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Autore: FedericaLille    27/05/2013    7 recensioni
Catherine ha un fidanzato, una casa e un lavoro. E' ormai una donna matura e con i piedi per terra. Ma cosa succede quando un incontro inaspettato le sconvolge la vita? Crolla ogni certezza e la paura di (ri)innamorarsi prende il sopravvento.
"Eccola, la scatola ben impacchettata con scotch ultraresistente, la scatola contenente un pezzo consistente della mia esistenza. Era rimasto tutto intatto lì dentro, come se il tempo si fosse fermato. I CD, i poster, i DVD, le lettere, i biglietti, i libri, tutto ciò che possedevo con stampato sopra “One Direction”. Erano passati ben dodici anni dalla loro entrata in scena, cinque dalla loro uscita di scena.
In quei cinque anni Zayn era scomparso dai gossip, da qualsiasi rumors e pettegolezzo. Era riuscito a nascondersi bene, e incontrare una sua vecchia fan l’aveva impaurito. Non avrei rivelato di averlo incontrato, non avrei mandato in aria la sua copertura.
Intanto però lui aveva mandato in aria la mia, di copertura. Negli ultimi anni mi ero autoconvinta che quella per lui fosse stata sempre solo una innocente infatuazione passeggera. Purtroppo rivederlo mi aveva dato una certezza: seppure fosse stata solo una infatuazione, non era passeggera affatto."
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quinto

 

 

Sapevo che a Zayn piacesse disegnare, ma non avrei mai immaginato che si sarebbe dedicato a questo dopo la sua carriera musicale.
Aveva tanto talento, non c’era alcun dubbio.
Non sapevo se ammirare più lui o le sue opere d’arte, optai per la seconda scelta, onde evitare un eccessivo disorientamento psicologico. Guardarlo mi faceva uno strano effetto. Era come se ogni secondo che i miei occhi indugiassero su di lui, la mia stabilità mentale perdesse colpi. Mi destabilizzava, ecco. Non esisteva un ragionamento logico adatto a spiegare tutto ciò, d’altronde sapevo che non c’era niente di logico nella mia vita, ultimamente.
Rivolsi la mia totale attenzione ad una tela meno colorata delle altre, precedentemente osservate. Era spenta, come se vi mancasse qualcosa. Trasmetteva angoscia e solitudine, tristezza, come il grigio e l’azzurro che prevalevano, malinconia, come quel poco di bianco che illuminava a tratti il disegno, e paura, il nero.
Non c’era firma alla base di quell’opera, sospirai di sollievo nel non leggere alcuna “J”. Fortunatamente quell’inquietudine non apparteneva a Zayn.
Zayn, mi ero dimenticata della sua presenza. Ruotai il capo e lo trovai esattamente dove lo ricordavo, al mio fianco, qualche passo più lontano da me. Aveva lo sguardo crucciato e se ne stava immobile, a braccia conserte, a guardare quell’opera che mi aveva turbato non poco.
Non avrei dovuto continuare a osservarlo, sapevo che effetto mi faceva, ma non riuscii a staccargli gli occhi di dosso finché non vidi le sue pupille cambiare obiettivo, posandosi su di me. Mi guardò attentamente, mantenendo quell’espressione irremovibile in volto, e mi stranii del fatto che io non distolsi lo sguardo. Preferii mantenere quel contatto visivo, come se guardarlo negli occhi mi servisse a leggergli dentro. Ma non era così, non capivo cosa gli frullava per la testa, e non l’avrei mai capito.
E nemmeno doveva interessarmi capirlo! Cavolo, Catherine, torna coi piedi per terra. Torna da Mike.
“Si è fatto tardi.”, mi sentii uscire dalla bocca. Non avevo nemmeno controllato l’orologio, ed ero certa che non fosse passato molto tempo da quando ero arrivata. Eppure sentivo la necessità di allontanarmi da lì, da lui.
Se un tempo avrei speso tutto il tempo e il denaro in mio possesso per inseguirlo e averlo vicino anche un solo istante, adesso preferivo scappare. Codarda.
Lui non rispose, non provò a trattenermi né pronunciò alcuna parola a mo’ di saluto. Si limitò ad annuire.
Idiota, lunatico, fastidioso, pessimo pilota. Come non mi ero accorta di tutti i suoi difetti, anni addietro?
Mi sarei risparmiata tutto quel tempo a sbavargli dietro.
Sospirai pesantemente e mi incamminai verso l’ingresso, stringendo le dita attorno alla mia pochette nera. Il suono insistente dei miei tacchi a spillo che battevano a tempo sul pavimento liscio, rimbombava in quella grande sala silenziosa. Uscii, senza esitare, senza aspettare che qualcuno mi fermasse, senza sperare in qualche altro sgradevole, casuale incontro. Ne avevo abbastanza di quegli scherzi del destino. Dovevo darci un taglio!
Raggiunsi l’auto di Mike e faticai con le chiavi, prima di azzeccare quella giusta. Aprii lo sportello, mi sedetti nel sedile e richiusi lo sportello, con fin troppa veemenza. C’era qualcosa che mi formicolava su e giù per la pelle. Era pura irritazione.
Zayn avrebbe potuto fare finta di non riconoscermi, o meglio ancora, nascondersi dalla mia vista. Io non mi sarei mai accorta di lui, se non fosse stato proprio lui a rivolgermi la parola per primo. Non avrei mai sospettato di incontrarlo lì, non avrei mai voluto incontrarlo lì. Mi ero quasi abituata all’idea che l’incidente di un mese fa fosse stato solo frutto della mia fervida immaginazione. Nonostante nelle precedenti settimane non avevo fatto altro che ricevere telefonate da parte di mia madre, che chiedeva quotidianamente se mi stessi rimettendo. Ma rimettendo da che? Non mi ero fatta un bel niente! Nemmeno avrei voluto raccontare ai miei dell’incidente, semplicemente non mi andava di inventare una bugia per giustificare il fatto che non avrei potuto raggiungerli nel week-end, per il compleanno di zio Roger. A Mike serviva la sua auto per andare a lavoro e io ero a piedi. Il treno era fuori discussione, così come qualsiasi altro mezzo di trasposto pubblico: mi davano sui nervi.
Sfilai le scomode scarpe coi tacchi e indossai le ballerine che avevo riposto sotto il sedile, prima di scendere dall’auto. Misi in moto e sfrecciai verso casa.
Dannazione! Sapevo che stavo dimenticando qualcosa, me lo sentivo. Avevo lasciato la giacca alla ragazza all’ingresso, e me ne ero completamente dimenticata. Nemmeno l’impatto col fresco fuori dall’edificio mi aveva fatta accorgere del fatto che fossi senza giacca. Forse ero troppo presa dai miei complessi mentali per fare caso a quel particolare.
Ero ormai giunta a casa e non me la sentivo di tornare indietro. Non che fosse troppo tardi, né che fossi troppo stanca, ma affrontare ancora una volta Zayn non lo avrei sopportato.
Mike non era ancora rientrato. Abbandonai le chiavi della sua auto nel mobiletto dell’ingresso e mi fiondai in camera da letto, ripromettendomi che l’indomani avrei trovato uno squarcio di tempo per andare a recuperare la giacca.
 
"Mi passi il burro?”, domandai, sbadigliando.
Il mio ragazzo provvide subito ad accontentarmi, poi mi chiese: “A che ora hai lezione, oggi?”
“Oh, alle undici.”
“E perché ti sei svegliata presto? Non è da te.”, mi schernì.
“Devo arrivare in centro per sbrigare una cosa.”, spiegai.
Non risultai credibile. Mike infatti mi guardò un attimo dubbioso, ma cambiò subito espressione poiché il suono pacato e via via sempre più insistente del suo cellulare echeggiò nell’aria, interrompendo la quiete di quel Sabato mattina.
“Pronto?” Rispose e si allontanò dalla cucina per continuare la conversazione lontano da me. Si doveva trattare di lavoro.
Dopo essermi gustata la mia fetta di pane, burro e marmellata, raggiunsi il frigo alla ricerca di un succo di frutta.
Sussultai ad un contatto inaspettato. Era Mike che era apparso all’improvviso alle mie spalle e mi cingeva la vita con due mani.
“Sai, amore… ho la mattina libera”, mi sussurrò all’orecchio, muovendo le mani lentamente sulla mia pancia.
“I-io no.”, mi sottrassi dalla sua presa.
“Vuoi fare la gattina capricciosa?”, mi provocò.
Ridacchiai e risposi, “Davvero, devo prepararmi.”
“Faremo velocissimo”, in un attimo mi avevo raggiunto di nuovo, bloccandomi con le sue braccia possenti.
Prese a baciarmi il collo, ma io lo scostai ancora una volta.
“Che ti prende?”, mi chiese serio.
Sbuffai, “Ho il ciclo”, confessai infine. Mentii.
Perlomeno funzionò. Mike infatti rinunciò a provocarmi e mi lasciò in pace.
Non che non fossi attratta da lui, avevamo più volte avuto quel tipo di rapporto, e l’avevo sempre trovato piacevole ma… quella mattina non mi andava. Semplicemente non ne avevo voglia.
E no, non c’entrava l’incontro fortuito della scorsa sera con Zayn. O almeno, mi autoconvinsi che non c’entrasse nulla.
“Buona giornata amore”, lo salutai. E per farmi perdonare per averlo piantato in asso, lo baciai dolcemente sulle labbra. Non avrei mai voluto offenderlo o ferirlo col mio rifiuto.
 
Salii a bordo dello scooter grigio e guidai fino all’edificio dove si era tenuta la mostra, nel pieno centro di Londra. Il cielo era cupo: segno evidente che si sarebbe potuto mettere a piovere da un momento all’altro.
Perciò mi affrettai a recuperare la giacca, la infilai sopra la felpa che avevo addosso e tornai allo scooter.
Sentii una goccia d’acqua cadermi sulla fronte, quindi tirai su il cappuccio della felpa e mi impapocchiai per benino. Dovevo fare in fretta a tornare a casa. Misi in moto e partii, spedita.
Ma le gocce d’acqua si fecero sempre più insistenti, e l’asfalto più viscido e scivoloso, e la vista più confusa. Frenai di colpo quando mi accorsi di un pedone che stava attraversando la strada di corsa. C’era il semaforo rosso per i pedoni, ma quell’idiota passava comunque! Persi l’equilibrio e scivolai di lato.
Cavolo, ero forse una calamita per gli incidenti stradali?!
Sentivo il peso del motore sulla gamba destra, e avevo tutti i vestiti zuppi di acqua. La pioggia aumentò d’intensità, mentre io gridavo parolacce contro quell’idiota che mi aveva fatta cadere.
“Mi dispiace, signorina! Mi scusi!”, rispose quello, dall’altra parte della strada. La sua voce si mascherava col rumore della pioggia, e non distinsi il suo volto. Notai soltanto che portava degli occhiali da vista e un berretto grigio.
Si allontanò, senza nemmeno degnarsi di darmi una mano. Fortunatamente non mi ero fatta molto male, e riuscii a rimettermi in piedi. Ma lo scooter era andato, non partiva più.
Sentivo freddo e tremavo come una foglia. Trasportai la moto sotto un balcone e mi appollaiai per terra.
Non volevo chiamare Mike, sapevo che aveva la mattina libera e sarebbe potuto correre ad aiutarmi, ma non volevo ricorrere sempre al suo aiuto.
D’un tratto notai il berretto grigio del tizio di poco fa, stava uscendo da una porta a vetri di un edificio alla mia sinistra.
“Ehi, tu!”, lo richiamai, sgarbata.
Quello si voltò e il mio cuore probabilmente perse un battito. “Non tu…”, sussurrai.
“Signorina, le ho già detto che mi dispiace. Le pagherò l’assicurazione.”, diceva. Sempre il solito.
“Non voglio i tuoi soldi”, risposi. Quella frase non dovette suonargli nuova. Fece un passo verso di me, perplesso. Mi decisi a togliere il cappuccio che mi copriva parte del volto e mi misi in piedi.
Anche sotto quegli occhiali da vista distinsi i suoi occhi color caramello che si spalancavano per la sorpresa.
“Oddio, Catherine!”






Angolo Autrice.

Ciao ciao ciao ciao :) Spero che questo nuovo capitolo sia stato di vostro gradimento!
Innanzitutto vediamo Zayn il pittore che si incupisce durante la mostra e lascia andare Cathy.
Lei è scossa e si comporta in maniera strana anche col suo ragazzo.
E infine il brutto incontro-scontro in motorino avviene ancora col pakistano.
Segni del destino? :) E ora che li abbiamo fatti (ri)incontrare/scontrare che succederà?
Che si diranno? Cosa accadrà? Per saperlo RECENSITE.
Più recensioni leggo, prima aggiorno :')

  
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