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Autore: IamShe    23/05/2013    12 recensioni
Shinichi è rimasto adulto, ma non sa né come né perché né quanto durerà l'antidoto. Sebbene cerchi di godersi questi attimi preziosi nel suo corpo originale, un vortice arriva a sconvolgergli la vita: una giornalista ha scritto un articolo su di lui e sul suo ultimo caso risolto, e Ran comincia a nutrire dei seri sospetti sulla sua doppia identità. E chissà che tutto ciò, non giunga alle orecchie sbagliate....
•••
“Rimani?” chiese lei di rimando, velocemente. Non voleva una vera risposta, voleva solo ascoltare la sua voce. Voleva solo sentirlo parlare. Perché sapeva che ogni cosa, ne avrebbe nascosta un’altra. Ogni verità, avrebbe nascosto una bugia. Una scia di luce, forse quella di prima, forse quella che si era persa nell’oscurità, forse quella che aveva cercato costantemente, passò negli occhi di Shinichi.
Ran non seppe interpretarla, ma non le importò.
“Sì.”
La bastò solo quello: credere alle sue bugie.
Genere: Generale, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Your Lies
26.
Le tue bugie


 

 
Attraversò rapidamente l’atrio principale, sbattendo con non curanza e abbastanza bruscamente le persone che gli ostacolavano il cammino. Fece cadere qualche paziente a terra, e tra urla e grida di insulti, riuscì a far barcollare anche un medico. Kogoro Mouri era furioso. Sua moglie, Eri, lo seguiva con aria terrorizzata. Avevano ricevuto dieci minuti prima una chiamata dalla polizia. La loro Ran era stata rapita e messa in grave pericolo da un assassino, ma per fortuna – aveva aggiunto Megure – non era successo nulla. L’ospedale era abbastanza affollato per essere sera tarda, e l’attenzione a chi lo circondava era l’ultimo pensiero per il detective in trance. Giunsero alla stanza indicata loro dall’agente Takagi e con violenza aprirono la porta. Si fecero spazio nella camera chiara, dove intorno ad un letto vi erano Megure, Sato e Chiba.
«Mouri!» lo chiamò il vecchio collega, facendogli spazio per permettergli di vedere la figlia. Kogoro avanzò qualche passo. Ran era seduta sul materasso con una tazza di camomilla in mano, che strofinava con delicatezza per far sì che il calore potesse riscaldarla. Aveva una gamba sotto ad un’altra, e il braccio fasciato e medicato. Sulla gola vi era qualche cerotto di troppo, che permettesse alle piccole ferite di rimarginarsi rapidamente.
«Tesoro...» la chiamò la madre con dolcezza, posandole una mano sulla spalla. «Come ti senti?»
Ma Ran non rispose. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, e gli occhi violacei terribilmente vuoti.
«Piccola... cos’è successo? Stai bene, vero? E dov’è quella sottospecie di detective con cui esci? Non dirmi che se l’è data a gambe...» avrebbe continuato se non fosse che Eri, con un’occhiata truce, lo avesse pregato di starsene buono, almeno in quel momento. Ma nemmeno allora Ran rispose. Non aveva neanche alzato gli occhi per salutare i suoi genitori. E quella tazza di camomilla era ormai diventata fredda.
Megure diede una piccola gomitata a Kogoro e lo invitò ad uscire fuori, seguito da Chiba. Sato ed Eri restarono con Ran nella stanza, nell’invana speranza di capire cosa la tormentasse così tanto.
Il detective chiuse la porta alle sue spalle ed afferrò Megure per la giacca, visibilmente agitato.
«Cosa è successo a mia figlia?! Dov’è quel ragazzino?!»
«Ehm... Mouri, siediti un attimo» lo invitò l’ispettore, tossicchiando. «Ti spieghiamo tutto».
Gli raccontarono del caso, di come Shinichi l’avesse risolto, e di come quell’assassino avesse preso in ostaggio Ran. Di come avesse costretto il liceale a portare l’auto per permettergli di fuggire, e...
«Quando siamo arrivati lì c’era solo Ran con l’aggressore svenuto a terra. Di Kudo neanche l’ombra! Abbiamo provato a chiederle cosa fosse successo, ma è da quando l’abbiamo liberata che non pronuncia parola».
«Quel vigliacco se ne è andato con la mia bambina in pericolo!? E dire che mi stavo incominciando a fidare di quel tipo! Non avrei mai dovuto permettere la loro relazione!!» sbottò esasperato Kogoro, con le vene che gli pulsavano sulla gola.
Megure tossicchiò di nuovo. «Ma... non credo sia andata così. Pensaci un attimo: Ran aveva mani e piedi legati, e quando se ne sono andati l’aggressore era armato! Io credo che... credo che Kudo in qualche modo sia riuscito a distrarlo e frenare l’auto...»
«E allora perché è andato via!?», l’ira di un padre è implacabile.
«Non... non lo so» ammise l’ispettore. «Ho provato a chiamarlo, ma non risponde».
«Non m’importa un accidenti dove sia quel ragazzino adesso! Io voglio solo che la mia piccola torni a parlare! Perché è così sconvolta?!»
Kogoro tornò a sedersi su una delle sedie poste nel corridoio.
«Forse è meglio se torni dentro» gli consigliò l’ispettore, osservando il vetro opaco della porta.
Lui annuì, decisamente percosso. Fece per aprire la porta, ma con ancora la maniglia in mano, si fermò e si voltò verso il collega.
«Se ha notizie di quel ragazzino... lo porti immediatamente da me» disse, con tono netto. «Devo parlargli».
Poi scivolò nella stanza e sparì dietro quel vetro.
 
 
 
Per fortuna i vestiti da bambino che aveva non li aveva trasferiti tutti a casa Mouri. Anche se dai Kudo vi erano rimasti quelli più vecchi e stropicciati, l’ex liceale ringraziò di non dover passare a casa dell’amica per potersi coprire le sottili gambe.
Afferrò una maglietta ed un pantaloncino e li indossò, facendo scivolare via la maglia di Shinichi, che adesso non gli apparteneva più. Si scrutò allo specchio ed intravide quel bambino che tanto odiava. Conan. E adesso lei sapeva chi nascondeva dietro quegli occhiali così grandi. Un profondo senso d’angoscia e di frustrazione lo colpì da capo a piedi. Non solo s’era reso conto d’aver reso invano tutti i sacrifici, i complotti e le bugie inventate per nasconderle chi era davvero; ma anche che, da quel momento in poi, la vita di Shinichi Kudo e di Conan Edogawa erano cambiate radicalmente. Non si trattava più di giocare al detective arrogante e stacanovista, o al bambino ingenuo ed intelligente. Adesso Ran sapeva che lui era sempre stato con lei. Ma avrebbe compreso le sue motivazioni? Avrebbe perdonato tutte le menzogne e avrebbe accettato le sue condizioni?
Il piccolo si sforzò di non pensarci. Era impossibile dimenticare l’espressione gioiosa sul volto dell’amica che, nel leggere quel negativo, gli aveva buttato le braccia al collo e l’aveva baciato.
«Ma... così... per sapere, se... fosse stato positivo... che avresti fatto?»
Ran lo guardò per qualche secondo: sembrò pensarci per davvero.
Poi simulò una smorfia, riabbracciandolo sorridente.
«Non ci voglio nemmeno pensare!» fece, donandogli un altro bacio. «L’importante è che non lo è.»
L’importante è che non lo è... Conan sospirò, sprofondando lo sguardo nella maglia di Shinichi, che aveva ancora tra le mani piccole da bambino.
Se solo avesse saputo che l’effetto stava per svanire...
Se solo, per una volta, si fosse comportato da persona coscienziosa e ragionevole, e dinanzi alle labbra di Ran e al suo entusiasmo, avesse almeno provato a starle lontano...
Gettò la maglia sul letto matrimoniale, dove sole ventiquattro ore prima aveva dormito con lei, e scese giù. Quanto odiava essere così basso... anche prendere l’acqua dal frigo era impossibile. Bevve, e vide poggiato sul comò della cucina il portafortuna che Ran gli aveva regalato parecchio tempo prima. La veggente disse che, una volta indossato, avrebbe condiviso con quella persona gioie e dolori... per sempre.
Scosse il capo, sospirando, ripetendosi che lui non avrebbe mai potuto credere a quelle sciocchezze. Diede uno sguardo alla villetta a fianco alla sua: le luci erano accese.
Già immaginava quale sarebbe stata la reazione di Haibara.
 
 
 
 
«E così ha scoperto chi sono».
Aveva raccontato loro tutto molto velocemente. Come un vero vigliacco, aveva abbassato lo sguardo e chinato il capo al pavimento. Non sarebbe riuscito a dir loro tutto, mentre Haibara gli lanciava continue occhiate sinistre. Alzò gli occhi solo alla fine. Vide i due sbigottiti. Il professor Agasa aveva uno sguardo che sfiorava il preoccupato, ma quello di Ai era furibondo.
La piccola scienziata parve imporsi l’autocontrollo. Mandò giù un lungo sospiro, e mentre i muscoli del viso cominciarono a contrarsi in una smorfia, Conan si preparò al peggio.
«Dottore, mi dica. Tutti i modi per uccidere una persona sono illegali?»
«Ai, cerca di capire...» provò Agasa, ma lei lo interruppe.
«IO NON CAPISCO, NO! Kudo sei la persona più stupida ed irresponsabile che io abbia MAI e poi MAI conosciuto in vita mia!» cominciò, marcando alcune parole su altre. La sua voce risuonava in tutta la villa, infrangendosi contro i muri e le finestre talmente forte da farli vibrare.
«Ti sei ALMENO reso conto del grandissimo guaio in cui ci hai cacciato tutti, la tua fidanzata compresa!?»
Shinichi fece una smorfia di disgusto.
«Senti, non l’ho fatto apposta! Ran era in pericolo, non potevo abbandonarla!»
«RAZZA DI IDIOTA! Ma perché non te ne sei andato prima del caso!? Hai cominciato ad avvertire i primi sintomi e sei restato lì!? Ma sei deficiente o cosa!?»
«Dovevo assicurare un criminale alla giustizia!» si giustificò lui, imbronciato.
Ai si fermò d’un tratto, allibita. Aveva le mani a mezz’aria e i capelli indemoniati. Si girò verso Agasa e lo guardò torvo.
«Adesso lo ammazzo», disse.
«Cerchiamo di calmarci ragazzi», il dottore fece un mezzo risolino. Ai tornò a sedersi, esterrefatta. Stava pensando seriamente di avvelenarlo.
«Shinichi... quindi non hai spiegato a Ran dell’organizzazione? Lei ti ha soltanto visto rimpicciolire?»
Il piccolo annuì, ancora con le mani incrociate.
«Sai che adesso dovrai spiegarle tutto, vero?»
«Certo» fece lui. «Adesso sarà in ospedale, ma non so se ha voglia di parlarne ora o no» ammise poi, mentre Ai continuava a guardarlo indemoniata.
«Ah, certo! Perché adesso i fidanzatini dovranno passare un altro quarto di secolo a non parlarsi!»
Conan la osservò truce. «Ran è una ragazza sensibile, la conosco fin troppo bene. Sarà sicuramente scioccata dopo quello che ha visto... e non oso immaginare i suoi sentimenti nei miei confronti».
«Che cosa commovente» commentò ancora Haibara, scoccando sguardi di puro odio all’amico detective.
«Hai paura che non ti sbavi più dietro? Oh, non preoccuparti. Non sa fare altro.»
Il piccolo strinse i denti. «Smettila Haibara.»
«Stasera tornerai dai Mouri?» gli chiese Agasa, ignorando volontariamente i battibecchi dei due.
«Io... no. Credo di no. Credo che aspetterò almeno a domani... per parlarle.»
Il dottore annuì, senza ribattere. Non voleva interferire con la loro relazione, ma poteva soltanto pensare a quanto sciocco si sentisse il giovane liceale in quel momento. Sapeva quanto ci tenesse all’amica d’infanzia, e quanto avesse fatto per tenerla fuori dai guai.
«Tu... tu stai bene, Shinichi?» gli chiese, ma era ovvio che non gli interessasse la sua condizione fisica. Il detective annuì e lasciò il divano con sguardo basso.
«In fondo... ho passato momenti peggiori».
E fuggì via verso villa Kudo, dove lo aspettava una lunga ed insonne notte.
 
 
 
«Tesoro se vuoi riposarti vai in camera, è stata davvero una brutta nottata».
Erano quattordici ore che Ran non proferiva parola, ed altrettanti minuti che i suoi genitori provassero a strappargliele. Sconfortati, Eri e Kogoro decisero che, per il momento, la miglior cosa da fare fosse darle del tempo. La invitarono ad andare nella sua stanza, ma Ran non aveva voglia di addormentarsi. In realtà non si rendeva nemmeno conto di quello che stesse succedendo accanto a lei e di quanto i suoi genitori fossero preoccupati per la sua salute. Lei, semplicemente, non riusciva a rispondere a nessun stimolo.
Era come se tutto il mondo intorno a lei si fosse oscurato e lei non riusciva ad intravedere e sentire più nessun rumore. L’unica cosa che ricordava era la sua trasformazione. Il volto di un adulto deformatosi in quello di un bambino, e la paura di sentir le sue ossa spaccarsi e ricomporsi sotto i suoi stessi occhi.
Scivolò in camera, dove poggiò la borsa sulla scrivania. C’era ancora la loro foto, sorridenti e spensierati al Tropical Land, un anno prima. Un profondo senso di disgusto le salì fino al cervello, penetrando nelle sue viscere. Con un movimento veloce, scagliò un pugno alla cornice e la fece schiantare per terra. Il vetro che proteggeva la foto si frantumò ed essa volò via sul pavimento. Ran la osservò con gli occhi vuoti e terrificati. La prese e la strappò. Prima a metà, poi a metà di quella metà, poi ancora a metà... e più piccoli i pezzi divenivano più grande era la sua soddisfazione. Man mano i loro volti sorridenti vennero lacerati, e al posto di quella foto, sul pavimento caddero le sue lacrime. Sbatté la porta per non farsi sentire da nessuno, non voleva che la vedessero piangere. Era stufa d’esser privata della sua privacy.
Cadde a cavalcioni sul pavimento e poggiò i palmi delle mani sulla moquette, dove le scaglie del vetro della cornice le provocarono piccoli tagli. Nulla in confronto a ciò che aveva fatto. Lui l’aveva privata di tutto. L’aveva squarciata da dentro, e s’era messo a curiosare sulla sua intimità, i suoi sentimenti, i suoi pensieri...
«Ce l’hai la ragazza, Conan?»
Il piccolo aveva sorriso, imbarazzato. Sembrava quasi che si stesse chiedendo perché mai gli facesse una domanda del genere.
«Io ce l’ho! Un ragazzo che mi piace tanto!»
Lui aveva sorriso. Malizioso. Fiero. «Non sarà... quello Shinichi che cercavi prima?»
Ran l’aveva guardato, sbalordita. S’era già resa conto di quanto quel bimbo fosse intelligente.
«Sì!» rispose, con tutta la naturalità del mondo. «È lui! Un po’ dispettoso e presuntuoso, ma quando ho avuto bisogno di lui c’è sempre stato! È coraggioso e perso nel suo mondo dei gialli! E poi...è bellissimo!» gli aveva confidato.
«Mi piace da morire...» disse con aria sognante. Poi si girò verso il piccolo, che era stranamente arrossito.
«Però a lui non lo diciamo, ok?»
Scagliò un pugno violento al pavimento. Quanto era stata stupida? E lui, cos’aveva fatto o detto? Nulla. S’era compiaciuto dell’ennesima conquista, magari vantandosi con se stesso di quanto fosse figo. Avrà pensato anche che, vivere con lei, sarebbe stata una pacchia!
Un bambino... Ran si fermò un attimo a pensare. Come diavolo era possibile fosse un bambino?
Ma la rabbia in quel momento prese il sopravvento, e qualcos’altro riaffiorò nella sua mente...
«Ran... sono io, mi riconosci?»
L’aveva atteso per tre giorni, e solo quella sera si fece sentire. Ran non era mai stata così in pensiero per lui come allora. Si ritrovò a piangere disperatamente, e singhiozzando...
«S-Shinichi!»
«Pensavo stessi piangendo per me dalla preoccupazione...»
Solo ora si rendeva conto di quanto quelle parole la ferissero.
«Dove sei Shinichi?»
«Sto indagando su un caso difficile e complicato».
Menzogne, menzogne e menzogne... Perché non l’aveva capito prima? Lui non ha mai impiegato più di una giornata a risolvere i casi, qualsiasi fossero. Qual era il suo caso difficile? Decidere con che sapone farsi il bagno, adesso?
Ran strabuzzò le palpebre, facendo scivolare le mani sul suo viso. A proposito di bagni...
«Avete fatto il bagno insieme?!», Kogoro era esterrefatto.
«Certo! Lui non voleva, però è stato divertente no? Lavarci a vicenda!»
E lì un gran fiotto di sangue gli era uscito dal naso. Solo adesso capiva...
«Ti sanguina il naso? Forse il bagno era un po’ troppo caldo...»
«Non sarà l’emozione per averti visto nuda
«Ma dai! Conan è soltanto un bambino!»
L’altro pugno andò a scontrare violentemente il pavimento, mentre Ran piangeva con il viso chino all’ingiù. Ne aveva anche approfittato...
«L-lurido verme schifoso approfittatore che non è altro!» sbottò tra sé e sé, indignata e singhiozzante.
Poi ricordò di quando aveva avuto sospetti su di lui, e puntualmente venne salvato da sua madre. Ciò voleva dire che lei sapeva, e nessuno gliel’aveva detto. E di quando gli aveva donato il sangue, convinta ormai che Shinichi e Conan fossero la stessa persona... lì era stato un vero maestro, c’era da riconoscerglielo. Era riuscito a prenderla in giro alla grande.
«Lo sai... ho pensato che Conan fossi tu...». Lui aveva riso, poi era scappato via a risolvere quel maledetto caso, ed ancora una volta era tornato piccolo...
«No basta! Di scuse non ne voglio più sentire!» aveva pregato il piccolo, ignara che fosse lui. Come aveva fatto ad essere due persone allo stesso momento? Qualcun altro lo stava aiutando, e con lui, qualcun altro si stava divertendo alle sue spalle...
«Shinichi mi ha chiesto di dirti di aspettarlo... vuole che tu lo aspetti, Ran».
Shinichi non s’era però preso la briga di dirle che ogni santo giorno era accanto a lei a vederla piangere per lui.
«Oh, Conan, sei tu!» udì la voce della madre dalle scale, e in un istante si irrigidì. Era lì, ed aveva anche il coraggio di tornare! Eri pareva particolarmente felice di vedere il piccolo. Probabilmente perché sapeva che Ran teneva tanto al suo fratellino. Incredibile ciò che provava adesso: irrefrenabile odio verso le due persone che più amava al mondo, che poi in realtà ne erano una...
«Ran è in casa?» si accertò lui. La karateka poteva solo sentirlo, dato che la porta della stanza era chiusa. Ma non aveva voglia né di vederlo né di parlargli. Con un salto rapido sprofondò nelle coperte, che si squarciarono per permetterle di infilarsi.
«Certo è in camera».
Adesso poteva sentire i piccoli passi avvicinarsi. Avvertì la porta aprirsi appena e quasi riuscì a percepire che fosse solo Conan ad aprirla. Probabilmente Eri sperava che il fratellino riuscisse a sollevarle il morale. Ma Ran era girata dal lato opposto, e recitava di dormire nel modo peggiore che riuscisse a fare. Conan fece qualche altro passo verso di lei. Ran si irrigidì nel suo posto. Aveva paura di lui improvvisamente. Non voleva vederlo, non osava immaginare la sua reazione nell’incontrare di nuovo quei falsi e meschini occhi blu.
Poi il piccolo parve fermarsi. E la karateka ricordò d’aver dimenticato quel che restava della fotografia sul pavimento, accanto al vetro rotto. Sentì il rumore di alcuni tasselli che si muovevano. Era sicura stesse guardando la foto. Tanto meglio – cercò di convincersi – ormai non faceva più differenza se sapesse come si sentiva o no. Ma quella era l’ultima volta che gli avrebbe permesso di frugare nella sua privacy.
«So che non stai dormendo.»
Quella voce era a dir poco disgustosa, le dava il volta stomaco. Ma la cosa più strana era che non riusciva più ad avvertire la voce di Conan, ma solo quella di Shinichi. Era come se lui le stesse parlando da adulto. Un adulto arrogante, odioso. Un adulto che, anche in un momento come quello, si dava arie di sapere che cosa la turbasse... Ma lei non rispose. Strinse il cuscino nel suo pugno e fissò gli occhi al muro, imponendosi di non voltarsi per nessuna ragione al mondo.
«Volevo spiegarti come stanno le cose... è tutto più complicato di quanto credi» provò ancora Shinichi, con la voce fievole e rotta. Ma ancora una volta Ran tacque. Non voleva dargli nessuna soddisfazione, ma sentì le lacrime abbondare sul suo viso e fermarsi sul cuscino da lei stretto in un pugno.
«Ran...?» la chiamò, evitando di proposito il suffisso “neechan” che adesso non aveva più valore d’essere usato. Ma lei non diede alcuna risposta. Conan distingueva chiaramente il suo corpo fremere e il diaframma alzarsi ed abbassarsi troppo velocemente per un respiro normale... stava piangendo di nuovo, e per lui...
«Ran, per favore...» le disse, avvicinandosi leggermente. Era quasi ai bordi del letto e la giovane riusciva ad avvertirlo nitidamente. Si impose di non girarsi. Non doveva farlo per nulla al mondo. Quando Conan stette per sfiorarle il braccio, la porta si aprì di nuovo, annunciando Kogoro e poco più dietro, Eri.
«Ah, sei tu, moccioso» fece il padre di lei, irritato. «Esci forza, falla riposare».
Conan indietreggiò ed obbedì, lasciando la stanza insieme ai due Mouri. Ran era ancora ferma nel letto, impassibile, e per tutta la giornata non ne uscì nemmeno per mangiare.
 
 
 
I giorni che seguirono furono fitti di un’atmosfera cupa e tetra. Casa Mouri era perennemente sovrastata da una nube di nervosismo e tensione, che per Conan e Ran erano particolarmente evidenti e sentiti, mentre Eri e Kogoro non ci fecero caso, anche perché avevano annunciato a loro figlia – anche per cercare di rallegrarla – d’essere tornati insieme. Al contrario di come credevano, Ran non fece particolari smorfie di gioia nel saperlo. Il problema principale però era che Conan non poteva più dormire in camera con Kogoro, dove ormai c’era anche la mamma dell’amica. Così Eri aveva avuto la geniale idea di provare a farlo dormire insieme a Ran. S’era fatta sera, e mentre i novelli sposi s’erano rintanati in camera loro, il piccolo detective avrebbe dovuto trovare il coraggio di parlare con la ragazza.
Lei glielo avrebbe permesso? D’altronde la karateka era ancora all’oscuro del piano della madre, e a lui, in quei giorni, non aveva rivolto nemmeno una parola. Sospirò e aprì la porta della stanza, con passo leggero e calmo. Ran era seduta sul letto con in mano un libro. Avvicinandosi un altro po’, Shinichi notò fosse Cime Tempestose.
Sospirò di nuovo nel suo pigiama azzurrino, a cui Ran diede un leggero e fugace sguardo, simulando una smorfia di disgusto.
«Ciao» provò a cominciare una conversazione, ma la giovane pareva far finta d’ignorare la sua presenza.
«T... tua madre ha pensato che, visto che lei è tornata a vivere con voi, fosse meglio che io...» provò ancora, ma il fiato gli si mozzava in gola e la paura di scatenare un litigio non gli permetteva d’andare avanti.
«Be’, ecco...» fece, cominciando a blaterare parole insensate. «Lei pensa che io... io potrei dormire... qui...»
Ran sentì il pugno stringersi sulla copertina del libro. Ma come poteva anche lontanamente pensare che lei lo lasciasse dormire lì? Dopo tutte le menzogne, aveva ancora il coraggio di parlarle? Provò ad ignorarlo, come ormai faceva da giorni, ma Shinichi insistette.
«Hai intenzione di non parlarmi per tutta la vita?»
Ran si morse il labbro per reprimere la crescente voglia di prenderlo a calci.
«Ran, rispondimi».
«Vattene via» disse lei, rapidamente.
«Allora ce l’hai ancora la lingua...» fece lui, sperando di farla sorridere. Ma Ran era ferma sulla sua posizione.
«Ho detto di andartene via».
«Non vuoi sapere cosa è successo, perché è successo e perché ti ho mentito?»
«Voglio solo che tu sparisca dalla mia vita, per sempre».
Shinichi avvertì una fitta al cuore colpirlo. Il dolore era ancora più forte di quando stava per trasformarsi, e quel tono freddo e distaccato non faceva che peggiorare il problema. Ran non era mai stata così glaciale con lui. Certo, qualche volta avevano litigato, ma lei non s’era mai sognata di non volerlo più nella sua vita. Adesso, invece, era la cosa che più desiderava al mondo. Avrebbe fatto di tutto per dimenticarlo, per scordarsi di tutto quello che era successo. Avrebbe speso miliardi per tornare indietro nel tempo e non incontrarlo mai.
«Lascia almeno che ti spieghi...»
«Ho detto sparisci...» sibilò a denti stretti, quasi incapace a trattenersi.
«Ran... io... io l’ho fatto per te...», il tono gli uscì debole, malinconico, frustato. Ma lei lo fulminò con lo sguardo.
«Stai zitto. Non voglio più ascoltare in vita mia la tua lurida voce, non voglio più dover vedere la tua orrenda faccia. Devi sparire, è difficile da comprendere?»
«Vuoi davvero buttare a puttane tutto?», detto da un bambino era particolarmente strano.
Ma lei non fece caso al fatto che fosse piccolo. Ormai aveva voglia di sputargli contro tutto quello che lui le aveva fatto passare in un anno.
«IO?! Ma quanto fai schifo? Sei tu quello che ha rovinato tutto... tu quello che mi ha sempre mentito! Non io!»
Il detective cercò di imporsi l’autocontrollo. «Ripeto: l’ho fatto per te. Se solo mi lasciassi spiegare!»
«Ma allora non hai capito? Io non voglio più stare a sentirti! Ho sopportato troppo! C’è un limite anche per me, sai!»
«Cazzo, Ran! Sono io quello che si è rimpicciolito! Credi mi abbia fatto piacere!?»
«Sicuramente ti ha fatto piacere sentirmi chiamare il tuo nome ogni giorno... ti sarai divertito, vero?»
Conan continuò ad osservarla, allibito. Possibile che lei non capisse nulla?
«Affatto. Non mi sono per nulla divertito. È stato... sconvolgente».
La giovane fece una mezza risata ironica.
«Non sarà mica quel Shinichi che stavi cercando prima?» lo imitò poi, dalla faccia disgustata. «Ma quanto sei ridicolo? Volevi la prova che mi piacessi? L’hai avuta e allora?»
Lui sospirò. «Ran, dai, quel giorno stavo scherzando... e poi era la prima volta che mi trasformai in Conan... non potevo sapere quanto sarebbe durato tutto! Ero davvero sconvolto!»
«Certo. Anche farti il bagno con me è stato sconvolgente, vero?!»
Conan arrossì lievemente. «Ti ricordo che tu mi hai trascinato!»
«Certo, perché adesso è colpa mia!»
«Non volevo dire questo...» provò lui, ma era inutile. «Però che ti frega adesso del bagno, dai!»
Lei scattò all’in piedi, sbattendo il libro sul materasso. Shinichi indietreggiò di alcuni passi.
«Ah, certo, che cosa può mai fregarmi! Tanto tu hai ottenuto tutto quello che volevi! Sia da piccolo che da grande!» gli urlò contro, indemoniata. «“Ti ho visto tante di quelle volte nuda”» lo imitò ancora, furibonda. «Certo, io non avevo messo in conto tutte le volte da Conan!»
Il piccolo andò a fermarsi contro il muro, mentre Ran proseguiva minacciosa contro di lui.
«Ok, ti chiedo scusa. Va bene? Scusa, scusa e scusa.»
Lei gli scoccò un’occhiata truce. «E tu credi di risolvere così tutto? “Scusa”? Hai approfittato del mio corpo, e chiedi Scusa?!»
Lui sbuffò, esasperato. «Approfittato!? Ran ma mi vedi?! Sono un bambino! Bambino! Come avrei potuto approfittarne?!»
«Non sei un bambino, hai diciassette anni!»
«Intendevo di corpo...»
«Solo perché non potevi far nulla non significa che tu non abbia voluto far nulla!»
«Cioè mi stai colpevolizzando d’esser attratto da te?! Perché mi sarebbe piaciuto fare l’amore con te?!»
La giovane parve bloccarsi per un momento poi, in preda ad una crisi di nervi, strinse i pugni e i denti e soffocò la voglia di ammazzarlo.
«Dovrei essere triste del fatto che non potevi scoparmi come volevi?!»
«Io non ho detto questo!»
«L’hai fatto capire però!»
«Oh, per favore, Ran, eh! Ci sono cose più importanti di uno stupido bagno!»
Lei indietreggiò e gli diede le spalle. Le lacrime le solcarono il volto, cominciando a farla singhiozzare. Shinichi se ne accorse, e lentamente provò ad avvicinarsi.
«Ran, scusami, è che...»
«Stai zitto, vattene».
Silenziarono per qualche minuto. L’aria era pesante e fredda. Pareva esser sprofondati nell’oceano senza alcuna ancora di salvezza.
«Vuoi che me ne vada anche da casa tua?»
«Avresti già dovuto farlo da molto tempo» gli rispose, con gelido assenso.
Non poteva crederci...
«Per favore, ascoltami...» riprovò ancora lui, ormai disperato.
«Sparisci, ho detto». Ripeté lei con tono fermo. «Sparisci per sempre dalla mia vita. Lasciami in pace, fai in modo che non ci fossimo mai conosciuti.»
«Ran ti...»
«Vattene!».
«Cazzo, Ran! Ti amo! Ascoltami!»
Era l’ultima chance che aveva, e l’aveva pronunciata più velocemente possibile. Lei doveva sapere la verità. Ma era del tutto inutile. Le lacrime le scesero ancora più copiose sul volto deturpato e segnato dal dolore. Perché continuava a mentirle? Non erano abbastanza tutte le bugie che le aveva raccontato? Come aveva il coraggio di dirle che l’amava? Una persona che ama non mente, si fida di chi gli sta accanto. Lui s’era soltanto divertito a prenderla in giro, mettendosi in bocca le parole che lei avrebbe voluto sentirgli dire.
«Non osare parlare d’amore» lo rimbeccò, cruenta. «Tu non sai nemmeno cosa significhi amare. Sei solo uno stupido e meschino bugiardo.»
Shinichi deglutì a fatica. Adesso anche lui aveva il volto chino al pavimento.
«Quindi... finisce qui? Vuoi davvero che finisca tutto qui?»
Lei strinse i pugni. «Sì.»
Il piccolo fece qualche passo verso la porta e le lanciò un’ultima profonda occhiata. Lei era ancora lì, che non lo guardava. In un secondo ripercorse tutta la sua vita segnata dalla sua perenne presenza. Da bimbi, da piccoli, da ragazzini, da adolescenti... Ran c’era sempre stata. Era stata l’amica a cui aveva confidato i suoi guai, la ragazza su cui poteva contare se avesse voluto farne altri. Avevano affrontato insieme talmente tante di quelle cose che adesso tutto gli pareva stupido ed insensato. Varcò la soglia, staccò gli occhi da lei in quell’attimo che parve un’eternità.
«Addio Ran.»
Lei aspettò che chiudesse la porta, e trascinasse via con lui tutto ciò che le era appartenuto.
«Addio» disse.





Poi dite che ci metto tempo a scrivere i capitoli U_______________U
No, non mi sto atteggiando U__U Ma sono proprio veeeeloce! 

Ok, la smetto XD Allora! Vi ho fatto o no una bella sorpresa!?
Quando è passato dall'ultimo, eh?! E sono di nuovo qui!
Lo ammetto: l'ho fatto anche un po' per farmi perdonare XD 

Parliamo del chap! Vi è piaciuto?! Un po' triste, vero?! Già... si sono detti Addio T______________T
Chi si aspettava la reazione di Ran? Credo un po' tutti, vero? In fondo, chiunque capisca che la persona a cui tiene non fa altro che mentire, vorrebbe cacciarla via dalla sua vita... per sempre. O almeno io così farei, e credo anche un po' Ran. D'altronde quante volte lei gli ha chiesto la verità e lui si è stato zitto? Non è proprio un bel comportamento, e nonostante noi sappiamo e comprendiamo il perché, mettiamoci nei panni della karateka. Io l'avrei ammazzato XD
Ovviamente Shinichi ha dovuto informare anche Haibara e Agasa del guaio combinato... e come poteva prenderla Ai?XD
E con questo, Conan se ne andrà definitivamente dai Mouri! D'ora in poi vivrà sbattuto tra casa sua e quella del professore, con di tanto in tanto visite speciali ;)

Non dico nient'altro, e lascio a voi i commenti! Spero di aver reso la parte bene :)

Ringrazio i recensori dello scorso chap, e chi ha inserito la storia tra le preferite!


Grazie ancora per seguirmi. Siete magnifici.
Ci vediamo alla prossima! (chissà se altrettanto veloce.....)XD
Un bacione grande,
Tonia

   
 
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