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Autore: Dolceamara    04/12/2007    6 recensioni
Il signor Gootark ha tazze troppo ruvide, e la signora Gootark chiama Draco "Rosaspina".
Uno scoiattolo cresciuto da un Ungaro Spinato può divenire una creatura meravigliosa, se non si infrange in mille pezzi cadendo dalla torre più alta di Azkaban.
Genere: Romantico, Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ungari Spinati



[b]Nana[/b]

- Non saprei… lei dice che si tratta di quello? -

Harry dischiuse appena le dita sulla tazza di tè caldo che teneva tra le mani. Non poteva proprio fare a meno di chiedersi come mai tutte le tazze del signor Gootark fossero così irrimediabilmente ruvide. Bianche, solo e unicamente bianche, tanto grezze da graffiare i palmi se appena si osava un movimento più veloce delle mani.

Sapeva che la signora Gootark amava i fiori. Aveva fiori appesi alle pareti, fiori sui piatti, fiori sui bicchieri, azalee sui centrini e viole del pensiero applicate con un’opera maldestra di decoupage su lampade a campanula.

Perché non potevano esserci dei fiori anche sulle tazze?

Una tazza a fiori non può essere ruvida.

Il signor Gootark levò le mani e volse i palmi verso l’esterno mentre alzava le spalle spigolose.

- E chi lo sa ragazzo… nella tua vita potresti aver subito più traumi di uno scoiattolo cresciuto da un ungano spinato. Cercare quello giusto è complicato. -

Harry si pensò con un’ampia coda spumosa, dopodiché lo sfiorò il pensiero dello zio Vernon con una lunga serie di aculei sulla schiena. Scosse il capo appoggiando la tazza sul tavolo di legno bianco. Sulle mani sentiva ancora una specie di formicolio.

Cesare Gootark era uno psicologo. Oh no, non uno psicologo qualunque. Uno psicologo laureato in “studio della psiche magica”, il che oh sì, era tutta un altro paio di maniche.

Naturalmente era un amico di Hermione. Amico per modo di dire dato che il loro primo incontro era stato il raduno nazionale dei fan di Oscar Fogwallarty, autore del famosissimo volume “Mille e una storie di elfi domestici”, che contava ben tremilaequattrocentocinquantasette pagine in carattere – guarda un po’ – elfico.

Tra le cinquanta persone presenti al raduno solo quattro avevano avuto l’ardire di deliziare il proprio udito con un epocale sproloquio sul meccanismo psicologico che spinge gli elfi domestici al loro sfrenato masochismo. Tra queste quattro avevano fatto sfoggio di sé solo due individui dallo sguardo illuminato, taccuino alla mano, pagine e pagine di appunti alle proprie spalle.

Uno era naturalmente Hermione, l’altro un signorotto sulla sessantina con un basco a quadri verdi e rossi e i cui bottoni del panciotto erano una fedelissima imitazione del viso “leggiadro” di un berretto rosso di brughiera.

Ah, non dimentichiamo. La sua penna incantata era decorata da una graziosa opera di decoupage, tant’è che ogni volta che i petali della rosa di carta che era incollata su di essa scivolavano sulla punta della penna questa starnutiva e spargeva inchiostro a piccole macchie sui pantaloni di velluto rosso dell’attempato signore.

Inutile dire che Hermione aveva adottato il signor Gootark quale suo quinto nonnino adorato e aveva reso Harry partecipe della felice famigliola.

Che volesse consigliargli una buona visita psichiatrica? Forse. Ma che volesse aiutarlo davvero, questo era escluso.

- Harry, bambino mio! -

La signora Gootark era solita usare epiteti simili. Il fragrante e discreto “Harry caro” della signora Weasley era stato sorpassato ormai molte carie ai denti fa.

Bambino mio, calendula blu (il blu a volte era sostituito da un fucsia acceso), fiore di loto, raggio di sole, tesoro caro, oleandro fiorito… sì, anche oleandro fiorito.

Harry si sentiva crescere fiori anche nelle orecchie.

- Mi dica Milly… -

Aveva insistito anche per questo. Il “signora Gootark” era assolutamente bandito dal vocabolario della cara donna… a meno che non si trattasse di lamentele per l’edera rampicante che a causa di un incantesimo mal riuscito aveva assalito il vicino. Allora, improvvisamente, ogni appellativo diveniva straordinariamente formale.

La signora Gootark sfoderò un sorriso a 36 denti, segno che stava per dire qualcosa di seriamente, gravemente compromettente per l’udito di un giovane ventenne che nella vita ne aveva passate troppe.

- Harry mio dolce… - iniziò tutta scintillii e farfalle – come sta quel tuo amico? Ma sì, quello che mi piace tanto! -

A prima vista potrebbe sembrare una frase innocua.

Anche l’uovo d’oro al quarto anno pareva assolutamente innocuo ad una prima occhiata… ma aprirlo aveva significato un timpano in meno e un buon 2% in più sulla percentuale mondiale di inquinamento acustico.

- Quale amico, Milly? –

Milly, Molly, e Ginny. Le donne della sua vita. Che tristezza.

La signora Gootark si portò l’indice al mento, pensosa. – Ma sì, quel biondino così educato… mi pare si chiamasse qualcosa come Malfy

Harry rabbrividì un secondo pensando alla reazione di Malfoy se avesse sentito come quella donna aveva storpiato il suo nome.

Il nome era proprio tutto ciò che Draco si stringeva addosso come una seconda pelle – una pelle che gli stava fottutamente bene, gli doleva aggiungere – e al quale non avrebbe rinunciato nemmeno per tutte le cioccorane dell’universo.

Oh sì, Draco adorava le cioccorane. Aveva una collezione che sfiorava le dimensioni della biblioteca d’Alessandria, e onde evitare che facesse la sua stessa fine aveva rinchiuso tutte le sue centinaia di migliaia di milioni di figurine magiche in una scatola apparentemente innocua (perché mai questo tema nella vita di Harry si presentava così spesso?), ma che una volta attivata sarebbe stata in grado di staccare tutte e dieci le dita a chiunque non vi si fosse avvicinato con intenzioni più che lusinghiere.

Draco aveva provato più e più volte quel marchingegno maligno sulle bambole della figlia di Ron e Hermione (abilmente trafugate) e oramai il suo armadio vantava la bellezza di 8 scheletri di bambolotti dalla faccia corrosa, le trecce bruciate e la pancia sventrata.

Aveva un nonsochè di macabro.

Ad ogni modo… Draco adorava le figurine delle cioccorane almeno quanto detestava Milly Gootark.

Non che i suoi modi amabili avessero mai avuto modo di insultarlo in una qualche occasione. Anzi, era stato ben lieto di aggiungere al suo manuale di insulti ad Harry Potter le paroline “Harry, dolce oleandro fiorito!”… lo era stato un po’ meno quando si era sentito chiamare “Rosaspina”.

No, nessun disprezzo particolare nei confronti della bella addormentata nel bosco e nemmeno del principe Filippo, ma un sano, oleoso disgusto nei confronti degli appellativi femminili a lui diretti.

E dopo un primo incontro Milly pareva proprio aver preso a cuore quella delicata quanto pericolosa “rosa purpurea”.

- Draco sta benissimo, Milly. Ti manda i suoi saluti! – Harry sorrise conciliante allontanando la tazza ruvida dalle proprie mani, anche a costo di rinunciare ad un po’ di calore.

La signora Gootark trotterellò felice e soddisfatta verso la sua cucina.

Harry non era innamorato di Malfoy.

Era un concetto abbastanza chiaro nella sua testa. Le parole “Draco” e “amore” aleggiavano a distanze clamorosamente grandi.

Draco era viziato, e spocchioso, e irritante, e maligno, egoista, infantile e anche approfittatore.

Era bello.

Lui e Draco erano amici, da qualche parte nella sua testa.

 

 

Quando Draco bussò alla sua porta il giorno dopo, Harry gli aprì in pigiama.

Non perché fosse particolarmente affezionato a pantaloni sgualciti e magliette smesse di qualche anno prima… e nemmeno perché fosse eccessivamente pigro (sebbene l’ordine in casa sua non facesse decisamente da padrone), ma perché quella maledetta mattina Draco aveva maledettamente bussato alla sua porta alle maledette cinque e venti.

All’inizio Harry si allarmò. Era notte – cinque e venti – non era in grado di intendere e di volere – bacchetta al piano di sotto – una persona stava bussando alla sua porta di notte, alle cinque e venti, mentre lui non aveva a portata di mano né bacchetta né sufficiente senno da capire qualsiasi cosa sarebbe successa di lì a poco.

Poi realizzò che Voldemort era morto e che il signore e la signora Gootark erano partiti la sera prima per un viaggio itinerante in Dalmazia. Allora si rilassò un poco.

Inciampò in un gradino, si aggrappò all’arazzo ricamato dalla signora Weasley, sentì l’orrendo rumore di tessuto strappato e non ebbe il coraggio di guardare.

Maledì la magia e il fatto che in una casa magica fosse inaudito avere interruttori della luce, poi maledì la propria bacchetta che proprio quella volta aveva deciso di non farsi trovare sullo scrittoio in salotto e il fatto che senza di essa non avrebbe potuto accenderla, la luce.

I pugni sulla porta continuavano a far scricchiolare il legno. La chiave cadde dalla serratura e tintinnò a terra.

Forse la figlia di Ron e Hermione aveva scoperto delle bambole bruciate, o il loro secondo pargoletto aveva imparato a gattonare, o aveva chiamato papà, o aveva detto “zio” come prima parola e il padre era giunto a dargli la gentil novella.

Forse il signor Gootark aveva dimenticato di esporgli un dato importantissimo della sua analisi psichica, oppure Hagrid aveva perso di vista Grop.

Ops, giusto. Hagrid era morto tre anni prima e oramai svolazzava allegramente per la foresta … dubitava che un fantasma potesse bussare ad una porta. O prenderla a pugni, che dir si voglia.

- Arrivo! -

Sentì finalmente il legno della bacchetta sotto le dita e mormorò un “lumos domus” a denti stretti.

- Eccomi, eccomi! -

La luce improvvisa lo accecò, e quando finalmente riuscì ad aprire la porta fu ad un soffio dal trovarsi il pugno di Draco tra i denti nell’arco di uno sbadiglio.

- Oh, Potter. – soffiò piano lui, lo sguardo acceso. – Non aprivi più. -

Harry avrebbe voluto rispondergli che, in effetti, avrebbe fatto meglio a non aprire per niente dato l’orario, ma gli occhi gli bruciavano troppo e il piede col quale prima era inciampato aveva avuto la graziosa idea di fargli capire adesso che sì, era inciampato, e si era fatto un male cane. Dunque tacque.

- Merlino, mio dolce oleandro, la tua ragazza si prenderà un colpo vedendoti la mattina! -

Malfoy invece pareva avere la lingua sciolta anche di prima mattina.

- Entra, idiota. -

Harry gli fece strada, stropicciandosi gli occhi. Una volta giunto nei paraggi del divano vi si abbandonò disteso, senza troppe cerimonie.

- Dimmi che hai una valida motivazione per presentarti qui a quest’ora. – bofonchiò, il viso sprofondato in un cuscino a costine.

Draco si avvicinò, ma non si sedette a sua volta: rimase semplicemente in piedi, le braccia conserte. Per un attimo rimase in silenzio, e Harry vide oltre il profilo del cuscino il suo piede sinistro muoversi nervosamente.

Il fatto gli ricordò vagamente la prima volta in cui si erano parlati, parlati veramente.  

Buffo: non erano stati messi in punizione insieme, non si erano ritrovati soli negli spogliatoi di quiddich, non erano stati convocati per un’importante missione… si erano scontrati in un negozio di dolci.

Indovinate cosa stava comprando Draco? Beh, Harry aveva adocchiato poco prima una cioccorana dall’aspetto appetitoso, e la stava scartando con noncuranza quando aveva visto lo sguardo dell’altro naufragare con sorpresa sull’angolo di figurina che sporgeva dalla carta.

Si trattava del ritratto di Asmodeus Frigdus Maghnete, magnate della distillazione di pozioni, vissuto una cinquantina di anni prima.

Nemmeno a dirlo, l’idolo di Draco.

Che il ragazzo in quel periodo fosse stanco marcio della guerra, che un qualche elfo domestico si fosse impossessato della sua anima, che Merlino in persona avesse cancellato dalla sua memoria ogni singola traccia dei tormentati anni di scuola, Draco se lo era lasciato sfuggire, quello sguardo.

Uno sguardo fisso, intenso, così esitante da risultare compromettente.

Ed Harry sì, era davvero stanco marcio della guerra in quel periodo. – La vuoi? – gli aveva chiesto semplicemente, alzando tra le dita la figurina.

Draco non aveva detto sì. Si era limitato a scartare la cioccorana che anche lui aveva appena comprato, e sorprendentemente aveva estratto dalla carta la stessa immagine di Maghnete che ammiccava con tra le mani due fiale verdastre.

Aveva guardato Harry con sfida, poi aveva sorriso. Gli aveva preso tra le dita la figurina, se l’era infilata in tasca, e tra le sue dita aveva riposto l’adesivo che lui aveva trovato nel dolce.

Poi si era incamminato verso l’uscita del negozio.

Harry aveva seguito i suoi movimenti con gli occhi, chiedendosi chi avesse reso Draco Malfoy una persona quasi cordiale. Aveva guardato il Maghnete che Draco gli aveva affidato grattarsi il capo disorientato e alla fine alzare le spalle e tornare ad ammiccare.

Non si era accorto subito che Malfoy si era fermato poco lontano, prima della porta. Quando aveva alzato lo sguardo Draco era in piedi, girato a tre quarti verso di lui, il piede sinistro che tastava nervosamente il pavimento.

- Ciao – gli aveva detto. Draco aveva risposto con un cenno della mano, ed era uscito.

Ora il suo piede si muoveva allo stesso modo.

- Dunque? – incalzò Harry, senza alzare gli occhi dal cuscino, la voce stanca. – Cosa è successo? -

Non sapeva per quale motivo, ma non si aspettava mai di ricevere una notizia sconvolgente da Draco. No, nessun “è morto mio padre”, “mia madre è impazzita”, “Sono stato picchiato a sangue in un vicolo di Nocturne Alley”… nulla di tutto ciò.

Non perché Draco non fosse una persona abbastanza seria da rimanere coinvolta in qualche intricata tragedia… semplicemente perché Draco, con lui, di queste cose non parlava.

Suo padre era davvero morto.

Sua madre era davvero rinchiusa da qualche parte al San Mungo.

Ed era stato veramente picchiato a sangue in un vicolo di Nocturne Alley, qualche tempo prima.

Ma Harry non lo aveva mai sentito parlarne in prima persona. Ne aveva letto sulla Gazzetta del Profeta, glielo aveva raccontato la vecchietta seduta al tavolo in fondo nell’angolo ai quattro manici di scopa, ne aveva sentito parlare per strada due funzionari del Ministero.

Draco non si era mai presentato alla sua porta con un misero cipiglio sul volto; non gli aveva dato spiegazioni quando Harry gli aveva chiesto come si fosse procurato quei lividi sul viso.

Draco aveva risposto: “Nulla di che, questioni di normale amministrazione”, poi si era avviato verso la cucina di casa sua, aveva aperto il frigo (aveva imparato a riconoscere un frigorifero da un portale spaziotemporale) e vi si era infilato con il busto, appoggiando la faccia sul piano gelido.

No, Draco di queste cose con lui non parlava.

O almeno, così pensava Harry fino al giorno in cui il biondo giunse alla sua porta ad un orario decisamente indecente.

- Stavi dormendo? –

Draco glielo chiese quasi esitante, in un modo che fece venire ad Harry voglia di ridere.

- No – gli disse sorridendo – Facevo ginnastica. -

Lui rimase semplicemente in piedi al suo fianco, forse indeciso sul da farsi. Non che comunque potesse sedersi dato che Harry era sdraiato comodamente sull’unico divano che sembrasse per l’appunto tale in quella casa.

Rimase semplicemente immobile, il tallone che puntellava il pavimento.

Harry si schiacciò il cuscino sul viso, la bacchetta che ancora stringeva in mano conficcata in malo modo nel fianco. Non aveva voglia di spostarla.

Fu allora che Draco, dopo un respiro profondo, cominciò a parlare.

- Non sono qui per lagnarmi dell’ingiustizia della vita, questo no. -

Non aveva un tono particolarmente spaventoso, ma bastò a rendere il cuscino di Harry molto più soffocante di quanto non lo fosse stato poco prima. Non guardò Draco, e nemmeno gli concesse il lusso di capire che lo stava ascoltando, eppure lui continuò.

- … Non ho nemmeno intenzione di tagliarmi le vene perché una cazzo di vecchia ha deciso di chiamarmi Rosaspina apparentemente deliziata dal contrasto tra rose e oleandri. Non ho dannatamente intenzione di chiedere a Merlino chi è stato quel fottutissimo fan di mio padre che ha deciso di dare a me quello che avrebbe meritato lui e mi ha preso a sassate la testa in quella fottuta Furrystraight Street a Nocturne alley. Per carità, mi sta bene. Avrei dovuto capirlo alla nascita che i miei capelli e i miei occhi erano un contratto a lungo termine con la faccia di mio padre. Non mi lamento, giuro, non mi lamento. -

Harry strinse la bacchetta tra le dita, indeciso se spostarla dal fianco ormai dolorante oppure sperare semplicemente di non incappare in una magia involontaria. Alla fine decise che gli stava bene così, e le orecchie incanalarono tutte le sensazioni del suo corpo.

- Tu, Harry, sei stato così gentile con me. Voglio dire: hai rifiutato la mia amicizia, mi hai battuto in tutto ciò in cui avrei potuto essere battuto, hai radunato una bella cerchia di pettegolezzi sul mio conto e non hai mai, e dico mai, reagito come avrei voluto alle mie provocazioni. Eppure ora sono qui, in questa cazzo di casa. Vorrà pur dire qualcosa. Qualcosa per me dovrai pure aver fatto. Ma io mi chiedo: che cosa diavolo ha fatto per me il resto del mondo tanto da meritarsi il sacrosanto diritto di lanciarmi pietre addosso ogni volta che il mio naso sporge dal mantello? Mi hanno offerto la mano e io l’ho rifiutata? No, cazzo, no. E dopo essermi quasi ammazzato in una guerra che non era la mia penso di poter chiedere, almeno per favore, di non rischiare metà del mio circuito nervoso ogni volta che qualcuno pensa che insultare un ex-mangiamorte sia divertente. -

- Draco… - Harry se lo lasciò sfuggire. Davvero, non lo fece volontariamente. Si sarebbe morso la lingua pur di non dirlo, ma quel nome era scivolato da solo sul pavimento ed ora si stava contorcendo lentamente, con le vocali che stridevano. Era una novità per Harry ascoltare tante parole tutte insieme dalla bocca di Draco… troppo difficile controllare le reazioni involontarie al primo scontro con la realtà.

- Lo sai Potter – Malfoy continuò. Inarrestabile, come se si fosse preparato l’intero discorso a casa. Come se le sue di orecchie avessero fatto voto di castità e avessero rinunciato a qualsiasi suono molesto. -… un poco sono stanco. Solo un pochino, non poi così tanto. Tutti hanno i propri scheletri nell’armadio, e i miei capisco che facciano parecchio rumore, ma perché non tormentare anche te allora? Ce le hai anche tu le tue colpe. I tuoi omicidi sulle spalle. Te lo dico io perché: Tutti hanno degli scheletri nell’armadio, solo che il tuo è così grande e stipato di graziosi vestitini da festa che i tuoi, di scheletri, a tutti sono sembrati collane di perle. Perché non è successo così anche con me? Per il mio cognome? “Malfoy” non è un cognome così orrendo. Voglio dire, “Krum” suona molto peggio. Sembra un gargarismo col mal di gola. “Malfoyno.

E Draco tremava nel dire questo. Tremava. In piedi, così duro da sembrare un quercia, così molle da apparire vuoto. Un grande, compatto budino di corteccia.

- Sai cos’è successo oggi? Il Ministero ha raggiunto la lampante conclusione che Azkaban è stipata, piena zeppa di gentaglia. Non ci sta più nemmeno una gamba là dentro. Che fare allora? Una bella condanna a morte di gruppo, già. Qualcosa di poco dispendioso ed efficace. Un paio di Auror hanno elaborato un progetto veloce e l’hanno messo in pratica questo pomeriggio stesso. –

Harry non sapeva niente di tutto questo. No, non era un Auror, ma metà dei suoi migliori amici sì. Il Ministero oramai era la sua seconda casa. Chi diavolo aveva pensato non fosse necessario avvisarlo? Si piantò la bacchetta nel fianco, e si morse un labbro mentre Draco, risoluto, continuava.

- Un incantesimo parecchio complicato, ma in effetti con un bellissimo effetto scenico. Hanno fatto salire i prigionieri uno ad uno sulla torre più alta di Azkaban, Potter. E cos’hanno fatto poi? Li hanno spinti. Uno sfarfallio di dita. E ti assicuro che è stato meraviglioso vedere mia zia Bellatrix sfracellarsi al suolo, per poi scomparire ridotta in tanti frammenti di vetro. La magia fa anche questo. Un altro metodo carino per far scomparire i cadaveri. Davvero impressionante, se non fosse che il Ministero non è impazzito del tutto. Attorno alla torre è stata fissata una rete magica, capace di percepire ogni briciolo di innocenza in un qualsiasi corpo animale. Funziona così: i meritevoli di vivere almeno un altro po’, anche se in una cella putrida, sono trattenuti dalla rete. Sai che bello quando ho visto mio padre salire sulla torre. Una caramella tutti i gusti+1 al gusto di cuore in gola. Ma è stato risparmiato, Potter. Risparmiato. -

Harry si era alzato dal divano già dopo aver sentito la parola “sfracellarsi”, la bacchetta abbandonata sul divano. Non riuscì a trattenere uno sguardo soddisfatto per la notizia della morte di Bellatrix, ma lasciò trasparire con troppa naturalezza anche l’orrore per i nuovi metodi del Ministero.

Malfoy risparmiato… aveva sentito parlare di una sua ipotetica redenzione. Che fosse stata dovuta all’amore per il figlio e per la moglie oppure per i topi che gli infestavano la cella, questo non lo sapeva. Eppure si era pentito, apparentemente.

- Risparmiato dalla rete – continuò Draco, amaro. – Una qualche dannatissima testa di cazzo ha deciso di interferire, e con un “Crucio” ha fatto saltare tutto il sistema. Un “crucio”. Rivolto a mio padre. L’ho visto precipitare, Potter. Urlare. Lucius Malfoy, ridotto all’ombra di sé stesso, gridare aiuto. Che cazzo avrei dovuto fare, eh? Lasciarlo ridursi in mille pezzi? Con un incantesimo l’ho fatto levitare e atterrare in tutta tranquillità. L’ho salvato. Ho fatto quello che anche il cazzo di incantesimo del Ministero avrebbe fatto! E sai una cosa? Sono convocato per un’udienza il 14 di questo mese. Ma so che a questa diavolo di udienza non ci andrò, perché dopo aver sentito questa storia tu andrai dai tuoi amichetti ad implorare per il mio perdono e TUTTI ti ascolteranno come farebbero con Merlino in persona. E questo probabilmente è anche il fottuto motivo per il quale sono qui. Perché ti assicuro, non mi voglio lagnare. -

Harry non era che a poco più di un passo dalla mano di Draco. E quella mano era stretta attorno al collo, ad allargare il colletto della camicia che il ragazzo portava addosso con due dita sudate. Harry non era che a un passo dalla bocca di Draco.

Davvero, non riusciva a capire come mai improvvisamente il biondo gli apparisse così pazzescamente invitante, ma non poteva fare altro che pensare che avrebbe fatto sciogliere l’intero Ministero quella sera stessa se Draco avesse accettato di baciarlo.

Faceva male desiderarlo così tanto… almeno quanto la bacchetta nel fianco.

L’omosessualità non era comune nel mondo magico. Anzi, lo era molto meno che tra i babbani.

Il sangue di un mago doveva dare vita ad altro sangue di mago. Che un uomo si trasmutasse pure in una donna con un bel clistere di polisucco se lo desiderava, ma non esistevano le gravidanze maschili, e tantomeno i matrimoni tra uomini.

Se il Ministero era talmente arretrato da aver minato negli ultimi anni a qualsiasi cosa che avrebbe potuto assomigliare anche vagamente alla giustizia ideale, la gente comune non era da meno.

Harry Potter non era propriamente gay.

Non gli sembrava che Ginny Weasley nascondesse qualcos’altro sotto la gonna.

Ma in compagnia di Draco oh sì, era omosessuale. Con il sessuale sottolineato.

Ed è facile, terribilmente facile credere di sentire enormi ali battere nello stomaco quando un ragazzo del genere ti si mostra per la prima volta in una condizione che neghi in un qualche modo il suo orgoglio. Che lo annulli completamente, ancor più che se avesse cominciato a piangere a dirotto.

- Draco – questo non se lo era lasciato semplicemente sfuggire. Questo non l’aveva nemmeno mai tenuto prigioniero. Si era generato di sua spontanea volontà fuori dalle sue labbra e vicino, troppo vicino, alle orecchie di Draco.

Il quale, improvvisamente silenzioso, si abbandonò sul divano in modo scomposto, lo sguardo incollato ai corti ciuffi di capelli biondi che gli scendevano sulle scapole da dietro il collo.

Harry si morse le labbra, e non seppe cosa dire. Avrebbe voluto lasciarsi andare solo ad una litania di Draco Draco Draco Draco, ma… ma.

Aveva voglia della signora Gootark, e del signor Gootark, che suonassero alla sua porta, vedessero Draco in quello stato e gli dicessero cose che lo avrebbero a dir poco fatto infuriare, in modo da non farlo apparire così delicato ai suoi occhi.

Harry non sapeva nulla di psicologia.

- E chi lo sa ragazzo… nella tua vita potresti aver subito più traumi di uno scoiattolo cresciuto da un ungano spinato. Cercare quello giusto è complicato. -

Nemmeno Cesare Gootark sapeva nulla. Ma le sue tazze erano ruvide abbastanza perché fosse necessario farsi appena un po’ male per potersi scaldare, e Draco assomigliava ad uno scoiattolo molto più di quanto non vi assomigliasse lui.

Forse se lui fosse stato simile ad un Ungaro Spinato avrebbe potuto aiutarlo, ma non aveva proprio nulla in comune con Lucius Malfoy.

Draco si era fatto troppo male ed era stato scaldato troppo poco.

Improvvisamente Harry ebbe voglia di una tazza di tè.

Si sedette a fianco del biondo, e anche se non l’avesse voluto la sua gamba avrebbe toccato lo stesso quella di Draco, perché quel divano era troppo stretto perfino per due persone.

- Non ci andrai a quell’udienza. – fu tutto quello che riuscì a dire. Ovvio che non ci sarebbe andato. Per quanto lo riguardava quella sera avrebbe potuto licenziare anche il Primo Ministro in persona. Ripensò per un attimo alla rete sospesa fuori da Azkaban, a cosa sarebbe successo se lui si fosse buttato da quella torre.

Pensò che quello stratagemma non sarebbe stato nominato sul prossimo libro de “La storia magica”.

Draco annuì e si morse un labbro, poi appoggiò la guancia sulla spalla di Harry.

Harry si irrigidì all’istante, senza sapere che cosa provare. Improvvisamente tutto il suo corpo pareva un turbine senza scopo di impulsi, che avrebbero potuto fargli muovere le spalle e spezzare l’incantesimo che aveva guidato Draco così vicino a lui.

Rimase completamente immobile, mentre nella sua mente l’immagine di Malfoy scoiattolo diveniva molto più dolce che ironica, e la schiena gli faceva male per l’impossibilità di rilassare le spalle. Eppure non si mosse di un millimetro.

Quando Draco allargò appena le gambe e il suo ginocchio sinistro cozzò contro quello destro di Harry fu come se si fosse stabilito qualcosa di profondamente nuovo tra di loro.

 

 

Il giorno dopo Harry si svegliò tardi. Troppo tardi per andare dalla signora Gootark e chiedere qualcuno dei biscotti che gli aveva offerto la mattina prima, troppo presto per andare a lavoro.

E questo la diceva lunga su che tipo di lavoro facesse Harry.

Socio in affari di Fred e George, non faceva che dare una controllata ai loro conti e gestire entrate e uscite. Ma sapeva perfettamente che in realtà ciò che lui curava non era che un decimo di quello che avrebbe dovuto davvero amministrare.

Dopo la guerra con Voi sapete chi non c’era nessuno che trattasse Harry così come avrebbe fatto con chiunque altro.

Tutti non facevano che pensare a lui che come un miracolo vivente, vivo per volontà divina o chissà cosa. Perfino i gemelli Weasley.

Bambolina di porcellana, Harry non faceva che viaggiare da un imballaggio di polistirolo all’altro. Sulla sua fronte, sulla cicatrice, era incisa la parola “fragile”.

Si sdraiò sul divano, lo stomaco che lentamente si risvegliava e gorgogliava un qualche lamento.

Quella notte Draco se ne era andato all’improvviso, dopo parecchi minuti di silenzio. Aveva biascicato qualcosa che assomigliava a delle scuse per averlo svegliato nel bel mezzo della notte, che non sapeva che cazzo gli era preso, che probabilmente era stata tutta colpa di quella testa bacata del pazzo che aveva tentato di uccidere suo padre. E che diavolo, non sarebbe mai più tornato a chiedergli aiuto in quel modo pietoso.

Harry aveva annuito e gli aveva aperto la porta, e lui era uscito.

Il suo ginocchio destro era ancora caldo.

Quel giorno Harry non aveva voglia di rimuginare oltre, ma la sensazione bruciante che gli crepitava in gola non era indice di nulla di buono.

Immaginò per un attimo cosa sarebbe successo se Ron e Hermione avessero saputo di che cosa stava iniziando a provare per Malfoy, e alle loro facce sconvolte si sentì piegare il cuore a metà.

Aveva bisogno di calma, e di un posto dove rilassarsi.

La stamberga strillante era diventata il suo antro isolato dal mondo ormai da qualche anno.

Armato di un lungo bastone bloccava il platano picchiatore e sgattaiolava dentro fino ad arrivare alla stanza dove aveva incontrato per la prima volta Sirius, al terzo anno.

Era sporca, impolverata, assolutamente inospitale. Eppure era sua.

Quella mattina quando arrivò al platano il bastone che solitamente lasciava a terra poco lontano era sparito. Portato via da qualche animale, probabilmente.

Trasfigurò un filo d’erba in una canna robusta, e premendo sul solito nodo l’albero cessò di ondeggiare minaccioso e divenne immobile come fosse stato marmo.

Harry si fece avanti con passo tranquillo lungo il tunnel buio, ormai troppo famigliare per apparire rischioso. Arrivò alla prima delle due stanze, e come sempre lasciò scivolare lo sguardo sulle pareti incrostate, le sedie rotte come prese a randellate, i mobili squarciati esattamente come lo erano stati 10 anni prima. Ripensò al dolore che Lupin doveva aver provato tra quelle mura, al fatto che ora stava bene, e si sentì come sempre rasserenato.

Lui non aveva bisogno di quattro pareti sulle quali sfogare la propria rabbia… era fortunato.

La porta che dava sulla camera da letto era chiusa. Questa era una novità. Harry non aveva mai chiuso porte lì dentro: la prima, all’ombra dei rami del platano, era fin troppo sicura.

Pensò ad uno spiffero di vento, e si chiese come diavolo avesse fatto a penetrare così in profondità, ma alla fine abbassò la maniglia.

La porta si aprì stranamente silenziosa, e allora Harry capì che qualcuno doveva aver posto sulla stanza un incantesimo silenziante. Proseguì con la mano ferma sulla bacchetta nella tasca del pantaloni, poi vide che su una sedia fracassata era appoggiato un mantello.

Quando guardò oltre capì di chi.

Draco era sul letto, le gambe aperte, la patta dei pantaloni slacciata. Il suo petto si alzava e si abbassava forte come i suoi sospiri. Con gli occhi chiusi, le palpebre strette, Harry non sapeva se stesse provando un grande dolore o un grande piacere.

Ma probabilmente non c’era da porsi molti dubbi a riguardo.

Sentì la bocca prosciugarsi e il bisogno impellente, subdolo di chiudere quella porta e dimenticare ogni cosa, per il proprio bene.

Perché Draco era lì? Perché stava facendo quello?

Il pensiero che si stesse masturbando nella stamberga per farsi scoprire proprio da lui gli balenò nella testa, ed Harry si vergognò. Così tanto che potè quasi sentire le gambe cedere sotto di lui.

L’aria entrava e usciva dalla bocca di Draco assolutamente silenziosa, celata dall’incantesimo silenziante. L’espressione concentrata che aveva sul volto pareva irrorare tutto il suo corpo: dalla camicia abbandonata scomposta sul suo petto alla sua mano, che continuava su e giù, su e giù… La sua schiena era tesa, i suoi denti premevano sulle labbra.

Tutto in Draco era un alzarsi e abbassarsi di impulsi, e nervi, e aria.

Sentì solo un coro di “Oddio Oddio Oddio” impazziti dentro la testa. La sua mano tremò sulla maniglia, e l’immagine di Draco con la mano destra tra le gambe e la testa ripiegata indietro cominciò a pulsargli nelle tempie, insieme al suo cuore in scatola.

Immaginò di avvicinarsi, avere Draco sotto di sé, di stringergli le mani lontano dal corpo e di baciarlo, e pensò a quell’espressione concentrata, quasi dolorosa, farsi blanda e placida.

Oddio Oddio Oddio

Poi Draco alzò la testa, e lo vide.

Allargò gli occhi e il suo bacino si alzò con un balzo dalle coperte squarciate di quel letto antico. La sua mano destra scomparì dietro di lui e la sinistra afferrò con uno scatto le mutande e coprì tutto ciò che poteva coprire. Tranne il proprio orgoglio.

Harry lo sentì andare in frantumi mentre Draco parlava e diceva “Potter”, ma lui non riusciva a sentirlo per via dell’incantesimo.

Avrebbe voluto chiudere la porta, schizzare via e lasciare tutto al dubbio che si fosse trattato di un bicchiere di BurroBirra di troppo, ma… ma.

Rimase in piedi, il piede sinistro che di muoveva nervosamente.

Draco cadde sdraiato sul letto, una mano sugli occhi, poi tirò un pugno alle lenzuola fredde di umidità. “Merda” sillabò.

Incredibilmente Harry pensò al signor Gootark. Forse questo era un altro trauma da aggiungere alla lista dei possibili.

Sentiva ancora nella testa le voci che esplodevano concitate: via via via, dimentica. Brutto, orrendo, sporco, vattene dimentica. No, via.

Poi ancora la voce di Draco, la sera prima: Tutti hanno degli scheletri nell’armadio, solo che il tuo è così grande e stipato di graziosi vestitini da festa che i tuoi, di scheletri, a tutti sono sembrati collane di perle.

L’unica cosa che voleva in quel momento era che Draco ci entrasse davvero, nel suo armadio.

Con i suoi di scheletri lui avrebbe ballato volentieri anche il tango.

E poi un’altra vocina, fievole. E’ bello. Bello bello bello bello. Dolce, bello, bianco, caldo.

Draco si allacciò i pantaloni in tutta fretta, e con un movimento della bacchetta annullò l’incantesimo che chiudeva la camera nel silenzio.

Harry lo vide prendere un cuscino da dietro di sé e posizionarselo in grembo nonostante fosse sporco e strappato.

Malfoy sospirò, poi appoggiò la schiena alla tastiera del letto dietro di sé e volse lo sguardo in alto.

era stato

- Se vuoi me ne vado – disse allora Harry, piano, senza sapere veramente cosa volesse davvero fare. Via via via, dimentica. Brutto, orrendo, dolce, bello, bianco, caldo.

Draco scosse il capo, ma senza abbassare gli occhi. – Cazzo – sussurrò, stringendo il cuscino. – puoi rimanere, cazzo. –

Harry si morse un labbro ed avanzò di qualche passo, sforzandosi di pensare a Ron e Hermione. La sua erezione si spense quasi subito.

Il pavimento cigolò sotto il peso dei suoi piedi, e le molle del letto gracchiarono quando Draco si mosse appena.

Harry si avvicinò ancora e si sedette di fianco a Draco, senza dire niente. In effetti non avrebbe saputo cos’altro fare.

Malfoy abbassò il capo quasi sorpreso, poi afferrò il cuscino che aveva in grembo e lo lanciò dall’altra parte della stanza. Non fece troppo rumore cadendo, e Draco sembro esserne deluso.

- Sono gay – sbottò, i pugni chiusi. – Sono fottutamente gay, d’accordo? -

Il cuore di Harry si rovesciò. Si ribaltò completamente, portando con se vene, capillari, arterie e muscoli, e tutto il suo petto si contrasse in una morsa dolorosa.

Le vocine esplosero come mai, ed Harry non riuscì a capire una sola parola di quello che stavano dicendo.

- Davvero? – fu tutto quello che riuscì a rispondere.

Draco lo guardò stranito, un sopracciglio sollevato e ancora il sudore che gli permeava la fronte.

Bello, dolce, bianco, caldo.

Harry avrebbe voluto essere l’Ungaro spinato. Quello che aveva cresciuto quel Draco scoiattolo. Lo avrebbe voluto sul serio, perché in quel modo Malfoy lo avrebbe guardato con occhi diversi. Forse si sarebbe fidato di più di lui, e non si sarebbe spaventato qualora si fosse avvicinato e lo avesse baciato.

Quando invece sentì la sua mano sulla spalla, Malfoy guardò Harry negli occhi e li vide più vicini di prima. Quando le loro labbra furono a pochi centimetri di distanza gli afferrò il braccio con forza, ed Harry si bloccò.

- Posso? – chiese, mentre dentro di sé le arterie pompavano sangue al contrario.

Draco chiuse gli occhi e gli lasciò il braccio, lasciandosi baciare.

 

 

L’omosessualità non era comune nel mondo magico.

Dopo quel giorno Harry andò più volte al Malfoy Manor, e vi dormì più volte.

Lui e Malfoy si ruggirono tanti respiri sulla gola ed Harry capì cosa significava rompere qualcuno e poi ricongiungerne i pezzi quando fece suo Draco.

Non tornò più molto spesso dal signor Gootark. Il più delle volte era lui ad andare a casa sua, per lasciare i biscotti della maglie per la colazione della mattina dopo e bere qualche tazza di tè. Ruvida.

Harry le aveva comprate a un mercato di beneficenza a favore dell’abolizione dello sfruttamento degli elfi domestici. Erano a fiori, ed erano così grezze da pungere i palmi delle mani.

Ron e Hermione non scoprirono mai della sua relazione con Draco. Ebbero il loro terzo figlio ed Harry si presentò solo al suo battesimo, salutando gente che non vedeva da anni e stringendo mani. Un dipendente del Ministero invitato al banchetto annunciò a gran voce che poche ore prima Lucius Malfoy era deceduto per malattia. Harry se ne andò presto, tornò a casa di Draco e lo tenne stretto a sé tutta la sera, aspettando che smettesse di piangere.

Si chiese più volte a che malattia potesse aver stroncato un Ungaro Spinato come Malfoy Senior, ma alla fine Draco smise di inondare la propria tazza di tè di lacrime ed Harry smise di pensarci.

Una mattina si presero per mano ed andarono insieme ad Azkaban. Chiesero che venisse riattivata la rete magica attorno al castello, e per volere di Harry Potter fu fatto.

Si lanciarono dalla torre più alta, una caramella tutti i gusti+1 al gusto di cuore in gola.

La rete li salvò.

Li raccolse tra le sue maglie e con gentilezza li depositò nuovamente a terra.

L’omosessualità non è comune nel mondo magico, ma l’amore, forse, sì.

 

 

Finis

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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