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Autore: Kiki87    27/05/2013    2 recensioni
Una giovane ragazza si trasferisce a Glasgow per concedersi un anno sabbatico, alla fine del suo percorso universitario, con la sua migliore amica. Qui incontrerà il suo amico di penna, nuovi amici ma, soprattutto, imparerà a conoscere se stessa. Perché se è vero che tutto è iniziato da un "sogno", Sara deve ancora imparare cosa sia davvero l'amore e come possa essere diverso da ciò che ha sempre immaginato.
La fanfiction è una revisione di un progetto omonimo del 2013: molti personaggi di Harry Potter sono stati sostituiti con quelli di Merlin e ci sono stati significativi cambiamenti anche nelle diverse storyline dei protagonisti.
CROSSOVER CON LA SEZIONE: "CAST DI HARRY POTTER".
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri, Bradley James, Katie McGrath, Nuovo personaggio, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2
 
 
Avevo puntato la sveglia alle 7.30 per non rischiare di fare tardi al primo giorno di lavoro, ma gemetti quando suonò puntualmente. Come se non bastasse la prospettiva di iniziare la settimana a un simile orario, quel risveglio brusco aveva interrotto il mio dolce sogno. Mi crogiolai per diversi istanti nel ricordo di quelle immagini, seppur non ci fossero cambiamenti significativi rispetto alle ultime sequenze nel giardino. 
Schiusi gli occhi e fissai il soffitto, cercando di pensare ai motivi per i quali avevo cercato lavoro innanzitutto e i miei buoni propositi di non essere una figlia viziata e cominciare a essere autonoma in tutti gli aspetti della mia vita. Sospirai e mi passai una mano sul volto.
Ancora cinque minuti, mi dissi tra me e me. Stavo per impostare nuovamente l’orario della sveglia, quando sentii bussare alla porta. Sgranai gli occhi e il sonno sembrò dimenticato all’insistenza dei tonfi, domandandomi chi potesse cercare me o Morgana a quell’ora del mattino. Imprecai mentalmente e mi affrettai ad uscire dalla camera con addosso una vestaglia.
La mia amica uscì a sua volta nel corridoio con i capelli arruffati e lo sguardo rabbuiato. “Ma chi diavolo può essere a quest’ora?!”. Diede voce alla mia stessa domanda.
Scossi il capo a simulare i miei stessi dubbi e mi affrettai ad accostare il volto allo spioncino.  
“E' una donna...”.  Mormorai in italiano.
Ci scambiammo un altro sguardo confuso prima che schiudessi l’uscio e ci ritrovassimo faccia a faccia con una signora bassa e paffuta. La prima cosa che letteralmente mi abbagliò la vista fu il suo morbido cardigan di una tonalità di rosa shocking che avrebbe potuto destare invidia ad una Barbie. O per essere più precisi, considerando l’aspetto della donna, a Nonna Barbie. Il cardigan era decorato da trini e merletti ed era intonato a una gonna lunga fino al ginocchio che le lasciava nude le gambe tozze e ben poco gradevoli alla vista. Non potei fare a meno di paragonarla a  un rospo,  mentre indugiavo con lo sguardo su un orribile cappello di lana (ovviamente della stessa tonalità cromatica) sui suoi capelli grigio topo.
La donna ci scrutò per un istante con la stessa curiosità e le labbra si contrassero in una smorfia quando si rese conto che eravamo ancora in vesti notturne.
“Buongiorno, mie care. Mi chiamo Dolores Umbridge”. La sua vocetta era particolarmente acuta e sembrò del tutto innaturale. Da una donna di simile stazza mi sarei aspettata un timbro molto più rauco e gutturale. Rimase in attesa ed evidentemente si aspettava che avessimo tutt’altra reazione dopo la sua presentazione.
“Cosa possiamo fare per lei, Signora Umbridge?”, domandò Morgana con sguardo interrogativo. Apparentemente il tono era cordiale ma i suoi occhi erano stretti in due fessure e il sorriso le modellava le labbra, senza estendersi allo sguardo. Voleva realmente conoscere il motivo di quell’arrivo mattutino, prima di renderle noto il suo dispiacere per essere stata svegliata a quell’ora.
“Ehm ehm...”. Mrs Umbridge controllò il suo orologio da polso e tossicchiò come a schiarirsi la gola. “Credevo di essere attesa per le 8”. Aggiunse in tono puntiglioso e prese qualche appunto su un foglio adagiato sul portablocco che teneva tra le braccia.
Morgana e io dovemmo assumere la stessa espressione incredula e sgomenta nel realizzare che si trattasse proprio della responsabile all’affitto delle camere. Sean ci aveva preannunciato la sua vita per quel mattino ma avevo inteso che ciò non sarebbe avvenuto prima dell’ora di pranzo. Ci scambiammo uno sguardo sgomento, prima di rivolgerle i nostri sorrisi più calorosi.
 “Naturalmente!”, mi sentii dire e la mia voce apparve più stridula del solito. “La prego, si accomodi. Ci perdoni, deve esserci stato un piccolo equivoco sull’orario del nostro colloquio”.
“Sono certa di aver parlato più che chiaramente con Mrs Biggerstaff”, mormorò la donna in risposta, entrando in soggiorno e guardandosi attorno.
Imprecai mentalmente. Se avessi puntato la sveglia un’ora prima, sarei riuscita a passare l’aspirapolvere o a lustrare i mobili. O quanto meno avrei potuto lavarmi i denti e vestirmi. Il mio rammarico non poté che acuirsi quando lo sguardo di Mrs Umbridge indugiò sul salotto e sugli oggetti di uso quotidiano che avevamo lasciato sul tavolino da caffè, sulle giacche appoggiate allo schienale del divano e sulle borse abbandonate su una sedia. In verità la sera precedente eravamo tornate a casa più tardi del previsto (Sean aveva insistito per farci fare una passeggiata prima di rientrare in convitto) e non avevamo avuto le forze di rimettere tutto in ordine.
La donna non pronunciò parola ma riprese a scrivere sul suo modulo. “E' possibile fare una chiacchierata amichevole, care?”. Sorrise di nuovo con aria affettata, guardando dall’una all’altra. Ancora una volta fui stordita dal suono della sua voce ma un altro dettaglio nel suo modo di parlare mi causò una certa diffidenza. Aveva pronunciato ogni parola premunendosi di scandirla in modo esageratamente lento, mimando con le dita l’atto del “chiacchierare”. Sembrava che si trovasse di fronte non soltanto una ragazza la cui lingua nativa non era la sua, ma che soffriva di problemi di comprendonio. Guardai Morgana di sottecchi, quasi volendo sincerarmi che non si trattasse di una mia impressione, suscitata dalle mie incertezze. Anche il suo sguardo sembrava perplesso. Dovetti darle atto, anche in questa circostanza, di essere molto più abile di me nel gestire la situazione. Rivolse alla donna il suo sorriso più affascinante, scostandosi i capelli arruffati dal volto con un gesto fluido. “Possiamo offrirle una tazza di the, mentre io e la mia amica ci rendiamo presentabili? Perché non si accomoda?”, si era affrettata a togliere le suppellettili dal divano per farle posto, ma la donna non si mosse.
Lo sguardo si era assottigliato come se fosse infastidita, ma sorrise di nuovo con aria stucchevole e scosse il capo. “Non in servizio, grazie: ho altri appuntamenti e il mio tempo è prezioso”.  Squittì, accompagnando quelle parole a una risatina altrettanto pretenziosa. Si volse e si diresse con incedere fluido verso la cucina: “Accomodiamoci tutte: non ci vorranno più di cinque minuti”. Non attese neppure che io o la mia coinquilina le scostassimo la sedia, perché prese posto a capotavola e inforcò un paio di occhialini. Alzò lo sguardo, in evidente attesa che anche noi sedessimo.
Mi sentivo come se fossi stata appena richiamata nell’ufficio del preside. 
“Molto bene”, sorrise ad entrambe come se il solo fatto di essere riuscite ad accomodarci fosse encomiabile. Si schiarì la gola con la stessa esagerata teatralità, prima di estrarre dalla sua cartelletta due plichi di fogli. “Le regole sono poche e semplici: voi rispettatele e andremo tutti d'accordo”. Il suo timbro era divenuto molto più severo e il suo sguardo più penetrante: sembrava aver lasciato da parte quelle apparenze gentili e comprensive per incarnare il suo ruolo con severità e riserbo.
“Certo”. Mi sforzai di sorriderle e apparirle collaborativa. Avevo l’impressione che al suo confronto Tom Riddle sarebbe sembrato un datore di lavoro affabile, comprensivo e amichevole. Forse.
“Ci dica, la prego. Ha la nostra completa attenzione”, mormorò Morgana, inclinando il volto di un lato e rivolgendole un sorriso falso almeno quanto il suo. Il tutto sarebbe stato vagamente comico se non avessi seriamente temuto per la nostra permanenza in quell’appartamento.
Mrs Umbridge guardò dall’una all’altra per qualche secondo, quasi volesse realmente stabilire se fossimo o meno sincere, ma finalmente ci porse i fogli. “Qui troverete tutte le clausole dettagliate del nostro contratto. Verrò il primo giorno del mese a ritirare la retta. Ripeto: il primo giorno del mese”, lo marcò nuovamente con voce acuta e parlando così lentamente che sembrava quasi che stesse facendone lo spelling. Aveva persino mimato il numero “uno” con la mano.
Avevo stretto le labbra per impedirmi di risponderle in modo poco educato e Morgana si era concentrata sul contratto, ma non potei fare a meno di notare la vena che le pulsava sulla fronte. Imitai il suo gesto e indugiai con lo sguardo sui paragrafi prolissi e intrisi di termini specifici sulla giurisdizione del contratto di affitto. Una vera fortuna che la mia amica fosse in grado di comprenderlo senza bisogno di dover ricorrere a un vocabolario bilingue. Tuttavia mi domandai se non fosse il caso di rivolgersi, per ogni evenienza, a un avvocato per sincerarsi che non vi fossero dei cavilli ai nostri danni.
“Non si ammettono proroghe per il pagamento”, continuò Mrs Umbridge con lo stesso tono formale e petulante. “Il solo ritardo di una settimana comporterà un supplemento di cinquanta sterline che aumenterà di giorno in giorno”.
Cinquanta sterline?!”, ripetei incredula, quasi sperando che una volta tanto avessi realmente frainteso le parole. Cinquanta sterline corrispondevano per approssimazione a 57 euro[1].
Il sorriso subdolo e affettato che mi rivolse la rese ancora più somigliante a un rospo a causa delle labbra particolarmente carnose e marcate dal rossetto. Sembrava in attesa del momento ideale  per estrarre la lingua e cibarsi di un insetto distratto ed incauto. Di conseguenza mi sentivo persino peggio del povero topolino dato in pasto a Nagini.
 “Ehm, ehm”, sembrò richiamare la nostra attenzione. “Se l’affitto mensile non sarà saldato entro la fine del mese corrente, farò intervenire la polizia”. Emise una risatina simile ad uno squittio, mentre Morgana e io ci scambiavamo uno sguardo terrorizzato. Mi sentivo ancora più ansiosa di andare a lavoro e fare una buona impressione sul mio datore ed ero certa che la mia amica avrebbe intensificato i suoi sforzi per ottenere al più presto qualche colloquio di lavoro.
 “Ma naturalmente noi ci auguriamo che questo non debba mai succedere”. Il sorriso le morì sulle labbra mentre tornava ad osservarci con fare più somigliante a quello di un generale che si rivolge al suo subalterno. Almeno fino a quando non ci vide annuire entrambe. Solo a quel punto sorrise nuovamente, prima di schiarirsi la gola con il solito colpo di tosse che sembrava un rituale adottato per attirare l’attenzione o introdurre un nuovo argomento di conversazione.
“Ehm, ehm”, cambiò pagina. “Mi aspetto che le mie inquiline abbiano una condotta puritana”. Trillò quasi l'ultima parola e l'accompagnò ad una risatina fintamente complice. Il suo sguardo indugiò infatti sulle nostre vestaglie e sui nostri capelli scarmigliati e le sue labbra si irrigidirono come fossero segnali di una condotta licenziosa. Quasi impercettibilmente, in sincronia, io e Morgana ci annodammo maggiormente la cinture della vestaglia e cercammo di accollarla.
“In questo convitto il rispetto assoluto delle regole e le punizioni per le infrazioni sono le basi fondamentali per mantenere la disciplina. Quindi aspettatevi delle ispezioni a sorpresa per monitorare la situazione. E' mio onere controllare che l'ambiente sia sempre salubre fisicamente e moralmente”. Sottolineò la parola con tale enfasi che quasi mi sentii in colpa persino per i miei sogni, seppur non conoscessi neppure l’identità del mio presunto amante. Nonostante quest’ultimo, inoltre, fosse dotato di una pudicizia quasi vittoriana. 
Morgana si era appoggiata allo schienale della sedia con le braccia incrociate al petto e le labbra serrate in una linea dura, evidentemente risentita per i giudizi di cui erano intrese quelle parole. Normalmente le sarei stata solidale e sarei stata la prima a interrogarmi su quanto fosse realmente conveniente firmare quel contratto, prima di essere riuscite a trovare una sistemazione alternativa e dalla tariffa altrettanto conveniente. Inoltre mi sarebbe sembrata una mancanza di rispetto verso Mrs Biggerstaff che doveva aver faticato non poco a farsi concedere un simile contratto che, vista la natura zelante di Mrs Umbridge, doveva essere a esclusivo vantaggio delle studentesse dell’Università di Glasgow. Mi costrinsi quindi a inghiottire il mio amor proprio e strinsi appena il braccio di Morgana come a comunicarle i miei pensieri in modo tacito. Sorrisi a Mrs Umbridge e annuii. “Le assicuro che non le causeremo alcuna preoccupazione: saremo delle inquiline impeccabili”.
Mrs Umbridge mi sorrise con aria affettata ma dall’inarcatura delle sopracciglia sembrava nascondere dei reali dubbi sulle mie parole. Tuttavia tornò a volgere lo sguardo al paragrafo successivo. “Naturalmente, è assolutamente vietato permettere a fidanzati o ad amici più o meno intimi di pernottare la notte: qualsiasi violazione di questo genere comporterà l'immediato sfratto di entrambe”.
Morgana si irrigidì. Aveva la fronte aggrottata e un nervo le vibrò all’altezza della mascella. Qualcosa mi diceva che in quel momento avrebbe realmente desiderato incarnare l’omonima strega leggendaria per scagliare un maleficio sulla donna.
 “Qualcos'altro?”, domandai in tono cortese, seppur pregassi in cuor mio di vederla uscire al più presto.
“Abbiamo discusso delle regole più importanti: gli altri dettagli potrete leggerli voi stesse”, commentò, dopo aver controllato nuovamente l’orologio. Evidentemente avrebbe dovuto allietare altre studentesse con la sua visita. “Per qualunque esigenza o problema, i miei contatti sono scritti nel contratto”. Si schiarì nuovamente la gola e ci porse una penna stilografica. “Ora potete firmare”, trillò infine.
Morgana ed io ci scambiammo un solo sguardo prima di apporre la nostra firma: probabilmente anche lei si stava domandando se non stessimo per firmare la nostra condanna.
“Molto bene”. Mrs Umbridge riprese la pratica velocemente, la inserì nella sua cartelletta e si alzò in piedi. “Come annunciato, ci vedremo il primo del mese per il pagamento, salvo qualche imprevisto o un’ispezione a sorpresa”. Sorrise di nuovo con aria leziosa e ci strinse la mano.
Chiusi la porta alle sue spalle e mi appoggiai alla superficie dell’uscio come se stessi per avere un crollo nervoso. Senza contare che quella visita mi aveva sottratto del tempo prezioso per prepararmi e andare al lavoro. Morgana appariva ancora incupita mentre sfogliava le pagine del contratto. Il solco delle sue sopracciglia appariva sempre più marcato mano a mano che procedeva. Sollevò infine lo sguardo su di me.
“Una fortuna che abbiamo richiesto l’affitto di una stanza e non del suo utero”, rabbrividì lei stessa della sua battuta che riuscì nonostante tutto a strapparmi una breve risata.
“Dovevamo aspettarci qualcosa del genere: questi appartamenti sono quanto di meglio potessimo sperare. Immagino che la nostra sola presenza sia una violazione delle sue poche e semplici regole”, cercai di imitarne il tono per stemperare la gravità della situazione.
“Oh, non ha idea di quante regole vorrei infrangere”, commentò Morgana tra sé e sé e un sorrisetto più saputo le increspò le labbra. “Sempre che il tuo amico voglia darmi una mano… o anche due”, soggiunse in tono così allusivo da strapparmi uno sguardo costernato.
“Ti prego”, sollevai le mani per impedirle di aggiungere altre allusioni più o meno velate. Guardai l’orologio affisso alla parete del salotto e gemetti. “Devo sbrigarmi o farò tardi e sarò licenziata ancora prima di iniziare. E poi verremo buttate fuori dall’appartamento prima della fine del mese!”. La mia voce sembrò riflettere un crescendo di angoscia e preoccupazione. Mi affrettai a rientrare in camera e prendere tutto il necessario per la doccia.
“Ti ho mai detto che adoro il tuo ottimismo?”, mi urlò dietro Morgana con voce ridente.
 
Uscii dal bagno in tempi rapidissimi, ma dovessi accontentarmi di una rapida colazione. Morgana era ancora in vestaglia da camera ma aveva già aperto il giornale che aveva comprato il giorno prima e stava cerchiando qualche annuncio di lavoro a penna. Immaginai che avrebbe passato la mattinata a inviare curricula, telefonare per chiedere informazioni e usufruire anche di siti internet tra quelli consigliati da Sean, oltre ad aggiornare il suo profilo Linkedin.
“Ci sentiamo più tardi, in bocca al lupo per la ricerca”.
Mi rivolse un sorriso e un cenno della mano. “Crepi il lupo e buon lavoro. Mandami un messaggio vocale quando hai tempo e fammi sapere come va il primo giorno”.
“Promesso, a più tardi”.
 
~
 
La Camera dei Segreti aveva la fisionomia di un tradizionale pub scozzese: si trattava di un ambiente prevalentemente rustico e fiocamente illuminato da lampade che emanavano un bagliore di un dolce arancione rossastro. L'atmosfera era resa ancora più piacevole per il calore che proveniva dal grande camino in cui ardeva sempre della legna e per l’aroma di luppolo di cui i mobili di mogano sembravano essere intrisi.  Era un ambiente molto ampio, composto da diversi saloni. Il  public pub[2] era dotato di lungo bancone dietro al quale vi erano gli scaffali di liquori e di bibite che non potevano essere vendute ai minorenni. La vendita di alcol inoltre poteva avvenire solo dalle 10 alle 22 e tali bibite dovevano essere consumate all’interno del locale. Si trattava di disposizioni giuridiche per le quali, come comprensibile, Tom Riddle non permetteva eccezioni. Il lounge bar e il  saloon bar erano frequentati soprattutto nei pomeriggi e nelle serate quando, oltre alla birreria, si offrivano servizi di ristorazione. Le serate più proficue erano quelle della trasmissione di eventi sportivi che attiravano i tifosi delle squadre della Premier League. Vi era infine il private bardi cui usufruivano i clienti più eccentrici e facoltosi che talvolta lo prenotavano per cene di affari o incontri privati e in cui si esibivano, talvolta, musicisti che proponevano musica dal vivo, soprattutto di tradizione celtica.
Mi osservai allo specchio dello spogliatoio e studiai l’effetto dell’uniforme su di me. Una camicia candida con bottoncini a pressione e una gonna a tubino scura e lunga sino alle ginocchia. La camicetta esibiva il logo del locale: un blasone a sfondo verde con il disegno di un serpente argentato. Evidentemente Nagini doveva essere la mascotte, ma se il mio dovere si fosse limitato a decantarne le lodi coi clienti, avrei potuto sopravvivere a quella settimana di prova. Un ulteriore vezzo d’eleganza a cui il proprietario non era disposto a rinunciare era conferito dalla cravatta a strisce verdi e argento. L'uniforme era analoga per i ragazzi: camicia e pantaloni degli stessi colori ma nelle serate di gala era tassativo indossare il kilt. Per noi ragazze, invece, una gonna a portafoglio con lo stesso tradizionale motivo a quadrettoni ma in bianco e nero.
“Buongiorno!”.Mi riscossi dalle mie riflessioni quando scorsi il volto di Amy dallo specchio e le rivolsi un sorriso.  
“Ciao, come stai?”. La salutai nella nostra lingua madre. Cercai di arrotolare una ciocca di capelli per riporla dietro la nuca con un fermaglio, in modo che non mi fossero di ingombro durante le varie mansioni.
“Tutto bene”, mi sorrise per risposta e aprì il suo armadietto per potersi specchiare e allacciare correttamente la sua cravatta. “Sei pronta a iniziare?”.
“Più o meno: sono un po’ nervosa”, le confessai. Avevo sorriso nel leggere i messaggi di auguri che mi avevano mandato i miei genitori, Morgana e Sean. Riposi il cellulare nell’armadietto e lo chiusi con le chiavi che mi erano state assegnate.
“Andrai benissimo”, mi sorrise Amy con espressione incoraggiante. Aveva controllato il proprio riflesso per qualche istante e mi aveva fatto cenno di seguirla. “La cosa migliore è rompere il ghiaccio e cominciare”.
Nella fascia oraria mattutina, mi spiegò, il pub non era particolarmente frequentato a eccezione di qualche avventore che non aveva il tempo per una tradizionale (e consistente!) colazione a casa. Dalla metà della mattinata i clienti abituali erano soprattutto impiegati che uscivano dall’ufficio per una pausa caffè, pendolari o turisti che giungevano dalla fermata della metropolitana più vicina al pub. Il maggior movimento al bar lo si vedeva soprattutto nel pomeriggio e nella serate,  quando le scuole erano chiuse o quando vi erano eventi sportivi. O quando Tom Riddle organizzava qualche particolare evento come in occasione delle festività natalizie, di San Valentino o di San Patrizio. In serata naturalmente le cose divenivano più delicate poiché era tassativo il rispetto delle norme sulla distribuzione degli alcolici.
Del longue bar, del saloon bar e della zona privata,  mi spiegò Amy, si occupavano soprattutto i camerieri “veterani” che erano al servizio da almeno un anno come nel suo caso e in quello di Alicia Spinnet, Katie Bell, Lee Jordan, Zacharias Smith e Percy Rankin. La ragazza mi mise subito in guardia su quest’ultimo poiché aveva una sgradevolissima mania di controllo su tutto e tutti, tanto da essersi avvalso la nomea di “spione” ed era persino più severo di Madama Bumb, la coordinatrice e responsabile dello staff. Io per il momento mi sarei occupata esclusivamente del public pub e le mie mansioni consistevano nella preparazione delle bevande e nel servire paste, panini, toast e spuntini. La maggioranza del personale erano ragazzi giovani, soprattutto studenti che volevano pagarsi gli studi, come Susan Bones, Dean Thomas (i due ragazzi che avevo notato la prima volta che ero entrata nel locale), Seamus Finnigan, Neville Paciock, Justin Flitch-Fletchey, Hannah Abbott e altri che avrei conosciuto nei giorni seguenti. Amy non mi aveva nascosto di provare una certa antipatia per Smith che era un vero e proprio “lecchino” e coglieva ogni occasione utile per proporre idee strampalate che Riddle puntualmente rifiutava.
Madama Bumb e Riddle in persona stabilivano settimanalmente i turni lavorativi cercando di garantire una rotazione equa che consentisse di bilanciare i turni più sgraditi e faticosi, soprattutto quelli che riguardavano il finesettimana.
Ben più adulti erano i magazzinieri tra i quali spiccavano Eoin Macken, Tom Hopper e Santiago Cabrera[3]. La cucina e il coordinamento dei pasti erano affidati a Mrs Weasley, la chef della Camera dei Segreti nonché socia di Riddle. Lavorava insieme al marito Arthur, il fornaio e Dexter Fortebraccio, il sous chef. Le addette alla pasticceria erano invece Mrs Sprite, Gabrielle Delacour e Penelope Light. Infine l’ultimo arrivato prima di Lavanda Brown, Neville Paciock che era lo sguattero e il tuttofare della cucina ma sognava di diventare pasticciere. Era stato preso sotto l’ala protettiva di Mrs Sprite che cercava di insegnargli nei “tempi morti” tra un servizio e l’altro. 
Scoprii presto che la parte iniziale della giornata, la preparazione del pub, era particolarmente rilassante, soprattutto se si era in compagnia e si poteva accompagnare le mansioni a qualche discussione leggera. Naturalmente Amy ed io ne approfittammo per raccontarci le nostre storie.  Lei e la sua famiglia si erano stabiliti in Scozia da oltre due anni, quando il padre si era dovuto trasferire per lavoro. Aveva trovato un posto in questo pub dopo poco tempo, grazie a un fortuito incontro tra lei e Madama Bumb che le aveva fissato un appuntamento con il Signor Riddle. Come mi aveva già raccontato in parte, era stata sincera con lui fin dal primo momento circa le difficoltà linguistiche e la necessità di frequentare un corso specifico. Non solo era riuscita a superare il periodo di prova, ma alla fine dell’anno corrente, Riddle le avrebbe proposto un contratto per il terzo anno consecutivo. Inoltre tuttora si barcamenava tra il lavoro e un master in disegno, ma sognava di specializzarsi nell’ambito dell’arredamento degli interni.
Il lavoro al pub era impegnativo ma, nonostante gli aspetti più faticosi, si sentiva ormai parte di quel luogo, anche se non poteva escludere che in futuro avrebbe assecondato altre ambizioni. Grazie allo stipendio e ai risparmi accumulati in Italia era riuscita a trovare alloggio in un appartamento che condivideva con Luna Lovegood, una ragazza inglese dalla personalità stravagante ma premurosa e con la quale aveva stretto una forte amicizia. Come mi aveva rassicurato, la Scozia era un paese molto accogliente e caloroso e si era creata una bella cerchia di amicizie sia italiane sia scozzesi. La nostalgia di casa, come comprensibile, si faceva sentire a tratti, ma sembrava dell’avviso che non sarebbe tornata facilmente a vivere in Italia, a meno che non vi fossero state condizioni economiche e politiche più che ottimistiche.
Le avevo raccontato, a mia volta, della mia amicizia di lunga data con Morgana (dovendo spiegarle anche l’origine del nome che, come sempre, incuriosiva chiunque ne sentisse parlare), della mia corrispondenza epistolare con Sean, delle mie fatiche universitarie fino alla decisione di concedermi quell’anno sabbatico proprio in Scozia. A mia volta mi dicevo molto fortunata per aver avuto un punto di riferimento saldo nella mia amicizia con Sean. Le avevo raccontato brevemente della sua famiglia ma non avevo potuto trattenere una smorfia al vago ricordo dell’incontro con quel Tom. Avevo tuttavia scosso il capo e avevo preferito raccontarle del disastroso risveglio di quella mattina e dell’incontro con la famigerata Mrs Umbridge.

“Mi sembra di averti spiegato tutto”, concluse Amy alla fine di una dettagliata spiegazione sulla disposizione delle bibite e delle stoviglie necessarie al servizio. Non esageravo nel dire che avevo preso appunti e che avrei cercato di “studiare” quelle annotazioni nei momenti di pausa.  Inoltre avevo osservato attentamente i movimenti della mia nuova amica mentre si aggirava tra i macchinari e i vassoi per occuparsi dei primi avventori. Non volevo assolutamente rischiare di dare a Tom Riddle motivo di dubitare della mia assunzione. Mi appoggiò una mano sulla spalla e mi sorrise. “In ogni caso se hai bisogno di qualcosa, se ti sembra di non ricordare nulla, fammi un fischio: sono a tua disposizione”, mi promise con un lieve ammiccamento.
“Grazie di cuore”, commentai per l’ennesima volta. “Spero tanto di poter ricambiare il favore prima o poi”.
Tom Riddle si avvicinò a entrambe e ancora una volta non potei che paragonare le sue parvenze a quelle di un gentiluomo di altri tempi, visto il camminare fluido ed elegante. La giovane mi aveva spiegato che trascorreva gran parte del suo tempo nell’ufficio tra le scartoffie, gli ordini e il controllo delle fatture. Tutti i giorni, tuttavia, alle 17 in punto voleva che gli fossero serviti una tazza di the e dei biscotti che variavano a seconda dell’umore. La maggior parte delle volte, quando era saturo di lavoro o di malumore, si faceva portare il vassoio da Mrs Weasley nel suo ufficio. In caso contrario si sedeva in un tavolo appartato e approfittava della pausa per guardarsi attorno e assicurarsi che tutti i clienti fossero soddisfatti.[4] Come mi aveva annunciato, tuttavia, quella settimana sarebbe stata dedicata al suo esame personale della mia condotta.
“Il suo esame sta per iniziare”, mi confermò in tono fermo. “Vada dietro al bancone e si occupi dei prossimi clienti”. Rivolse poi lo sguardo all'altra e le fece un vago cenno in direzione dei posti a sedere. “Lei resti nei dintorni nel caso il locale si affollasse. Intanto può pulire i tavoli: voglio potermi specchiare in ognuno”.
Immaginai che fosse una delle sue “fisime” dal momento che era compito dei camerieri dell’ultimo turno serale quello di pulire i pavimenti e di lustrare i tavoli, prima della chiusura del locale.
“Buona fortuna”, mi sussurrò la ragazza e la vidi prendere il detergente e lo strofinaccio per adempiere alla sua mansione.
Pochi minuti dopo il campanellino affisso alla porta segnalò l’ingresso di nuovi clienti. Il normale nervosismo non poté che acuirsi quando Tom Riddle prese posto all’estremità del bancone, dal lato dei dipendenti.
Avanti Sara: è come dice Amy. Devo solo buttarmi e cominciare. Salii sulla pedana e cercai di sfoggiare il sorriso più caloroso e naturale di cui ero capace. E considerando la mia proverbiale e totale assenza di fotogenicità, lo sforzo fu realmente lodevole.  
“Buongiorno”, sorrisi alla giovane, guardandola dritto negli occhi. Il suo accompagnatore mi dava le spalle ed era appoggiato coi gomiti sul bancone, apparentemente intento a controllare le notifiche sul suo cellulare. “Cosa posso servirvi?”.
La ragazza mi rivolse un sorriso caloroso che ne fece baluginare lo sguardo che era messo in risalto da un trucco leggero e naturale. Aveva la carnagione chiara, i capelli castani con nuance bionde e lunghi fino alle spalle, lievemente ondulati. Non era molto alta ma era vestita in modo elegante e sembrava possedere una grazia autentica e innata.
 “Una tazza di the”. Fu la risposta spiccia e sbrigativa del ragazzo che non si era neppure preso la briga di voltarsi per guardarmi in viso o tanto meno di aggiungere una formula di cortesia. Al contrario, il tono di voce era sembrato perentorio, come se fosse avvezzo a dare ordini. Fu un altro particolare, tuttavia, a fare breccia nei miei pensieri. Non era una voce sconosciuta. Indugiai con lo sguardo sulla sua nuca, cercando indizi che potessero confermare o confutare quell’ipotesi assurda.
No, non è possibile, mi dissi.
 “Una tazza di the anche per me, per favore”, rispose la giovane, ma quasi non la sentii.
Il ragazzo si era finalmente voltato e, per la seconda volta a distanza di pochi giorni, i nostri sguardi si incrociarono e i suoi lineamenti furono improvvisamente alterati dalla pura e semplice sorpresa. Inarcò le sopracciglia e sembrò aver bisogno di qualche secondo per fare mente locale. L’attimo dopo le sue labbra si contorsero mentre indugiava con lo sguardo sul blasone cucito sulla camicetta. Inclinò il viso di un lato e, dalla lieve smorfia che gli apparve in volto, ebbi la spiacevole sensazione che stesse trattenendosi dallo scoppiare a ridere. Mi parve persino di leggerne i pensieri.
Una cameriera, dunque non avevo torto.
Strinsi i pugni lungo i fianchi, mentre la ragazza, con sguardo interdetto da quel silenzio improvviso, guardava dall’uno all’altro. “Vi conoscete?”.
Rispondemmo in contemporanea.
“Sì”.
“No!”.
Io avevo emesso un verso strozzato e scandalizzato all’idea di definirlo una mia “conoscenza”, quasi questo implicasse che mi fossi, mio malgrado, approcciata a lui in modo volontario. Lui annuì ma con una scrollata di spalle che lasciava perfettamente intendere che la mia presenza gli fosse del tutto indifferente.  
Mr Riddle si schiarì rumorosamente la gola e strinse le braccia al petto. Sembrava intimarmi silenziosamente di non perdere ulteriore tempo. Cercai mentalmente le parole più semplici per riuscire a esprimermi in modo efficace ma senza apparire goffa e a disagio, soprattutto di fronte al ragazzo che aveva già dato prova al nostro primo incontro di essere polemico nei confronti degli stranieri e del loro accento. “Mi chiamo Sara, sono un’amica di Sean”, mi presentai e le porsi la mano con un sorriso. Dopotutto una delle regole più importanti era dimostrarsi cordiale coi clienti e non potevo non spiegare a quella ragazza il motivo del nostro comportamento.
Un guizzo di comprensione le baluginò nello sguardo e si affrettò a stringermi la mano. “Oh, ciao Sarah”, accarezzò il mio nome con l’accento anglosassone. “Sean mi ha parlato di te. Io sono Emma”, si presentò e confermò la mia supposizione. “Sean mi ha detto che sei appena arrivata dall’Italia, ma non sapevo che lavorassi qui”.
“In effetti questo è il mio primo giorno”, spiegai con un sorriso. Ovviamente omisi il dettaglio che loro fossero i miei primi clienti.
Emma sorrise con aria affabile. “Allora faremo del nostro meglio per farti fare bella figura”, mi disse in tono allegro, rivolgendosi anche a Tom come a chiedergli conferma. Dal modo in cui inarcò le sopracciglia e dal sorrisetto impertinente che gli increspò le labbra ebbi il timore più che legittimo che avrebbe parafrasato quelle parole a suo uso e consumo. E soltanto per mero divertimento personale. Il pensiero mi fece irrigidire. Sembrava che la mia prima impressione del giovane non fosse affatto infondata. Non sapevo per quale scherzo del destino ero costretta a trovarmelo nuovamente di fronte, ma di certo non gli avrei permesso di rovinarmi la giornata.
“Naturalmente”, rispose in tono serafico che stonava con quel sorrisetto insolente. “Vorremmo due tazze di the”, mi disse nuovamente in tono formale, tambureggiando con le dita sul bancone e rivolgendomi quel sorrisetto tanto odioso che mi fece incupire.
Mi sforzai di sorridere, sentendo su di me lo sguardo fisso del mio principale, ma evitai di incrociare quello del ragazzo perché avevo il timore di svelare la mia insofferenza. E di alimentare i miei impulsi omicidi. “Subito”. Risposi in tono gentile ed accondiscendente. Mi volsi quindi verso la macchina del caffè e cercai di ricordare le istruzioni ricevute.
“Perché intanto non ti vai a sedere?”. Propose Tom con tono da perfetto fidanzato modello.
Mi scottai con l'acqua calda per la sorpresa e gemetti per il dolore. Sentii Riddle sospirare tra sé e sé, mormorando qualcosa di simile a: “Non una versione femminile di Paciock, per l’amor del cielo”. Mi affrettai a sorridergli con espressione rassicurante, ma sentendo le guance bollire.
Seppur girata di spalle, sentii Emma allontanarsi verso i tavoli. Socchiusi spasmodicamente gli occhi e inspirai profondamente, ringraziando di avere un'ottima scusa per non dover guardare il suo ragazzo in faccia ma ebbi la spiacevole sensazione (o paranoia, che dir si voglia) che lui stesse continuando a scrutarmi. Sembrava che stesse cercando tutti i modi possibili per mettermi a disagio o che stesse attendendo che rivelassi tutta la mia goffaggine.  
Che faccia da stronzo. Non potei fare a meno di pensare quando appoggiai,  con tutta la delicatezza possibile, le tazze sul bancone.
Le scrutò entrambe con fare analitico,
Starà cercando un difetto. Mi costrinsi a stringere i pugni lungo i fianchi ma non commentai. Doveva ritenersi soddisfatto perché mi  chiese il conto e lo pagò prontamente. Lo osservai andare al tavolo, reggendo il vassoio che gli avevo porto, e rilasciai un sospiro di sollievo. Forse aveva deciso di mettere da parte le sue maniere perché sapeva quanto mi fosse necessario quel lavoro.  
Scossi la testa e mi concentrai sui nuovi clienti e mano a mano che passavano i minuti, riuscivo ad acquisire maggiore dimestichezza con i macchinari e con le specialità culinarie che avevamo a disposizione. Sorrisi ad Amy che sembrò chiedermi con lo sguardo se stava andando tutto bene. Approfittai del momento di quiete per prendere un panno umido e presi a strofinare il bancone, sperando che Tom Riddle, che nel frattempo si era seduto per la sua colazione personale, apprezzasse il mio spirito di iniziativa.  Strofinai fino a quando la superficie di legno non sembrò lucida.
“Ci si può quasi specchiare”, mi compiacqui del mio stesso lavoro, prima di osservare analiticamente il mio viso. “Dovrei comprare un fondotinta: sembro più pallida di Liv Moore[5]”, mormorai tra me e me.
“E' un'abitudine italiana parlare da soli?”.
Sussultai al suono della sua voce e mi ritrovai trovai faccia a faccia con il ragazzo. Se non altro avevo borbottato nella mia lingua madre, risparmiandomi di dargli un ulteriore motivo per prendersi gioco di me.
Tom si appoggiò con aria indolente al bancone e notai distrattamente che la sua ragazza, dopo aver ringraziato Amy, si stava dirigendo verso il bagno del locale. Evidentemente l’ego di Tom non era sufficientemente grande perché si facesse compagnia da solo o voleva approfittare di ogni momento utile per darmi fastidio.
Lo fissai stizzita e presi a strofinare il bancone con energia eccessiva fino ad avvicinarlo al suo gomito per scansarlo e  continuai a sfregare la superficie di legno senza degnarlo di sguardo.
Se lo ignoro, si stuferà di fare l'idiota, pensai tra me e me.
Si schiarì con enfasi la gola e io alzai gli occhi al cielo ma mi costrinsi a incrociarne nuovamente lo sguardo. “Che cosa diavolo...”. Mi interruppi bruscamente quando Tom Riddle si avvicinò per guardarmi con le sopracciglia inarcate. Mi volsi al giovane con un sorriso affettato, cambiando repentinamente tono e timbro di voce. “Mi dica, come posso aiutarla?”. Pigolai con voce velenosamente dolce e sforzandomi di sorridere, con il risultato di procurarmi un dolore improvviso alla mascella.
Il giovane non nascose la sorpresa per quel brusco cambiamento di modi, ma seguì il mio sguardo preoccupato e ne comprese il motivo. Le sue labbra si contrassero e un sorriso di pura perfidia gli fece scintillare gli occhi. Mi  fece un finto cenno di intesa e si schiarì nuovamente la gola.
“Potrei avere un bricco di latte? Caldo. Non bollente e non tiepido, mi raccomando. Latte caldo”, lo ripeté con voce strascicata, pronunciando l’aggettivo “caldo” in un modo che avrebbe fatto impallidire un attore specializzato in film pornografici.
Provai il desiderio impellente di colpirlo con una delle bottiglie alle mie spalle, ma dovetti reprimere quella fantasia e annuire con finta cortesia e disponibilità. Promisi a me stessa che da quel giorno in poi non mi sarei più lamentata delle commesse indolenti o insofferenti, tanto meno delle persone che lavoravano nella ristorazione ed erano costantemente a contatto con persone nate semplicemente per infastidire il prossimo.
 “Sarà un piacere”. Dissi con voce forzatamente gentile, dandogli bruscamente le spalle e prendendo il bricco del latte per scaldarlo. Sospirai e socchiusi  per un attimo gli occhi, come ad invocare la calma e la concentrazione.
Stai calma: è solo un idiota e tu sei superiore.  
Appoggiai il bricco del latte, facendolo cozzare contro la superficie di legno, gesto che parve soltanto divertirlo ulteriormente. Non fece cenno di prenderlo e neppure di allontanarsi e inarcai le sopracciglia.
“Posso fare qualcos'altro per lei?”. Domandai con una nota di sarcasmo che non fui in grado di celare. Dovetti trattenermi tuttavia dall’incrociare le braccia al petto perché Riddle sembrava seguire il nostro dialogo come se fosse di vitale importanza per farsi un’idea delle mie capacità.
Il giovane annuì e mi sorrise accattivante. “La mia ragazza è fissata con le calorie”, finse perfettamente un atteggiamento stoico nei confronti delle tipicità del mondo femminile. “Potrebbe darmi del dolcificante al posto dello zucchero?”.
Non potei fare a meno di concedermi di squadrare la ragazza che era appena uscita dal bagno: era così magra  che l’ultimo dei suoi pensieri sarebbe stato quello di dimagrire. Al suo posto, personalmente, avrei preferito mettere su qualche chilo per ammorbidire la mia figura. 
Il pensiero mi suscitò un ulteriore moto di stizza poiché era palese che fosse tutta una macchinazione per darmi ulteriore fastidio.
So io dove dovresti infilarti il dolcificante, brutto stronzo sessista.
Contai mentalmente fino a dieci ma preferii non commentare alcunché: mi limitai ad abbassarmi e a cercare tra le mensole sottostanti. La mia irritazione aumentò al dover letteralmente spostare scatole su scatole per trovare quella giusta. Mi drizzai e la sbattei sul bancone, proprio dove pochi secondi prima vi era adagiata la sua mano.
“Qualcos'altro?”. Corrugai le sopracciglia e approfittai della momentanea distrazione di Riddle, che stava parlando con una collega, per guardarlo di sbieco. Gli stavo ordinando con lo sguardo di andarsene, prima che gli gettassi addosso il registratore di cassa.
Sembrò comprendere perfettamente i miei pensieri e di nuovo notai quella smorfia sulle labbra a simulare un tentativo di non scoppiare a ridere. “Ma che gentile”, mi lodò con voce flautata, per attirare l’attenzione del proprietario. “Credo proprio che approfitterò della sua cortesia perché, ora che mi ci fa pensare, ci sarebbe un’altra cosa”. Assunse un’espressione pensierosa, portandosi teatralmente la mano al mento.
Mi sentii sul punto di scoppiare. La cosa peggiore era dover fingermi composta e trattenere i miei reali pensieri ed intenzioni perché la posta in gioco era troppo alta e non potevo davvero permettere a quell’insolente maleducato di compromettere la mia possibilità di avere quel lavoro. Senza contare che non riuscivo veramente a capire perché si stesse accanendo in quel modo nei miei confronti.
“Potrebbe pesare gli scones[6]?”, alluse all’espositore di paste che aveva attirato la mia attenzione dalla prima volta che ero entrata in quel pub.
Nascosi una mano dietro la schiena e strinsi il pugno fino a conficcarmi le unghie nel palmo e contai mentalmente fino a dieci, socchiudendo gli occhi.
Se la stronzaggine pesasse quanto il grasso,  saresti un lottatore di sumo.
Continuava ad osservarmi con espressione candida, ma il mio sguardo saettò verso Riddle che mi fece cenno di rispondere affermativamente.
“Ma è ovvio!”, la mia voce era divenuta così stridula da sembrare quasi in falsetto per tentare di contenere la rabbia. “Anzi, sarò lieta di farle preparare sul momento se necessario”, ringhiai letteralmente le ultime due parole, quasi a sfidarlo a raccogliere la provocazione.
Presi a tastare, con la mano nascosta sotto il bancone, il ripiano per cercare un oggetto contundente. Purtroppo non potevo usarlo realmente su di lui ma la mia fantasia sarebbe stata più accurata se avessi studiato la conformazione della suddetta arma.
“Sarebbe perfetto!”. Esclamò lui con enfasi e si volse al Signor Riddle.  “Sa, a noi piacciano appena uscite dal forno”, gli disse con un sorriso affabile, quasi fosse in vena di confidenze. “Penso proprio che torneremo presto nel suo locale: deve essere fiero di avere al suo servizio delle cameriere così servizievoli”, marcò dolcemente l’ultima parola. Sentii letteralmente il mio cervello spegnersi, quasi la dose di meschinità a cui ero stato esposto fosse stata eccessiva.
 “La signorina andrà subito in cucina a dare disposizioni per i suoi scones”, lo rassicurò Riddle con il suo sorriso più smagliante. Non mi degnò di sguardo (o almeno di un segno di approvazione per la mia condotta impeccabile) ma mi fece un vago cenno verso la cucina. “Sono molto lieto che apprezzi il servizio: la professionalità e la disponibilità delle mie dipendenti sono importanti quanto la qualità del cibo”, lo sentii dire in tono quasi pomposo.
Mi diressi con aria mesta e sconfitta verso il portone che mi fu letteralmente sbattuto in faccia da Neville. Come mi aveva raccontato Amy, era un ragazzo adorabile quanto goffo che in più di un’occasione era finito nei guai per colpa di Lavanda la quale aveva ben sfruttato il suo fascino su di lui.  “Scusami, Sarah, mi dispiace tantissimo!”, mormorò con voce mortificata e le guance arrossate, mentre teneva tra le mani un vassoio di muffin appena sfornati.
“Ringrazi che la signorina abbia attutito il colpo e le paste non siano cadute, Paciock!”, lo rimproverò aspramente Riddle, facendolo arrossire. “Devo ricordarle il suo record di penalità?!”, aggiunse con voce simile al sibilo di un serpente.
“M-Mi perdoni, signore”, pigolò il povero ragazzo in questione, prima di tornare a guardare me. “Scusami davvero, Sarah, non volevo darti così il mio benvenuto”.
Scossi il capo come a sminuire il tutto, ma sentivo vere lacrime di dolore prudermi gli occhi. Cercai di mordermi le labbra e lo rassicurai, non volendo acuire ulteriormente la mia umiliazione, soprattutto dopo aver sentito il verso di scherno di quell’essere abominevole. L’universo o la Provvidenza sembrarono volermi ricompensare perché Mr Weasley aveva appena sfornato dei nuovi scones. Selezionai i più esili e li portai alla zona bar insieme a una piccola bilancia da cucina. Riuscii a trovare un paio di scones che sembrarono soddisfare gli standard fin troppo precisi di Tom e tirai letteralmente un sospiro di sollievo quando finalmente tornò a sedersi.
Al bancone era giunto un uomo di colore, molto alto, vestito in modo molto elegante e dalla voce profonda. Persino l’orecchino d’oro appariva come un vezzo che ne contraddistingueva l’aspetto.
“Cosa posso servirle?”, gli domandai con un sorriso.
“Nulla, mia cara, non sono qui per il cibo”, mi sorrise con aria affabile.
Riddle si avvicinò all’uomo e gli strinse la mano. “Il Signor Kingsley Shacklebolt è il nostro ragioniere”, mi spiegò con un cenno. “Andremo nel mio ufficio a controllare le fatture dell’ultimo mese, ma tornerò subito da lei”, soggiunse in tono quasi minaccioso. Sembrava intimarmi con lo sguardo di non approfittare della sua assenza per comportarmi in modo meno professionale.
Lo seguii con lo sguardo e non potei che rilassarmi per qualche istante con gli avambracci appoggiati al bancone. Lasciai vagare lo sguardo sui clienti che chiacchieravano tranquillamente e consumavano la loro colazione. Mi fu fatale incrociare nuovamente lo sguardo di Tom. Alzò la tazza di the in mia direzione e mi rivolse quel sorriso beffardo che sembrava un’incitazione alla violenza. Lo fulminai con lo sguardo e mi voltai con la scusa di dover allineare le bottiglie sullo scaffale.
Erano passati pochi minuti nei quali mi ero illusa di potermi rilassare, ma emisi un verso di esasperazione quando Tom si avvicinò nuovamente al bancone, con le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni. Il suo sguardo indugiò su delle paste e cercai di ignorarlo ma pregai mentalmente che Amy facesse ritorno per chiederle un rapido cambio.
“Un vassoio di scones e di shortbread[7] da portare via”, ordinò con quel tono strascicato che gli era tipico. Evidentemente in assenza del mio principale non aveva motivo di fingersi un cliente affabile.
Che razza di stronzo.
“Cerca di fare una bella confezione: sono per un compleanno”, soggiunse con quel sorrisetto saputello che mi fece desiderare profondamente di usare la pinza dei dolci per accecarlo.
Per mia fortuna Amy era molto zelante nel suo lavoro e mi aveva spiegato persino dove trovare l’occorrente per una simile eventualità. Un peccato che io fossi a malapena capace di incartare un regalo natalizio e dovevo sempre chiedere aiuto a mia madre o a mia sorella per riuscire a realizzare un involucro decente. Cercai di imitare i gesti che avevo visto compiere dai pasticcieri in situazioni analoghe, cercando realmente di impegnarmi al massimo. Nel caso contrario avrei chiesto a una delle ragazze addette a quel settore.
“Quasi dimenticavo”, ne sentii nuovamente la voce, con quell’intonazione suadente che fino a quel momento mi aveva solo causato ulteriori malumori e grane.
 “COSA DIAVOLO VUOI?!”. Sbottai al culmine dell’esasperazione e sollevai lo sguardo in sua direzione. Non mi ero accorta, ahimè, che nel frattempo altri clienti si erano avvicinati al bancone e parvero tutti scandalizzati dalla mia risposta acida. La mia sola fortuna, pensai sentendo le guance bollire, era che Tom Riddle non fosse stato nelle vicinanze o sarei stata licenziata a tempo di record. Oltretutto di fronte a quell’essere rivoltante. Mi morsi il labbro inferiore, tossicchiando per infrangere quel silenzio teso e cercai di ignorare lo sguardo di evidente disapprovazione che mi aveva scoccato una signora anziana.
Tom sembrava persino più allegro, ma finse di non essersi assolutamente accorto del mio tono burrascoso. “Potrei sapere dove si trova il bagno, per favore?”, mi chiese con voce candida.
Superfluo dire che ero sicurissima che già lo sapesse e non solo perché Amy in persona aveva fornito la stessa informazione alla sua ragazza. Glielo indicai con un cenno del braccio. Il pensiero di rivolgergli nuovamente parola mi dava il voltastomaco.
“Molte grazie”, sorrise con aria affabile, incamminandosi in quella direzione con le mani insinuate nelle tasche dei pantaloni, fischiettando un motivetto.
 
Scoprii che, come mi aveva suggerito Amy, la cosa più difficile era il primo impatto dopodiché diveniva tutto abbastanza naturale e quell'atmosfera calorosa e briosa (e soprattutto la lontananza di quell'imbecille) rendeva tutto più agevole. Congedai una signora anziana e mi avvicinai al bancone delle bibite, notando un trio di ragazzi. Giocatori di football probabilmente, a giudicare dalla divisa che indossavano. Mi scrutarono come se non avessero mai visto una donna di fronte a loro o non ne vedessero a sufficienza ed ebbi l’impressione che in quel primo giorno di lavoro fossi già costretta ad avere a che a fare con una delle categorie sociologiche maschili più irritanti. Quelli che ci provavano con ogni essere vivente in grado di respirare.
“Cosa vi porto?”. Chiesi in tono spiccio e informale.
Il ragazzo al centro sembrò confermare immediatamente il mio sospetto. Scambiò un sorrisetto saputo con i suoi compari altrettanto bifolchi, prima di passarsi una mano tra i capelli biondi e ricci, probabilmente illudendosi di apparire più affascinante. Mi sorrise e ammiccò con aria spudorata. “Il tuo numero di telefono, sarebbe ideale”, mormorò in tono vellutato, suscitando le risatine complici degli altri due. Uno dei due gli diede persino una pacca sulla schiena e io dovetti trattenermi dal vomitare.
Sorrisi serafica, con le braccia incrociate al petto. “Temo che non lo troverai nel menù”, gli risposi in tono volutamente distaccato e professionale.
Il ragazzo non  finse neppure di voler scrutare il listino, ma mi sorrise persino più confidenziale, quasi le mie parole fossero state un incoraggiamento. “Vorremmo tre caffè, degli scones e il tuo numero di telefono”, sussurrò l’ultima parte della frase in tono complice, aggiungendo un ulteriore ammiccamento.
“Smettila, Cormac, la metti in imbarazzo”.
Risi per risposta, quasi realmente divertita, cercando di raccogliere le mie conoscenze degli epiteti in lingua inglese.
“Credo che i signori siano ancora indecisi”, intervenne quella voce che mi era fin troppo nota. Non avevo notato che era tornato dal bagno, ma osservai l’espressione di disgusto che riservò al suddetto Cormac. Mi domandai se Sean non avesse omesso di spiegarmi che quel Pub era una sorta di succursale della sua prestigiosa Accademia.
“Gradirei avere il mio vassoio nel frattempo”. Aggiunse a mio beneficio.
Mio malgrado restai sorpresa del suo intervento: rischiavo di credere che si trattasse di un espediente per trarmi di impaccio da una situazione scomoda. O forse semplicemente voleva avere l’esclusiva ed essere l’unico a tormentarmi. Quale che fosse la risposta, prima lo avessi accontentato e prima se ne sarebbe andato.
“Torno subito”, mi diressi verso le cucine per chiedere aiuto alla disponibilissima Mrs Sprite e tornai poco dopo con un vassoio decentemente confezionato. Notai distrattamente che i tre idioti erano usciti dal locale. Appoggiai il vassoio sul bancone battei lo scontrino alla cassa. Il ragazzo estrasse il portafoglio e mi porse una banconota da 20 sterline. Per fortuna il registratore di cassa provvedeva anche a segnalarmi il resto, così presi il denaro necessario.
Sgranai gli occhi quando mi accorsi che stava tornando al suo tavolo. “Aspetta, il resto!”, lo richiamai.
Mi rivolse un sorriso saputello e si strinse nelle spalle. “Tecnicamente, in gergo da bar, si chiama mancia”. Mi disse in tono di ovvietà.
Arrossii ma scossi la testa e gli porsi il denaro con maggiore slancio. “Sono troppi”. Gli feci notare in tono stizzito e non di meno offeso all’idea che mi stesse trattando come una povera pezzente dall’alto della sua presunta superiorità sociale ed economica.
Scrollò le spalle. “Diciamo che è il compenso che non otterrai da quei tre: hanno improvvisamente ricordato di avere degli impegni improrogabili”.
Sorrise suadente mentre sgranavo gli occhi all’idea che li avesse in qualche modo cacciati. Eppure ciò non aveva senso, considerando come lui stesso mi avesse letteralmente dato il tormento fino a quel momento. 
“Non voglio i tuoi soldi”. Sibilai con maggiore autorità nella voce.
Sospirò con aria stoica e trattenne il vassoio con una sola mano, allungando l’altra verso di me. Chiuse le mie dita attorno al palmo e quasi trasalii al tocco caldo e morbido della sua mano. Sentii uno strano e inaspettato brivido percuotermi. Per qualche puerile associazione di idee, mi sarei aspettata che le sue mani fossero fredde almeno quanto quei modi altezzosi.
“Sono tuoi”. Ribatté in tono deciso.
Lo guardai stranita.
Sorrise di nuovo con fare beffardo e inclinò il viso di un lato. “Lasciati dare un consiglio: sorridi ogni tanto e cerca di nascondere la tua isteria”. Mi scrutò con le sopracciglia inarcate e l’espressione pensierosa, prima di ammiccare con aria insolente. “Non si abbina alla tua uniforme”, mi fece presente in un sussurro insolente che mi fece bollire le guance per l’imbarazzo.
Scossi la testa ma prima che potessi reagire si era già voltato con un ultimo cenno del capo e si era diretto verso l’uscita. Emma lo raggiunse e mi salutò con un sorriso e un cenno della mano.
Quelle parole, l’ulteriore stoccata, parvero darmi il tormento nei successivi istanti. Sembrava quasi che volesse assicurarsi di recarmi fastidio anche in sua assenza.
Quanto lo detesto.
“Allora, come va?”. Mi riscossi alla voce della mia nuova amica. “Hai iniziato a lavorare da solo un’ora e hai già servito un gran fico”, mi fece notare con espressione sorniona. “Dimmi che ci hai provato mentre la sua ragazza era al tavolo”, aggiunse con un ammiccamento.
Il pensiero mi fece arricciare il naso. “Ma anche no”, borbottai per risposta e, con un movimento brusco, chiusi la cassa, dopo aver riposto il denaro negli appositi scompartimenti.
“Mi stai dicendo che uno del genere non ti ispira?”, mi domandò in tono incredulo. Mi scrutò con aria clinica e scosse il capo. “Ragazza, hai bisogno di un oculista”.
Mi strinsi nelle spalle. “Se si escludono la sua maleducazione, i suoi sorrisetti diabolici, la sua arroganza, il suo snobismo e tutti i fastidi che mi ha creato per puro dispetto, potrei concederti che è passabile. Ma nulla di straordinario”, replicai in tono composto. Di fronte al suo sguardo scettico, sorrisi con finta noncuranza. “Te lo assicuro. L’unica cosa che potrebbe ispirarmi è una buona dose di violenza”,
“Oh, quello sì che a me ispira e non immagini quanto”.
Mi resi conto che il suo tono era cambiato repentinamente, divenendo più appassionato. Si era appoggiata al bancone coi gomiti e stava osservando una coppia di amici che era appena entrata nel locale. Il primo ragazzo era piuttosto basso, aveva capelli castani e folti, piuttosto scarmigliati e gli occhi di una bella tonalità di turchese. Il suo amico era allampanato, aveva il viso pallido e i capelli rossi. Notai che sul suo volto apparivano spesso delle comiche espressioni, mentre parlottavano tra loro di qualcosa.
Daniel”. Mi spiegò Amy in un sussurro, facendo cenno al ragazzo castano che stava prendendo posto con il suo amico.
 “Oh sì, direi che Daniel riassume perfettamente tutto”, risposi nella nostra lingua madre. La osservai con un moto di curiosità perché avevo l’impressione che quell’interesse avesse una storia più lunga alle spalle che avrei voluto farmi raccontare. Evidentemente si trattava di un cliente abituale.
“Sarah?”.
Mi riscossi quando Neville mi si avvicinò con il cordless del locale tra le mani.
“C'è un ragazzo al telefono: ha chiesto di te”. Mi porse l'apparecchio che presi con espressione interdetta.
“Per me?”, chiesi conferma. Che Sean  avesse avuto bisogno di rintracciarmi urgentemente? Sembrava plausibile dal momento che avevo lasciato il cellulare nel ripostiglio per non avere interruzioni. Mi allontanai per cercare un po’ di quiete dal brusio generale.
“Pronto?”. Risposi con voce esitante, sperando che non fosse successo nulla di grave.
“Stavo giusto dimenticando… gradirei ordinare delle paste per domattina. Vorrei che mi fossero consegnate a scuola alle 8.45”. Riconobbi la voce di Tom e il mio cervello parve spegnersi.
Non soltanto aveva trovato un altro modo per darmi il tormento, ma neppure si era preso la briga di salutarmi come una persona civile. Fissai lo sguardo nel vuoto con aria incredula.
Non è possibile. Deve essere un incubo. Adesso mi sveglierò e scoprirò che sono ancora a letto.
“Una vera fortuna che il tuo capo mi abbia fornito il numero del bar”,  soggiunse in tono casuale. Sembrava totalmente incurante dell’assenza di una mia risposta o di un qualsiasi suono che attestasse che fossi ancora all’ascolto. “Spero tu abbia carta e penna”. Il suo tono era tornato svogliato e autoritario e strinsi in un pugno la mano libera. Se avessi avuto i poteri di Darth Vader lo avrei strangolato a distanza, ma mi limitai ad emettere un cupo ringhio[8].
“Ascoltami bene perché non lo ripeterò: io non sono in servizio domattina”, iniziai in tono fintamente lezioso. “Ma soprattutto non sarò mai e poi mai AL TUO SERVIZIO”. Enfatizzai a voce più alta le ultime parole.
Oh”, si concesse di apparire vagamente confuso, ma avrei potuto scommettere tutti i miei risparmi che stesse sogghignando. “Mi dispiace, immagino che sarai costretta a svegliarti presto perché dubito che Mr Riddle voglia perdere un cliente facoltoso perché una delle sue cameriere si comporta in modo poco professionale”. Accarezzò con voce vellutata quell’insulto e dovetti trattenermi dall’urlare per la mera frustrazione.
“Come ti permetti?!”, sbottai in tono indignato, gesticolando furiosamente con la mano libera. “Non solo mi hai reso il primo giorno, anzi, la prima ora di lavoro insopportabile, ma hai anche la faccia tosta di telefonare al bar, chiedere espressamente di me per potermi insultare?!”, la mia voce era divenuta sempre più acuta in corrispondenza all’intensità delle accuse che gli stavo rivolgendo. “Sai che cosa ti dico?!”. Non attesi risposta e cercai di passare in rassegna tutte le frasi più volgari che conoscevo nella sua lingua madre.
“Che cosa sta succedendo, signorina?”, sibilò una voce fin troppo familiare. Ero talmente infervorata e concentrata nella mia invettiva da non essermi accorta che era uscito dal suo ufficio. Boccheggiai ma cercai di riprendere rapidamente il controllo e spiegargli la situazione. Riddle torreggiava su di me, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo severo.
“Mi scusi, stavo cercando di spiegare a un cliente che non sarò disponibile per una consegna mattutina. Ma temo che si trovi in una zona in cui la ricezione non è ottimale, così ho dovuto alzare la voce”, mentii spudoratamente, guardandolo dritto negli occhi e cercando di simulare la mia espressione più innocente.
Mi guardò così a fondo che ebbi timore che potesse leggermi il pensiero, ma mi porse la mano con il palmo aperto. “Dia a me, ci parlerò personalmente”.
Mi morsi il labbro ma obbedii e i suoi lineamenti furono alterati dal sorriso che gli contorse le labbra. Sembrava che per lui fosse importante mantenere una parvenza di cordialità, persino quando non aveva l’interlocutore di fronte a sé. “Buongiorno, sono il proprietario, come posso aiutarla?”, usò il suo tono più affascinante. Annuì un numero indefinito di volte, prendendo nota sul proprio taccuino. Senza mai smettere di sorridere.
Evidentemente tra psicopatici con lo stesso nome ci si intende, pensai tra me e me. Forse avrei dovuto approfittare di quell’espediente per tornare al bancone e sperare che Riddle si dimenticasse di me.
“Molto bene, domattina alle 8.45”, confermò con la stessa professionalità. “Le assicuro che la signorina in questione sarà più che disponibile ad accontentare la sua richiesta fino alla fine del semestre. Grazie a lei e buona giornata”. Lo congedò con lo stesso sorriso affabile e mi porse il taccuino su cui aveva scritto con calligrafia elegante. “Lo porti alla signora Sprite e le dica che le paste devono essere sfornate ogni mattina alle 8.30. Si occuperà lei della consegna visto che già conosce l’indirizzo”.
Mi sentii sul punto di svenire all’idea che ogni singolo giorno avrei dovuto presentarmi di fronte a quell’ignobile essere fino alla fine del semestre. Non riuscivo razionalmente a capire che cosa avessi mai fatto di male perché il ragazzo si accanisse in quel modo nei miei confronti.
“Credevo che avesse deciso che da domani mi sarei occupata dei turni pomeridiani e qualche volta della chiusura serale”, mormorai in tono contrito, ma cercando di mantenere un atteggiamento umile che non lo indisponesse ulteriormente. 
“Il nostro cliente, per qualche arcano motivo di cui francamente non mi importa, l’ha richiesta espressamente”. Mi rivelò in tono indifferente mentre era intento a rivolgere sorrisi di congedo o di benvenuto alla clientela in movimento nel locale. Ad eccezione del duetto costituito da Daniel e dal suo amico ai quali, invece, rivolse uno sguardo torvo. Forse non avevano consumato cibo a sufficienza per i suoi gusti.
“Non potrebbe farlo qualcun altro?”. Sarei persino stata disposta a supplicarlo o a farmi fare delle trattenute dallo stipendio ma capii che era tutto vano dal modo in cui i suoi occhi si ridussero in due fessure.
“Naturalmente”, mi sorrise in modo repentino ma tutt’altro che caloroso, mentre controllava distrattamente il suo orologio da polso. “Se lei può permettersi di non lavorare o di licenziarsi dopo solo un’ora di servizio”.  Parve soddisfatto quando fui incapace di articolare suono. “Sapevo che avrebbe capito”. Mi strinse brevemente la spalla con le sue lunghe dita gelide. “Adesso torni ad occuparsi dei clienti: la sua pausa è finita ma il mio esame tutt’altro”.
 
~

Chiusi l’uscio alle mie spalle e rilasciai un lungo sospiro. Mi passai una mano sul viso come a far scivolare i residui di stanchezza. Sentivo il bisogno fisico di una doccia e di indossare dei vestiti casalinghi per poter avere realmente la sensazione di lasciarmi quella lunghissima giornata alle spalle. Mi tolsi il cappotto e lo appoggiai sullo schienale del divano. Mi sembrava passata una vita da quando Mrs Umbridge lo aveva guardato con aria di rimprovero.  
“Sono tornata”, mi annunciai con voce stanca.
Morgana stava canticchiando allegramente in cucina: evidentemente le sue ricerche per un lavoro stavano dando dei risultati promettenti. Alle mie parole si era alzata ed era venuta in soggiorno, ma il sorriso allegro sembrò congelarsi dopo aver incontrato il mio sguardo.
 “Hai un aspetto orribile”. Sentenziò dopo un breve scrutinio. Superfluo dire che ciò non fosse particolarmente incoraggiante, soprattutto considerando che lei, al contrario, sembrava in ottima forma. Ancora profumava di una recente doccia e, come sempre, aveva i capelli ben pettinati e il trucco così bene applicato da poter fare concorrenza a Clio Make Up in persona.
“Dimmi qualcosa che non so”, borbottai per risposta.
“Giornata difficile?”, mi domandò con il volto inclinato di un lato.
Incrociai le braccia al petto e mi scostai i capelli dal viso con una vaga smorfia di assenso.“Non ho voglia di parlarne”. Mi diressi verso la cucina e aprii il frigorifero alla ricerca di qualcosa da bere.
Morgana mi rivolse un sorriso persino più complice. “Ma lo sai che così mi rendi più curiosa”, simulò un’espressione più puerile e lo sguardo scintillò. Stava esibendo la sua espressione più accattivante, quasi sperando che ciò bastasse a farmi demordere. “E se ti preparassi una tazza di the?”.
La mia mente associò a quella frase il sorrisetto beffardo di Tom nel formulare quella prima richiesta in quel tono arrogante e maleducato che sembrava così tipico di lui.
“No”, risposi seccamente. “Te lo chiedo per favore: non ho voglia di parlare!”, aggiunsi dopo averla guardata dritto negli occhi. Le parole mi uscirono forse con troppa foga, ma non ero fisicamente e psicologicamente pronta a raccontare quella giornata e riviverla con il ricordo. Senza contare che la prospettiva di iniziare l’indomani con quella consegna mattutina, mi stava già deprimendo e facendo venire voglia di telefonare a Riddle per rassegnare le dimissioni. Non era solo il pensiero dei miei genitori a farmi desistere e il mio orgoglio personale. Amy si era esposta per me, pur conoscendomi appena, e non potevo farle questo. Inoltre, anche se conoscevo appena gli altri membri del personale, non volevo sembrare loro una persona più inaffidabile di Lavanda Brown e durare persino meno di lei.
Morgana parve realmente senza parole di fronte alla mia reazione inaspettata. In altre circostanze avrei dovuto annotare quell’evento sulla mia agenda come qualcosa di straordinario. Tuttavia, prima che potesse formulare una domanda alternativa, uscii rapidamente dalla cucina e mi chiusi in bagno. Avevo decisamente bisogno di restare sola e scrollarmi di dosso le emozioni negative che avevo accumulato durante la giornata.
 
Mi concessi una lunga doccia calda, coccolandomi con un buon bagnoschiuma e, dopo essermi cambiata, mi gettai letteralmente sul mio letto. Non avevo realmente sonno, ma mi rilassai e cercai di svuotare la mente. Ciò che rendeva tutto persino peggiore era l’idea che ciò fosse solo l’inizio di una lunghissima ed estenuante tortura a cui avrei dovuto sottopormi quotidianamente.
Avevo perso la cognizione del tempo e mi stavo quasi assopendo, quando sentii bussare alla porta. “Avanti”, mormorai, dopo essermi strofinata il viso con una mano.
Morgana non esibiva quel suo sorrisetto più irriverente o sensuale. Aveva reclinato il viso di un lato e mi stava osservando con espressione incerta. Non potei fare a meno di notare con un guizzo di buon umore, reggeva tra le mani un vassoio con due tazze fumanti di cioccolata calda, appena preparata. “Posso offrirti una tazza del tuo amatissimo Ciobar?”, mi domandò.
Quella gentilezza del tutto spontanea e l’alone premuroso dello sguardo mi fecero sorridere ed annuii, facendole cenno di entrare nella camera. Morgana coprì la distanza con un sorriso, appoggiò delicatamente il vassoio sul comodino e si stese al mio fianco, appoggiandosi alla testiera del letto. Sollevammo le nostre tazze e le facemmo cozzare come per un brindisi. Era una sorta di rituale nel nostro rapporto, quando l’una o l’altra aveva un malumore di qualsiasi natura: riuscivamo a mettere tutto momentaneamente da parte e a concederci un po’ di relax o ad affogare i dispiaceri in una bella tazza di cioccolata o in una vaschetta di gelato. Talvolta anche guardando e riguardando i nostri film preferiti, anche se conoscevamo le battute a memoria.
Dopo un sorso di cioccolata mi appoggiai con il capo alla sua spalla. “Scusami per prima, è stato un inferno. E non un inferno piacevole con Tom Ellis[9]”, borbottai, facendo riferimento a una delle serie tv a cui ero particolarmente dedita in quel periodo.
Morgana mi diede un buffetto sul naso. “Avevo immaginato qualcosa del genere”, mormorò con un sospiro. “Se non ti va di parlarne non preoccuparti, vorrei soltanto aiutarti in qualche modo. Potrei sedurre il tuo principale o aiutarti a seppellire un cadavere”, soggiunse con un alone più furbesco nello sguardo che mi strappò una risatina. “Qualunque cosa per te”.
Sorrisi per risposta e sorseggiai un lungo sorso della mia cioccolata calda, prima di farmi coraggio e cominciare a raccontarle per filo e per segno ciò che era accaduto. Ritenni necessario cominciare proprio da quell’aneddoto a casa Biggerstaff, fino a raccontarle minuziosamente tutte le provocazioni e i fastidi che Tom mi aveva creato quel mattino. Morgana rimase in perfetto silenzio, anche se in più di un’occasione aveva inarcato le sopracciglia con espressione interrogativa. Talvolta aveva stretto le labbra quasi a cercare di contenere un sorriso per non offendermi. L’apice della sorpresa e dell’incredulità era stato raggiunto quando le avevo raccontato della consegna mattutina che avrei dovuto effettuare ogni giorno, fino alla fine del semestre, recandomi personalmente all’Accademia frequentata da Sean e da Tom stesso.
“La prima certezza da tutta questa storia è che questo Tom sia veramente an asshole[10]”, sottolineò nella sua lingua madre e non potei che annuire. Anzi, forse avrei dovuto esercitarmi per riuscire a dirlo con la stessa fluidità. “Mi domando come una persona gentile e premurosa come Sean possa andarci d’accordo o permettergli di frequentare casa sua”.
Non  potei che aggrottare le sopracciglia alla sola idea di accostare quelle due personalità così differenti. Effettivamente non riuscivo a spiegarmi che cosa Sean ci trovasse in simile compagnia, soprattutto considerando che lui stesso doveva essere spesso oggetto della sua insolenza.
“Non capisco per quale motivo si sia accanito in questo modo nei miei confronti”, commentai in tono incredulo.
Morgana sospirò per risposta, lo sguardo pensieroso. “Da come lo descrivi mi sembra un ragazzo fin troppo sicuro di sé e del suo presunto fascino – rise del mio verso disgustato – ma probabilmente quel vostro primo incontro lo ha colpito”. Alla mia espressione perplessa mi sorrise divertita. “Mettiti nei suoi panni: deve essere abituato a vedere sguardi leziosi e ciglia sbattute in sua direzione per tutto il tempo, elemento che certamente alimenta il suo ego, ma al contempo lo rende soggetto alla noia. Poi arrivi tu, una straniera immune al suo fascino e alla sua prepotenza che gli tiene testa e non sembra minimamente impressionata da lui. Anzi, gli dice bellamente in faccia di non essere stata felice di incontrarlo. Aggiungici che sicuramente Sean deve averlo rimproverato e che lui se ne sia completamente fregato. Deve aver pensato che non ci fosse alcun motivo per cui vi incontraste di nuovo. Fino a oggi, quando l’occasione era troppo ghiotta per non cercare un po’ di divertimento a tue spese. Non credo che sia nulla di personale, se questo ti può far stare meglio. E’ semplicemente uno stronzo e tu ti sei trovata sul suo cammino e oltretutto nel ruolo che ti aveva attribuito al primo impatto. Sembra uscito da un libro della Kinsella”.
Ero rimasta ad ascoltarne quella spiegazione dettagliata con le labbra schiuse, realmente impressionata dalla sua magistrale abilità a interpretarne gli atteggiamenti e i modi di fare. “Sembra quasi che tu lo conosca da prima di me”.
Morgana si schermì con uno scrollo di spalle. “Ho qualche esperienza con soggetti simili”, rivelò con un sorriso. “All’inizio li trovavo interessanti, non lo nego, ma con il tempo il gioco di seduzione perde fascino, se non è accompagnato da un sentimento concreto. Diciamo che adesso mi piacciono i bravi ragazzi. E poi diciamocelo, mi riesce meglio il ruolo della cattiva e ho bisogno di qualcuno di diverso da me”, soggiunse con un moto di auto-ironia che le fece scintillare lo sguardo.
Risi per risposta e mi rilassai, grata di aver dato sfogo al mio nervosismo. Mi feci più pensierosa. “Quindi, dimmi, che cosa dovrei fare con quel tipo?”.
“Esattamente il contrario di quello che vorrebbe. E’ lodevole che tu non ceda al suo presunto fascino, ma continui a mostrargli che la sua presenza ti infastidisce, ti innervosisce o ti procura istinti omicidi”.
“Sì, sì e sì”, confermai.
Morgana rise, ma mi diede un buffetto.“Anche agendo in questo modo fai il suo gioco. In un modo contorto sembra che questo gli sia fonte di divertimento, quindi la cosa più saggia e salutare per te è cercare di dimostrarti del tutto indifferente”.
“So che teoricamente hai ragione, ma non sono mai stata brava a nascondere le mie emozioni”, ammisi con un sospiro. “E lui, credimi, ha un talento naturale nel tirare fuori il peggio di me”.
“Ragione per cui se vuoi sopravvivere e sperare di diventare presto ai suoi occhi noiosa e banale, devi fare del tuo meglio per nascondergli il tuo stato d’animo. Sii professionale, posata e pacata e ti assicuro che nell’arco di un paio di giorni recepirà il messaggio e lascerà perdere. Dubito che in ogni caso l’ordine dovesse riguardare l’intero semestre. Sicuramente dopo che te ne sarai andata, telefonerà al tuo capo per disdire tutto e tu andrai avanti come nulla fosse”.
“Professionale, pacata e posata, sì. Mi sembra perfetto!”.
 
 
Trattenni impercettibilmente il fiato di fronte all’imponente edificio che ospitava il Conservatorio. Si trattava di una costruzione in cui lo stile classico sembrava fondersi con quello moderno in modo armonioso. La facciata era ricoperta di mattoni rossi e vi erano ampie vetrate che permettevano alla luce del sole di entrare nelle sale da ballo e nelle aule dedicate al Drama Club e alle rappresentazioni teatrali. Sulla facciata vi era l’acronimo del nome ufficiale[11]. Ai piedi della scalinata che dava sull’ingresso principale, mi guardai attorno e mi confusi tra la fiumana di studenti. Indossavano tutti di soprabiti eleganti, sotto i quali si poteva intravedere un completo in giacca e cravatta. Si doveva trattare di un ambiente molto prestigioso in cui, seppur mancassero le uniformi, era particolarmente importante rispettare un certo codice di abbigliamento. Non potei che sentirmi a disagio con la mia tenuta da lavoro.
Mi feci coraggio e salii gli scalini, ma cercai con lo sguardo dei cartelli che mi indicassero dovrei avrei potuto trovare una segreteria o un ufficio a cui rivolgermi affinché le paste fossero consegnate al diretto interessato. Non vedendo nulla di simile e non volendo perdere ulteriore tempo, cercai di prendere il cellulare per chiamare Sean in mio aiuto.
Sussultai quando una figura bassa e tozza mi si parò di fronte. Sembrava incredibilmente fuori posto in quell’ambiente tanto sfarzoso, ma doveva trattarsi dell’inserviente, poiché indossava abiti da lavoro. L’uomo doveva essere sulla settantina a giudicare dalle rughe e dalla pelle raggrinzita. Sulla sommità del capo aveva capelli stopposi e brizzolati che gli arrivavano alle spalle, la barba incolta e lunghe basette. Tutto ciò gli conferiva un aspetto rozzo.  Mi scrutò in maniera ostile e sembrò fiutare ciò che tenevo tra le braccia, a giudicare da come dilatò le narici. “Non sono ammessi estranei in quest’Accademia”. Mi abbaiò contro con voce gracchiante.
Restai a debita distanza per evitare che mi sputacchiasse addosso mentre parlava. “Buongiorno”, cercai di rabbonirlo con un sorriso. “Dovrei consegnare questo vassoio a uno degli studenti, dopodiché toglierò immediatamente il disturbo”.
“Quale studente?”. Domandò in tono sospettoso, quasi temesse che fossi una stalker squinternata o un’infiltrata speciale sotto copertura.
Mi morsi il labbro. Eppure avrei dovuto ricordare il suo cognome. “Tom”, balbettai. “Tom e qualcosa”. Cercai di darne una descrizione fisica dettagliata, ma l’uomo di fronte a me non cambiò espressione. Sospirai. “Mi lasci entrare: lo rintraccerò con l’aiuto di un mio amico e me ne andrò subito dopo aver consegnato il vassoio”, proposi in tono ragionevole.
L’uomo strinse le braccia al petto, tutt’altro che convinto.  Mi morsi il labbro inferiore, guardandomi attorno nella speranza che qualcuno comparisse: Sean, Tom o persino la sua ragazza se necessario.
“Lei non può restare qui”, berciò nuovamente.
“La prego, rischio il mio lavoro se non consegno questo vassoio”, cercai di dissuaderlo in tono implorante. Non potevo davvero arrendermi a quel punto.
“Ma che buon profumino”, mi riscossi all’udire una voce allegra e pimpante. Mi volsi verso un uomo anziano. Aveva una lunga barba bianca, un sorriso raggiante che si sarebbe perfettamente abbinato a un biglietto natalizio e brillanti occhi azzurri, dietro gli occhiali. Guardò da me all’inserviente con un sorriso. “C’è qualche problema con questa signorina, Argus?”.
Il suddetto Argus parve persino imbronciarsi maggiormente all’intervento del nuovo arrivato. “Un’intrusa, Signor Preside, sta cercando di intrufolarsi per non so quale motivo!”.
Scossi il capo, ma mi rivolsi al Preside con espressione di scuse. “Non volevo creare tutto questo trambusto”, mi schermii con un sorriso. “Dovrei consegnare queste paste a uno dei suoi studenti, ma sfortunatamente non so dove rintracciarlo”.
L’uomo mi sorrise e annuì. “Dobbiamo lasciarla passare, Argus. Non possiamo certo permettere che queste delizie si raffreddino”.
Gli sorrisi colma di gratitudine, ma prima che potessi avanzare, allungò una mano verso l’involucro. “Posso?”, mi domandò in tono così bonario e goloso che non potei che sorridergli. Mi stava istintivamente simpatico soltanto per quelle sembianze da Santa Claus.
“Ma certo, si serva pure”, sollevai delicatamente un lembo dell’involucro e l’uomo scelse una delle paste più grandi.
 “Mmm”, la gustò con sguardo raggiante.  “Il vecchio Tom sa il fatto suo in fatto di ristorazione[12]”, lo sentii commentare, dopo aver letto il nome del pub.
“Lei lo conosce?”, domandai sorpresa da quella familiarità con il suo nome.
“Certamente”, mi sorrise con aria bonaria. “Sono stato un suo insegnante, ma tanto tempo fa. Era il mio pupillo nonché uno degli studenti migliori di questa Accademia, ma ahimè è passato tantissimo tempo”, soggiunse e parve intristirsi al pensiero.
Riddle un promettente attore?! Non vedevo l’ora di tornare al pub per raccontarlo ad Amy. Il Signor Riddle era un uomo incredibilmente discreto, tanto che nessuno conosceva alcunché della sua vita privata ma c’erano infinite speculazioni sul suo conto. Smith, ad esempio, asseriva che la scorsa settimana aveva indossato per due giorni consecutivi lo stesso completo e che la giacca era impregnata di un profumo femminile. Dean Thomas, invece, giurava di averlo visto in un ristorante lussuoso dall’altra parte della città con una donna alta e affascinante che sembrava avere il portamento da modella.
“Purtroppo non posso restare a chiacchierare: ho una noiosissima riunione che mi attende. Grazie del nostro dolce incontro”, mi sorrise con aria complice, alludendo alla pasta e si allontanò.
“Non si intrufoli nelle aule”, mi minacciò l’inserviente, lasciandomi finalmente passare.
“Le assicuro che sono impaziente quanto lei di andarmene”, sospirai per risposta e mi confusi tra gli studenti. Stavo per comporre finalmente il numero di Sean, quando il vassoio mi fu letteralmente strappato dalle mani da Tom in persona. Indossava un completo scuro, con tanto di cravatta.
“Finalmente ce l’hai fatta”, commentò con espressione stoicamente sorpresa. “Pensavo che Gazza avrebbe chiamato la sorveglianza”.
Sbiancai. “Se hai visto che ero in difficoltà perché diavolo non-”. Mi sovvennero le parole di Morgana e scossi il capo, sollevando le mani come se con quel gesto volessi ricordare a me stessa di dover mantenere la calma. “Non importa. Ad ogni modo questa è la tua consegna”.
 “Bene”. Sollevò la carta per poi osservare le sue paste con lo stesso fare analitico con cui aveva osservato le tazze di the. “Anche se in ritardo”. Precisò dopo aver controllato l’ora con un gesto enfatico.
Sospirai ma cercai di controllare la risposta acida che mi era sovvenuta in mente, sottolineando che sarei giunta in orario se lui si fosse fatto trovare all’ingresso, anziché costringermi a entrare e a cercarlo tra centinaia di sconosciuti.
Inarcò le sopracciglia alla mia mancata risposta, ma si strinse nelle spalle. “Quanto ti devo?”.
Gli porsi lo scontrino stampato e lui mi consegnò una banconota dal taglio di cinquanta sterline che mi fece sollevare gli occhi al cielo.
Posata, mi aveva suggerito Morgana. Quindi contai mentalmente fino a dieci e mi costrinsi a sorridergli con aria affabile. “Ti ho consegnato un vassoio di paste, non uno scaffale di bibite”, gli feci notare in tono paziente. “Non ho abbastanza contante per darti il resto”.
 “Ah”, si finse teatralmente sorpreso dalla mia risposta.  Non poteva essere così stupido da pensare che Riddle mi avrebbe consegnato il contenuto della cassa, ragion per cui si trattava dell’ennesimo espediente per crearmi fastidio. Scrollò le spalle. “Vorrà dire che passerò più tardi al bar per pagare”.
Dunque era questo il suo scopo? Una scusa legittima per disturbarmi anche di pomeriggio?
Al solo pensiero di rivederlo, dal momento che sarei stata di turno fino alla sera, una delle mie palpebre cominciò a tremare in un evidente sintomo di nervosismo.
Professionale, sentii nella mia mente la voce di Morgana. Annuii tra me e me, come se stessi ancora dialogando con lei.
“Oh, non c'è bisogno”. Gli sorrisi con aria comprensiva che lo lasciò interdetto. Tuttavia, repentinamente, un sorriso più beffardo gli increspò le labbra e lo sguardo parve scintillare. “Mi stai dicendo che queste le offri tu?”. Aveva parlato strascicando lentamente le parole, carezzandole con voce vellutata, probabilmente una delle sue tecniche di rimorchio più collaudate. Peccato che a me ricordasse una serpe con il diabolico intento di stordire la sua vittima, prima di infliggerle il morso letale o stritolarla tra le proprie spire.
 “No”, risposi altrettanto tranquillamente, ma riprendendomi il vassoio. Modulai la mai voce per recitare, con tutta la passione possibile, uno dei motti preferiti del mio capo. “Niente pagamento, niente consegna”.
Aggrottò le sopracciglia e questa volta mi guardò come se pensasse che avessi qualche problema cognitivo. “Mai sentito parlare di credito? Sono sicuro che il tuo capo non voglia perdere un cliente come me”.
Mi strinsi nelle spalle. “Certamente non vorrebbe che tornassi al pub senza i soldi che mi devi e, dopotutto, perché dovremmo fidarci di te?”, gli feci notare con il voluto intento di infastidirlo per simile zelo encomiabile.
“Vorresti sprecare quelle paste per ripicca personale?”.
“Non lo farei mai”, commentai in tono teatralmente sdegnato a simile accusa. “Piuttosto le mangerò io stessa o le regalerò al Preside. Me le farò detrarre dallo stipendio e riferirò al Signor Riddle che hai cambiato idea sulle tue ordinazioni mattutine”.
“Non oseresti”. Sembrò sfidarmi con cipiglio altezzoso e un lieve raggrinzire del naso che alimentò quel malsano desiderio di vendetta.  
Lo guardai dritto negli occhi mentre, con un movimento fluido, scoprivo le paste. Scelsi una delle più appetitose e la sollevai in sua direzione. “A differenza della tua ragazza, io non mi preoccupo della dieta”, gli feci presente.
Professionale, sentii nuovamente la voce della mia amica, ma questa volta me la immaginavo con espressione rassegnata, mentre mi guardava fare tutto il contrario di quanto mi aveva suggerito. Non mi stavo dimostrando abbastanza distaccata, ma stavo facendo il suo gioco e abbassandomi al suo livello. Quasi volendo coprire il suono dei miei pensieri, morsi la pasta con sincera delizia che mi fece mugugnare.
“Oh, lo vedo”, fu il commento di risposta. La soddisfazione per quel gesto puerile lasciò spazio alla confusione quando mi resi conto di quale sguardo mi stava rivolgendo. Sembrava quasi che io avessi compiuto qualcosa di vagamente “sexy” che ne aveva fatto inarcare le sopracciglia con espressione allusiva e un sorrisetto provocatorio che mi fece quasi strozzare.
Inclinò il viso di un lato e mi dedicò un lento e accurato scrutinio che mi fece quasi sentire volgare, tanto da indurmi a indietreggiare, come se mi sentissi in pericolo.
“Stai insinuando che sono grassa?”, domandai vagamente piccata.
Contorse le labbra e sembrò trattenere a stento un moto di ilarità, ma affondò le mani nelle tasche dei pantaloni e assunse un’espressione fintamente pensierosa. Lo sguardo emanò uno scintillio più vispo. “Personalmente non mi dispiacciono le curve morbide”. La sua voce carezzevole e setosa sembrò solleticarmi i timpani mentre le guance si pitturavano di mero imbarazzo. Il suo sguardo indugiò sui miei fianchi e un verso strozzato di indignazione mi sgorgò dalle labbra. Indietreggiai, fino a quando non sentii il contatto con la parete alle mie spalle e mi sentii letteralmente in trappola. Non solo fisicamente.
Tom sollevò lentamente una mano e mi sfiorò uno zigomo con un lieve movimento dell’indice. Se lo portò alle labbra e le schiuse per assaggiare lo zucchero a velo che aveva preso dal mio viso. Se le umettò ed emise un mugugno di piacere che mi fece letteralmente perdere il conto dei miei battiti e scorrere un brivido inspiegabile lungo la spina dorsale.
“Niente male”. Sussurrò, ma guardandomi così intensamente che si sarebbe potuto sospettare che alludesse a ben altro.  
Mi resi vagamente conto che quel teatrino che avevamo improvvisato era tutt’altro che privato a giudicare dagli sguardi curiosi, perplessi e taluni persino scandalizzati che avevamo attirato. In particolare due gemelle dai lineamenti indiani[13] mi stavano scrutando, parlottando tra loro con aria di evidente disapprovazione. Mi scostai dalla parete, allontanando Tom con un gesto secco e mi volsi alle due ragazze in questione. “Che cosa avete da guardare? Volete anche voi delle paste?”, domandai in tono risentito, volgendomi in loro direzione come a volerle offrire.
Sentii la pressione improvvisa della mano di Tom sul mio braccio. Mi fissò con aria incredula. Quell’alone sensuale era scomparso repentinamente. “Ci tieni così tanto ad essere licenziata?”.
Con un tempismo degno di una commedia romantica la campanella suonò e gli alunni cominciarono a muoversi verso le rispettive classi.
Mi liberai con uno strattone. “Schifoso ipocrita!”, lo additai con espressione disgustata. “Hai fatto di tutto per farmi perdere il controllo e sfigurare, anche se era solo il mio primo giorno di lavoro”.
Tom ebbe la compiacenza di fingersi sorpreso dalla mia accusa. “Che razza di ingrata!”, commentò in tono stizzito. “Ovviamente era tutto pensato per farti fare bella figura”, mentì spudoratamente, guardandomi negli occhi. L’espressione si ammorbidì e reclinò il viso di un lato. “Anzi, a ben pensarci, dovresti ringraziarmi”, mi fece presente, rivolgendomi nuovamente quello sguardo a suo dire seduttivo.
Che cosa?!”, la mia voce sembrò riecheggiare in quell’ampio atrio.
Al diavolo! Osservai la pasta che tenevo ancora tra le mani e reclinai leggermente il braccio, guardandolo minacciosamente, quasi stessi trattenendo tra le mani un ordigno esplosivo.
Inarcò le sopracciglia e strinse le braccia al petto con aria di sfida. “Non lo farei, se fossi in te”.
Sorrisi per risposta, del tutto incurante della mia razionalità e di tutto ciò che normalmente avrei etichettato come “giusto” o “sbagliato”. Flettei il braccio all’indietro per avere maggiore slancio e lanciai la pasta. Tom, dando prova di ottimi riflessi, si scostò di lato e il dolcetto si infranse contro la camicia di un uomo.
Sgranai gli occhi e gemetti mentre il povero malcapitato scrutava l’alone che si era creato sul tessuto candido fino a pochi secondi prima. Era un uomo sui quarant'anni seppure i capelli castani fossero già striati di grigio e aveva una certa eleganza, nonostante il completo sembrasse piuttosto trasandato e fuori moda.  Mantenne la calma, seppur la sua espressione ne tradisse l’incredulità. Era ragionevole pensare che non fosse un evento quotidiano e dovevo realmente ringraziare il cielo che l’inserviente non fosse nei paraggi o molto probabilmente mi avrebbe fatto scortare fuori e poi emettere un’ordinanza restrittiva che mi impedisse di entrare nuovamente. Senza contare le spese della tintoria che avrei dovuto rimborsare personalmente all’uomo.
“Felton, che cosa sta succedendo?”. Domandò, in tono pacato.
Tom, con mio grande scorno, stava sogghignando tra sé e sé con aria palesemente soddisfatta. Neppure nelle sue fantasie più idilliache doveva aver immaginato di giungere a quel risultato. Con mia sorpresa, si rivolse all’uomo con espressione altezzosa ed incurante. O era maleducato con tutti, persino con il corpo docente, oppure quell’uomo, per qualche arcano motivo, non si avvaleva del suo rispetto. “Nulla di particolare, professor Lupin”. Rispose con uno scrollo di spalle. Non potei fare a meno di notare una nota di sarcasmo nel chiamarlo “professore”.  
Io invece mi affrettai ad avanzare in sua direzione e a porgergli una salvietta di carta. “Mi dispiace veramente tanto”, mormorai con le guance colorate di imbarazzo. “So che non avrei mai dovuto lanciare del cibo, ma in ogni caso era destinato a qualcun altro”, soggiunsi e scoccai un’occhiataccia a Tom che sembrava persino più divertito. Notai che non dava alcun adito a volersi a sua volta scusare.
L’uomo non parve particolarmente interessato alle mie scuse. Mi studiò per un lungo istante con sguardo attento e neppure sembrava curarsi della macchia sulla camicia. Al contrario, inclinò il viso di un lato e mi osservò con le sopracciglia inarcate. “Lei sarebbe...?”.
“Una cameriera”.  Intervenne il ragazzo con voce suadente. “Ha qualche problema ad accettare il suo ruolo, per non parlare della sua pessima gestione della rabbia”, spiegò in tono mellifluo.
Mi volsi in sua direzione con il volto trasfigurato dalla stizza. “Tutto questo non sarebbe successo se tu non fossi…”, mi trattenni a stento dal rivolgergli un epiteto che peggiorasse ulteriormente la mia posizione. “Se tu non fossi semplicemente tu”, conclusi come se ciò riassumesse tutto quanto.
Tom sospirò con aria fintamente stoica, rivolgendosi all’adulto con uno scuotimento del capo. “Stavo solo cercando di aiutarla ad ambientarsi, sa”.
Maledettissimo stronzo, narcisista, psicopatico e bastardo”, lo insultai nella mia lingua madre, pronunciando quelle parole quasi senza prendere fiato. Tom esibì un’espressione volutamente sorpresa e io flettei il braccio all’indietro per dargli uno schiaffo. “Vieni qui, che ti do’ il resto”, aggiunsi in inglese.
Questa volta fu l’uomo a fermarmi. “Basta!”, ci interruppe in tono risoluto, guardando dall’uno all’altra. “Vi siete già resi abbastanza ridicoli. Adesso seguitemi, nell’ufficio del preside”.
“Cosa?!” Sbottammo entrambi in risposta e l'uomo annuì.
“Entrambi”, ordinò con voce enfatica, indicandoci la rampa di scale che avremmo dovuto salire.
“Ma io neanche la frequento questa Accademia”, commentai in tono incredulo. “Le rimborserò personalmente la tintoria, ma mi lasci tornare al lavoro: non volevo neppure entrarci qui dentro!”, conclusi con voce quasi strozzata.
“Ma non può punirmi per colpa di una cameriera!”.
Notando che le nostre lamentele non sortivano alcun effetto, ci voltammo l’uno verso l’altra: “E’ tutta colpa tua!”, ci additammo in tono rabbioso. “Mia?!”.
L'uomo sospirò con aria flemmatica, prima di mettersi in mezzo a noi e trascinarci entrambi per un braccio. Tuttavia il suo volto non appariva rabbioso e neppure impaziente. Vi era un sorriso a increspargli le labbra. E non uno qualsiasi, avrei realizzato da lì a poco. Era il sorriso di chi aveva appena trovato la risposta ai propri problemi.
 
To be continued…
 
25 Giugno 2018
Buon lunedì a tutti, 
spero di aver potuto umilmente contribuire a rendere piacevole questo esordio settimana. 
In questo capitolo rispetto alla prima versione ci sono stati dei cambiamenti relativi al fraseggio delle frasi e nella loro formulazione per rendere la lettura più scorrevole e il riadattamento di qualche battuta per renderla più attuale o aumentare l'effetto comico (o almeno l'intenzione era quella ;)). Sto riscontrando diversi difetti nel mio modo di scrivere di qualche anno fa che ci tengo a correggere di capitolo in capitolo. Ho voluto aggiungere dei dettagli per arricchire la storia di Amy e del suo trasferimento in Scozia e del tutto modificato la scena del rientro di Sara dal suo primo e disastroso giorno di lavoro con la successiva discussione con la sua coinquilina. 
Chiedo ancora scusa per il disagio che si potrebbe creare per chi avesse iniziato la storia soltanto adesso o per chi volesse rileggerla rispetto all'originale. Cercherò di revisionarla al più presto possibile. Non ho voluto cancellare interamente la storia e ripostarla per riguardo alle persone che avevano lasciato una recensione e avevano inserito questa storia tra i preferiti o tra le storie da ricordare. 
Buona settimana a tutti :)
 
30 Ottobre 2018
Nella seconda revisione di questo capitolo mi sono limitata ad aggiungere qualche spezzone dedicato all’organizzazione dello staff della Camera dei Segreti, aggiungendo diverse comparse prese dai libri di Harry Potter e dal cast di Merlin. Ho aggiunto qualche spunto comico con protagonista il proprietario del pub e corretto qualche lapsus o riformulato qualche frase :)
Grazie dell’attenzione e al prossimo capitolo,
 
Kiki87

 
 
[1] Sicuramente all’epoca in cui pubblicai questo racconto il valore del cambio era inferiore, ma ho voluto aggiornare anche questo dettaglio :)
[2] Per la descrizione del bar mi ero avvalsa delle informazioni che avevo letto su un sito internet. Purtroppo non ho più quel riferimento, così non posso fornirvi il link. Riguardo le regole sul consumo degli alcoli ho trovato informazioni qui  e qui
[3] Si tratta degli attori che hanno interpretato dei Cavalieri in “Merlin”. Sono rispettivamente gli interpreti di Galvano, Parsifal e Lancillotto.
[4] Nel racconto è Amy che fa da mentore  al mio alter ego :D Nella realtà è stata la stessa Evil Queen a suggerirmi questa idea che poi tornerà utile più avanti per una scenetta comica ;)
[5] Protagonista della bellissima serie fantasy e poliziesca iZombie. Come suggerisce il titolo stesso, si tratta proprio di una zombie :D
[6] Molto diffusi nel mondo anglosassone, si tratta di focaccine con cui spesso prendono il the: sono poco zuccherate ma vi spalmano spesso sopra del burro o della marmellata. Talvolta sono arricchite con frutta secca o da altri ingredienti, a seconda dei gusti personale e, presumo, delle tradizioni locali. In foto, vedete un esempio.  
[7] Lo shortbread è un tipico biscotto scozzese, tradizionalmente prepararto con una parte di zucchero, due di burro, tre di farina d'avena e altri ingredienti. Potete vedere una foto qui. 
[8] Si allude a una scena tratta dal V episodio di “Star Wars”, quando Darth Vader, esasperato dai fallimenti dell’ammiraglio al suo servizio, lo strozza con l’uso della Forza, attraverso una schermata video. Se volete rivedere questo aneddoto vi lascio il link
[9] Avevo promesso alla mia amica che, data la presenza di Morgana e altri personaggi di Merlin con i quali Tom Ellis ha lavorato in passato, avrei cercato un modo di inserirlo nella fanfiction :D Beh, l’idea mi è venuta del tutto spontanea dopo aver visto un episodio della serie tv “Lucifer” e dopo aver riletto questa battuta sull’inferno :D
[10] La traduzione è “uno stronzo” :D
[11] Perdonatemi ma le descrizioni degli edifici non sono davvero il mio forte :D Ad ogni modo ecco qui una foto dell’Accademia. 
[12] Come avrete intuito si tratta di Albus Silente al quale ho lasciato il ruolo di Direttore scolastico :)
[13] Le due ragazze sono le gemelle Padma e Calì Patil, tratte anche loro dall’universo di Harry Potter.
   
 
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