto, l’atteggiamento scontroso.
La ragazza si alzò, domando il dolore che le trasfigurava i tratti del viso, quindi forzò un mezzo sorrisetto e recuperò la sua sacca da ginnastica.
-D’accordo- le sorrise Kurumi –Riposati- si raccomandò poi.
-Rin, ti accompagno- disse Nozomi con voce squillante, infilandosi la felpa e lanciando una fugace occhiata alla finestra per assicurarsi che le condizioni atmosferiche non pretendessero l’ombrello o una sciarpa.
Ryan era rimasto a fissare Rin alzarsi, lo sguardo vacuo sciolto sul bianco immacolato, quasi accecante, delle bende che le avviluppavano il corpo . Come ipnotizzato, sentì confusamente Nozomi proporsi per farle compagnia. Sempre in bilico fra lucidità e un anonimo torpore, i sensi di colpa presero a torturarlo, colpendolo come schiaffi in pieno viso.
 Rin ci aveva quasi rimesso la pelle. Per colpa sua.
Era lui la preda. A lui era indirizzato il veleno. A lui erano indirizzate le ferite, i tentacoli, le lenzuola pulite  del letto al piano di sopra, le cure di emergenza di Kokoda e Natsu, il rapido volo di Syrup alla ricerca di medicinali efficaci. La lenta e sofferta ripresa dei sensi.
In nemico avrebbe dovuto stringere lui fra le proprie grinfie.
E invece aveva preso lei.
 Si riscosse quando la porta dell’ingresso emise un fastidioso cigolio.
Si alzò di scatto, incapace di reggere oltre quel torpore straziante che, come un’anestesia, gli addormentava i pensieri, nell’estremo tentativo di estraniarsi da ciò che era la dura realtà.
Si voltò e, prima che chiunque fra i presenti potesse fermarlo, uscì e raggiunse a grandi falcate le due che mormoravano nel silenzio della sera.
-Rin- chiamò, a pochi metri di distanza, mentre già la porta della Natts House si spalancava per trascinare il bambino ribelle al caldo delle sue mura, dove sarebbe stato al sicuro, protetto da eventuali attacchi.
La ragazza gli lanciò uno sguardo da sopra la spalla, inarcando un sopracciglio, mentre Nozomi al suo fianco impallidiva alla vista del ragazzo senza alcuna protezione.
-Che vuoi, Stangone?-
Un sorriso tentò le labbra di Ryan; Rin pareva essersi ripresa quel tanto che bastava per permetterle di riprendere la sua opera sarcastica a discapito del ragazzo.
In quel momento, però, Ryan era troppo angosciato perché potesse aprirsi in un sorriso.
-Rin, perdonami- esclamò concitato, avvicinandosi e mutando il suo viso con pieghe mortificate.
-Cosa?- fece lei di rimando, voltandosi confusa.
-Perdonami. Perdonami per la sfuriata sul pullman, per quell’insistente partita da basket che ti ho costretto a giocare, per quelle inutili lacrime negli spogliatoi- abbassò ulteriormente la voce –per averti gettato fra le braccia della morte quando mi ci sarei dovuto gettare io- Si sfogò con voce incrinata, aprendo la diga che conteneva il fiume di parole tra le sue labbra. Aveva un assoluto bisogno di porgerle le sue scuse. Se le meritava: finora lui le aveva ostacolato l’intervento con i suoi capricci insensati, e solo ora si rendeva conto che, nonostante i modi un po’ rudi e ombrosi, la ragazza aveva da sempre avuto ragione.
-Scusa- mormorò ancora a capo basso, lasciando ciondolare le braccia inermi lungo i fianchi. Non sapeva che altro dire per esprimere ciò che provava.
Rin lo squadrò con degli occhi cremisi severi, attenti, calcolatori. Uno sguardo penetrante e sottile come la lama di un coltello. Il suo viso serio, affilato, non tradì alcuna emozione di fronte allo sfogo emotivo di Ryan.
Al ragazzo parve che lo stesse letteralmente spogliando di qualsiasi difesa, aprendo il suo guscio e lasciandolo fragile, esposto. Sotto quegli occhi ardenti Ryan sentì il viso avvampare, l’udito farsi più sordo e ovattato, mentre sul collo e nel petto gli pulsava vivo il battito cupo del cuore. Percepì quasi l’istinto di indietreggiare, di fuggire davanti al giudizio di quello sguardo tanto freddo eppure tanto caloroso al contempo. Ma si sentiva in trappola. Ingabbiato fra le iridi focose e immerso nel nero delle sue pupille sottili. Senza rendersene conto, arrossì vistosamente  e brividi tiepidi gli scivolarono lunga la spina dorsale, mentre percepiva chiaramente le orecchie andargli a fuoco. Senza più riuscire a sostenere la personalità provocante di Rin,  il ragazzo si trovò costretto a piantare lo sguardo a terra, il respiro corto e una confusione sconosciuta che gli attanagliava la lucidità fredda della mente.
-Scuse accettate- disse semplicemente lei, alzando un sopracciglio. Quindi scosse il capo con aria divertita, quasi derisoria. Accennò brevemente un cenno di salutò, poi si voltò e riprese a camminare, stretta fra l’abbraccio morbido del maglione.
Ryan si ritrovò a sorridere, inebetito.
-ragazzo, ti sei cacciato in un bel guaio- la voce diretta di Natsu lo riportò, o almeno ci provò, coi piedi per terra. Si voltò con espressione corrucciata –cosa?- esclamò, incredulo –non è affatto colpa mia se sono tanto sfigato da andare a sbattere contro l’unica farfalla capace di sguinzagliarmi contro eserciti di belve micidiali - proseguì senza più riuscire a contenere la frustrazione.
Natsu gli lanciò uno sguardo duro dopo quelle parole azzardate, poi però allungò un angolo della bocca e scosse il capo –non mi riferivo a quello-
Ryan corrugò la fronte, disorientato e ancora mezzo imbronciato. Che cosa poteva essere peggiore della situazione insicura in cui si trovava ora?
-Cosa?- fece, palesando la sua confusione.
Il ragazzo gli sorrise con fare quasi complice, quindi, indicò con un cenno del capo la sagoma minuta delle ragazze che si stagliava contro il cielo ormai scuro.
-Ti avviso: quella ti rivolta come un calzino- Disse poi, scambiandogli un occhiata eloquente.
Ryan sgranò gli occhi e arrossì violentemente fino alla radice dei capelli.
Ma che aveva capito quel tipo?
-N-no, aspetta che …?- dannazione, aveva balbettato.
Natsu scoppiò a ridere per poi assestargli una pacca amichevole sulla spalla, quasi a volergli esprimere compassione –io ci rinuncerei-
Detto questo fece segno di seguirlo all’interno della Natts House.
Ryan gli andò dietro, mentre tentava inutilmente di sbollire quella forte sensazione che gli spingeva il cuore in gola.
 
Rin aprì la porta di casa. Un fortissimo profumo di caffè fece irruzione nelle sue narici, immergendole gli occhi di un velo pungente di lacrime. Si voltò, salutò Nozomi  con un breve cenno della mano, quindi chiuse la porta, lasciandosi alle spalle Cure Rouge e tutto ciò che aveva subito in quei due giorni sospesi nell’incoscienza. Si sforzò di rivestirsi dei panni quotidiani di Rin mentre percorreva il breve corridoio che dava sul salotto da cui proveniva un tiepido calore e un lieve chiacchiericcio spensierato. Ripassò l’ormai usuale copione che prevedeva l’eliminazione dei possibili sospetti e dubbi che si sarebbero potuti presentare nella mente della famiglia. Ogni indizio riconducibile a Cure Rouge doveva dileguarsi.
Prese un sottile sospiro, si stampò in viso un mezzo sorrisetto sarcastico, quindi voltò l’angolo per il salotto, immergendosi nella fioca luce quotidiana della sala.
Il grande tavolo in legno era inghirlandato dalla madre e i due gemelli più piccoli, piegati sui libri di scuola, intenti in una lettura che, sotto il loro punto di vista, doveva risultare estremamente difficoltosa.
Rin avanzò tra il profumo dei fiori sbocciati che trovavano riposo nella terra fresca dei vasi, posti all’ingresso e appoggiati sulla credenza accanto alla cucina lucida, lasciò scivolare la propria sacca a terra, quindi mise sotto l’acqua il polso, profondamente inciso dal veleno, ripetutamente irritato dall’attrito della manica sulla sua pelle. Si rese conto che il braccio era scosso da forti tremiti, e la morsa che le attanagliava le tempie era una prova crudele che la febbre permaneva nel suo corpo. Si sostenne al ripiano della cucina, mentre gradualmente il suo corpo cedeva sotto i colpi della spossatezza.
Lanciò uno sguardo distratto alla madre, accomodata di fronte ai gemelli, lo sguardo bonario e una tazza di forte caffè nero stretta tra le dita. I capelli le incorniciavano scompostamente il viso stanco e le labbra tese in un sorriso stringevano dolci parole di incoraggiamento, mentre con l’indice scorreva le parole del libro di scuola, tenendo il segno al posto dei figli.
Rin le si avvicinò.
-Ciao- sussurrò flebilmente, lasciandosi cadere su una sedia al suo fianco.
La madre non rispose, troppo assorta nel suo compito. Rin scrollò le spalle e sospirò: ormai ci aveva fatto l’abitudine. Da quando la grave dislessia di Yu e Ai era venuta a galla, la madre dimostrava sempre meno tempo per lei, fino a raggiungere il punto critico in cui a malapena riuscivano a mettere in piedi una discussione che puntualmente si palesava troppo succinta per le esigenze della figlia. Kazuyo si era dimostrata assolutamente dedita ai gemelli e ai loro problemi, e non appena il lavoro le permetteva di lasciare il bancone del negozio, lei si dedicava al difficoltoso incedere dei figli nello studio. E Rin era stata marchiata “sorella maggiore”, colei che doveva prendersi sulle spalle le proprie responsabilità, colei che non aveva bisogno di una mano tesa per andare avanti, colei che era abbastanza matura per cavarsela da sola.
Rin le sfiorò l’avambraccio con le dita, richiamando la sua attenzione.
Lei le rivolse una breve occhiata sorpresa, quindi tornò immediatamente ad Ai, che si esibiva nel pesante tentativo di leggere una parola particolarmente lunga.
-Come stai, tesoro?- chiese con aria distaccata, annuendo rivolta alla gemella in attesa di una conferma alla sua pronuncia.
Rin si strinse nelle spalle –Bene- rispose –Ho affrontato un esercito di bestie fameliche, ho rischiato di venire divorata, poi di rimanerci sotto gli effetti di un veleno. E poi, be’, poi ti ho detto che dormivo da Nozomi quando invece mi contorcevo agonizzante in un lettino della Natts House- sputò diretta, senza freni alla propria lingua.
La madre annuì –interessante- rispose con voce atona, voltando pagina e accarezzando il viso di Yu con un sorriso dolce.
Rin contrasse la mascella, mentre la rabbia le si arrampicava per lo stomaco –Già- disse a denti stretti, domando a stento l’ira per quel  disinteresse nei suoi confronti.
-Be’, me ne vado a letto a vomitare il mio veleno- ringhiò, alzandosi e tentando invano di ignorare fitte infide e capogiri che premevano alla bocca dello stomaco, infondendole uno spiacevole senso di nausea che si ripeteva a sbalzi d’intensità.
Fece per entrare nella propria camera, ma s’imbatté in suo padre, lo sguardo furente e il passo pesante.
-Ferma lì- esordì con tono autoritario, arrestando il tentativo della ragazza di evitare il rimprovero rifugiandosi fra le lenzuola.
Rin si voltò di malavoglia, avvertendo la morsa stringerle le tempie con più forza e gli occhi bruciare, irritati.
-Che c’è?- rispose con voce smorzata, appoggiandosi alla parete.
Il padre le agitò davanti al viso il libretto scolastico, quindi lo aprì su una pagina precisa glielo sbatté chiaro in faccia.
-Questo cos’è?- sbottò irritato.
Rin percepì lo stomaco rivoltarsi e si piegò leggermente con una smorfia dolorosa in viso. L’udito sembrava guastato, ovattato e un ronzio le echeggiava fastidiosamente fra le pareti mentali. Nonostante ciò mascherò il tutto sotto un espressione infastidita.
-Un cinque in chimica- rispose alzando un sopracciglio.
Il padre allargò le braccia con fare esasperato –E di questo cosa mi dici?- indicò la pagina seguente.
Rin si strinse l’addome, mentre le viscere protestavano con un coro sempre più assordante, rimescolandosi e incidendole la carne con fitte inattese.
-Quello è un cinque e mezzo in matematica- rispose con voce soffocata, sopprimendo i gemiti di dolore.
Non ne poteva più, voleva tornare a letto, dormire, riposare.
-Ho sonno, papà, non mi sento bene, vado a … -
Il padre le puntò contro l’indice –ah, non provarci! La conosco, la classica scusa- si portò le mani ai fianchi –Rin, che cosa pensi di fare con questi voti?- ringhiò con rabbia –cosa credi di fare quando arriverai ai livelli universitari?-
Rin percepì una doccia fredda di sudore colarle fra i dorsali.
-Non ci vado all’università- sibilò di rimando, costretta a sorbirsi l’usuale rimprovero del padre e i soliti ragionamenti , inutili e insensati ,a detta usa,che aveva preso a farle da qualche anno.
Lui le rivolse un occhiataccia di fuoco –No? E allora cosa farai? l’imbianchina?- il viso del padre fu attraversato da un sorrisetto di scherno –non sei in grado di tenere in mano un pennello-
Gli occhi di Rin lampeggiarono di un’ira selvaggia, la mandibola compresse i denti, mettendo  a dura prova la loro resistenza. Lui sapeva perfettamente quali erano le sue intenzioni per il futuro. Si, Rin era assolutamente intenzionata a proseguire la via dello sport, a donare il proprio tempo all’attività fisica e a proseguire la strada che si era delineata dagli inizi, da quando aveva avuto i primi contatti con il calcetto. Il padre, però, dopo i primi anni, aveva preso ad opporsi animatamente ai desideri della figlia, pretendendo che tenesse alto l’onore della figlia studiando con impegno ad un’università di fama e guadagnandosi un ottimo lavoro proficuo. Le passioni di Rin erano pressate, ingabbiate, e per i suoi semplici desideri si delineava sempre meno tempo, apparivano inutili davanti all’indifferenza fredda del padre.
Probabilmente il padre le faceva i discorsi per paura che Rin avesse perso la cognizione di ciò che era il mondo fuori dalla scuola. Probabilmente lui si sentiva un eroe che riportava la figlia, stordita dall’abbaglio di una stupida passione infantile, sulla retta via. Probabilmente lui credeva di farlo per il suo bene.
In realtà non faceva altro che toglierle la libertà che Rin da sempre desiderava.
Non aveva voglia di discutere; conversazioni come quelle ne avevano di continuo, e finivano sempre con gli strepiti nervosi del padre che le imponevano di tacere e di porre rimedio alla sua attuale inutilità.
Ringhiò tutto la sua rabbia con uno sguardo affilato, quindi entrò nella sua camera, sbatté con forza la porta e si chiuse a chiave, tenendo al di fuori le assurde pretese del padre.
Si gettò sul letto, affondando il viso nel cuscino, mentre ogni minimo contatto con le zone avvelenate del suo corpo le procurava un bruciore straziante.
Perché si sentiva così maledettamente fuori posto?
 
 
NOTE:
Ringrazio per le loro recensioni:
-Mixxo98
-Kissenlove
-Laelia__
E in particolare:
-Konankohai
-Fnsrlieamhk
Grazie mille! 
  
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