Sentirsi vivi

Quando la festa finì la luna era ormai alta nel cielo trapuntato di piccole scintille chiare, e quello spicchio, quella falce che tanto assomigliava ad un sorriso del firmamento, illuminava il mare immoto e la nuova nave su cui i giovani avevano ancora una volta preso il largo, pronti a proseguire il loro viaggio verso l’ignoto, verso l’avventura, verso i loro sogni. Anche lei ne aveva uno. Un piccolo, grande sogno che per vent’anni aveva dovuto sopprimere, soffocare, relegare nelle profondità del proprio animo, divenuto oscuro per permetterle una qualche sopravvivenza. Non ne andava fiera. Si era detestata a lungo per quella luce che aveva smarrito, per quel baratro in cui era stata costretta a calarsi, pozzo nero senza apparente via d’uscita. Però era sopravvissuta, e non se ne era mai chiesta la ragione; ma non perché non sapesse rispondere a tale domanda, quanto perché aveva il terrore di conoscere già la risposta: avrebbe dovuto rassegnarsi alla morte, eppure non vi era riuscita.

   Volse le iridi chiare verso il ragazzo che, stramazzato al suolo accanto a lei dopo la notte di baldoria, era sprofondato come gli altri loro compagni in un sonno calmo e ristoratore, capace di rimetterlo a nuovo più delle cure che il medico di bordo gli aveva subito prestate al termine della battaglia ad Enies Lobby. Sorrise, scrutando quei lineamenti gentili, quel volto bruno. Ai suoi occhi appariva bello come quello di chi le aveva dato la luce perché così era stato: quel giovane scapestrato, quel ragazzo semplice ma dai solidi ideali, le aveva letto nell’anima, insinuando gentilmente nel suo petto una mano e sfiorandole con dolcezza quel sogno che lei aveva cercato di nascondere a tutti, anzitutto a se stessa. E quel tocco amico, quel sorriso che le aveva donato nuovamente la speranza di poter gettare alle spalle quel passato oscuro che tanto aveva disprezzato, l’avevano costretta ad una rinascita. Grazie a quel giovane, ora, era fiera di poter gridare al mondo intero la gioia provata nello stare al mondo.

   Mosse una mano e gli sfiorò il viso, i capelli fra le dita, le labbra sulla fronte. Un bacio su quella cicatrice che, aveva sentito, si era procurato da bambino. Non riuscì a dire di no a quel lampo che le passò per la mente, e la sua bocca scese a cercare quella di lui, dolcemente, con purezza. «Grazie…» gli sussurrò sulle labbra. Lo vide muoversi, aprire gli occhi, sentì una mano che le scostava i capelli neri dal viso con una carezza. Le sorrise e levò il capo verso quello di lei, trovando di nuovo la sua bocca, schiusa per la sorpresa.

   Non vi furono parole, non vi furono pensieri. Rimasero lì, stesi l’una sull’altro. Nessuno si accorse di nulla, nessuno si chiese il perché il capitano e l’archeologa non erano rimasti sul ponte, quella notte. Tutto ciò che si seppe in seguito, fu solamente che da quel giorno Nico Robin tornò a sentirsi viva per davvero.