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Autore: FedericaLille    22/05/2013    7 recensioni
Catherine ha un fidanzato, una casa e un lavoro. E' ormai una donna matura e con i piedi per terra. Ma cosa succede quando un incontro inaspettato le sconvolge la vita? Crolla ogni certezza e la paura di (ri)innamorarsi prende il sopravvento.
"Eccola, la scatola ben impacchettata con scotch ultraresistente, la scatola contenente un pezzo consistente della mia esistenza. Era rimasto tutto intatto lì dentro, come se il tempo si fosse fermato. I CD, i poster, i DVD, le lettere, i biglietti, i libri, tutto ciò che possedevo con stampato sopra “One Direction”. Erano passati ben dodici anni dalla loro entrata in scena, cinque dalla loro uscita di scena.
In quei cinque anni Zayn era scomparso dai gossip, da qualsiasi rumors e pettegolezzo. Era riuscito a nascondersi bene, e incontrare una sua vecchia fan l’aveva impaurito. Non avrei rivelato di averlo incontrato, non avrei mandato in aria la sua copertura.
Intanto però lui aveva mandato in aria la mia, di copertura. Negli ultimi anni mi ero autoconvinta che quella per lui fosse stata sempre solo una innocente infatuazione passeggera. Purtroppo rivederlo mi aveva dato una certezza: seppure fosse stata solo una infatuazione, non era passeggera affatto."
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quarto

 

 

Avevo mille compiti arretrati da correggere, ma non ero capace nemmeno di leggerli svogliatamente.
I bambini aspettavano ansiosamente i risultati e io avevo promesso loro che li avrebbero ricevuti entro quella settimana.
Era passato più di un mese dal giorno dell’incidente. I lividi era svaniti, così come si era cicatrizzata la ferita al cuore. Di Zayn non ebbi più notizie, fui più volte tentata dal cercarlo, ma mi trattenni. Era meglio così.
Mi sedetti alla scrivania e aprii la carpetta contenente i compiti dei miei bambini.
La scuola a quell’ora del pomeriggio era deserta, ed io adoravo stare lì in quel silenzio rilassante.
Erano un paio di anni che insegnavo letteratura nella scuola media di quel quartiere di Londra, e stranamente non mi ero ancora stancata del mio lavoro. Dopo la laurea infatti avevo cambiato diverse professioni, ma gli ambienti non erano di mio gradimento, e i tempi mi stavano stretti. Io avevo bisogno di un lavoro che mi garantisse qualche ora al giorno libera per fare ciò più adoravo fare: dipingere.
La pittura era sempre stata la mia più grande passione, e non l’avrei mai abbandonata. Faceva parte di me.
Ogni volta che intingevo il pennello nel colore mi riempivo di felicità, e quando sfioravo la tela con la tempera entravo in un mondo nuovo. Era come un universo parallelo, dove i miei disegni prendevano vita e parlavano al mio posto.
Quella sera ero stata invitata ad una mostra d’arte contemporanea, al centro di Londra, e non vedevo l’ora di andare. Ecco perché non trovavo abbastanza concentrazione per correggere i compiti, c’era il pensiero dell’appuntamento di quella sera che mi distraeva troppo.
Mi costrinsi a mettermi a lavoro e a fare in fretta, per poi avere più tempo possibile a disposizione per prepararmi per la mostra. Stranamente riuscii a trovare la forza di volontà, e corressi quel malloppo di compiti in un paio d’ore.
 
Quando tornai a casa, a bordo dello scooter di Mike, erano già le sette e mezza di sera.
“Amore, hai preparato la cena?”, chiesi, chiudendo la porta d’ingresso alle mie spalle.
“Si, ma io devo scappare. Il pollo è in forno da 10 minuti.” Lo vidi uscire dalla cucina ed incamminarsi rapidamente per il corridoio.
“Come devi scappare? C’è la mostra alle nove!”, gli ricordai.
“Lo so, tesoro, scusa. Mi hanno chiesto di fare gli straordinari a lavoro, solo per stasera.”, parlò dalla stanza da letto, dove stava sicuramente preparandosi per uscire.
M’incupii in viso, e il mio ragazzo lo notò non appena tornò in soggiorno.
“Dai, non fare così…”, mi disse, mentre infilava un braccio nella giacca.
“Mi farai andare da sola?”, chiesi a bassa voce.
“Non devi andare per forza! Sai quante mostre fanno in questo periodo?”
“Ma io a questa ci tenevo particolarmente…”, sussurrai, abbassando lo sguardo.
“Okay, ti lascio la mia macchina.” Mi lanciò le chiavi della sua auto e le afferrai di scatto con una mano.
“Io andrò con lo scooter”, continuò.
Sorrisi e lo ringraziai di cuore.
Dopodiché lui uscì di casa ed io rimasi sola, col pollo in forno, e le chiavi in mano.
Non potevo di certo andarmene in centro con lo scooter, di sera, in pieno autunno. E non potevo di certo rinunciare a quella mostra che attendevo ansiosamente da settimane.
Cenai subito, poi andai a darmi una ripulita. Dovevo fare veloce, non volevo tardare.
Tirai fuori dall’armadio il vestitino beige che avevo già scelto per l’occasione, poi presi le scarpe nere coi tacchi alti e indossai il tutto. Il vestito mi arrivava appena sopra le ginocchia, era un tubino aderente con un’ampia scollatura sul seno. Purtroppo non avevo chissà che grande decolleté da mostrare, ma perlomeno non risultavo volgare con quell’abito addosso. Se avessi avuto più della mia seconda scarsa non avrei potuto indossarlo.
Truccai lievemente il mio viso, dando colore alle guance e disegnando con la matita nera una linea sottile attorno agli occhi. Il bello dell’essere un’appassionata di pittura era che col tempo ero diventata piuttosto brava anche col make-up.
Raramente riuscivo a far risaltare la sagoma dei miei piccoli occhi marroni, questa era una di quelle rare volte. Parevano più grandi e profondi del solito, soprattutto quando aggiunsi il mascara. Per finire un sottile strato di lucidalabbra color pesca, e poi potei studiare il risultato allo specchio.
I capelli! Ecco cosa mancava!
Li avevo tenuti raccolti tutto il pomeriggio in una coda alta. Sciolsi quella massa nera informe e vi passai sopra un po’ di piastra.
Sembrava mi stessi preparando ad un qualche appuntamento galante. L’unico appuntamento che avevo in realtà era con quelle opere d’arte che fremevo di ammirare da giorni.
Indossai dei semplici orecchini di bigiotteria e una giacca nera, poi uscii di casa, con un paio di ballerine sotto il braccio.
Non potevo effettivamente guidare coi tacchi alti.
 
Raggiunsi presto la destinazione e una volta posteggiata la macchina, mi affrettai a indossare di nuovo le mie scarpe eleganti.
Mostrai il mio invito al tizio che stava all’ingresso dell’edificio, e vi entrai.
Le pareti erano impeccabilmente bianche, così come le luci soffuse sul soffitto. Il pavimento invece era di un grigio scuro. Una ragazza mi chiese cortesemente la giacca ed io gliela lasciai senza farmelo ripetere due volte. La temperatura era molto alta lì dentro.
C’era ancora poca gente, io non esitai un attimo e mi diressi subito alla prima tela, alla mia destra. Tenevo stretta tra le mani la mia pochette nera e me ne stavo coi piedi uniti e il naso all’insù ad ammirare quel capolavoro.
Rappresentava un tramonto. Il rosso del sole si fondeva col blu del mare, e io adoravo quel mix. I miei due colori preferiti in un accostamento davvero perfetto.
Rivolsi lo sguardo alla firma alla base del disegno, ma c’era solo una ‘J’ scarabocchiata.
Mi avvicinai alla tela seguente. C’erano due grandi occhi, di diversi colori. Il destro vantava mille e più pennellate di diverse tonalità di azzurro, mentre quello a sinistra sfumava da un verde scuro ad uno più chiaro e delicato.
La firma in basso a destra era sempre la stessa ‘J’.
Feci due passi e rivolsi l’attenzione ad un altro disegno, dello stesso autore. Stavolta non c’era un soggetto, c’erano delle linee sinuose che viaggiavano per tutta la tela, incontrandosi e scontrandosi, dando vita ai colori più particolari, alle forme più fantasiose. Era tutto in equilibrio, ogni cosa avvolta da qualcos’altro, ogni dettaglio al proprio posto. Era come se l’artista volesse rappresentare…
“Musica.”, qualcuno parlò alle mie spalle.
“Esattamente.”, approvai. Dopodiché mi voltai per capire chi mi avesse rubato le parole di bocca, o meglio… dal pensiero.
Non riuscivo a credere ai miei occhi. Era il destino che mi voleva male.
Deglutii ma mi finsi indifferente.
“Conosci l’artista?”, chiesi, percependo l’ambiente accaldarsi ancora di più, improvvisamente.
Zayn sorrise lateralmente, e io sarei potuta svenire da un momento all’altro. Che ci faceva qui, quello?
“Lo conosco, certo che lo conosco.”, rispose con voce suadente.
“E’ incredibile. Adoro il suo stile.”, confessai, più a me stessa che a lui.
“Davvero?” Il suo sorriso si allargò, e mi sembrò di scorgere qualcosa luccicare dentro ai suoi occhi.
“Sai se è qui stasera? Mi piacerebbe conoscerlo.” Ero sincera. Quelle opere mi avevano rapita, e dato che Zayn diceva di conoscerne l’autore, perché non approfittarne?
“Si, è qui stasera.”, rispose semplicemente.
Mi guardai attorno, alla ricerca di qualcuno che potesse sembrarmi un pittore straordinario.
“Come stai?” Quella domanda mi fece sussultare. Non me l’aspettavo completamente, non ora, non da lui.
“Bene. Tu?”, replicai, irremovibile.
“Bene.”
Silenzio.
Odiavo quegli attimi di imbarazzante silenzio.
“Bene.”, ripetei, per spezzare il silenzio.
“Non so ancora il tuo nome.”, disse lui di punto in bianco.
“C-Ca…”, mi bloccai. Ricordavo bene quel giorno del Meet & Greet in cui gli avevo detto come mi chiamavo, e ricordavo bene cosa lui aveva risposto. Non volevo ripetere quella scena.
“Uhm?”, mi spronò a continuare.
“Catherine.”, mi convinsi, infine.
“E’ un bellissimo nome” Come volevasi dimostrare.
“Me l’hai già… me l’hanno già detto.”, mi corressi a metà frase.
Zayn continuava a sorridere. Ma lo faceva apposta? Probabile. Si rendeva conto di quanto fosse irresistibile il suo sorriso? Probabile.
Diamine, questo era un guaio bello e buono. Non sarei mai dovuta venire a questa mostra senza Mike.
Mi allontanai lentamente da lui e mi avvicinai ad un’altra tela appesa al muro.
“Che fai? Scappi?”, mi chiese Zayn, che stava al mio passo, sorridendo sotto i baffi.
“Tu saresti dovuto scomparire, e invece eccoti qui.”, parlai seria.
Ma a quanto pare non risultai molto seria.
“Non sono un mago”, ribatté.
“Stupido.”, lo schernii. Mi fece perdere quel poco di serietà che ero riuscita a recuperare.
“Poco prima mi hai dato dell’incredibile, e ora mi dai dello stupido?”
Cosa intendeva dire? Io non gli avevo mai detto che fosse incredibile, io…
Io avevo detto che l’artista di quei dipinti fosse incredibile.
“Jawaad.”, mormorai, sorridendo. Quelle meraviglie erano opera sua, e si firmava con l’iniziale del suo secondo nome.






Angolo Autrice.

Ciao a tutti! Sono tornata, si :) Questo capitolo fa ricomparire il nostro bel pakistano 27enne.
Che ve ne pare? Spero di aver delineato bene alcune cose riguardo la vita della protagonista,
e di avervi incuriosito riguardo Zayn il pittore (lol) Il prossimo capitolo vi farà rimanere di sasso xD
Non mi dilungo. Ci tengo solo a sapere le vostre opinioni... quindi...
RECENSITE, RECENSITE, RECENSITE :)

  
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