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Autore: IamShe    26/05/2013    12 recensioni
Shinichi è rimasto adulto, ma non sa né come né perché né quanto durerà l'antidoto. Sebbene cerchi di godersi questi attimi preziosi nel suo corpo originale, un vortice arriva a sconvolgergli la vita: una giornalista ha scritto un articolo su di lui e sul suo ultimo caso risolto, e Ran comincia a nutrire dei seri sospetti sulla sua doppia identità. E chissà che tutto ciò, non giunga alle orecchie sbagliate....
•••
“Rimani?” chiese lei di rimando, velocemente. Non voleva una vera risposta, voleva solo ascoltare la sua voce. Voleva solo sentirlo parlare. Perché sapeva che ogni cosa, ne avrebbe nascosta un’altra. Ogni verità, avrebbe nascosto una bugia. Una scia di luce, forse quella di prima, forse quella che si era persa nell’oscurità, forse quella che aveva cercato costantemente, passò negli occhi di Shinichi.
Ran non seppe interpretarla, ma non le importò.
“Sì.”
La bastò solo quello: credere alle sue bugie.
Genere: Generale, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Your Lies
27.
Non mi manchi tu, non ti manco io

 

 
 
Erano passati cinque giorni dal loro addio, e la cosa più buffa era che il mondo pareva non accorgersene. Come sotto l’effetto di un ingranaggio gigante ed invisibile, tutto intorno ruotava e si muoveva esattamente come se non fosse successo nulla: i genitori accompagnavano i propri figli a scuola, i ragazzi si incamminavano assonnati verso casa, i manager e gli impiegati correvano su e giù per le metro per beccare il treno che avrebbe fatto arrivar loro due minuti prima al traguardo. Tutto era maledettamente uguale. Cinque giorni di lotta interiore e di pianti, cinque giorni di parole dette e non. Sonoko aveva provato inutilmente a scucire la bocca dell’amica ma senza alcun risultato. Anche Saigo aveva tentato a fare altrettanto, borbottando parole di disgusto nei confronti del detective. Solo Hana non era tornata a scuola, e se ne ignorava la ragione. In altro modo, Conan era precipitato ancora nella sua deprimente e odiosa vita da bambino di sette anni. I detective boys avevano notato la sua silenziosità e la sua bruschezza nel rispondere alle loro domande, ma era troppo ingenui e piccoli per capire che cosa stesse accadendo. Sapevano soltanto che il loro piccolo amico era andato a vivere nella casa che un tempo avrebbero voluto visitare, perché credevano fosse infestata dai fantasmi. E vuoi per i compiti, vuoi per un po’ di paura, non erano ancora passati a trovarlo. Ma a Shinichi non importava la loro compagnia. Dopo esser andato a scuola, tornava a casa accompagnato da Haibara, che non la smetteva un secondo di rinfacciargli quanto fosse idiota e stupido. Erano stati cinque giorni di puro mistero: che cosa aveva inventato Ran per giustificare l’improvvisa partenza del piccolo da casa loro ancora era ignoto. Contraria a solo pensiero di dover raccontare bugie per lui, e divisa nell’insolito volere di tener tutto segreto, era riuscita a biascicare solamente un «doveva andare», mandando Kogoro su tutte le furie. Erano cinque giorni che il detective in trance non risolveva nessun caso, e Ran aveva intuito anche il perché. Ciò non fece che farla infuriare di più: pensare che quel ragazzino avesse sfruttato e preso in giro anche il padre, con chissà quale metodo, la mandava fuori di sé.
Erano cinque giorni che Shinichi Kudo era segnato assente in classe, e cinque giorni che s’era imposta di non pensarci. Nel letto, la sera, era solita ricordare gli ultimi momenti passati con lui e tutti i guai combinati con Conan. Ancora non riusciva a distinguere i due per bene perché, anche se sapeva di dover essere arrabbiata con entrambi, provava forte odio e rancore solo nei confronti di quello adulto. Nonostante l’ultima volta che c’aveva parlato aveva fuso la voce di Shinichi con il corpo del piccolo, non era facile pensare a Conan come il liceale. Certe volte provava anche la mancanza di quel bambino dolce e occhialuto, chiedendosi dove fosse.
Ma poi si riprendeva, sapendo di star solo farneticando. E prima d’addormentarsi tornava a dirgli sottovoce, lasciando che una lacrima bagnasse il cuscino infreddolito, «addio».
Shinichi, invece, non faceva che scrutare  il display del cellulare per controllare se fosse arrivato qualche messaggio, e quando succedeva, si deprimeva nel constatare che non fosse lei. Ma non lo ammetteva, e se glielo notavano fare, inventava la scusa dell’orario.
Passava le giornate nella biblioteca di casa sua, col naso all’insù ad osservare i libri e a leggerli, qualsiasi fossero. In un pomeriggio rilesse tutto Sherlock Holmes daccapo, con particolare attenzione a Il segno dei quattro, il suo preferito; due giorni per la collezione di Agatha Christie e due ore abbondanti per Assassino sull’Orient Express; e un altro giorno per i libri di Ellery Queen, quelli che gli ricordavano Heiji, perché erano i suoi preferiti. Eppure anche i gialli parevano non suscitare più l’interesse di un tempo; ma lui si convinse che fosse a causa del fatto che li aveva riletti per la centesima volta, e che non ci fossero altre spiegazioni.
L’ultimo che aveva iniziato era I delitti della rue Morgue di Poe, ma dovette fermarsi al ventesima pagina a causa del professore Agasa. Come ogni sera lo chiamava per farlo venire a cena da loro in modo che non rimasse a digiuno per molto. Posò il libro sulla scrivania e si diresse verso la villa del dottore, particolarmente impermeabile a ciò che lo circondava. Aprì la porta di casa recitando uno scocciato «ciao», poi alzò il volto e notò che non fosse l’unico ospite quella sera.
«Kudo! Finalmente! Sono arrivato proprio cinque minuti fa! Si può sapere che cavolo è successo!?»
Conan strabuzzò leggermente gli occhi. «Hattori... tu che ci fai qui?»
L’amico si grattò la testa con una mano. «Sai, il professore mi ha avvisato che tu e Ran avete litigato... che lei ti ha scoperto... che ora vivi a casa tua... e appena l’ho saputo sono corso!»
Shinichi osservò il professore con sguardo truce. «Non c’era bisogno ti scomodassi» gli disse poi, freddo.
Ma Heiji non ci fece caso: era abituato a quel comportamento. Conosceva alla perfezione questo suo insopportabile aspetto. Quando c’era qualche problema lo voleva solo per lui, senza il bisogno di sfogarsi con qualcun altro. Ma lui c’era sempre, bene o male. E gliel’avrebbe fatto capire.
«Non avevo nulla da fare ad Osaka» disse, sorridente. Poi lo imitò e prese posto a tavola, dove il dottore aveva riempito i piatti di riso al curry. «Allora?»
«Allora cosa?» fece lui, ignorandolo quasi.
«Che è successo?»
«Non te l’ha già detto il dottore?»
«Sì, ma...» provò Heiji, sempre col sorriso sulle labbra.
«E allora non ho nulla da dirti» tagliò corto il bambino, addentando un po’ di riso e facendosi passare del pane. Agasa fece una smorfia ma Ai avrebbe tanto voluto tirargli il piatto appresso.
«Kudo, solo perché la tua fidanzata non ne vuole più sapere di te non c’è bisogno di trattare male tutti quelli che hai intorno».
«Taci Haibara».
«Ragazzino? Abbassa la cresta e torna coi piedi per terra. Qui non stiamo a tua disposizione!»
Ma Shinichi la ignorò, ed Heiji si sentì leggermente imbarazzato. Il piatto del detective fu svuotato nel giro di qualche minuto, e l’amico di Osaka parve capire anche il perché.
«Grazie della cena, meravigliosa» disse, indietreggiando con la sedia e poggiando i piedi a terra. «Adesso vado via. Buonanotte.»
«Aspetta, Shinichi!» lo richiamò il dottore, prima che potesse lasciare il tavolo. «C’è ancora la frutta... e il dolce!»
«Non ne ho voglia, ma grazie lo stesso» disse, e velocemente fuggì via, lasciando che la sua piccola figura divenisse sempre più scura e si nascondesse tra il buio del giardino. Heiji abbassò il capo sulla fetta di torta che il dottore gli aveva servito, fingendosi disinteressato.
«Non farci caso, Heiji. È un brutto periodo per lui» cercò di rincuorarlo il dottore, sorridendogli benevolo.
«Oh... no, non fa nulla. Lo conosco abbastanza da poterlo capire» disse lui, ricambiando il sorriso. Ma dovette ammetterlo a se stesso: un po’ era dispiaciuto.
«Non è un buon motivo per trattare una schifezza chi gli sta accanto» fece laconica la piccola.
«Però anche tu, Ai! Citare Ran...» fece il dottore, esasperato, mentre Heiji gli passava i piatti da lavare.
«Cos’è, adesso? Il nuovo Voldemort del mondo del detective Conan? Colei-che-non-deve-essere-nominata?»
Heiji sorrise appena, e il dottore lo imitò.
«No, ma... lo sai che fa finta di non pensarci quando in realtà sta male...»
Ai sbuffò, seccata. Riordinò la tavola, aiutata dal giovane di Osaka, e lasciò cadere le posate nel lavandino. Si mise il camice da scienziata e lo aggiustò in modo da farlo aderire per bene. Scese lungo la scala curva che portava al seminterrato e lasciò i due uomini da soli.
Agasa si divertiva a lavare i piatti, e nonostante Heiji si fosse proposto di aiutarlo, lui volle fare tutto da solo.
«Lo sai, è dal primo giorno che ti ho visto che ho capito che sei proprio un bravo ragazzo. Shinichi è stato fortunato a trovare un amico come te» gli disse, facendolo imbarazzare.
«Ci siamo trovati a vicenda», Heiji lo sguardo alla televisione, tanto per non guardare il vecchio.
«Potrebbe sembrare che lui non ci tenga a nulla però...» provò il dottore, ma lui lo bloccò.
«Lo so, professore. So com’è fatto.»
«È ammirevole pensare che ti sta bene così.»
«A me non sta bene così. Però lo accetto. Abbiamo tutti dei difetti.» Hattori scosse il capo. «Quando incontrai Shinichi per la prima volta pensai che fosse perfetto. Parlo del suo modo d’investigare, eh, precisiamo!» sorrise, poi tornò a parlare. «Mi affascinò talmente tanto che decisi di rivederlo, ma nulla. Chiesi di lui a molte persone e mi dissero che era da tempo che non si vedeva... così cominciai ad avere dei dubbi. Poi scoprii che s’era rimpicciolito, e lui voleva negarlo...»
E mentre parlava gli ritornarono in mente tutti i momenti passati insieme. Era incredibile come fosse riuscito a capirlo man mano, ed era altrettanto impensabile credere che Ran, dopo anni, non volesse farlo.
«Forse era meglio lasciarla morire davvero...» fece Heiji, colpito dalle lacrime della giovane assassina. Ma Shinichi lo zittì, abbassando gli occhi al pavimento. «Stupido...» disse, attirando la sua attenzione.
«Un detective che incastra un colpevole spingendolo al suicidio, non è diverso da un assassino...»
Hattori sorrise, e facendo finta di tapparsi le orecchie, lo stuzzicò: «Ahi, ahi, che dolore all’orecchio!» disse, poi aggiunse: «una battuta proprio degna di te, Mister Perfezione...»
Ma Conan non sembra proprio entusiasta. Ridacchiò, ma fu un sorriso amaro.
«Eh! La perfezione non esiste... io sono una persona, una persona soltanto...»
«Era per non metterti in pericolo!» aggiunse il dottore, sistemando i piatti su un panno per farli asciugare.
«Forse.»
«Come “forse”?» inarcò un sopracciglio Agasa, stranito.
«Credo che lui abbia sempre voluto voler fare tutto da solo. Non era solo una questione di protezione, ma anche di orgoglio. Shinichi credeva che da solo potesse risolvere tutto. Poi s’è accorto di non essere perfetto, di essere anche lui un essere umano... ed io l’ho capito insieme a lui. Ed anche se s’era infranto quel mito di perfezione che mi ero creato, inaspettatamente... è stato meglio. Perché penso che puoi dire di voler bene ad una persona solo quando riesci ad accettare i suoi più tremendi difetti.»
Agasa parve colpito da quelle parole, ma non disse più nulla sull’argomento. Per un’oretta lui ed Heiji guardarono la tv, poi andarono a dormire. Il giovane di Osaka era stato sistemato sul divano della villa, un po’ arrangiato, ma abbastanza comodo. Certo, aveva immaginato una serata diversa, ma si disse che il giorno dopo avrebbe riprovato a parlarci. Perché se il peggior difetto di Shinichi Kudo era la freddezza, quello di Heiji Hattori era la testardaggine.
 
 
 
«Ran, ti muovi? Faremo tardi a scuola!»
«Vengo, vengo!»
La giovane karateka scivolò giù per le scale velocemente, e piombò sul suolo della strada con leggera violenza. Ad aspettarla c’erano Sonoko e Saigo, entrambi con le cartelle marroni in mano. Ran rivolse un sorriso ad entrambi s’avviò con loro verso l’istituto, acconciandosi i capelli che per la foga s’erano elettrizzati tutti.
«Oggi c’è il compito di Giapponese. Ran tu hai studiato?»
«Certo!» disse, gioiosa. «E tu, Sonoko?»
Lo studio era un ottimo modo per distrarsi. Considerando che l’ultimo compito gliel’aveva passato lui, perché lei s’era impegnata troppo a perdere tempo appresso alle sue idiozie, Ran s’era ripromessa di riprendere il ritmo che aveva prima che lui tornasse. Così, dopo esser tornata dal liceo, si rinchiudeva in camera e studiava il più possibile. Le materie che aveva tralasciato in quel periodo furono quelle su cui si impegnò di più, mentre delle altre fece solo una ripetizione generale.
«No! Makoto mi ha chiamato e mi ha detto che sarebbe tornato oggi... ed io, dall’impazienza, ho abbandonato il libro a se stesso...»
«Sonoko, non dare la colpa al tuo ragazzo se non hai voglia di metterti sui libri...» la punzecchiò Saigo, ridacchiando.
«Ma è vero! È tutta colpa sua!» scoppiò a ridere, contagiando anche Ran. E visto che la karateka era stia al sorriso in quei giorni, ciò non poté che far immensamente piacere ai due amici.
«Io invece oggi ho il compito di informatica. Che noia.»
«E tu, Saigo Yami!? Hai studiato?!» lo rimbeccò Sonoko, punzecchiandolo con il gomito.
Il giovane sorrise. «Sono troppo genio per studiare...»
Sonoko scoppiò a ridere, ma Ran si bloccò all’improvviso. Lo fissava con terrore e paura. Quella frase, quel modo di dirlo, era troppo da...
«Ran? Ti vuoi muovere o no?»
Gli amici la richiamarono. Lei si diede una scossa. Come poteva anche lontanamente paragonare quell’essere schifoso a Saigo? Si morse un labbro, nervosa. Poi li guardò e li raggiunse.
Odiava ricordarlo, ma era soddisfacente pensare a lui in quel modo. Non era più il desiderio di una volta, né c’era più la voglia di vederlo e sentirlo, non provava più il desiderio di chiamarlo. Era tutto finito ed era straordinariamente liberatorio.
 
 
 
Il campanello di casa Kudo suonò per tre volte prima che il suo piccolo abitante decidesse di andare ad aprire. In quei giorni aveva seriamente pensato di non voler più andare a quella stupida scuola: che senso aveva? Lui il diploma d’elementari già l’aveva, perché doveva fare sempre le stesse cose? Avrebbe potuto passare un’intera giornata a leggere libri, o magari a rivedere i fascicoli dei casi risolti da suo padre, ancora nella biblioteca. Avrebbe potuto ricavarne consigli preziosi, e lui non voleva mai smettere di imparare ad essere un detective. Ma era inutile, tutto inutile. Probabilmente adesso erano quei mocciosi che avevano finalmente trovato il coraggio di passare il cancello. Shinichi odiava tutti in quel periodo e non osava chiedersi il perché. Ma sulla soglia della villa apparve Heiji, sempre col solito sorriso stampato in faccia.
«Buongiorno Kudo. Passata una bella nottata?»
«Sei ancora qui?» gli chiese rapidamente, quasi stupito. La domanda non era brusca ed Hattori parve capirlo.
«Be’ sì, vuoi proprio cacciarmi?» lo punzecchiò, facendosi spazio sull’entrata.
«N-no» disse, un po’ incerto. Ma era per via dello sguardo: Shinichi non stava osservando Heiji, ma un punto fisso più o meno di fronte a lui, in lontananza.
«C’è qualcuno lì» disse rapidamente, poi cominciò a correre, nella speranza di dare delle prove ai suoi sospetti. Raggiunse il cancello d’entrata e diede uno sguardo a destra e a sinistra, qualche secondo dopo si accodò il giovane di Osaka, stranito.
«Chi era?» chiese Heiji.
«Non... non lo so. Ho visto un’ombra, ma...» osservò la strada, completamente deserta. «Ma è scomparsa».
«Be’, non può essersi smaterializzata» constatò quello di Osaka. «Che dici se la cerchiamo?»
Ma Shinichi fece una smorfia. Da lontano vide arrivare i detective boys, con la loro solita felicità ed allegria, che proprio in quel periodo, faceva saltare tutti i nervi del piccolo liceale.
«Non posso, sono arrivati».
«Suvvia! Dico loro che stai con me» disse Hattori, facendogli l’occhiolino. I piccoli arrivarono e il detective dalla carnagione olivastra li avvicinò, con le mani sui fianchi.
«Ragazzi, oggi vi rubo per un po’ il vostro amico. Fate le tabelline anche per lui eh, non sia mai se ne perdesse una...» ridacchiò tra sé e sé, ma Conan rimase impassibile.
«Uffa Conan! Già hai saltato tantissimi giorni! Guarda che ti bocciano!» lo rimbeccò Ayumi, contrariata.
«Non me ne può fregare un accidenti».
Heiji scoppiò a ridere per smorzare la tensione che s’era venuta a creare, facendo loro pensare che Conan li stesse prendendo in giro.
«Su su! Andate a scuola che è tardi!»
«Ok...» disse la piccola, imbronciata. «Però domani vieni, vero?»
«Se avrò voglia» ribatté brusco. Ma Ayumi era quasi sull’orlo di una crisi di pianto. I suoi occhi cominciarono a luccicare e le palpebre a gonfiarsi di lacrime. Un attimo dopo stava piagnucolando, con il naso che tirava all’insù.
«Ma... ma... cos’hai co-contro d-di m-me?» singhiozzò, mentre Mistuhiko e Genta la raggiungevano e tentavano di rassicurarla.
«Conan, chiedile scusa!»
«Ma cos’hai eh? Se non vuoi più essere nostro amico diccelo!»
Ma Shinichi aveva occhi solo per Ayumi. Quel modo di strofinarsi le palpebre umide, quel modo di singhiozzare e lamentarsi... assomigliava terribilmente al suo...
«Scusami piccola» aggiunse quel soprannome dimentico di esserlo anche lui. Ma lì era Shinichi a parlare, e quasi accadde quello che avvertì Ran circa una settimana prima: le loro voci parevano fondersi... Ma forse perché lui non stava più parlando ad Ayumi, forse perché davanti aveva Ran...
La bambina parve riprendersi, e con la velocità di un fulmine mutò espressione. Lo strinse in un abbraccio e gli diede un bacio sulla guancia, ridacchiando felice.
«Ayumi!» la scrollò da sé Conan, imbarazzato. Mistuhiko e Genta parvero indiavolarsi, mentre Heiji rideva a più non posso.
«Che dolce che sei certe volte!»
I due bambini protestarono all’unisono.
«Ma se fino ad adesso ti ha trattata male!»
«Tsk, donne...» fece Genta.
Heiji aveva le lacrime agli occhi.
«Ayumi!!» continuò a chiamarla, nella vana speranza che si stesse zitta, almeno in quel momento, almeno quando c’era Hattori nei paraggi.
«Conan dai, non fare il timido!» lo rimbeccò l’amico, piangente.
Il piccolo lo osservò torvo. «Stai zitto tu!»
«Va be’, adesso allora noi andiamo... a presto, Conan!» lo salutò amorevole Ayumi, e trascinando i suoi due amichetti, si diresse verso la scuola elementare. I lamenti di Mistuhiko e Genta erano ancora udibili dal fondo della strada.
Shinichi rimase lì, a fissarla, ancora per un po’... Somigliava molto a Ran per certi versi, ma in altri era proprio l’opposto. L’amica d’infanzia era stata sempre così timida, non gli aveva mai dato un bacio da piccoli... e molto probabilmente, anche da adulti, non gliene avrebbe dato più nessuno in vita sua...
Heiji tossicchiò, facendolo rinsavire.
«Non-dire-una-parola» disse Conan, ancora imbarazzato.
«Hai fatto colpo eh?»
Shinichi sbuffò, ma l’amico rincarò la dose.
«Oh, Conan! Che dolce che sei! Oh, Conan!» disse melodrammatico, imitando la vocina stridula di Ayumi.
«Ok, me ne vado» fece, tornando verso casa, ma Heiji lo bloccò per il braccio e rise.
«Dai, scherzavo! Andiamoci a fare un giro, ti va?»
Shinichi sospirò. Tornò indietro e chiuse la porta a chiave, poi s’avviò con l’amico verso un’ignota destinazione.
 
 
 
Un calcio, poi un altro, poi altri due. Il manichino di gomma messo apposta lì per far esercitare i karateki era sotto gli abili colpi della campionessa della scuola, Ran Mouri. La cintura nera stretta alla vita e il sudore che le colava in faccia facendole appiccicare i capelli sulla fronte erano solo una piccola immagine di quello che sentiva dentro. Nella sua mente quel manichino aveva preso la forma di Shinichi. Vedeva ogni particolare, e con tutta la forza che aveva, mirava sempre a colpire quegli occhi. Quanto li odiava? Occhi ingannatori e traditori. E poi le labbra, che avrebbe tanto voluto spaccargli per davvero, visto che aveva osato prenderla in giro proprio in tutti i modi. Magari se avesse mirato ancora più sotto gli avrebbe fatto passare proprio la voglia di prenderla in giro!
Adesso che ci pensava avrebbe tanto voluto averlo di fronte: che dolori gli avrebbe fatto passare... un pugno, un calcio, uno schiaffo, un altro calcio ed un altro pugno...
«E se ti baciassi?»
Il tempo quasi si fermò attorno a loro. Ma mentre il cuore di Shinichi palpitava di tenacia ed intraprendenza, quello di Ran si bloccò per qualche istante, incredulo. Le sue stesse orecchie s’erano chiuse per poi riaprirsi violentemente, al suono di quella voce. E dopo qualche attimo di trance, la karateka si risvegliò, come da un dolce e bellissimo sonno.
Comprese, allora. Era mutato il loro rapporto? Tanto valeva andare fino in fondo, e non guardare più al passato. E se lui voleva giocare a vincere, lei no, non gliel’avrebbe data di nuovo vinta.
Sorrise così, sicura. «Ti rifiuterei.»
Lui ghignò. «Come le ultime due volte?»

Scagliò un calcio ancora più potente al manichino, quello barcollò per alcuni secondi poi riprese l’equilibrio.
«Stronzo!»
Diede un pugno al viso dell’omino, facendolo quasi cadere all’in piedi, ma ancora una volta, quello si rialzò.
«Sembra che tu non riesca a liberarti, karateka...» le soffiò in un orecchio, facendola rabbrividire.
«Ci riuscirei, se volessi farti del male...»
Ran sospirò, esasperata.
«Se vuoi la guerra...»
Utilizzò, così, la gamba. Facendo carico su di lui, e rimanendo a mezz’aria per qualche secondo, spintonò il suo piede contro quello dell’investigatore. Essendo teso a trattenere l’altro arto, Shinichi perse equilibrio alla sua destra, e in pochi istanti cadde a terra, trascinando con sé Ran.

Ran imitò la sua stessa mossa di qualche mese prima, ignorando completamente di trovarsi di fronte ad inerme manichino rosso. Lo scagliò a terra con tutta la violenza che aveva e quasi esultò nel constatare che non si muovesse dal pavimento.
«Ma che diavolo t’ha fatto quel manichino?»
La giovane si girò all’improvviso. Ad un metro di distanza c’era Saigo, con un asciugamano sulle spalle e la borsa appena poggiata a terra. Gli sorrise, felice di vederlo.
«Vuoi sostituirlo?» lo stuzzicò, ridacchiando.
Saigo scoppiò a ridere. «Avrei voglia di tornare intero a casa, sai com’è».
«Farò piano, dai...» si avvicinò e lo trascinò per qualche metro, mentre lui rideva. Saigo s’avvicinò dolcemente a lei, e sfiorandole l’orecchio, fece: «Poi mi guarisci tu se mi fai male?»
Ran si ritrasse all’istante. Pareva aver sentito parlare Shinichi. Lo fissò per un po’, terrorizzata, poi si staccò e distanziò di un metro.
«Che ho detto?» sorrise lui.
«Presta attenzione, Yami» fece, poi cominciò a tartassarlo di calci. Uno di questi colpì la sua spalla, e quando il giovane si fu accovacciato, Ran gli sferrò un colpo sul petto.
«Ferma, ferma», Saigo era scoppiato a ridere.
Ran lo fece cadere all’indietro, dandogli un nuovo colpo al petto.
«Sei ancora lento nei movimenti».
«O forse tu sei troppo veloce».
«Ciò non toglie che devi allenarti ancora».
Saigo sorrise, tendendole la mano. «Allenami, allora».
Lei fece sì che si rialzasse. Prese l’asciugamano e lavò via il sudore, poi si sedette sugli scalini. Saigo la imitò, guadagnandosi un’occhiata truce.
«Tu dovresti allenarti, non riposarti».
«Ma se la mia insegnante si riposa a me chi insegna le tattiche?»
Ran sorrise. «Furbo così».
«Io sono un furbetto».
Le strappò un risolino. «Ma non ti impegni abbastanza! Vuoi partecipare o no alla finale?»
«Tu non lo farai?»
Ran fece spallucce. «Non so, non mi sono impegnata abbastanza in questo periodo».
L’amico strabuzzò gli occhi. «Ran, tu hai massacrato quel manichino! Guardalo, è ancora lì che giace a terra, inerme!» indicò l’omino.
«Ma quello era un manichino! Contro gli avversari veri è più difficile! E tu hai bisogno proprio di questo!»
Saigo s’alzò e trascinò con sé l’amica.
«Allora penserò che sia qualcuno che mi sta sulle... hai capito» disse poi, facendola ridere.
«Tipo? Chi?» s’incuriosì lei.
«Kudo» disse. Ran spazzò via il suo sorriso in un attimo.
«Lo odio perché ti ha fatto qualcosa che ti fa star male... lo capisco sai?»
La ragazza non rispose, abbassò soltanto il capo.
«Non ti merita quel ragazzo, non capisco cosa ci trovi di bello».
«Che ci trovavo, al massimo» ci tenne a puntualizzare lei.
Ma il karateka non aveva voglia di fermarsi. «Perché è scomparso? Che ti ha fatto, Ran? Ti giuro che se ti ha fatto qualcosa di male, io...»
«Saigo, per favore...»
«Ti ha fatto qualcosa di male? Ran, rispondi!»
«SAIGO!» urlò lei, mentre la sua voce rimbombava sulle pareti della palestra. «Per favore! possiamo far finta che lui non sia mai esistito?!»
Il ragazzo annuì, ancora intrepido. La vide tornare indietro e prendere la borsa, posare l’asciugamano sulle spalle e cominciare ad avviarsi. Si girò e lo guardò: «ci alleniamo domani dai. Adesso ho voglia di un gelato».
 
 
 
«Secondo te quell’ombra che hai visto a chi apparteneva?»
«A qualcuno che piace farsi i fatti degli altri» rispose laconico Shinichi, camminando a piccoli passi sulla riva del lago. «Ma comunque, anche se fosse qualcuno dell’organizzazione, non ho problemi ad affrontarlo.»
Hattori fece per ribattere ma il suo cellulare squillò ed interruppe momentaneamente i suoi pensieri. Lo afferrò e rispose alla chiamata; dall’altra parte c’era Kazuha.
«Stasera? Ma sei impazzita?» disse, ma Conan non poteva ascoltare la voce dell’amica e dunque il resto della conversazione. Quindi rimase ad aspettare che Hattori concludesse la chiamata e gli spiegasse che stesse accadendo.
«Ok, ok... allora ci vediamo qui» fece, poi rivolgendosi all’amico: «Sta venendo a Tokyo. Dice che vuole passare un po’ di tempo con Ran. Ti manda i saluti.»
Conan fece un debole sorriso. «A Conan o a Shinichi?»
«Entrambi».
«Ricambia, da entrambi.»
«Oh cavolo! Perché non c’ho pensato?!» esclamò all’improvviso il giovane di Osaka, mettendosi le mani sul viso.
«A cosa?»
«E se invece fosse stata di Ran?» buttò lì Heiji, al che il detective piccolo alzò il capo e lo guardo per un po’, come a chiedergli se fosse idiota o deficiente.
«Impossibile».
«Perché impossibile? Potrebbe voler vedere che vita stai facendo... magari le manchi già.»
«Hattori... forse non hai afferrato la situazione.»
«Spiegamela.»
Conan sbuffò. «Non ho voglia di parlarne, ma posso assicurarti che lei ha fatto la sua scelta.»
«Ma perché lo dici?»
«Perché la conosco! Abbiamo chiuso, capisci? Chiuso, per sempre! Ran non è la tipa che spara parole perché ne ha voglia... se mi ha detto certe cose è perché le pensava. Io non posso farci più nulla.»
«Ma tu le hai spiegato perché le hai mentito?»
Lui scosse il capo. «No, non me ne ha dato la possibilità».
«Ma devi farlo! Appena torni normale parlale, dannazione!»
«No... e poi alla fine lei ha fatto quello che io non ho mai avuto il coraggio di fare. L’ho esposta a fin troppi rischi da quando combatto contro l’organizzazione. Anche solo andare a vivere a casa sua è stata una stronzata.»
«Sono sicuro che la sua è solo rabbia. Aspetta che si calmi, vedrai che le passerà...» Heiji sospirò. «Lei sta male quanto te, Kudo...»
«Io non sto male, Hattori!» lo rimbeccò lui, torvo.
«Sì, come no... stai una favola, guarda...»
«No, non sto male. Sono solo... deluso» disse, mentre l’erba si afflosciava sotto i suoi piedi.
Heiji lo guardò strano e lui continuò: «pensavo che la prendesse meglio... cioè, non m’aspettavo che mi facesse un applauso, però che capisse... o che si interessasse almeno al motivo... invece no. E va be’, significa che doveva andare così.»
L’amico incrociò le braccia al petto e aspettò che finisse di parlare. Quando furono giunti al punto più bello del lago, dove un centinaio di cigni galleggiavano sopra, Hattori si schiarì la voce.
«E allora perché indossi quel talismano?»
Conan parve strozzarsi. «Eh?»
«Quello che hai al collo. Se non stai male, perché lo indossi?»
«Ah, questo...» fece il piccolo, sfiorandolo con le dita. Finse disinteresse. «Mi piaceva.»
«È un talismano condiviso, vero?»
«Che?»
«Un talismano di cui gli effetti ne risentono due persone.»
Conan parve stupito. «Ma come...»
«Come lo so? Amico, ti ricordo che sono perennemente in contatto con Kazuha. Lei è un’esperta di queste cose.»
Silenziarono qualche minuto, giusto il tempo di osservare due cigni unire le loro testi.
Shinichi riprese a camminare, furioso. Aveva stampata sul volto un’espressione disgustata.
Si vergognava di se stesso. Lui non ci credeva a quelle stupidaggini. Sapeva che in realtà quell’oggetto non aveva nessun potere magico, né nessuna influenza sulla sua vita. Eppure l’aveva messo al collo, proprio come fece lei quando glielo regalò.
«Non lo so nemmeno io perché lo indosso... ‘sto coso...», e lo strappò via, gettandolo a terra. 





Ciiiiao! :) Sono tornata, altrettanto veloce! 
Allora.. di cosa parliamo? XD Di Shinichi e Ran che ormai sembrano più lontani che mai? Di Hattori che non si fa mai i fatti suoi? Di Ayumi che tra qualche anno farà le stessa fine di Ran? Del talismano gettato a terra dal detective? Non è dolce il fatto che l'abbia messo nella vana speranza di riavvicinarla? ** Oppure parliamo di Ran proprio? E di Saigo che ha totale campo libero al momento? Ne sono sucesse tante U___U
Come avrete intuito, la rabbia di Ran Mouri va ben oltre la semplice litigata. Quando pensa a lui è totalmente disgustata ed incapace a ragionare!
Non so se siete mai stati arrabbiati a morte con qualcuno... io sì, e posso assicurarvi che non passa in fretta U_U Shinichi finge di stare bene ma non potrebbe recitare peggio, e Hattori si preoccupa per lui ** Voglio un amico come Heijiiiiiiiiiii! :(
Ah, e poi c'è l'ombra fuori casa Kudo... di chi sarà? :P
Bene, lascio a voi i commenti XD
Ah, ci tenevo a dire una cosa... Se avete notato, uno dei generi della storia è "triste" perché in realtà Your Lies sarebbe dovuta partire dal momento in cui Ran scopre Shinichi. Ma capendo che, in qualche modo, dovevo porre delle basi alla reazione di Ran, ho sviluppato tutti gli altri capitoli... Dunque non aspettatevi momenti gioiosi da questo punto in poi, perché rimarrete un po' delusi XD Vi ho avvertito U_U Tutto sta nel capire la reazione di Ran. La karateka è arrabbiata perché, proprio come nel manga (File 814 docet), dopo che lui le ha detto di amarla viene a scoprire che le ha raccontato solo bugie. Non è una bella cosa. Ovviamente Shinichi si aspettava di meglio, ma anche lui ha esagerato nel mentirle... e dobbiamo ammettere (nonostante siamo un po' tutti fan di Shinichi) che i suoi torti ce li ha xD
Vedremo come si evolverà ;)
Un bacione ai recensori dello scorso chap! <333333


Alla prossima!
Tonia
   
 
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