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Autore: drawandwrite    26/05/2013    5 recensioni
Ryan Gray è un normalissimo studente Americano, da poco trasferito in Giappone per studi specifici.
La sua vita viene da subito turbata da un incontro particolare, che lo spaventerà e ecciterà al contempo.
Nel frattempo le vite Di Nozomi, Komachi, Karen, Urara, Rin, e Kurumi trascorrono tranquille.
E così sarà finché la loro strada non si incrocerà con quella di Ryan Gray.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chiedo scusa per il ritardo, avrei dovuto pubblicare il capitolo giovedì scorso, ma un black-out infame mi ha preso di sprovvista e il capitolo che stavo scrivendo è andato a farsi … ehem … a quel paese.
Così l’ho dovuto riscrivere daccapo.
 ripeto: chiedo scusa a tutti!
 
Ryan sbadigliò, tentando, non senza difficoltà, di uscire dall’incastro scomodo del banco troppo ristretto perché potesse contenere le sue lunghissime gambe. Al termine delle ore di scuola si sentiva sempre più rattrappito, rigido e stordito. Si appoggiò alla superficie liscia e lucida del banco, quindi stirò e contrasse un paio di volte i muscoli delle cosce e dei polpacci, avvertendo l’ormai familiare sensazione di legnosità agli arti. Sospirò e fece per uscire dalla classe, ma una voce lo inchiodò sul posto con prontezza.
Si voltò e lanciò uno sguardo di sottecchi a Nozomi, indaffarata a racimolare tutto il materiale scolastico e assorta nel vano tentativo di comprimerlo dietro la cerniera della sua cartelletta, tanto gonfia da dare l’impressione di essere in procinto di esplodere da un momento all’altro. Ryan si chiese come diavolo riuscisse, ogni singolo giorno, a trovare difficoltà nel cacciare astuccio diario, divisa, e quant’altro in una borsa tanto spaziosa. Molto probabilmente il segreto stava tutto nel fermo rifiuto di piegare la divisa di ricambio, di mettere in ordine penne e matite e di serrare diari e quaderni prima di conficcarli nella cartelletta con una noncuranza da oscar.
Il ragazzo sospirò, fermandosi sulla soglia e appoggiandosi ad uno stipite della porta: la classe si era interamente svuotate, e lui era costretto ad attendere che quella confusionaria di Nozomi riuscisse nella sua ardua impresa giornaliera. In fondo non aveva il permesso di muovere piede senza essere controllato da qualcuno. Gli avevano persino imposto di dormire alla Natts house tre giorni a settimana, ignorando il suo appartamento e i soldi che richiedeva la sua permanenza in quel posto. Soldi spesi inutilmente, dal momento che ne apriva la porta solo ed unicamente quando dimenticava qualcosa a casa o quando aveva impellente bisogno di rimanere da solo qualche ora. Essere perennemente scortato da una specie di guardia del corpo si stava rivelando frustrante e Ryan, nonostante fosse tipo da compagnia, apprezzante la vicinanza di amici e cari e riluttante all’idea della solitudine, si stava gradualmente scoprendo insofferente alla situazione.
Ehi, chi non lo sarebbe stato sapendo di avere un branco di belve ringhianti alle calcagna?
Fortunatamente i suoi genitori erano nell’America lontana, ignari di ciò che stava stravolgendo la vita del figlio. E, sempre fortunatamente, il padre non aveva smesso di prodigarsi per far avere i soldi necessari a Ryan per pagare scuola, appartamento e altri impegni che il ragazzo doveva ancora incastrare nella sua vita.
L’accoglienza in Giappone non era stata delle migliori, eppure lui si sforzava di avere un tono allegro e spensierato ogni volta che riceveva una chiamata dai genitori, in modo da lasciar loro la convinzione che tutto filasse per il verso giusto e assicurando loro, quindi, il sonno tranquillo. Cosa che a lui mancava dal preciso istante in cui aveva lasciato la sua casa natia.
Si passò una mano fra i capelli: era incessantemente intrappolato in un intricato groviglio di angoscia, paura e disagio. Sapeva di essere in pericolo. Era consapevole di essere esposto, vulnerabile. Aveva un mezzo per contrastare zanne e artigli nemici, ma non era in grado di usufruire del suo potere.
In quella storia era un inutile fantoccio. Complicava la vita alle combattenti, rappresentava solo ed unicamente un ostacolo incapace.
Il senso di impotenza del pensiero lo colpiva con maggior forza man mano che i giorni passavano e l’angoscia cresceva.
-Nozomi- la chiamò con incertezza, giocherellando nervosamente con la manica del suo golfino. Non avevano ancora una confidenza piena, nonostante la ragazza facesse di tutto per coinvolgerlo nella vita “umana” delle Pretty Cure. Aveva spesso notato che Rin si escludeva dalle loro uscite di  gruppo e che spesso era assente durante i pomeriggi in cui si ritrovavano alla Natts house per scambiarsi le varie ipotesi sulla loro situazione. Accettava di farne parte solo quando si concretizzava qualcosa, assorbendo le nuove notizie, dopodiché spariva nuovamente. Ryan non sapeva spiegarsi come riuscisse a ricordare ogni minimo impegno che Rin aveva accennato: dal torneo di tennis agli allenamenti di Rugby. Ma se li ricordava. E ogni settimana attendeva con trepidazione il giorno in cui Rin si concedeva del riposo per passare il tempo con loro. Ryan corrugò la fronte e scosse il capo, dissipando il velo di nebbia che quegli insoliti pensieri avevano soffiato nella sua mente. Si accorse che Nozomi lo fissava in attesa di qualcosa.
Si riscosse –mi sono iscritto al club di basket- la informò, con un mezzo sorrisetto – gli allenamenti sarebbero dalle 15 alle 17- Lei acquisì una lieve severità nei lineamenti.
-D’accordo, ti aspetto- disse poi, raccogliendo una gomma che le era sgusciata dalle dita – cerca, però, di avvisarmi prima di un cambiamento sostanziale nella tua routine: devo abituarmi ai tuoi impegni per assicurarmi di poterti far compagnia di continuo- concluse con un sorriso
Il ragazzo annuì. Lanciò un’occhiata annoiata all’orologio da polso: le 15:08. -Posso cominciare ad andare in palestra, nel frattempo- propose con disinvoltura, consapevole del rifiuto certo.
Non gli avrebbero permesso nemmeno di percorrere quei 10 metri che lo separavano dalla palestra della scuola.
Nozomi comparve dal lato opposto del banco, scoccandogli uno sguardo fermo –Ryan, mi dispiace, ma non posso permettertelo-
Come non detto.
Ryan sospirò –lo so- ammise –ma la palestra è vicina, voglio dire non … -
-E con questo?- lo interruppe Nozomi, posando entrambi i palmi della mani sui banchi –cosa farai una volta in palestra? Sei già stato aggredito laggiù, una porta chiusa e dei muri solidi non potranno difenderti-
Lui si mordicchiò il labbro inferiore –Rin potrebbe- disse in un flebile sussurro, avvertendo un tiepido brivido espandersi sulle gote.
Che gli prendeva?
Nozomi alzò le sopracciglia, sorpresa –perché non lo hai detto subito? Se c’è Rin che ti controlla vai pure!- esclamò con un sorriso e uno sguardo sornione ,che a Ryan non piacque per nulla, in risposta all’espressione imbarazzata del ragazzo.
Ryan le indirizzò un cenno di ringraziamento, quindi si voltò e fece per andarsene ma Nozomi lo bloccò una seconda volta.
-in fondo immagino che tu preferisca farti proteggere da lei - disse con voce angelica e innocente, ma con un pizzico di malizia sulla punta della lingua.
Ryan sgranò gli occhi e arrossì violentemente –C-cosa?- rispose voce stridula. Non si sarebbe mai aspettato un allusione tanto diretta e sleale da parte di Nozomi. E poi, andiamo, cosa le passava per la testa?
La ragazza scoppiò a ridere –va’ in palestra, Ryan, sei in ritardo- gli fece notare.
Lui non se lo fece ripetere due volte.
 
Ryan contò 16 passi che lo separavano dalla palestra. Si ritrovò impalato di fronte alla porta della palestra, pensando con una leggera ironia all’impresa appena compiuta: 16 passi da solo.
Il ragazzo sospirò, scuotendo la testa, quindi spinse la pesante porta e fu investito dalla tiepida atmosfera, dal cigolio familiare delle scarpe, dall’eco ritmico del pallone. Percorse il corridoio e lanciò un ‘occhiata curiosa all’interno. La palestra era enorme, leggermente più grande da quella comunale in cui si era misurato contro di Rin. Per giunta era gremita di gente: il team di pallavolo che usciva in massa dagli spogliatoi, il team di basket che si impegnava nel riscaldamento, la semplice folla di curiosi che riempiva gli spalti e che faceva uno scherzoso tifo.
Ryan si ritrovò a sorridere. Almeno in quello, il Giappone non pareva troppo diverso dall’America. Con lo sguardo percorse l’intera folla variegata, ma non riuscì a trovare ciò che cercava. Si strinse nelle spalle e riprese il proprio cammino indirizzato agli spogliatoi dal lato opposto della palestra, facendo attenzione a procedere rasente alla parete quando le squadre di pallavolo gli passarono accanto portando un chiacchiericcio allegro e spensierato. Fece per svoltare l’angolo, quando l’oggetto delle sue ricerche si parò di fronte a lui con prepotenza. Ryan percepì il respiro rifiutarsi di filtrare tra le proprie labbra.
Rin, vestita di semplice canottiera e pantaloncini comodi, parlottava con disinvoltura assieme ad un ragazzo più alto, moro, dal viso gentile e uno spruzzo di lentiggini a colorargli le gote. Doveva far parte della squadra di pallavolo, dal momento che era provvisto di ginocchiere, polsini e la tipica divisa. Insieme stavano esaminando e polemizzando su un volantino piuttosto scadente, a loro detta, del corso di baseball che, di lì a poco, avrebbero aperto nel campo accanto alla scuola.
Ryan avvertì una fitta allo stomaco e un leggero formicolio ai polpastrelli. Rimase impalato sul fondo del corridoio, senza riuscire a staccare lo sguardo dalla ragazza. era incerto sul da farsi: Rin esercitava su di lui una soggezione incredibile, mai provata prima d’ora. Ogni volta che gli occhi tersi si posavano su di lei, la sua presenza prorompente lo metteva in difficoltà e il ragazzo avvertiva il chiaro bisogno di fuggire e il contrastante desiderio di affiancarsi a lei.
Il ragazzo con cui Rin chiacchierava alzò lo sguardo verde, sveglio, e inarcò le sopracciglia con fare sconcertato. Quindi picchiettò sulla spalla di Rin e indicò Ryan, ancora impalato e pietrificato dall’effetto che la ragazza iniettava in lui.
Lei seguì l’indice dell’amico.
Ryan fu letteralmente travolto dallo sguardo di Rin. Percepì le gambe polverizzarsi sotto il suo peso e i polmoni che ancora pretendevano di trattenere l’ossigeno, mentre il cremisi tagliente degli occhi di Rin lo metteva spalle al muro. Letteralmente.
Fu un attimo. Lo sguardo impassibile di Rin si sgretolò per lasciar posto ad un espressione seria, un balenio d’ira accese come lingue di fuoco le iridi della rossa.
Ryan si sentì mancare. Fece un passo indietro, respinto dalla risolutezza scottante di Rin.
Il pallavolista intuì la situazione, quindi salutò frettolosamente la ragazza, la quale non rispose ma gli indirizzò un lievissimo cenno con la mano, giacente lungo il fianco.
Rimasti soli, il corridoio parve freddo ed inospitale, un luogo ostile, buio. Il ricordo della palestra comunale e dell’angoscia provata assalì Ryan con un colpo basso, troncandogli di netto il respiro immettendogli  una sgradevole frenesia nelle vene. Per un breve, terribile, arco di tempo, Ryan fu certo di veder scorrere davanti ai suoi occhi ombre fluide, serpeggianti. La sua vista si tinse di rosso, un rosso acceso, e gli angoli degli occhi presero a bruciargli.
Chiuse  le palpebre e strizzò gli occhi con forza portandosi il palmo della mano all’altezza della tempia.
Lentamente, il respiro si fece regolare, le dita cessarono di tremare, e il bruciore scemò dai suoi occhi chiari.
Si sentì afferrare bruscamente per il polso, quindi aprì gli occhi di scatto, riemergendo dallo stato estraneo alla realtà in cui era  precipitato. Si ritrovò di fronte Rin, lo sguardo diretto, il viso austero, il portamento aggressivo. Sulla pelle percepiva la stretta salda delle sue dita, il lieve contatto d’attrito dei suoi calli ruvidi dovuti alla vita da palestra. Nelle narici fece invasione il suo profumo, non si era mai accorto di quanto fosse forte e inebriante. Non era il classico profumo in boccetta. No, Ryan era pronto a scommettere che Rin non lo approvasse. Era il suo.
Ed era piacevole.
-Che diavolo ci fai qui?- sibilò la ragazza con voce affilata ed una smorfia contrariata.
Ryan subì nuovamente una sorta di stordimento, faticò a riprendere il pieno possesso del proprio corpo e la sua lucidità vacillava con troppa facilita.
-Basket- rispose, prima ancora di potersi mordere la lingua.
Idiota.
Rin alzò un sopracciglio con un sorriso privo di gioia, traboccante di un sarcasmo in perenne procinto di essere sfoderato, di dilagare  dalle labbra della ragazza.
-Ti prendi gioco di me?- sibilò in un sussurro, strappandosi dal viso ogni accenno di espressività. Fece un passo avanti, sbilanciandosi nella graffiante offensiva tipica della sua indole e strinse la presa sul polso di Ryan, comunicandogli che la sua pazienza stava lentamente precipitando, sempre che si fosse mai alzata in volo.
-No- esclamò Ryan in tono timido, preda del forte istinto di sfuggire a quella difficile circostanza.
-Perché sei qui da solo?- ringhiò Rin, animandosi di una rabbia impetuosa, sebbene ancora controllata.
-N-Nozomi è … - tentò Ryan, in un flebile mormorio.
-Sto parlando io- abbaiò lei prendendolo per il colletto e abbassandolo con violenza alla sua altezza –Loro non hanno bisogno di molto tempo per farti fuori. Un secondo, basta un secondo per ammazzarti- Era furiosa. Letteralmente furiosa. I suoi occhi sprizzavano scintille di rabbia, il suo sguardo era divorato da un fuoco vivo, pulsante, un fuoco che, tuttavia, Ryan aveva notato ancora prima che la loro conversazione prendesse piede.
Ryan corrugò la fronte e, invece di reagire allo sfogo di aggressività di Rin nei suoi confronti, le esaminò il viso: il tic nervoso del sopracciglio destro, la mandibola contratta, l’angolo della bocca preda del suo canino.
-Ti senti bene?- fece, sinceramente preoccupato dello stato d’animo della ragazza. Non l’aveva mai vista fuori controllo. Si era spesso esibita in commenti sarcastici, in parole pungenti e spesso si era mostrata iraconda, rabbiosa, combattiva, a volte Ryan le avrebbe persino affibbiato l’aggettivo “sadica”. Ma non aveva mai alzato la voce. Mai era caduta vittima di tic nervosi.
Qualcosa turbava Rin.
Lui?
Eppure aveva accettato le sue scuse.
La rabbia della ragazza parve affievolirsi e placarsi leggermente, giusto quel poco per essere tenuta sottocontrollo. Rin parve cadere vittima di un disorientamento inatteso.
-Senti, perdonami. Nozomi è in classe, io sono venuto qui perché sapevo che frequenti il club di basket- continuò Ryan con prudenza, notando che Rin non aveva intenzione di rispondergli –Non avevo intenzione di … cioè, non volevo innervosirti. Mi dispiace-
La ragazza abbasso le palpebre, prese un gran sospiro e tentò di dissipare, almeno in parte, la tensione che legava il suo corpo.
-D’accordo- rispose, poi, una volta riafferrata lucidità – Ora però va’ da Nozomi. Non è bene che tu rimanga senza protezione-
-Ora ci sei tu- disse di getto Ryan.
Lei alzò un sopracciglio e prese fiato per rispondere, probabilmente molto sgarbatamente, ma la porta d’ingresso della palestra si spalancò.
Apparve Nozomi, intenta a trascinarsi su un fianco la tracolla gonfia di materiale spiegazzato che a sprazzi faceva capolino dalla cerniera non completamente serrata.
Quando alzò lo sguardo e vide i due, non riuscì a trattenere un sorriso e le sue guance si colorarono di un timido rossore –Ho interrotto qualcosa?- chiese portandosi una mano alla bocca.
Ryan avvampò letteralmente.
Rin, invece, non fece una piega, si limitò a sciogliere la presa sul polso del ragazzo e a recuperare una buona distanza, liquidando l’insinuazione di Nozomi con sommesso –figurati-
Lei annuì con aria sorniona, trattenendo uno scoppio di ilarità.
-D’accordo- esordì –Rin, ti dispiace se ti affido Ryan durante le ore di basket? Potrei approfittarne per sforzarmi di studiare-
La rossa dapprima tirò un angolo della bocca, in una lieve espressione scocciata, poi si strinse nelle spalle e acconsentì senza opporsi.
 
Kurumi entrò nella Natts House, legandosi i capelli ribelli dietro la nuca. Notò un piatto ricolmo di biscotti giacente sul tavolo basso della sala. Passandoci accanto ne prese uno e lo strinse fra le labbra mentre ancora litigava con le ciocche di capelli ricci.
Si sedette su una poltrona, sgranocchiando il biscotto croccante, quando comparve dal piano superiore Kokoda.
-Buon appetito- esclamò ironico.
Kurumi gli sorrise, prese un tovagliolo e si pulì le labbra prima di rispondere con un sintetico “grazie”.
Natsu entrò in sala subito dopo Kokoda e si sedette di fianco a kurumi senza distaccare lo sguardo dalle pagine del libro che teneva in mano.
Kurumi lanciò uno sguardo alle scale e, una volta assicurata che non ci fosse nessun’altro al piano superiore, si voltò per controllare che non gli fosse sfuggito nulla nella sala del bancone.
-Dov’è Syrup?-  Domandò sconcertata.
Kokoda scrollò le spalle –aveva detto di avere una consegna impellente da fare-
Non finì di parlare, che la porta si spalancò, rivelando un Syrup piuttosto provato.
-L’ho trovato- annunciò con un filo di voce.
 
NOTE: forse non è un granché come capitolo, ma ,come ho detto prima, ho dovuto riscriverlo in fretta. Mi dispiace. So che si tratta di un altro capitolo di passaggio, non preoccupatevi, l’azione arriverà presto.
Nel frattempo vi chiedo:  la storia prende come protagonisti, ormai l’avrete capito, Rin e Ryan. Vi sembra che i due siano troppo al centro dell’attenzione? Fatemi sapere il vostro parere, così potrò, eventualmente, rimediare.
Graaazie.
  
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