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Autore: Kiki87    20/05/2013    3 recensioni
Una giovane ragazza si trasferisce a Glasgow per concedersi un anno sabbatico, alla fine del suo percorso universitario, con la sua migliore amica. Qui incontrerà il suo amico di penna, nuovi amici ma, soprattutto, imparerà a conoscere se stessa. Perché se è vero che tutto è iniziato da un "sogno", Sara deve ancora imparare cosa sia davvero l'amore e come possa essere diverso da ciò che ha sempre immaginato.
La fanfiction è una revisione di un progetto omonimo del 2013: molti personaggi di Harry Potter sono stati sostituiti con quelli di Merlin e ci sono stati significativi cambiamenti anche nelle diverse storyline dei protagonisti.
CROSSOVER CON LA SEZIONE: "CAST DI HARRY POTTER".
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri, Bradley James, Katie McGrath, Nuovo personaggio, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Once upon a dream.
 
Ad Evil Queen,
che c'era quando il sogno iniziò,
che lo ha accompagnato a lungo,
e che ancora lo custodisce per me.
 E che, soprattutto, continua a sognare insieme a me.

 
1
 
Un giorno il mio principe verrà.
Un giorno incontrerò il mio amore.
E come sarà emozionante quel momento,
quando il principe dei miei sogni verrà […].
 
Da qualche parte mi aspetta
 qualcuno che desidero ardentemente incontrare.
Qualcuno che non potrò che adorare.
Chi altro potrebbe farmi fremere di più?
E lo riconoscerò
nel momento in cui ci vedremo.
 
Someday My Prince Will Come
(Colonna sonora di “Biancaneve”[1] -
Walt Disney)
 
Mi sentivo confusa: non riuscivo a riconoscere il luogo in cui mi trovavo. Osservai la scalinata della villa che conduceva a giardini immensi. Riuscivo a percepire, anche a quella distanza, il profumo dei fiori e il suono dello zampillare dell’acqua.
Dove mi trovo? La domanda mi solleticò la mente.
Soltanto in quel momento mi resi conto di indossare un abito meraviglioso, seppur non ne conoscessi la provenienza. Era composto da una lunga gonna, di uno scintillante color azzurro, resa ampia e corposa dalla sottogonna di crinolina, in tinta unita con la parte superiore dell’abito. Un corpetto, impreziosito da ricami di perle, cucito con stecche di balena che si chiudeva sulla schiena, con un lungo motivo di laccetti incrociati. Era adornato da ampie maniche a sbuffo e aveva una scollatura che lasciava nude le spalle.
Le scarpe erano di colore zaffiro e sotto ai miei piedi vi era un lungo tappeto rosso.  Giunsi all’ultimo scalino della gradinata senza comprendere cosa stesse accadendo, ma neppure la paura  sembrava essere contemplata dai miei recettori nervosi.  Camminai nel giardino e superai una maestosa fontana coi suoi giochi d’acqua, le aiuole di rose, le statue decorative che raffiguravano figure e amori della mitologia greca, fino a scorgere un sontuoso gazebo. La struttura era in legno intarsiato, sormontata da rose rampicanti, con ampie finestre ad arco e, collocato al centro dell’ara, offriva una perfetta panoramica del giardino.
Seguendo l’impulso, quasi fossi certa di ciò che stavo per compiere, valicai la soglia dell’apertura ad arco. 
Feci un giro su me stessa e ammirai quel gioco di colori per la combinazione di diverse aiuole di fiori e ne inspirai il profumo che sembrava trasportato dalla brezza. Fu spontaneo socchiudere gli occhi e rilassarmi.  
Li schiusi solo quando avvertii un respiro caldo sulla nuca e mi sentii avvolgere da un profumo stuzzicante e piacevole al contempo.
Sentii una voce sconosciuta. “Siete arrivata, finalmente”.  Fu un sussurro roco e mi fece fremere.
Avrei voluto voltarmi, per scoprirne l’identità, ma quell’intento mi fu impedito. Quella figura misteriosa, con un gesto gentile, appoggiò le mani sulle mie spalle. Istintivamente seppi di non dover avere paura, seppur non riuscissi a spiegarmene il motivo.
Chi sei?”. Avevo parlato a mia volta in tono flebile e, nonostante la pace interiore che provavo, il mio cuore scalpitò più intensamente.
Lo scoprirete presto”.  Sussurrò nel mio orecchio, quasi fosse un intimo segreto.  Solo nostro. 
Avrei dovuto sottrarmi a tale pressione, cercare di divincolarmi o cercare almeno di scoprirne l’identità, ma era un pensiero remoto e distante. Non scorgevo segnali di pericolo.
 “Come mi hai trovato?”. Domandai con voce esitante e tornai ad osservare quel giardino ma non riuscii a ricondurlo ad alcun luogo visto in precedenza e a giustificare la mia presenza.
Vi attendo da sempre”. Lo disse in tono così pregno di emozione che non potevo dubitare che fosse sincero.
Non potevo tuttavia spiegarmi come riuscisse ad avere un simile effetto su di me. Sembrava riuscire a risvegliare le mie insicurezze e quella solitudine che talvolta mi attanagliava il cuore.
M-Ma tu non sai chi sono”. Protestai con voce confusa, seppur avessi il timore che la realtà potesse infrangere quella dolce fantasia.
Forse voi non sapete chi siete realmente”, ribatté prontamente.
 “Aiutami a capirlo”. Bisbigliai e sentii il mio corpo tendersi, cercando la sua presenza per sincerarmi che fosse tutto reale.
Lo capirete e solo allora mi troverete”. Sembrava una promessa solenne, ma la sua voce era divenuta un eco distante, quasi fosse stata portata dal vento.
Mi voltai ma non vidi che il nulla. Mi guardai attorno con crescente agitazione e confusione, non potendo sopportare quell’improvviso vuoto interiore.  Supplicai persino, quasi sperando che ciò potesse farlo tornare.
Non andartene”. 
Non avrei saputo dire se fosse stato o meno effetto delle mie parole, ma solo in quel momento mi accorsi della rosa bianca ai miei piedi.  La presi tra le mani e ripresi a guardarmi attorno nella speranza che potesse tornare altrettanto misteriosamente. Sospirai, ma strinsi più delicatamente lo stelo della rosa.
Tornerà, mi dissi.  Non sapevo da dove provenisse quella certezza, ma sorrisi. 


“Sara?”. 
La ragazza seduta al mio fianco ritirò la mano con cui mi aveva scosso. Sbattei le palpebre a più riprese e cercai di mettere a fuoco il suo viso, ma una parte della mia mente voleva caparbiamente conservare i ricordi di quel sogno. Avrei voluto ricostruire i dettagli di quel luogo, dell’abito che indossavo e della voce di quel giovane misterioso.
“Bentornata, Bella Addormentata”, mi disse con un sorriso complice, pizzicandomi la punta del naso.
Emisi un mugugno e gettai un’occhiata fuori dal finestrino, quasi a voler fare mente locale, mentre ascoltavo distrattamente il brusio circostante. Trassi un lento respiro. A differenza della mia amica, era la prima volta che affrontavo un viaggio in aereo e avevo sentito dire che la manovra peggiore fosse proprio quella dell’atterraggio. A ciò si univa naturalmente anche un nervosismo più piacevole, legato all’aspettativa di ciò che ci avrebbe atteso nei mesi successivi.
“Ti ho svegliata perché mancano dieci minuti all'atterraggio”. Mi disse con un sorriso complice. “Anche se un po’ mi dispiaceva, considerando la tua espressione”, soggiunse con un sorrisino più suadente e allusivo.
Scossi il capo ma le sorrisi con aria misteriosa, lasciando che quegli occhi mi scrutassero con attenzione. Morgana McGrath[2], come la strega leggendaria di cui portava il nome, aveva uno sguardo particolarmente eloquente che, a seconda della luce, appariva ora tendente al blu, ora al verde. Sembrava in grado di ammaliare e affascinare le persone che facevano parte della sua vita. Me compresa. Non potevo che plaudire la fantasia della madre nell’averle dato un nome che sembrava rappresentarla perfettamente. La famiglia di Morgana, originaria di Londra,  si era trasferita in Italia quando lei era solo una bambina, ragione per cui era bilingue e non aveva perso l’accento britannico che suscitava sempre il compiacimento di tutte le sue insegnanti di inglese.
“Cosa stavi sognando, prima?”. L'intonazione della voce era realmente incuriosita e le labbra rosse erano ancora increspate da un sorrisetto allusivo, quasi fosse stata in grado di intuire perfettamente la risposta.
Sospirai e cercai di formulare una risposta abbastanza esaustiva ma senza sembrare la protagonista di un’improbabile commedia d’amore. “Un principe... o almeno credo che lo fosse”. Cercai di mettere a fuoco i dettagli per illustrarle quella sequenza nel modo più dettagliato possibile. “Non l'ho visto in faccia: sentivo solo la sua voce, ma so per certo che fosse meraviglioso. Come succede nei sogni d’altronde”, mi schermii con uno scrollo di spalle. Sorrisi di me stessa e di come la mia mente talvolta potesse produrre immagini particolarmente elaborate. Mi era capitato in altre occasioni di sognare il giorno del mio matrimonio, ma senza mai vedere il volto del mio sposo. Persino nei sogni l’amore sembrava prendermi in giro.
“Mmm”, commentò Morgana con aria pensierosa. Vidi presto un sorrisetto impertinente incresparle le labbra. “Non è che per caso questo principe aveva con sé un fratello o un amico reale?”. 
Scrollai le spalle. “Non mi è dato saperlo, almeno per ora”. Mi domandai, con un moto di speranza, se quel sogno avrebbe potuto avere un seguito o se avessi scoperto il suo significato remoto.
“Reale o immaginario, sembrava avere un bell’effetto su di te persino in sogno, quindi chi sono io per giudicare?”. Aveva riposto vagamente divertita. Aprì la sua borsetta e vi ripose dentro gli oggetti che aveva portato con sé per intrattenersi durante il volo tra cui un libro e una rivista di sudoku.
Scossi appena il capo e imitai il suo gesto, annotandomi mentalmente che avrei dovuto riaccendere il cellulare quanto prima per far sapere a mia madre che ero giunta a destinazione.  
“Spero ti sia dato riconoscere il tuo pen-friend: non vedo l'ora di arrivare agli alloggi”, mi disse Morgana e annuii con aria solidale. Benché il viaggio non fosse stato particolarmente lungo, il risveglio era stato di primo mattino e sentivo il bisogno urgente di farmi una doccia e di cambiarmi gli abiti.
Mi sporsi per osservare, dal finestrino, una prima panoramica della città dall'alto. Sembrava una ventilata e mite giornata di sole, ma tra non molto sarebbe calato il buio e avrebbe dolcemente vezzeggiato il profilo di Glasgow. 
In Gaelico, Glasgow, secondo quanto recitava la guida turistica, significava: “il caro posto verde”. Una descrizione che calzava a pennello, a giudicare da ciò che riuscivo ad intravedere dal finestrino: non a caso aveva un primato per la presenza di spazi verdi alberati che si fondevano con il paesaggio urbano, lambito dal fiume Clyde. Sarebbe senz'altro valsa la pena visitarne la campagna: i sublimi laghi, le colline verdeggianti per il pascolo che avevano ispirato molti di quei film romantici che avevo spesso guardato con mia madre, tratti dai romanzi di Rosamunde Pilcher, quasi sempre ambientati in Scozia[3].
Distolsi lo sguardo e presi dal mio zainetto un pacchetto di lettere. Cercai una delle prime buste dalla quale estrassi la fotografia di un ragazzo. Sean Biggerstaff.[4]


Ricordai, con un sorriso, il giorno in cui la mia professoressa di liceo  ci aveva esortato ad iniziare una corrispondenza epistolare con degli studenti stranieri che avevano aderito al progetto per favorire le capacità di stesura e di comprensione di un testo in inglese. Non avrei mai potuto immaginare ciò che sarebbe nato da quello scambio di lettere mensili. Erano passati più di cinque anni dalla prima lettera che Sean e io ci eravamo scambiati seguendo le direttive del progetto: una breve presentazione di sé, della propria famiglia, degli hobby e delle proprie ambizioni. Malgrado la distanza e i contatti sporadici (certo avremmo potuto avvalerci della tecnologia ma entrambi riconoscevamo il fascino di una lettera scritta di proprio pugno) avevamo stabilito un legame che ci aveva visto divenire una presenza confortante nella vita dell'altro. Senza contare quanto fosse stato curioso apprendere, in un modo così piacevole, alcune caratteristiche delle tradizioni scozzesi. Avevo sempre ricambiato cercando di descrivere nel modo più esauriente possibile alcune delle peculiarità della cultura italiana.
La fotografia era di qualche anno prima ma già da quell'immagine avevo potuto scorgerne gli occhi nocciola e il sorriso sbarazzino e gioviale. Sembrava che avesse messo in risalto la personalità di Sean e quella sua natura mite, gentile e premurosa.  Mi domandai quanto fosse cambiato fisicamente nel frattempo ma speravo di riconoscere, nelle nostre interazioni faccia a faccia, quelle qualità che avevo apprezzato durante la nostra corrispondenza. Certo, ero abituata al temperamento “mediterraneo” quindi qualsiasi variante più riservata avrebbe potuto esser classificata come “fredda”, senza contare che incontrare una persona “dal vivo” dopo anni di amicizia a distanza comportava un certo nervosismo. Si aveva quasi il timore di scoprire che quella sintonia che era tanto naturale tra le righe di una lettera o di un messaggio attraverso i social network, potesse mancare “dal vivo”.  Vi era persino l’orrore all’idea di scoprire di non riuscire a sopportare la compagnia dell’altro per più di cinque minuti consecutivi. Sean era sembrato entusiasta quando gli avevo annunciato che sarei venuta nella sua città natale e mi aveva promesso che mi avrebbe fatto visitare la città e i suoi luoghi di ritrovo. Si era inoltre offerto lui stesso di aiutarmi a trovare un appartamento che avrei condiviso con Morgana. 
“Dovremo ricordarci di ringraziarlo, è stato davvero disponibilissimo”. Commentò quest’ultima e sorrisi nel notare come i nostri pensieri fossero all’unisono in quel momento.
 “Lo delizieremo con la nostra cucina...”, mi sentii dire con orgoglio. Non era certo casuale che la nostra dieta mediterranea fosse tra le più apprezzate anche a livello internazionale. 
“O l'intera valigia di Ciobar[5] che ti sei portata da casa: abbiamo quasi rischiato di non prendere il volo, ma non potevamo correre il rischio di non trovarne a Glasgow”. Commentò con aria complice, ma io arrossii comunque. Quella figuraccia ancora mi infastidiva: in fondo non ci avevo visto nulla di male ad aver superato il limite di peso consentito per poco più di un chilo. Si trattava pur sempre della mia bevanda solubile preferita. Non potevo rischiare di dover rinunciarvi solo per qualche regolamento eccessivamente tassativo e un controllore pignolo. 
Mi riscossi all’annuncio dell’imminente manovra di atterraggio e, a quel punto, fui troppo impegnata ad ignorare la nausea crescente per concentrarmi su altri pensieri. 




Recuperammo i nostri bagagli dal nastro trasportatore e prendemmo a trascinare le valigie nell'aeroporto, mentre controllavo il display del cellulare, in attesa della chiamata del giovane. 
“Come siete rimasti d’accordo?”.  Mi domandò Morgana.
Stavo scorrendo la rubrica alla ricerca del numero di Sean, immaginando che la soluzione più rapida fosse chiamarlo di persona. Stavo per risponderle, ma il mio sguardo scorse un viso familiare. Nonostante i suoi lineamenti fossero più adulti di quelli immortalati nella fotografia, non ebbi il benché minimo dubbio. 
Mi avvicinai al giovane che si stava guardando attorno con una mano affondata nel giaccone e le labbra semischiuse a simulare la concentrazione.  Ne chiamai il nome e si volse in mia direzione. Un sorriso spontaneo gli fece risplendere il viso e gli occhi nocciola parvero emanare quello scintillio sbarazzino e dolce al contempo.
I capelli erano più lunghi rispetto al ragazzo ritratto nella fotografia e sulle guance si intravedeva un sottile strato di barba, ma la sua corporatura e il suo bel viso lo rendevano un affascinante giovane uomo. Lo pensai con sincera ammirazione, seppur fossi troppo avvezza a vederlo come una sorta di fratello maggiore.
Mi feci largo tra gli altri passanti e fu del tutto naturale e spontaneo cingergli il collo con le braccia, abbandonando per un istante le mie valigie.  Sorrisi quando, dopo un lieve ed istintivo irrigidimento ricambiò il gesto e lo sentii accarezzarmi i capelli.  Mi sembrava di conoscerlo così personalmente da dimenticare che provenivamo da due culture diverse e che probabilmente non era così avvezzo a quel gesto con una persona conosciuta soltanto tramite lettera e qualche sporadico scambio di messaggi attraverso i social network.
“Sarah”. 
Pronunciò il mio nome con forte cadenza inglese che lo faceva somigliare al sostantivo “sera” in italiano. 
“Sean”. Mi scostai con un sorriso e mi presi un altro momento per contemplarlo. Cercai le parole più esaustive e chiare per esprimermi nella sua lingua nativa. “Sei così… Wow!”, conclusi goffamente, sapendo che sarebbe stato necessario del tempo affinché mi fosse fluido convertire i miei pensieri in parole inglesi.
Rise divertito e ricambiò lo sguardo con la stessa curiosità, prima di sorridermi calorosamente. Avevo sempre apprezzato che Sean non si fosse mai mostrato scettico o supponente per gli inevitabili difetti linguistici nella stesura delle mie lettere ed ero confortata all’idea che avrebbe avuto lo stesso atteggiamento nel sentirmi parlare con accento straniero. Inoltre non potei che sorridere di sollievo  perché l’imbarazzo iniziale sembrava essere affievolito.
“Sei cresciuta parecchio e i tuoi capelli sono molto più mossi”, commentò con un sorriso divertito.
Sembrò voler aggiungere qualcosa ma scorse la ragazza alle mie spalle e si interruppe.  Mi riscossi rapidamente e mi rivolsi a Morgana con un sorriso bonario: ero così presa da quel saluto da averla lasciata in disparte. Fui lesta a rivolgerle un cenno del mento perché si avvicinasse.
A giudicare dal sorriso piuttosto compiaciuto che le increspava le labbra e dallo scintillio dello sguardo, azzardai tra me e me l’ipotesi che lei avrebbe trovato un aggettivo molto più esplicativo di “wow”. E non soltanto perché parlava perfettamente la sua lingua natia.  
Ripescai nella memoria la formula di introduzione che si sarebbe usata in un contesto informale come quello. “Sean, questa è Morgana, ti ho parlato di lei”, feci riferimento a una delle lettere in cui ci eravamo raccontati delle nostre amicizie. Avevo scritto di lei anche più recentemente, spiegando che mi avrebbe accompagnato in quel viaggio. “Morgana, lui è il mio pen-friend, Sean”.
La giovane sorrise e allungò la mano in sua direzione, il volto inclinato di un lato. “E’ un piacere conoscerti: mi ha detto cose stupende su di te, ma non potevo certo lasciarla da sola in quest’avventura”, mormorò con sincero calore. Aveva sempre avuto nei miei confronti un forte istinto protettivo.
Sean sorrise di quelle parole come se comprendesse la profondità del nostro legame. “Ha parlato di te in modo altrettanto splendido e immagino sia bello tornare nel Regno Unito”, alluse alle sue origini e le strinse delicatamente la mano.
“Così di primo acchito, non ho dubbi che sarà così”, rispose Morgana con un sorriso più caloroso.
Sean si riscosse quando una signora lo urtò involontariamente con il suo trolley e parve convenire che fosse il caso di non creare ulteriore ingombro al passaggio pedonale. “Signorine, sono sicuro che siate entrambe impazienti di raggiungere il vostro alloggio”. Aveva imitato i modi di uno chauffeur che avrebbe scortato i datori di lavoro alla limousine al rientro da un viaggio di lavoro.  
“Vedo che i corsi di recitazione danno il loro frutto[6]”. Ridacchiai bonariamente mentre si accingeva a prendere le nostre valigie, malgrado le nostre remore. 
“Vedo con piacere che in Gran Bretagna la cavalleria non si è estinta”, commentò Morgana seguendolo con incedere fluido.
Sean rise tra sé e sé al commento, come se in lui si fosse destato un pensiero ben preciso. “Ti consiglio di non parlare troppo presto”.
Morgana ed io ci scambiammo uno sguardo interrogativo ma lo seguimmo verso il parcheggio  e Sean si fermò di fronte a un modello di Porsche di colore grigio metallizzato.
Il percorso in macchina non fu troppo lungo e il nostro Anfitrione diede ulteriore prova del suo lodevole spirito di accoglienza. Dopo averci chiesto del viaggio in aereo, ci indicò diversi luoghi di attrazione turistica e naturalmente si propose immediatamente come nostra guida personale. Ci parlò inoltre della scuola da lui frequentata: la Royal Scottish Academy of Music and Drama, un conservatorio di musica, teatro e danza il cui “patrono” era il Principe Carlo d’Inghilterra in persona.  Superfluo dire che si trattasse di un luogo alquanto rinomato e di notevole prestigio con studenti che si trasferivano dalle più remote località per frequentarla. Sean, nella fattispecie, si interessava di tutti i corsi di recitazione anche se non mancava di presenziare ogni anno al festival tradizionale di musica celtica, con tutta la famiglia. Ci promise che avrebbe fatto tutto il possibile perché potessimo ottenere il permesso di una visita dell'istituto e entrambe sorridemmo all'idea. Alla fine del breve tragitto, giungemmo a un convitto studentesco. La madre di Sean, infatti, lavorava nel settore della pubblica istruzione ed era riuscita a fare leva sulle proprie conoscenze per agevolarci l'affitto e la residenza in uno di quegli appartamenti. 
Lunedì mattina, ci avvisò mentre ci aiutava a portare le valigie fino al quinto piano, avremmo ricevuto la visita della responsabile dell'affitto delle camere per definire le ultime clausole del contratto. 
L’appartamento era dotato di una piccola cucina con tavola da pranzo, un salotto, due camere da letto e il bagno. Vi era una lavanderia per ogni piano che avremmo dovuto condividere con le studentesse delle altre camere.
“Niente male”. Commentai guardando la mia camera da letto. Mi sedetti sul letto e mi stesi per provare la morbidezza del materasso. Nelle prossime ore avrei disfatto le valigie e mi sarei premunita di personalizzare quell’ambiente. Lo sguardo indugiò soprattutto sulla libreria e sulla scrivania del tutto spoglie di suppellettili.
Ci sarebbe stato tutto il tempo, pensai tra me e me.
Sean si affacciò sulla soglia dell’uscio e gli feci cenno di accomodarsi.  “La vita della studentessa fuori sede non sembrerebbe affatto male”, commentò con un sorriso. “Immagino che cercherai di renderla più italiana possibile”. 
“Oh, so io che cosa ci vuole adesso per sentirmi a casa: una bella tazza di cioccolata”, commentai con quell’alone di puerile golosità che mi contraddistingueva. “Ci fai compagnia?”.
“Ottima idea!”, intervenne la voce di Morgana che entrò nella mia camera e sorrise ad entrambi.
Sean guardò dall’una all’altra con un sorriso, ma scosse leggermente il capo. “Mi dispiace, ma dovremmo rimandare: siete appena arrivate e vorrete godervi un po’ di tranquillità”.
“Ma non ci disturbi affatto!”, lo rassicurò Morgana, strappandomi letteralmente le parole di bocca.
“Non è vero, Sara? E poi mi sembrerebbe il minimo, vista la tua calorosa accoglienza”. Soggiunse con un sorriso più dolce.  
Mi rimisi in piedi e reclinai il viso di un lato, imitando un broncio:  “La cioccolata non avrebbe lo stesso sapore senza di te”, commentai in tono enfatico che lo fece ridacchiare.
“Un’altra volta, ma per farmi perdonare potrei venirvi a prendere domani sera: mia madre è ansiosa di conoscerti”, mi disse con quel sorriso più affabile e dolce. Si passò una mano tra i capelli con un lieve accenno di disagio. “Scusatemi, di conoscervi. Di conoscere entrambe”, specificò con un sorriso rivolto a Morgana.
“Con immenso piacere”, risposi per entrambe. “Porteremo qualche specialità italiana”, gli promisi mentre lo accompagnavamo alla porta.
“Allora a domani”, si congedò con un sorriso.
“Ancora grazie di tutto”, rimarcai con un sorriso, baciandolo sulle guance alla maniera italiana.
Sean mi sorrise e si rivolse alla mia amica. Allungò nuovamente la mano in sua direzione: “E’ stato un piacere, Morgana”, pronunciò con la cadenza gaelica che fece scintillare lo sguardo della ragazza con evidente compiacimento.
La porta si chiuse alle sue spalle e la mia amica si volse in mia direzione con un sorriso piuttosto compiaciuto.
“E’ di bell’aspetto, gentile, premuroso e serio”, mormorò, contando sulle dita le sue qualità. “Sei davvero sicura che non abbia una ragazza? Ma, soprattutto, possibile che non ti sia mai invaghita di lui?”, continuò con quell’alone più complice.
Non potei che annuire a quella sua esamina del mio amico e sorridere con un certo orgoglio all’idea di aver stretto un’amicizia così importante, nonostante la distanza fisica. Non avevo dubbi che la nostra amicizia non avrebbe potuto che divenire persino più forte, potendo frequentarci quotidianamente.
“Che io sappia, dopo che Angelina l’ha lasciato, non ha più frequentato nessuna. E’ stata dura per lui”, mormorai con una nota di dispiacere, soprattutto considerando quanto fosse stata importante per lui quella relazione. Non si poteva certo biasimarlo se aveva deciso di prendersi del tempo per sé e dedicarsi agli studi e alla sua carriera.
Morgana era parsa a sua volta dispiaciuta nell’apprendere quelle notizie. “Che io sappia dovremmo approfondire la conversazione ma, se sei d’accordo, dopo una lunga doccia e una tazza di cioccolata”.
Non potei che annuire con aria solidale, lasciando che si prendesse il primo turno per il bagno.
 “Che l’avventura abbia inizio”, commentai tra me e me, guardandomi attorno con un sorriso.




Mi svegliai di buon mattino, ma rimasi piacevolmente sotto le coperte per diversi istanti. Con gli occhi socchiusi, cercai di concentrarmi su qualche sprazzo di immagini apparse in sogno. Non riuscivo ancora a spiegarmene l’origine di quei sogni e non mi era mai capitato di averne alcuni collegati tra di loro fino a comporre una “trama” composta di diversi episodi.  Ma non mi era affatto sgradito poiché quelle sensazioni di benessere e di calore continuavano a riempirmi il cuore anche a distanza di ore. Il giardino era lo stesso, ma questa volta illuminato da uno spicchio di luna crescente. Ricordavo di aver indossato un abito diverso, di un bianco opalescente che sembrava letteralmente scintillare quanto le stelle in cielo. Avevo trovato sul mio cammino un’altra rosa bianca che avevo stretto tra le dita e proprio in quel momento avevo avvertito una presenza alle mie spalle. Seppur fosse invisibile, anche in quel caso, avevo la certezza che si trattasse dello stesso “Principe”.
 “S-Sei qui?”. Gli avevo chiesto con voce tremante. Avevo sentito un fruscio all’altezza dell’orecchio e un sussurro con la stessa voce dolce e amorevole, seppur apparisse distante, quasi un eco.
 “Non è ancora il nostro momento...”, sembrò volermi avvertire. “Attendete, ve ne prego”.
Anche in questo sogno avevo avuto la certezza che fosse la cosa giusta da fare.
Attenderò”, gli avevo risposto ed ero rimasta seduta su una panchina a lungo.
Non potevo definirmi una persona pigra, ma nel periodo autunnale e invernale trovavo particolarmente piacevole indugiare sotto le coperte anche oltre il consueto orario della mia sveglia. Al contrario, in estate la luce del sole e l’afa mi facevano anticipare il momento in cui abbandonavo il mio letto. Fu quindi con un moto di dispiacere che spostai le coperte e rabbrividii leggermente, trovando quella differenza di calore più pungente rispetto a quella a cui ero avvezza in Italia.  Mi concessi una lunga doccia calda, approfittando del fatto che Morgana fosse ancora addormentata e ripresi a fantasticare sull’ultimo sogno.
Torniamo alla vita reale, ho ben altro a cui pensare, pensai tra me e me. L’attimo dopo, tuttavia, sorrisi nuovamente, quasi a schermirmi.  E' concesso sognare... e se sono sogni così dolci, chi potrebbe biasimarmi? 
Uscii dal bagno nello stesso momento in cui Morgana si accingeva ad uscire dalla sua camera. Sorrisi di quell’alone più sbarazzino e quotidiano che aveva in quei frangenti. Se durante la giornata sembrava sempre in perfetto controllo della situazione (dalla piega dei capelli ai sorrisi più accattivanti), c’era qualcosa di consolatorio nel vederne l’aria arruffata e assonnata. Decisamente soffriva i risvegli più della sottoscritta.
“Buongiorno”, la salutai con voce già pimpante.
Borbottò qualcosa di indistinto, difficile dirsi se fosse in gaelico o in un italiano, ma si diresse verso il bagno con tutto l’equipaggiamento per vestirsi.
Feci colazione e finii di vestirmi, decidendo di indossare un cappotto lungo che mi fasciasse fino al ginocchio e mi consentisse di affrontare in modo confortevole le temperature poco clementi. Bussai alla porta di Morgana, ne attesi il permesso. Quando schiusi la porta rimasi quasi sconvolta nel vedere tutti gli abiti appoggiati sul letto, sorprendendomi per la quantità esorbitante che era riuscita a insinuare nei suoi bagagli. La mia amica aveva aperto l’armadio e stava cominciando a disporli con metodo, separandoli in base al tessuto, al colore e all’occasione. L’abbigliamento per lei era qualcosa di estremamente importante e più volte mi bacchettava quando riteneva che fossi troppo casual persino tra le pareti domestiche o per uscire di casa per gettare l’immondizia. A suo dire, dopotutto, non bisognava necessariamente imbellettarsi per un uomo, ma semplicemente per amor proprio. E non si poteva mai sapere chi si sarebbe potuto incontrare anche in quegli spaccati di quotidianità.
“Sto per uscire e incontrare Sean”, le dissi con un sorriso. “Mi chiedevo se ti andasse di unirti a noi”.
Appoggiò l’ennesima gruccia nell’armadio e mi rivolse un sorriso ma scosse il capo. “Magari un’altra volta: avrete tante cose da dirvi e, come vedi, non ho ancora finito di sistemare i vestiti”.
“Sei sicura? Puoi sempre farlo al ritorno”, insistetti.
Scosse il capo, continuando a sorridermi. “Vai con il tuo amico e divertitevi, dopotutto conosco già la città e poi non mancheranno sicuramente occasioni”, aggiunse con un lieve ammiccamento. “Piuttosto dovremmo cominciare a guardarci attorno per trovarci un lavoro. Compra i giornali della zona e guarda nei negozi se ci sono cartelli”.
“Lo farò”, sorrisi ed annuii. “Allora a più tardi”.
“Buona mattinata e salutami Sean”.
 
Un timido sole si affacciava dietro delle nubi e sperai di non essere sorpresa da uno di quei tipici acquazzoni. Mi guardai attorno e mi confusi tra i passanti, notando che il traffico sembrava già aver raggiunto livelli stressanti. Riuscii ad orientarmi senza troppi problemi e senza dover chiedere aiuto con il rischio di non riuscire a decifrare le parole degli abitanti, rischiando una pessima figura oltre al mero panico. Obliterai il biglietto e mi promisi che, una volta scesa dalla metro, avrei telefonato a mia madre che mi aveva già tempestato di messaggi e di richieste di fotografie che molto probabilmente sarebbero divenute di dominio del mio parentado entro la fine della giornata. Sentii la suoneria del cellulare e dovetti cercarlo per quasi due minuti nella borsa, rimproverandomi perché non perdevo il vizio di riempirla di oggetti apparentemente superflui. Tuttavia non sarei riuscita ad uscire di casa se non mi fossi premunita di avere il romanzo del momento, il disinfettante per le mani, i fazzoletti di carta oltre ai documenti e al portafogli. Immaginando che si trattasse proprio di mia madre e afflitta all’idea della sgridata che mi avrebbe rivolto, fu con sollievo che lessi il nome del chiamante.
“Buongiorno Sean, scusa l’attesa: stavo litigando con la mia borsa”, lo salutai con tono allegro e ciarliero. Controllai per l’ennesima volta il tabellone per assicurarmi di non perdere la prima corsa a disposizione.
“Buongiorno”, mi salutò con quella sua tipica pacatezza. “Hai già fatto colazione?”.
“Se per colazione intendi porridge o interiora di capra, allora no”, commentai divertita, punzecchiandolo in tono bonario per alcuni dei piatti tipici che mettevano a dura prova la mia nostalgia di casa. 
Rise in risposta. “Non voglio certo sminuire il fabbisogno calorico fornito da un po' di cioccolata”, commentò con tono di bonaria presa in giro. “Che ne diresti allora di una tazza di the o di qualsiasi altra bevanda voi beviate a quest’ora?”.  
“Molto volentieri”, risposi con calore. “Ma non stai marinando la scuola a causa mia, vero?”.
“Anche i Conservatori reali sono chiusi di Sabato”, mi spiegò e non potei che arrossire leggermente per la mia gaffe.
“Dove ci incontriamo? Sto per prendere la metro”, gli fornii l’indirizzo di riferimento.
Sean ci mise pochi istanti per fare mente locale e mi indicò il nome della stazione a cui sarei dovuta scendere. Ci congedammo e io salii sul convoglio che scivolò di fronte a me ed attesi che le porte del vagone si aprissero, cercando di non restare schiacciata tra le folla di pendolari.
Dopo pochi minuti scesi alla fermata giusta e sorrisi quando ne scorsi la sagoma familiare.
“Buongiorno”, lo salutai e mi fu spontaneo sollevarmi sulle punte a baciarne la guancia e non potei fare a meno di sorridere nel notare che il ragazzo sembrasse già essersi abituato a quella familiarità.
“Sei sola?”, mi chiese con le sopracciglia inarcate.
“Morgana aveva altri impegni per questa mattina, ma ci raggiungerà più tardi”, spiegai con un sorriso.
“Spero sia tutto confermato per stasera: mia madre non vede l’ora”, soggiunse più dolcemente, facendomi cenno di seguirlo e ne sostenni il passo per non rischiare di perderlo tra la folla di viaggiatori, soprattutto quelli che temevo maggiormente. Le comitive con i famigerati trolley e i turisti che si fermavano ogni cinque secondi per estrarre cellulari o tablet per immortalare ogni dettaglio o registrare video ricordo.
“C'è un pub ristorante qui vicino dove si mangia benissimo”, mi spiegò con un sorriso. “Hanno persino una teca dedicata soltanto ai dolci”, soggiunse con un buffetto sulla punta del mio naso.
Mi portai una mano al cuore, simulando un’espressione di profonda gratitudine ed emozione. “Stai facendo leva sui miei punti deboli, ma sei un Cicerone formidabile!”.
Notai la sua espressione confusa e mi affrettai a spiegargli l’origine di quell’espressione italiana in cui si paragonava l’eloquenza delle guide turistiche con quella del celebre oratore romano che difatti conosceva soltanto per dei rimandi della letteratura classica.
Dopo pochi minuti ci fermammo di fronte al locale che Sean aveva suggerito e non potei fare a meno di contemplarne l’insegna colorata e dai caratteri gotici che sembrava letteralmente spiccare tra gli edifici circostanti.
La Camera dei Segreti[7]”. Lessi e non potei fare a meno di sorridere. “Un nome davvero pittoresco, complimenti per la fantasia”, commentai divertita. “Qualche segreto culinario che potrei rubare?”.
Sean si strinse nelle spalle. “Che io sappia nessuno ha mai capito a quali segreti si alluda, ma considerando la stravaganza del proprietario, forse riguarda qualcosa di losco”, disse in tono così serio che non potei fare a meno di guardarlo con espressione stranita. “Sto scherzando!”, si affrettò ad aggiungere con una risata. “O forse no”, soggiunse poi con aria misteriosa, prima di aprirmi galantemente la porta. “Lascerò a te l’onore di scoprirlo, ma posso assicurarti che il cibo è eccellente”.
Ci mettemmo in fila dietro ad altri commensali e io ne approfittai per guardarmi attorno, quasi volendo capire l’atmosfera tipica di quel luogo. Le pareti del locale erano a tinte scure e vi erano quadri alle pareti che sembravano rievocare scenari apocalittici. L’ambiente, tuttavia, era ben illuminato e già in quella sala ci si sentiva avvolti da un’atmosfera raccolta e rassicurante. Vi era un piacevole brusio di sottofondo e, a giudicare dalla calca di persone, nella zona era universalmente riconosciuta la qualità del servizio. Osservai distrattamente un paio di giovani camerieri che sembravano particolarmente affaccendati, mentre si affrettavano a sparecchiare e a pulire i tavoli per accogliere nuovi clienti.
“Spero che Percy non dica a Riddle che sono arrivata in ritardo oggi”, sentii mormorare una ragazza paffuta, dai capelli rossi e dall’espressione impaurita[8], mentre si affrettava a riempire la bacinella delle stoviglie già sporche.
Il collega scosse il capo con un sorrisetto. “Lo sai che Riddle odia gli spioni persino più dei ritardatari”, sembrò consolarla. L’aspetto del ragazzo mi colpì perché era molto alto e allampanato, scuro di pelle e mi ricordava uno degli attori di una delle mie serie tv preferite tra quelle prodotte da Shonda Rhimes[9]. “Comunque le cose andrebbero meglio se Lavanda si degnasse di darci una mano anziché perdere tempo a civettare”, aggiunse con uno scuotimento del capo.
La ragazza dai capelli rossi annuì e il suo sguardo sembrò rabbuiarsi. “Se quella ottiene un contratto da sei mesi, giuro che mi licenzio io per protesta!”, dichiarò in tono inviperito e il suo amico annuì con enfasi e scosse il capo come a sottolineare l’assurdità dell’ipotesi.
Mi riscossi quando Sean mi fece cenno di avanzare: finalmente la fila si era diramata abbastanza perché potessi osservare la teca dei dolci a cui Sean aveva fatto allusione poco prima.
 “Come sta andando il primo giorno?”, mi chiese in tono dolce e rassicurante. “Potremmo fare un breve giro turistico nell’attesa di Morgana”. Mi propose dopo aver ordinato per entrambi.
 “Voi scozzesi siete incredibilmente affabili e francamente ancora fatico a credere di essere davvero qui”, commentai con un sorriso, quasi temendo che da un momento all’altro mi sarei accorta che era tutto frutto di un sogno particolarmente realistico. “Ma al momento è altro che mi preoccupa:  dovrei trovare un lavoro per non pesare troppo sui miei genitori”, ammisi con una nota di esitazione, mordicchiandomi il labbro inferiore. “Pensi che ci siano studenti che avrebbero bisogno di ripetizioni di italiano?”.
Dopo aver conseguito la laurea magistrale all’Università di Pisa in sociologia e ricerca sociale, a differenza dei miei colleghi, non avevo festeggiato con un tour all’estero, ma i miei genitori mi avevano proposto di prendermi un anno sabbatico in Scozia, potendo contare sulla presenza di Sean. Dopo più di due anni di studio assiduo per completare gli esami e la tesi magistrale, avevano convenuto che avrei dovuto prendermi del tempo per distendere la mente e ritemprarmi fisicamente e mentalmente. Senza contare che quella permanenza all’estero mi avrebbe aiutato ad affinare la mia conoscenza dell’inglese. Alla conclusione di questo periodo di pausa  sarei tornata in Italia nella speranza che, nel frattempo, la crisi economica si sarebbe attenuata e sarebbe stato più semplice trovare un lavoro nella mia città.  Naturalmente non volevo dipendere completamente dalla mia famiglia durante quel soggiorno.  Avevo risparmiato gran parte dei soldi guadagnati con le ripetizioni e con un po’ di fortuna avrei potuto trovare un lavoro.  
Lo vidi assumere una posa pensosa al riguardo ma, prima che potesse rispondere, la giovane dall'altra parte del bancone ci porse le nostre tazze di the e indugiò con lo sguardo su di me. 
“Scusatemi, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare”, mormorò e notai soltanto in quel momento che il suo accento poco gaelico avrebbe potuto fare concorrenza al mio.  Mi riservò lo stesso sguardo curioso e indugiai sui suoi lineamenti, come se potessero svelarmi qualche indizio sulla sua identità. Era giovane, probabilmente coetanea di Sean, bruna, coi capelli lunghi fino alle spalle e tinti di una sfumatura di fucsia che le conferiva  un aspetto esuberante ed estroso. Ciò era confermato dal sorriso contagioso ed allegro che mi suscitò un interrogativo. Nelle sue parole vi era una spontaneità e un modo di gesticolare che sembravano poco affini al “tipico” temperamento britannico.
“Sei italiana, vero?”.
Trasalii quando furono le sue labbra, colorate dal rossetto, a pronunciare quella domanda. La stessa che mi stava ronzando in mente. Sorrisi quasi con sollievo, prima di ridere di me stessa. “Ho un accento così terribile?”, domandai.
La ragazza scosse il capo con lo stesso divertimento, ma si affrettò a porgermi la mano. “Mi chiamo Amy”, si presentò con un alone di complicità che mi fece istintivamente rilassare. Era davvero straordinario ritrovarsi così lontana da casa e incontrare qualcuno che potesse perfettamente comprendere il mio stato d’animo. Difficoltà ad integrarsi comprese, dal momento che Morgana, per certi versi, aveva un vantaggio unico.
“Io sono Sara e questo è il mio amico nonché guida turistica, Sean”. 
Amy sorrise e strinse la mano anche al ragazzo, prima di tornare ad osservarmi. “Se ho capito bene, stai cercando un lavoro”. Continuò nella nostra lingua madre, mentre il ragazzo restava ad osservarci e non potei che intenerirmi di fronte alla palese confusione sul suo volto. 
“Sì”, spiegai con un sospiro. “Se tu avessi qualche idea o suggerimento, se avessi sentito di qualcuno che cerca una segreteria o qualcosa del genere, te ne sarei infinitamente grata”.
Lei sorrise ancora più soddisfatta. “Potresti lavorare qui”, si guardò attorno con aria sospettosa, prima di indicarmi con il mento una cameriera che sembrava intenta a pulire i tavoli. In realtà, notai con un breve sguardo, sembrava svolgere in modo insofferente quella mansione, strofinando il panno sulla superficie dei tavoli con gesti blandi. In compenso la sua espressione era spensierata e la sua risata argentina mentre cicalava al telefono con la mano libera. Il suo comportamento stonava incredibilmente con quello dei colleghi che avevo osservato poco prima e che sembravano, al contrario, sotto pressione per la calca di persone.
“Il mio capo ha concesso una settimana di prova a quella ragazza, Lavanda Brown, ma ha intenzione di comunicarle che non l’ha superata”, spiegò in tono gongolante.  Mi raccontò a bassa voce che la giovane in questione non si era affatto dimostrata una dipendente modello: arrivava spesso e volentieri in ritardo, facendosi coprire da uno dei camerieri che aveva una cotta per lei. Quando era stata assegnata al turno di chiusura, aveva pulito il locale con grande negligenza per andarsene il prima possibile e neppure si era premunita di gettare la spazzatura accumulata durante la serata, come sarebbe stata sua mansione, prima di sigillare il locale. Inoltre passava almeno la metà del tempo a flirtare coi clienti e scompariva regolarmente ogni volta che nel locale vi era calca o intralciava l’operato degli altri con la sua cronica pigrizia. I colleghi pertanto erano spesso costretti a coprire anche i suoi tavoli per non rischiare di compromettere ulteriormente l’umore assai volubile del proprietario.
“Mi ha chiesto se conoscessi qualcuno in cerca di lavoro: è parecchio seccato dal fiasco di Lavanda”, continuò con un sorriso. “ Se posso aiutare una mia connazionale che ne ha bisogno per il visto, ben volentieri”. Commentò con lo stesso sorriso spontaneo e sincero e non potei che sentirmi scaldare il cuore dalla sua gentilezza del tutto gratuita e spontanea.
“Lo faresti davvero?”. Domandai in tono incredulo.
“Ma certo”, mi sorrise per risposta. “Ho fiuto per le persone e tu mi sembri una ragazza perbene”. Ci indicò uno dei tavoli liberi con un cenno del capo. “Andate pure a sedervi: ti chiamerò quando sarà pronto a riceverti”.
La ringraziai nuovamente e mi andai ad accomodare nel posto che mi aveva indicato. Sean, che era rimasto silenzioso per tutto il tempo, mi seguì e sedette di fronte a me.
“Adesso potresti spiegarmi che cosa è successo?”.
 

Il colloquio con Tom Riddle durò poco più di dieci minuti, ma furono sufficienti per rendermi conto che l’aggettivo che aveva usato Sean era soltanto un pallido eufemismo e fin troppo sintetico per poter cogliere le  ambigue sfumature di quella personalità. Era certa che mia sorella, neo-laureata in psicologia, l’avrebbe definita “borderline[10]”.  Persino il suo bell’aspetto aveva un alone sinistro: era un uomo alto, aveva un portamento elegante, nonostante fosse vestito in modo casual con una camicia blu che ne metteva in risalto gli occhi e un paio di jeans. Doveva essere vicino alla cinquantina, era quasi calvo sulla sommità del capo ma i capelli erano accuratamente tagliati ai lati e di un castano scuro, come la barba, anch’essa ben curata. Aveva degli occhi azzurri molto intensi quando ti scrutavano con attenzione, ma sembravano quasi sempre distanti, come se fosse perso in pensieri piuttosto gravosi. Sorrideva raramente ma in modo intimidatorio, piuttosto che rassicurante, soprattutto perché lo sguardo continuava ad apparire fosco e il suo modo di parlare era sicuro e fluido, quasi imperativo[11].
Nel momento della presentazione, mi strinse la mano con dita gelide ed estremamente lunghe che sembrarono farmi sentire persino più freddo. Il sorriso che gli increspò le labbra era formale e non si estese agli occhi blu e neppure ne ammorbidì  i lineamenti ma sembrò renderli, al contrario, più cupi.  Lo seguii nel suo ufficio e mi accomodai dall'altra parte della scrivania mentre questi faceva il giro e, solo in quel momento, notai la teca adagiata sul mobile, dietro alla scrivania. Ebbi quasi una sincope quando posai, per la prima volta, lo sguardo sul pitone racchiuso all'interno. Tom Riddle vi si pose davanti e lo sentii aprire il vetro, porgendo una dolce carezza all'animale e, con mio gran disgusto e sgomento, lo vidi estrarre un topolino vivo da una piccola gabbia. Sentii quel povero animaletto squittire disperato, quasi avesse compreso cosa stesse per accadere e dovetti distogliere lo sguardo o probabilmente avrei dato di stomaco.  Non avevo particolare simpatia per i rettili e mi augurai di tutto cuore che prendersi cura di quell’animale non rientrasse tra le mie mansioni.
Il proprietario chiuse nuovamente la teca e finalmente prese posto di fronte a me e gettò un’occhiata al mio curriculum, tambureggiando con le dita sopra il foglio.
“Italiana”. Lesse in tono secco e sollevò lo sguardo in mia direzione, studiandomi attentamente.
Non ero mai stata particolarmente rilassata durante i colloqui di lavoro o particolarmente eloquente ma la sgradevole sensazione che volesse leggere tra i miei pensieri non mi fu di aiuto neppure in quel frangente.
“Mmm, i clienti di solito gradiscono il vostro entusiasmo”. Seppur il commento fosse stato proferito in tono pacato, sembrava esservi una nota di altezzoso riserbo al riguardo. Forse un’implicita disapprovazione del temperamento mediterraneo che alle persone di origine britannica poteva apparire fin troppo “ostentato”. “E’ anche vero che finora non ho avuto alcun problema con i dipendenti di questa nazionalità,  una volta che hanno preso dimestichezza con la lingua”, mormorò tra sé e sé. Immaginai che stesse cercando una voce nel mio curriculum che facesse riferimento alla conoscenza delle lingue e ancora una volta rimpiansi di non essere riuscita, ai tempi del liceo, a conseguire l’attestazione PET[12] per un basso margine di errore.
Prima del colloquio avevo scambiato qualche parola con Amy, esprimendole le mie remore: seppur fossi in grado di sostenere una conversazione informale e semplice, temevo che la lingua potesse essere un ostacolo che potesse legittimamente porre delle obiezioni da parte del Signor Riddle. Lei mi aveva rassicurato con calore, svelandomi che, al momento della sua assunzione, era alle primissime armi e che gli aveva spiegato che avrebbe frequentato un corso di lingua per rendersi il più possibile autonoma e poter al più presto assolvere il proprio lavoro in modo ineccepibile. L’uomo rispettava le persone che erano volenterose e ligie al loro dovere e le aveva accordato la sua fiducia, accordandole turni lavorativi che potessero agevolarle la frequentazione del corso e quindi l’apprendimento della lingua. Non solo aveva conseguito una certificazione linguistica, ma era una delle veterane del locale e aver vinto in un paio di occasioni una gratifica con un bonus di 100 sterline rispetto allo stipendio regolare. I turni lavorativi, inoltre, non le impedivano di continuare a coltivare le sue ambizioni professionali al di fuori della Camera dei Segreti.
Mi schiarii la gola e decisi di intervenire per perorare la mia causa. Gli avevo consegnato un curriculum “standard” che portavo sempre con me, ma certamente se avessi previsto un colloquio simile, lo avrei personalizzato per mettere in luce le qualità più importanti per aspirare al ruolo di cameriera. “Non sarebbe la prima volta che lavoro in un’attività simile”, spiegai. “Da anni sono volontaria in una sagra del mio paesino: ho lavorato sia come barista, sia come addetta alle comande e cerco sempre di essere paziente e disponibile coi clienti. Inoltre sono sempre disposta ad imparare e acquisire nuove competenze e-”.
Mi interruppi quando ebbi l’impressione che non stesse affatto ascoltando. Non mi aveva rivolto lo sguardo e continuava a tamburellare con le dita sul foglio, scorrendo tra le varie voci del curriculum con una lievissima increspatura sulla fronte. Rimasi in attesa e quel silenzio sembrò durare un’eternità prima che, finalmente, alzasse lo sguardo su di me. Si appoggiò allo schienale e un lievissimo sorriso ne increspò le labbra, ma non era un sorriso accattivante o di comprensione e neppure di mera educazione.
“Ha una bella parlantina”, dichiarò come se fosse un dato di fatto.
Non potei fare a meno di chiedermi se lo considerasse un lato positivo o negativo e se questo stesse facendo vertere il colloquio a mio favore o meno. Arrossii e mi sentii emettere una risatina nervosa.
“Non preoccuparti, tesoro”. La sua voce si era fatta improvvisamente carezzevole e sinuosa, premurosa e amorevole, tanto che sembrava impossibile che fosse stato lo stesso uomo a pronunciare quelle parole. L’uso del vezzeggiativo, in particolar modo, mi lasciò basita, ma fu con ulteriore incredulità che mi resi conto che stava parlando con il suo adorato animaletto domestico. “Per pranzo ti ho riservato qualcosa di più prelibato”, continuò a parlare con voce flautata.
Molto probabilmente mia sorella, quando le avrei raccontato l’aneddoto, avrebbe confermato la mia diagnosi di disturbo borderline della personalità. Sicuramente mi avrebbe incoraggiato a lasciare il lavoro ancora prima di iniziarlo. Fu con sguardo sgomento (e nausea crescente) che osservai il pitone avvilupparsi sinuosamente su se stesso, per poi sibilare contro il vetro, laddove Tom Riddle aveva adagiato le dita.
“Sì, Nagini, ho pensato la stessa identica cosa”, la informò e finalmente tornò a rivolgermi lo sguardo.
Sperai che il mio viso non tradisse il mix di disgusto e di inquietudine che provavo in quel momento, ma deglutii a fatica e mi sforzai di sorridere come se tutto ciò fosse perfettamente naturale. 
Tom Riddle tornò ad osservarmi e sorrise di nuovo, ma quel gesto sembrò inquietarmi persino di più per la sua repentinità. “Potrebbe sembrarti un po’ burbero e misterioso”, mi aveva avvertito la ragazza, facendomi strada verso il suo ufficio. “Ma ti assicuro che è una brava persona e un datore di lavoro onesto. Devi solo cercare di guadagnarti il suo rispetto e dimostrarti una lavoratrice seria e affidabile. Non sopporta i lavativi e i ritardatari, gli spioni e i ruffiani. Se un dipendente ha delle particolari esigenze o deve chiedere un giorno di permesso, vuole che se ne parli direttamente a lui e in privato, senza chiedere l’intermediazione di Mrs Weasley, la sua socia. E’ un po’ insofferente con le persone goffe, ma al massimo ti toglierà qualche punto dal tabellone se combinerai qualche guaio. Non passa mese senza che a Neville tolga almeno 50 punti per questo”.
“Il tabellone?”, le avevo chiesto con aria sgomenta.
“Ne parleremo con più calma”, commentò l’altra, notando il mio nervosismo. “Ora pensa solo al colloquio: sii onesta con lui, ma non cercare di impressionarlo troppo. In bocca al lupo”.
“Potrà iniziare lunedì...”. Commentò e mi porse un modulo da compilare. 
Sbattei le palpebre con aria incredula: “Davvero?!”, domandai in tono ansioso, quasi timorosa che l’attimo dopo avrebbe cambiato idea. “Le prometto che cercherò di non deluderla, ho davvero bisogno di questo lavoro e-”.
Alzò una mano con un movimento elegante che sferzò l'aria, fluido e aggraziato,  per invitarmi a tacere e mi ammutolii all’istante. “Naturalmente le sto concedendo un periodo di prova: una settimana”, chiarì in tono risoluto.
Annuii con espressione comprensiva, non volendo tuttavia apparire meno grata. “Naturalmente”.
Riddle mi guardò più intensamente, sporgendosi leggermente e scavando nel mio volto con il suo sguardo. “Durante la settimana, lei sarà sotto il mio sguardo perpetuo”, dichiarò in tono molto risoluto. Non potei fare a meno di provare un’istintiva antipatia per quella Lavanda Brown poiché avevo la sensazione che, reduce della sua prova fallimentare, Riddle avrebbe preteso da me persino più professionalità prima di stilare un contratto.
"Valuterò il suo modo di interagire coi clienti e coi colleghi, di svolgere le mansioni assegnate e la sua professionalità. Soltanto se sarò soddisfatto da ognuno di questi requisiti, potremo parlare di un’assunzione di sei mesi, tanto per cominciare. Dal prossimo mese potrò includerla nella lista degli aspiranti impiegati del mese che hanno diritto a un bonus sullo stipendio mensile”.
Annuii di nuovo, consapevole che avevo tutto da dimostrare. Come mi aveva suggerito Amy, dovevo guadagnarmi la fiducia dell’uomo e avrei dovuto fare del mio meglio perché in una sola settimana potessi convincerlo di poter essere un buon elemento da aggiungere al personale attualmente in servizio. 
“La ringrazio dell'opportunità, signor Riddle”, mormorai con un sorriso. Mi alzai e gli porsi la mano, ma non potei fare a meno di rabbrividire un’altra volta a causa del contatto con le sue dita gelide.
 “Si abitui alle temperature scozzesi, se vorrà fermarsi a lungo”, mi consigliò in tono eloquente. Inclinò il viso di un lato e mi rivolse nuovamente quel sorriso vagamente inquietante che sembrava stonare con i suoi lineamenti. “L’aspetterò lunedì mattina, alle nove. Sia puntuale, mi raccomando”.
Annuii prontamente e gli sorrisi un’ultima volta. “Ancora grazie e buona giornata”.
Cercai di non camminare troppo frettolosamente per non dargli l’erronea impressione che volessi scappare dal suo ufficio.
“Sì, tesoro, adesso parliamo con quella smorfiosetta incompetente e la cacciamo dal locale”, lo sentii dire con la stessa voce carezzevole e premurosa che probabilmente riservava solo a Nagini.
Sean era seduto davanti al bancone, puntellandosi con il gomito, mentre Amy stava sparecchiando i tavoli. Si voltarono entrambi in mia direzione e sorrisi facendo un cenno di assenso. 
“Congratulazioni”. Commentò il ragazzo con un sorriso entusiasta e mi abbracciò.
“In realtà si tratta una settimana di prova”. Spiegai con un sorriso, non volendo creare false speranze in nessuno, soprattutto in me stessa.
Lei mi sorrise con aria rassicurante:  “Prende molto sul serio il periodo di prova, ma posso assicurarti che se Nagini ti ha preso in simpatia, hai delle ottime possibilità di ottenere un contratto”.
Risi per quella che credevo essere una battuta spiritosa. O almeno speravo che lo fosse. Rabbrividii tra me al ricordo del povero topolino, prima di scuotere la testa e rivolgermi di nuovo alla ragazza con un sorriso.
“Non so ancora come ringraziarti”. 
Fece un vago cenno con la mano come a scacciare le mie remore prima di sorridermi con lo stesso fare affabile e cordiale:  “Me lo ricorderò quando ti chiederò di sostituirmi perché dovrò uscire con Jared Leto”, replicò in tono ironico e complice. “Sarebbe bello lavorare con un’altra italiana”, soggiunse con un sorriso.
“Lo spero tanto. A lunedì”. Mi congedai con un ultimo sorriso.
Uscimmo dal bar, proprio nel momento in cui il mio cellulare squillò e sorrisi quando scorsi il nome di Morgana, affrettandomi a raccontarle delle piacevoli novità.



Sean abitava in centro e in una delle ville a schiera vittoriane.  L'abitazione aveva un aspetto raffinato ed aristocratico, con le pareti di un delicato color avorio e fiancheggiava una delle arterie principali della città.  Gli interni erano spaziosi e sapientemente arredati e vi era anche un piccolo giardino sul retro della casa con colorate e profumate aiuole di fiori. I signori Biggerstaff ci accolsero con molto calore e gentilezza. Il padre si chiamava John ed era un pompiere.  Era un uomo dai modi pazienti e concilianti, molto pacato e discreto e potei facilmente desumere che Sean gli somigliava molto sia nell’indole che nell’aspetto fisico[13]. Gli occhi e il sorriso, però, erano quelli della madre, Stacy, una donna più bassa e grassottella ma dai modi incredibilmente premurosi e sinceri.  Jennifer, la sorellina di Sean, era una bambolina dai lineamenti delicati e dagli stessi occhi nocciola del fratello, seppur le sue maniere denotassero una puerile ostentazione di sicurezza, soprattutto nell’intonazione più saccente della voce. Aveva quasi otto anni ed era coccolata da tutta la famiglia ma sembrava provare un'adorazione quasi tangibile per suo fratello e, che fosse casuale o meno, ciò si tradusse con un'istintiva e immediata antipatia nei confronti miei e della mia amica.
Morgana quella sera era semplicemente splendente nel suo nuovo vestito azzurro che ne metteva in risalto gli occhi, i capelli perfettamente acconciati e il sorriso lieto di chi si stava deliziando dell’atmosfera briosa che si respirava in quella casa.  Sean non aveva mancato di rivolgerle dei complimenti per il suo aspetto, dopo aver indugiato per qualche secondo a contemplarne il volto. La sua presenza sembrava stuzzicare la gelosia di Jennifer o forse si trattava di un mero spirito competitivo tra due caratteri non molto diversi. Ne fui quasi certa quando ci spostammo in salotto, in attesa del caffè, e la bambina si accomodò sulle ginocchia del fratello e affondò il volto contro il suo petto. Parve crogiolarsi con un sorriso soddisfatto quando lui le carezzò i capelli per cullarla.
Approfittai del chiacchiericcio allegro e mi alzai per chiedere le indicazioni del bagno, soffocando un lieve sbadiglio con il palmo della mano. La prima giornata ufficiale era stata molto intensa e stancante e non vedevo l’ora di stendermi nel mio letto.  Prima di rientrare, mi sciacquai le mani e pettinai leggermente i capelli con le dita, sistemandone qualche ciocca dietro le orecchie.
Stavo per rientrare in salotto, quando sentii il campanello che segnalava la presenza di qualcuno alla porta di ingresso, a pochi passi da me. Guardai la porta con esitazione: evidentemente le chiacchiere allegre in cucina avevano coperto il suono del campanello poiché nessuno stava venendo in mia direzione. La signora Biggestaff stava uscendo dalla cucina ma stava trasportando un vassoio colmo di tazze di caffè e di piatti con il dessert.
“Vuole che apra io?”, le chiesi per trarla d’impaccio. 
“Grazie, Sara”, mi rispose con un sorriso sincero. “Poso il vassoio e sarò subito da te”.
Allungai il passo verso la porta quando il campanello fu suonato per la seconda volta e appoggiai la mano sulla maniglia, aprendola con un movimento fluido.
Mi ritrovai faccia a faccia con un ragazzo e mi ritrovai a scrutarlo per un breve istante che sembrò dilatarsi nel tempo, nonostante fosse un perfetto sconosciuto.  Il ragazzo era poco più alto di me e magro. Aveva un viso allungato e il mento leggermente pronunciato, labbra ben disegnate e la carnagione molto chiara. Gli occhi erano realmente magnetici e di una sfumatura tra il grigio e l’azzurro, come i laghi scozzesi, ma in quel momento erano assottigliati per la confusione.  Il viso era incorniciato da capelli di un castano caldo, quasi ramato, e dal taglio sbarazzino con delle ciocche che ricadevano sulla fronte. Dopo il primo istante di palese confusione, lo sconosciuto mi scrutò dall’alto al basso con le braccia incrociate al petto e un’espressione altezzosa. 
Mi mordicchiai il labbro inferiore, cercando di vincere l’imbarazzo e di assolvere al mio dovere, fino all’arrivo della Signora Biggerstaff. “Posso aiutarti?”, gli domandai.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia alle mie parole, quasi fossero una conferma che qualcosa non andava. Le sopracciglia si inarcarono ulteriormente e si sporse a contemplare la facciata della villa, quasi volendo sincerarsi di non aver sbagliato porta.  Quando ne ebbe conferma, sembrò adombrarsi ulteriormente, scrutandomi con il volto inclinato di un lato: “E tu chi saresti?”. Mi domandò in tono pomposo e insolente, scrutando il mio volto e i miei abiti come se stesse cercando una conferma ai suoi sospetti.
Di fronte a simile boria mi pentii di non aver imitato Morgana e non aver indossato un vestito o un completo più elegante.
“La nuova colf?”, azzardò il ragazzo. Evidentemente le sole parole che avevo pronunciato erano state sufficienti per fargli decretare che dovessi essere straniera.
Non potei fare a meno di lanciargli un’occhiataccia sdegnata e offesa per un simile atteggiamento, anche nell’eventuale ipotesi che fossi realmente una dipendente al servizio della famiglia di Sean. Sentii un fastidioso calore salirmi alle guance, ma strinsi le braccia al petto e lo fissai risentita. “Non sono una colf”, risposi risentita ma mi interruppe prima che potessi presentarmi.
“Colf, cameriera, babysitter, come preferisci”, mi blandì con un gesto pigro della mano, come a voler porre fine a quegli inutili formalismi. Salì il gradino che ci separava e cercò di guardare alle mie spalle, alla ricerca di Sean evidentemente.
Provai l’impulso di calpestargli il piede o di spingerlo via, ma mi limitai a scuotere il capo. “Sono un’ospite”, specificai in tono incredulo. “Se mi dici chi sei tu, posso chiamare Sean”, gli spiegai in tono paziente anche se provava il suggestivo impulso di chiudergli la porta in faccia per costringerlo a suonare nuovamente e ad aspettare che fosse uno dei proprietari ad aprirgli la porta.
“Non è molto educato lasciare qualcuno sulla soglia di casa o, peggio ancora, chiuderlo fuori”, rispose con un sorrisetto beffardo, quasi fosse stato in grado di leggermi il pensiero “Specie se non è casa tua”, aggiunse sollevando le sopracciglia con espressione insolente.
Presi un profondo respiro, cercando di celargli il mio fastidio e il desiderio di sbattergli la porta sul naso.
Sembrò intuire la mia battaglia interiore, ma si strinse nelle spalle: “Visto che hai avuto l’onore di aprire, tanto vale che tu mi lasci accomodare”.
Il dovere di trovare una risposta altrettanto ironica mi fu risparmiato dall'arrivo di Sean. “Non prima  di averti fatto una perquisizione”. Rispose al mio posto e mi sorrise. “Scommetto che questo gran cafone non  si è presentato come avrebbe fatto una persona normale”, commentò con un breve sospiro. “Sara, lascia che ti presenti Tom, un mio compagno di Accademia”.
Registrai il nome con un cenno di assenso, ma strinsi le braccia al petto, non avendo alcuna intenzione di porgergli la mano, fino a quando non avesse dimostrato di essere dispiaciuto per il suo comportamento.
“Tom, questa è la mia amica italiana di cui ti ho parlato”.
“Ah”, commentò l’altro con aria del tutto indifferente. Mi scrutò con espressione vagamente sorpresa. “Quindi non è una cameriera”, concluse come se quell’informazione gli fosse fondamentale per farsi un’opinione della sottoscritta.
 Mi irrigidii. Avevo conosciuto  persone fastidiose in vita mia, ma nessuna mi aveva mai suscitato una simile antipatia a pochi minuti dalla presentazione.
Sean scosse il capo. “Ti prego di scusarlo, Sara, non è nulla di personale. E’ maleducato con tutti. Mi domando perché ancora mi disturbo a frequentarlo”. Si rivolse all’altro con espressione stoica. “Ti dispiacerebbe provare ad essere sopportabile per almeno cinquanta secondi? Così, tanto per vedere che effetto fa sulle persone normali che ti odiano dal primo istante”, soggiunse con un sorriso ironico che Tom non ricambiò.
Si strinse nelle spalle. “Avevo intuito dall’accento che fosse straniera”, ribatté con un certo orgoglio per la propria madre patria che probabilmente si convertiva in una sorta di insofferenza per chi la storpiava con un accento poco britannico[14]. “Ma non mi sembra molto mediterranea”, alluse alla mia carnagione chiara e ai capelli. 
Provai il vago impulso di scimmiottarlo ma non volevo abbassarmi al suo livello di infantilismo, senza contare la mia poca sopportazione per simili pregiudizi. Forse dovevo ritenermi fortunata per il fatto che non mi avesse chiesto se avevo appena finito di mangiare un piatto di spaghetti.
 “La non mediterranea ci sente benissimo”.  Gli feci presente, ma strinsi maggiormente le braccia al petto. A quel punto, considerando le parole di Sean, non mi sentivo neppure in dovere di essere cortese soltanto perché era un suo collega di studi. “Vorrei poter dire che è stato un piacere conoscerti, ma sarebbe una bugia”, commentai in tono pacato, ma con un sorriso affettato. Non attesi risposta, ne ignorai il sogghigno divertito e mi diressi nuovamente verso il salotto.
Non potei tuttavia fare a meno di sorridere al rimprovero di Sean: “Possibile che tu debba sempre fare lo stronzo?!”.
“Che vuoi che ti dica?”, rispose l’altro con voce affettata. “Deve essere stato amore a prima vista”.
Mi irrigidii per un breve istante, ma non volli dargli ad intendere che avessi origliato la loro conversazione, per cui mi affrettai ad allungare il passo e a tornare in salotto.
Sean fece ritorno dopo pochi minuti e, con mio grande sollievo, da solo.
 “Chi era, tesoro?”. Domandò la madre porgendogli una fetta del tiramisù che avevamo preparato Morgana ed io quel pomeriggio.
“Tom”, rispose in tono distratto.
“Perché non l’hai invitato ad entrare?”, gli chiese la madre con aria realmente dispiaciuta. Evidentemente Tom doveva essere una delle frequentazioni più assidue di Sean.
 “Emma[15] lo stava aspettando in auto”, rispose con uno scrollo di spalle.  “Scusami ancora per lui”, aggiunse in un sussurro in mia direzione e io gli sorrisi come a voler sminuire il tutto. Non volevo certamente che si sentisse in colpa, anche se non riuscivo veramente a comprendere come un ragazzo affabile e gentile come lui potesse avere a che fare con un tipo così insolente e maleducato. Non valeva comunque la pena dedicargli troppi pensieri, soprattutto considerando che si era trattato di un incontro fortuito e occasionale e probabilmente sarebbero state ben rare le occasioni in cui ci saremmo incontrati per il nostro comune legame con Sean.
Morgana mi guardò con aria interrogativa, ma le feci cenno che le avrei raccontato tutto a tempo debito. Fortunatamente il pensiero di Tom scivolò rapidamente in un angolo remoto della mia mente e fu tutt’altra presenza maschile ad apparire nei miei sogni.
Non è ancora il nostro momento”, sembrò ricordarmi anche quella notte.
 
To be continued…
 
 
«Era Maggio 2011 quando ho iniziato a comporre questo racconto e devo ammettere che mi sorprende siano passati due anni: in parte perché sono accadute molte cose, nel frattempo, e molte sono cambiate. 
Io, in primo luogo e questa infatuazione che mi ha accompagnato per molto tempo e che aveva i lineamenti di Tom Felton. E' come se, inconsapevolmente, mi avesse accompagnato per un bel periodo della mia vita nel quale era una presenza costante, qualcuno a cui proiettare le mie fantasie, i miei sogni e le mie speranze per il futuro, soprattutto nei momenti di tristezza. 
Riprendere questo racconto, dopo due anni, è come riabbracciare una parte di me: sono più matura, consapevole di me ma non dimenticherò mai il ruolo che Draco/Tom hanno avuto per molto tempo e adesso guardo il tutto più oggettivamente ma non mancando di riprovare tenerezza. 
Ringrazio ancora di cuore Evil Queen  che mi ha spronato con particolare enfasi a riprendere questo racconto e condividerlo: ma soprattutto a non lasciar andare questa parte di me. 
Per avermi ricordato che ciò che sono adesso, lo devo anche a ciò è che stato e ciò che questo racconto riflette (ancora) di me». 


Giugno 2018
Sono passati ben sette anni dalla stesura originale di questo racconto e ben cinque dalla prima pubblicazione su questo sito e ciononostante eccomi di nuovo qui. Se qualcuno me lo avesse detto anche solo due settimane fa, non lo avrei creduto possibile. Non lo avevo previsto e tanto meno lo avevo desiderato. Fino a quando la mia amica non ha cominciato la revisione di una sua fanfiction e a questo punto mi sono resa conto che c’erano alcuni elementi di questo racconto che attualmente non mi soddisfacevano. Abbiamo cominciato a parlarne tra noi e ho capito che questa storia meritava una “terza” vita ed eccoci qua.
Molte cose sono cambiate in questi anni, a partire dal mio stile (ho storto non poco il naso anche soltanto nel trovare la vecchia formattazione!) fino al modo in cui adesso guardo il personaggio di Tom. I sentimenti e la passione di un tempo si sono ridimensionati (e per fortuna!), ma sarà sempre un dolce ricordo. Mi ha aiutato inconsapevolmente ad affrontare momenti difficili della mia adolescenza e si può dire che sia stato fautore del mio incontro con Evil Queen che è ancora parte fondamentale delle mie giornate. Una magia ben più potente di quelle cui Draco era avvezzo ;)
Ecco perché ancora non mi stanco di tornare tra queste pagine.
Chiedo scusa a chi ha già letto la fanfiction originale e al potenziale lettore che inizierà a leggerla e potrebbe trovarsi in difficoltà. Prometto che cercherò di modificare il testo della fanfiction il prima possibile. Nelle caratteristiche della storia troverete di volta in volta in volta la notifica della modifica dei cambiamenti.
Ringrazio di tutto cuore le persone che hanno apprezzato questa fanfiction, persino scrivendomi in privato. E’ stato commovente vedere come questa fanfiction scritta per lo più per motivi “personali” sia riuscita a toccare il cuore di altre persone e persino che siano riuscite a identificarsi nello stato d’animo di Sara o a sentirla una presenza “familiare”.
Un dolce augurio che tutti i vostri sogni diventino realtà.
 
 
 
[1]    Per  chi volesse visualizzare il testo originale: http://www.angolotesti.it/A/testi_canzoni_ashley_tisdale_7481/testo_canzone_someday_my_prince_will_come_297190.html  ; per ascoltare l'interpretazione di Ashley Tisdale: http://www.youtube.com/watch?v=jctXmI_fjcU
[2] Per il nome e il personaggio mi sono ispirata, su suggerimento della mia amica, all’attrice Katie McGrath che interpreta Morgana nella serie tv “Merlin”. Dal momento che nella fanfiction è ricorrente questo elemento fantasioso, ispirato al mondo delle favole, come giustamente Evil Queen mi ha fatto notare, non poteva certo stonare il riferimento a un personaggio tratto dai racconti di Re Arthur, della tavola rotonda e del mito della spada della roccia. Ragione per cui per rendere omaggio alla bellissima attrice e alla serie tv che amiamo entrambe, abbiamo optato per combinare il nome della strega con il cognome dell’attrice.
[3] Considerando certe serie tv che ho guardato e amato negli ultimi tempi, mi sembra assurdo il pensiero che andassi matta per quel genere di film. In realtà sono molto più gradevoli i romanzi a mio parere, ma d’altronde non sarebbe un’onesta ricostruzione del mio passato se avessi omesso questa informazione ;)
[4] Per chi non lo ricordasse (male, molto male! :P), Sean è l'attore scozzese che ha interpretato Oliver Baston nei film tratti dal ciclo di romanzi di Harry Potter.
[5] Non per fare pubblicità alla Cameo, ma è un mio vezzo personale che ho lasciato per rendere tutto più realistico :)
[6] Nella mia fan fiction, come si renderà ancora più evidente andando avanti, Sean, Tom, Daniel, Emma e tutti gli altri non sono ancora attori famosi ma stanno ancora studiano in una prestigiosa scuola che li preparerà ai futuri successi (non Harry Potter, ovviamente, per ragioni di tempistica e di “copione”.).
[7] Troverete molti riferimenti alla saga: che si tratti di nomi di luoghi fantasiosi o, talvolta (come vedrete tra poco!) personaggi a cui ho lasciato il nome del loro alter ego per marcare una caratterizzazione che ricalca il personaggio della saga.
[8] Si tratta di Susan Bones, coetanea di Harry Potter, studentessa di Tassorosso. Percy a cui fa riferimento è chiaramente Percy Weasley che, tuttavia, in questo racconto prenderà il nome di Percy Rankin, associandogli il cognome dell’interprete, Chris Rankin. Poiché userò altri personaggi della famiglia Weasley e non voglio che questa versione di Percy sia imparentata con loro :)
[9] Si tratta di Dean Thomas interpretato da Alfred Enoch che è stato uno dei protagonisti di “How to get away with a murder” :)
[10] Le persone che soffrono di disturbo borderline di personalità tendono a provare emozioni molto intense che cambiano in modo molto rapido e provano difficoltà a calmarsi. Questo stato d’animo può dare vita a frequenti scoppi d’ira o a conseguenze più gravi. Nella fattispecie il mio commento voleva essere bonario e rivolto soprattutto al personaggio di Voldemort :) Ma avrete modo di conoscere meglio Riddle nel corso della storia :)
[11] Si tratta del nostro amato Ralph Fiennes. Onestamente all’inizio avevo optato per colui che lo aveva interpretato nel secondo film della saga, ma più ci penso, anche in vista delle future revisioni, e più mi domando come avessi potuto scrivere una storia ambientata nel mondo di Harry Potter senza Ralph :D 100 punti alla mia amica Evil Queen :D
[12] Ahimé è un episodio reale. PET sta per Preliminary English Test. Al liceo la mia professoressa di inglese aveva proposto a me e ad altre due ragazze di frequentare un corso a pagamento che avrebbe permesso il rilascio dell’attestato dall’Università di Cambridge dopo un esame scritto, orale e un test di ascolto. Non riuscii a ottenere l’attestazione per poco. La mia insegnante cercò di convincermi a ripresentare domanda l’anno successivo ma il corso costava di più e con la mole di studio del liceo non me la sentivo di prendere ulteriori lezioni pomeridiane.
[13] Sulla famiglia Biggerstaff ho raccolto a suo tempo delle informazioni, ma non posso assicurarvi circa l’attendibilità della fonte, per cui suggerisco caldamente di considerare il tutto come frutto di fantasia. La sorella di Sean, per altro, ha attualmente diciotto anni ma per ragioni di trama manterrò l’idea originale di una bambina di otto anni. Altri dettagli sono ovviamente frutto della mia immaginazione come la descrizione fisica e i loro nomi di battesimo.
[14] Ricordo che la mia insegnante di inglese ai tempi del liceo ci aveva detto più volte che gli inglesi avrebbero un atteggiamento di “supponenza” nei confronti di chi non parla bene la loro lingua. Non si tratta di una volontaria mancanza di rispetto o di maleducazione, quanto di una loro convinzione radicata che sia scontato che tutti dovrebbero conoscere e parlare fluidamente l’inglese, essendo la lingua internazionale. Nella fanfiction, tuttavia, per motivi di trama ho voluto appositamente enfatizzare questo aspetto della personalità di Tom, rendendolo altezzoso e maleducato più del dovuto :) Naturalmente non è mio intento diffondere pregiudizi di sorta sugli inglesi.
[15] Si parla di Emma Watson che, in questo racconto, è la storica fidanzata di Tom.
   
 
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