Anime & Manga > Detective Conan
Segui la storia  |       
Autore: IamShe    29/05/2013    15 recensioni
Shinichi è rimasto adulto, ma non sa né come né perché né quanto durerà l'antidoto. Sebbene cerchi di godersi questi attimi preziosi nel suo corpo originale, un vortice arriva a sconvolgergli la vita: una giornalista ha scritto un articolo su di lui e sul suo ultimo caso risolto, e Ran comincia a nutrire dei seri sospetti sulla sua doppia identità. E chissà che tutto ciò, non giunga alle orecchie sbagliate....
•••
“Rimani?” chiese lei di rimando, velocemente. Non voleva una vera risposta, voleva solo ascoltare la sua voce. Voleva solo sentirlo parlare. Perché sapeva che ogni cosa, ne avrebbe nascosta un’altra. Ogni verità, avrebbe nascosto una bugia. Una scia di luce, forse quella di prima, forse quella che si era persa nell’oscurità, forse quella che aveva cercato costantemente, passò negli occhi di Shinichi.
Ran non seppe interpretarla, ma non le importò.
“Sì.”
La bastò solo quello: credere alle sue bugie.
Genere: Generale, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

◆ Capitolo Ventotto 
Il seggiolino della crescita






L’ufficio di suo padre era praticamente deserto dopo la dipartita di Conan. La questione era che a Kogoro erano stati affidati tre compiti, ed in tutti i casi non era riuscito a cavarne nemmeno un indizio. Adesso era più che sicura che quell’essere, come lo chiamava adesso, aveva sfruttato anche suo padre durante quel maledetto periodo che lo aveva considerato come un fratellino. Però, in fondo, Kogoro non sembrava farci caso. Per fortuna le cose con Eri andavano una meraviglia, talmente bene che Ran quasi provò invidia per loro. Due volte li aveva beccati a baciarsi in cucina ed intimidita era fuggita via, sperando vivamente che non le capitassero più situazioni del genere. Era felice che i suoi fossero tornati insieme, ma vederli in certi atteggiamenti era qualcosa di tremendamente imbarazzante. Forse perché adesso capiva cosa significa sentirsi desiderate e desiderare, forse perché l’aveva provato, e forse perché se ne era pentita, ma da un paio di giorni aveva incominciato a controllare gli spostamenti dei suoi genitori, cosicché da poterli evitare. Quella sera erano entrambi sopra in camera da letto (Ran non osò chiedersi a fare cosa e perché fossero saliti prima) ma una voce squillante arrivò a spezzare quell’angosciante e monotona giornata. Proveniva dal basso, oltre la finestra dell’ufficio del padre (dove lei si era rifugiata), e continuava a chiamarla con insistenza.
Sporgendosi oltre il vetro, la karateka si imbatté in Kazuha. Era sul bordo del marciapiede, e mentre con una mano sorreggeva un borsone, con l’altra la salutava allegramente.
«Kazuha!» esclamò, sorridente. «Che ci fai qui?»
«Sono venuta a trovarti» spiegò quella, come se fosse ovvio. «Salgo?»
Ran annuì e si precipitò alla porta, dove vide l’amica affaticarsi nel salire le scale. Poco prima dell’ultimo gradino le si fiondò sopra, abbracciandola con forza.
«Scusami se mi presento a quest’ora, ma il volo che avrei dovuto prendere è stato annullato.»
«Non preoccuparti! Sei venuta da sola?» le chiese, ma si pentì due secondi dopo averlo detto. Era impossibile non collegare Hattori a Shinichi, neanche volendo.
«Be’, sì! Heiji è già qui... ma perché? Non vi siete visti? Mi ha detto che era con Conan...»
Ran trattenne a stento la rabbia. Certo, era facile collegare Hattori a Shinichi, ma Hattori a Conan era un po’ più strano. Adesso riusciva a comprendere l’attaccamento morboso del detective al piccoletto! Le era sempre parso strano quel rapporto... e prima d’allora non c’aveva nemmeno mai pensato! Ciò valeva a dire che l’amico di Osaka era a conoscenza di tutto quello che l’essere le aveva fatto passare, e nemmeno lui gliel’aveva detto. Probabilmente anche Kazuha lo sapeva, pensò, ma poi si ricredette. Se le aveva parlato in quel modo significava che non conosceva la verità, e dunque Ran non si sarebbe potuta sfogare come avrebbe voluto. Le sarebbe piaciuto parlare con qualcuno della verità di tutto, ma per qualche strano motivo faticava a spiegarla. Era come un tabù.
«Ehm... Conan è andato via da qui» si limitò a dire poi, notando la curiosità dell’amica nell’aspettare una risposta.
«Davvero?! E come? Cioè, voglio dire, perché è andato via?»
«È una storia lunga da spiegare» disse.
Kazuha non parve convinta. Ran la aiutò a trasportare il borsone all’interno, dove le offrì un po’ di the e dei biscotti. Si sedettero sul divano una di fronte all’altra.
«E Kudo? Come sta? Come va tra di voi?»
La karateka strinse forte tra le mani la tazza. Era confermato che Kazuha fosse all’oscuro di tutto, e ciò valeva a dire che anche Hattori s’era preso la briga di non dire nulla.
Sbuffò, bevendo un sorso del the. «Ci siamo lasciati.»
Quella strabuzzò gli occhi e si mosse talmente velocemente che quasi si rovesciò tutto il liquido addosso.
«Cosa!?!?» sbottò, incredula. «Ma voi... voi stavate insieme l’ultima volta che ci siamo visti! Che è successo?!»
Ran sbuffò ancora una volta. Parlare di quell’essere le faceva salire l’ira fino alla punta dei capelli, ed era questo il motivo per cui aveva evitato di farlo negli ultimi giorni. Avrebbe distrutto la tazza se non si fosse contenuta.
«Ci siamo lasciati circa una settimana fa...» cominciò debolmente, mentre le dita tentavano di non distruggere i biscotti sotto le sue mani. «Mi ha mentito su tutto, mancato di rispetto e fiducia. Ho capito che non faceva per me e da allora non l’ho più visto né sentito.»
Kazuha aveva la bocca talmente aperta che la mandibola quasi arrivava al pavimento. Poi rise, un po’ nervosa. «Aspetta... stai... stai scherzando, vero?»
Ran scosse il capo, mordendosi il labbro. «No, no... sono seria.»
«Ma che significa ti ha mancato di rispetto e fiducia? E... ti ha mentito su tutto? In che senso?!»
Ran fece un altro sospiro. Una morsa le contrasse lo stomaco e tenne il the in bocca più del previsto. Sentì che avrebbe potuto vomitare da un momento all’altro. Poi alla fine si decise a deglutire, e con grande sforzo, addentò un altro biscotto.
«Kazu... non dirmi nulla, ti prego. Scusami, ma non ho voglia di parlarne...» disse poi, con voce fievole e rotta. Sembrava quasi che stesse per piangere, ma le lacrime erano bloccate da un muro invisibile all’altezza delle palpebre. L’amica parve intenerirsi.
«Certo...» fece lei, poco convinta. «Però quando vuoi ci sono, ok? Se hai bisogno di una spalla su cui piangere...» disse, sorridendo leggermente, ma Ran la fulminò con gli occhi.
«Ho smesso di piangere per lui, non esiste più per me» disse, riassumendo un tono più deciso. «Però, comunque, grazie» e ricambiò il sorriso.
«Ma quindi Heiji non è passato a salutarti?» cambiò discorso l’amica, capendo che l’altra non aveva proprio voglia di intavolare la questione ‘Shinichi Kudo’. «Ma quanto è idiota? Un vero maleducato! Domani appena lo vedo gliene dico quattro! Stai sicura!»
«Ma no... lascia stare... sarà col suo amichetto preferito», marcò un tono molto più seccato alle ultime due parole.
«Non è un buon motivo per non passare a salutarti! E poi io ho pensato fosse da te, perché mi ha detto che era andato a dormire da Conan e non da Kudo...»
«È la stessa cosa» disse Ran, con gli occhi assottigliati, disgustata.
«Eh?»
«No, nulla, non farci caso» s’affrettò a rimediare, per poi alzarsi per posare le tazze e quei pochi biscotti che nessuno aveva mangiato. Ritornò dieci secondi dopo, e vide Kazuha frugare nel suo borsone, con gli occhi sprofondati in esso. Ne trasse fuori una piccola ruota marroncina, incastrata ad una catenina che lo sorreggeva.
«Ti piace? È un portafortuna! Per te!!» esclamò gioiosa, offrendoglielo. Ran lo prese, ma era scettica. Non credeva più a quegli aggeggi da quando gliene aveva regalato uno a quell’essere. Ricordò le parole della signora che gliel’aveva venduto: “ne regali uno alla persona che ama, e con lei condividerà per sempre gioie e dolori”. Fece un’espressione disgustata, che l’amica quasi avrebbe ricondotto al suo di ciondolo. Quante sciocchezze...
«È carinissimo, grazie amica» si sforzò di dire, non volendo smorzare l’entusiasmo della giovane e la sua passione gli amuleti.
«Vero, eh? È una ruota della fortuna!»
Ran la guardò sorridente. «Dovrei sapere che benefici ha?»
«È una ruota che aiuta a far girare la sorte all’occorrenza. Se tutto va bene, non si deve toccarla; se le cose vanno male, farla girare aiuta il cambiamento! Bello no?»
La osservò con interesse, sfiorandola con le dita. Non si deve toccarla... farla girare... e mentre ripensava alle parole dell’amica, si chiese che cosa volesse per davvero. Voleva che fosse tutto finito realmente o avrebbe preferito che fosse accaduto qualcosa che, anche se un poco, le avrebbe fatto cambiare idea su di lui?
E poi si ritrovò a chiedere che cosa avrebbe voluto dirle lui una settimana prima...
«Lascia almeno che ti spieghi...»
«Ho detto sparisci...» sibilò a denti stretti, quasi incapace a trattenersi.
«Ran... io... io l’ho fatto per te...», il tono gli uscì debole, malinconico, frustato.

Scosse il capo, imponendosi il raziocino. Ma cosa andava a pensare, adesso? La sua scelta era stata giusta. Per troppo tempo aveva sopportato le sue bugie e la sua assenza, e tantissime volte l’aveva supplicato di dirle la verità. Non voleva sapere perché l’aveva fatto, non voleva che anche lontanamente lui potesse avere ragione...
«Ran? Ti posso chiedere un consiglio?»
Ringraziò mentalmente Kazuha per averla distolta da pensieri tanto idioti. «Certo, dimmi.»
«Io... io lo so che tu non hai la minima voglia di parlare di Kudo, però... però... visto che lui ed Heiji sono molto simili... be’, io... io vorrei sapere come... cioè... cosa hai fatto per riuscire a... ad attrarlo... non so... a mutare il vostro rapporto... capisci?» disse tutto talmente velocemente che quasi le mancò il fiato. Si sentiva terribilmente in imbarazzo nel chiederle una cosa del genere.
Ran fu presa alla sprovvista. Non sapeva cosa risponderle, ed inoltre ripensare a tutto quello che era successo con l’essere negli ultimi mesi non era proprio ciò che avrebbe voluto fare. Però lei era sua amica, e in qualche modo avrebbe dovuto aiutarla...
«Oh... be’... sinceramente non so... io non ho fatto nulla di preciso... diciamo che è accaduto tutto per una serie di circostanze, credo...»
«Cioè... ad esempio il vostro primo bacio lo ricordi, no?»
Ran tirò un sospiro. «Purtroppo sì».
«E... ti ha baciato lui... cioè...», Kazuha sbuffò, amareggiata. «Non so come fare per smuovere la situazione tra me e Heiji! Sono stufa... voglio sapere se gli piaccio...»
Ran si sforzò di continuare. «Oh, be’... lui mi invitò a cena... e poi...»
Una serie di immagini le si crearono nella mente, e mentre ritornò col pensiero a villa Kudo, dove tutto era magicamente pronto sul tavolo e le sue lacrime sgorgavano dagli occhi, vide il volto di Shinichi avvicinarsi... aspetta, ma perché l’aveva baciata lui, in effetti?
«Perché mi ignori? perché mi menti?»
Sospirò pesantemente, deglutendo.
«Ran...»
«Io ci tengo a te, Shinichi... ci tengo più di quanto pensassi...» arrossì a quelle parole, ma non ci diede peso. Al momento non aveva altro per la mente che le sue domande, le sue richieste.
«Perché mi fai tutto questo male?!» continuò a singhiozzare, tremolante.
«Fa male senza di te. Fa male da morire...» abbassò il capo, osservando il pavimento. «Da mor...»
Ma non riuscì a completare la frase, che sentì due dita alzarle il mento e due labbra scontrarsi sulle sue, umide di lacrime. E quel tocco, così morbido e caldo, riuscì a mozzarle il fiato.

«Brutto lurido verme schifoso...» disse fra sé e sé, ma poté sentirlo anche l’amica, che si stranì. «L’ha fatto per zittirmi... non ci posso credere...»
«Ran... tutto bene? Di che stai parlando?»
Ma la karateka aveva il viso chino al pavimento e le mani in faccia, con i gomiti sulle ginocchia. Non riusciva a credere che il loro primo bacio, la cosa che aveva più sognato da parecchi anni a quella parte, era stato indotto dalla voglia di ammutolirla...
Era qualcosa di talmente deplorevole, orrido, schifoso e disgustoso che il genere umano avrebbe fatto fatica ad immaginare. Come aveva potuto spingersi a tanto? Aveva sperato almeno che la loro relazione fosse stata dettata da un briciolo di sincerità in quelle vene da verme che si ritrovava ad avere, ed invece, riflettendoci, lui l’aveva portata avanti solo per zittirla e divertirsi.
Continuava a mordersi inutilmente il labbro per darsi un dolore fisico più forte di quello psicologico ma era più forte di lei... sentì le lacrime calde sbattere sulle sue dita fredde, e cominciò a singhiozzare, affannandosi a respirare. Kazuha, allarmata, s’affrettò a raggiungerla.
«Ran, che succede?!»
L’amica scosse il capo e cercò di sottrarsi alla sua presa, ma non fu facile. Kazuha le stava molto vicina.
«Che sciocca che... che sono... eh... avevo detto che... che non avrei mai più pianto per lui... e invece...»
Le gocce amare caddero sul suo pantalone, bagnandolo e macchiandolo della sua debolezza. La giovane di Osaka le accarezzò le spalle e la strinse a sé. «Ran, piangi se vuoi... ti farà bene...»
«Lo o-odio...» singhiozzò, appoggiando il viso umido alle spalle dell’amica. «Vorrei n-non averlo mai conosciuto...»
Kazuha non rispose, ma a quelle parole provò un profondo senso di antipatia nei confronti del detective. Non sapeva cosa fosse successo, ma vedere Ran era in quelle condizioni era deprimente... Osservare il suo petto alzarsi e abbassarsi ripetutamente era tragico, ed ascoltare i suoi gemiti di dolore la uccideva...
«Troverai un ragazzo migliore di lui... Ran tu sei bellissima e fortissima, hai un carattere favoloso... sono sicura che lì fuori c’è una fila di liceali che non vede l’ora di stare con te... non preoccuparti...»
Sentì la giovane deglutire sulle sue spalle. Poi si staccò leggermente e si passò una mano sotto agli occhi e lavò via le lacrime. Gli rimasero gonfi e rossi e la bocca secca senza un briciolo di saliva.
«S-sai che è? L-lui è s-sempre... sempre stato tutto ciò che a-avevo... era la p-persona di cui mi fidavo di p-più... da tutti me lo sarei aspettato... tranne che da lui...»
Kazuha rimase a guardarla senza parlare.
«Vuoi u-un consiglio hai detto? Be’... a-accertati che lui ti voglia davvero bene, c-che ti rispetti s-sul serio e che non voglia p-prenderti in giro... solo così potrai davvero fidarti di lui...» disse, con voce rotta e strascicante.
«Non fare come me... non incantarti ogni volta che lo vedi, non perdonargli tutto... sennò arriverà un giorno in cui te ne pentirai... proprio come me...» le rivelò, rilasciando una nuova lacrima. «Proprio come me...»
 
 
 
Due mattine dopo, Shinichi ed Heiji scesero dalle loro stanze – al giovane di Osaka era stata assegnata quella degli ospiti – per fare colazione insieme al dottore e Ai. Shinichi aveva un umore diverso di qualche giorno prima. Era ritornato ad essere il seccato bambino liceale che non vede l’ora di tornare nel suo corpo, e l’amico, pensando che fosse più felice così, non gli chiese nemmeno perché.
Attraversarono i pochi metri e varcarono la porta d’ingresso – perennemente aperta, e se ne ignorava il motivo – ritrovandosi di fronte ad un aggeggio di dubbio utilizzo.
All’apparenza pareva una sedia con infiniti fili e tubicini intorno, con dietro due macchine rettangoli di mezzo metro con varie lucine accese. Era leggermente inquietante.
«Ma cos’è sta roba?» chiese Heiji, visibilmente sorpreso quanto l’amico.
«Oh, ragazzi, siete arrivati!!» li accolse il dottore, come sempre gioioso e ridente. «Avete visto l’ultima invenzione di me e Ai? Lei ha avuto l’idea ed io l’ho messa in pratica!»
Conan lo osservò come se fosse vestito da pagliaccio. «Professore, lungi da me disprezzare le genialità partorite dalle vostre menti, ma mi farebbe il piacere di dirmi cos’è?»
«Ehm... Ai non è d’accordo, ma io la chiamerei “il seggiolino della crescita”» esclamò fiero, mentre Heiji e l’altro lo guardarono perplessi.
«Il seggiolino della crescita?» chiese conferma Conan, allibito. Il nome era in effetti orrendo.
«...impareeeeremo a cammiiinare...» commentò sarcastico quello di Osaka, intonando la canzone. Conan lo fulminò con lo sguardo.
«Ma che avete capito! È per te, Shinichi! Con questo potrai tornare ad essere te stesso fin quando vorrai!»
Il cuore del detective di Tokyo perse un battito. Anche se Ran non c’era più nella sua vita, lui odiava quel corpo da bambino. Non gli permetteva di fare quel che voleva, né di comportarsi come doveva. 
«Cosa!? Davvero?!»
«Non esaltarti tanto, Kudo», arrivò una voce fredda a spezzare i suoi sogni. Ma non era la solita voce da bimba. Dalle scale giunse una ragazza bionda ed alta, dalle gambe slanciate e dagli occhi agghiaccianti. Shinichi si fermò per un attimo a guardarla. Era Shiho Miyano. «Non è un antidoto definitivo, se è quello che stai pensando.»
«Tu... tu... perché sei... sei adulta?» fece lui, sinceramente colpito. Anche Heiji la guardava ed era stranito.
«Mi pare ovvio, no?» disse lei. «Per provare la macchina ho dovuto testarla su me stessa, ed ha funzionato. Ma se non mi sottopongo ad un’altra seduta tornerò ad essere Ai Haibara.»
«Ok, continuo a non capire molto...» disse, sincero.
Shiho sbuffò. «Allora, quella che hai davanti è una macchina che, attraverso la corrente e delle continue trasfusioni di piccole quantità di azoto nel tuo corpo, ti permetterà di tornare ad essere te stesso. Non preoccuparti, non ho intenzione di riempirti d’azoto. Nello stesso liquido è contenuta una sostanza che, nel momento in cui raggiunge l’organismo, elimina le particelle d’azoto in eccesso. Dunque, la seduta dura due ore e copre l’arco di una giornata, il tempo che la tossina uccida l’azoto che ti ha permesso di ridiventare te stesso. Ciò vuol dire che, se non ti sottoporrai ogni giorno, alla stessa ora, alla trasfusione, tornerai piccolo. Tutto chiaro?»
Conan annuì, mentre Heiji assumeva un’espressione sbalordita.
«Sì... è meraviglioso. Cioè, nonostante le sedute di due ore, ma chissenefrega...»
«Ho il dovere di avvisarti che può essere nociva» continuò lei. «Considerando tutti gli antidoti presi già, e aggiungendo tutte le sedute, senza ombra di dubbio il tuo corpo comincerà a non capire più nulla. L’azoto in eccesso potrebbe non essere smaltito, e qualche processo delle tue cellule potrebbe non andare a buon fine. Ovviamente queste sono supposizioni, ma c’è il rischio. Così come negli antidoti con l’azoto c’è il rischio che t’ammala di cancro.» Lo avvisò, mentre Shinichi ricordava gli avvertimenti che Ai gli fece qualche mese prima sulle pillole...
«Sì, ma...» s’incupì lei, abbassando il capo. «Come i nitrati e i nitriti reagiscono con l'emoglobina, causando la diminuzione della capacità di trasporto dell'ossigeno del sangue... l’azoto ha un’alta capacità di formazione delle nitrosammine, che sono note come...» si fermò un attimo, mordicchiandosi il labbro. «...una delle cause più comuni di cancro.»
Ma ancora una volta non gli importava. Non aveva nemmeno più nulla da perdere...
Sorrise e alzò il capo. «Afferrato. Quando si inizia?»
Agasa guardò Shiho, che si limitò ad alzare le spalle. «C’avrei scommesso tutte le provette che se ne sarebbe infischiato...»
Heiji non provò a ribattere. Poteva comprendere come si sentiva l’amico...
«Ma quante flebo mi metterete?» si accertò Shinichi, avvicinandosi e scrutando per bene la macchina.
«Una per ogni braccio, più dei trasduttori sul viso, petto e cosce» rispose velocemente Shiho, mentre s’avvicinava ad Agasa. «Ti avviso, Kudo, la prima volta sarà un inferno, le altre è sopportabile. Il fatto è che la tua trasformazione non sarà immediata come con gli antidoti, ma molto più lenta. Quindi puoi immaginare.»
«Oh...» per un attimo il detective sbiancò, ma poi si riprese. Ne aveva sopportate di peggiori... «Non fa nulla. Sopporterò.»
«Dottore, che ne dice se lo spostiamo di sotto? Qui, in mezzo al salone, non mi pare il posto giusto per averlo. I bambini potrebbero combinarci qualche guaio...» chiese la ragazza all’uomo, che annuì, concorde. Con l’aiuto di Heiji, Agasa trasportò la macchina nel seminterrato, e con delicatezza la poggiarono di fronte ad uno dei computer della scienziata.
«Ok, lì è perfetto» disse. «Kudo, dato che non ho voglia di vederti nudo, fammi il piacere d’andarti a vestire da adulto e tornare, in modo che quando ti trasformerai non ci sarà nulla da guardare.»
Conan fece un mezzo sorrisetto ironico. «E quando l’hai provato tu il dottore dov’era, eh, Miyano?»
La ragazza arrossì leggermente, mentre Agasa si voltò di scatto.
«Shinichi! Io non avrei mai e poi mai approfittato della situazione!!»
«Era per chiedere, eh...» continuò lui, con voce sarcastica.
«Kudo, prima che ti arrivi una provetta in faccia, fila nella tua villa e vestiti.»
Lui rise e risalì le scale, seguito da Heiji e da Agasa. Shiho rimase lì a controllare alcuni dati a computer. Uscì all’aria aperta con la gioia di un bambino. In quei giorni di puro sgomento, qualcosa di bello era ancora riuscito a provarlo...
Si incamminò verso casa, e sulla soglia del cancello notò un’ombra, nascosta dietro il muro dello svincolo che tagliava la strada. Corse più velocemente che poteva, e maledisse quelle gambe da bambino per essere così corte e fragili. Raggiunse il punto quando quell’ombra era già scomparsa. Guardò a destra, a sinistra, nei viali vicini ed anche nei giardini delle abitazioni, ma nulla... Tornò sul posto dove aveva visto l’ombra e notò che a terra c’era un mozzicone di sigarette. Era umido, quindi probabilmente apparteneva alla persona che lo stava spiando... ma chi poteva essere? Davvero uno dell’organizzazione? Chi fumava tra di loro? Gin, Vermouth... loro erano degli accaniti fumatori, ma perché non agire, se l’avessero scoperto? Che fosse quel Chandon di cui ignorava ancora l’identità? Dannazione, per stare appresso a Ran, aveva perso tantissimo tempo...
Filò dritto in casa per recuperare un jeans ed una maglietta, e tornò dal dottore, molto meno felice di prima.
 
 
 
«Heiji dice d’essere impegnato, e aggiunge anche che, visto che tu e Shinichi vi siete lasciati, preferisce stare con lui...» lesse il messaggio con una leggera vena di stizza. «Ah, e poi sottolinea che Kudo vuole parlarti di quella questione...»
Ran girò il viso talmente veloce che quasi la testa sarebbe potuta volarle via dal collo. «Quell’essere schifoso vuole parlarmi? Ok, allora tu rispondi con un “Ran non ha intenzione di parlare con i vermi”.»
In realtà non era vero, ma lei non poteva saperlo. Il detective non aveva mai confidato all’amico di avere il bisogno di chiarire come stavano le cose, ma Heiji era convinto che, se la karateka l’avesse saputo, si sarebbe ricreduta. Ed inventava bugie che non solo non facevano altro che inferocire ancora di più lei, ma che avrebbero minato alla sua amicizia con Kudo. Ma a questo Heiji non ci pensava. Era un tipo troppo impulsivo, anche per i gusti di Shinichi.
«Fatto» fece Kazuha, riponendo il cellulare in tasca. «Comunque, perché non provi a parlargli? Magari ha davvero qualcosa di importante da dirti. Vuoi rimanere col dubbio tutta la vita?»
«Preferisco evitare di ascoltare altre sue inventate e strampalate storielle.»
«Va be’, come vuoi. Comunque, nonostante io tra un po’ torni a Osaka, tu mi devi promettere che mi farai sapere come stai e se ci sono novità.»
«Certo» rispose lei, sorridente. «Lo farò, promesso».
Camminarono ancora un po’, fin quando non decisero di mangiarsi un gelato. Si sedettero alla panchina di un parco, ed insieme chiacchierarono della scuola, di alcuni vestiti e trucchi. E mentre Kazuha si lamentava di alcune sue compagne di classe, due mani cinsero gli occhi di Ran e non le permisero di vedere più nulla.
«Indovina chi sono» disse una voce, volontariamente alterata. Kazuha osservò il giovane dietro l’amica, che le ostacolava la visuale con le mani, e ne scrutò i lineamenti marcati e la carnagione scura. I capelli biondi e gli occhi verdi. Sembrava carino...
Ran, intanto, ripresasi dalla sorpresa iniziale, cercava di liberarsi dalla presa.
«Come faccio a capire chi sei se non mi dai un indizio?»
«Sono il tuo allievo preferito, prof!»
Ran rise, e quando quello lasciò finalmente andare le mani, si voltò a guardarlo. «Saigo!!»
Lo cinse in un abbraccio che il giovane ricambiò. Poi, voltandosi a guardare la ragazza, fece le presentazioni: «Kazu, lui è Saigo Yami, un mio amico. Saigo, lei è Kazuha Toyama, una mia amica.»
I due si strinsero le mani e le rilasciarono dopo qualche secondo.
«È un karateka come me» spiegò Ran. «Ed io gli ho dato qualche lezione, perciò mi definisce professoressa.»
«Oh! Be’, quale migliore professoressa?»
«Già» fece lui, ridente. «È un vero portento. Mi mette sempre in ridicolo.»
«Non dire sciocchezze... sei migliorato tantissimo dall’inizio» disse lei, con un sorriso.
«E non hai torto» ammise Saigo. «Sono passato per di qui e ti ho vista, così ho pensato di venirti a salutare. Fate una passeggiata?»
Le due annuirono, poi Ran aggiunse: «ma Kazuha partirà tra un’ora per Osaka, dunque dobbiamo muoverci».
«Ah, non sei di Tokyo?»
«No, sono dell’ovest io!» rispose lei, fiera.
Saigo sorrise. «E come vi siete conosciute?»
Tasto dolente. Ran e Kazuha si guardarono per un attimo, poi fu la seconda a prendere posizione: «Amici in comune» disse, capendo lo stato d’animo della ragazza.
Poi la karateka sospirò. Non poteva trattarlo come fosse un tabù, doveva affrontarlo.
«In realtà, lei è l’amica d’infanzia del migliore amico di... di Kudo.» Utilizzò appositamente il cognome, rifiutandosi di dovergli comunque dare una certa confidenza.
«Ah», l’espressione sul volto del giovane mutò. «Be’, spero che il tuo amico non sia come l’ex di Ran.»
«Si assomigliano molto in realtà, però...» cominciò Kazuha.
Ran la bloccò. «...Heiji è decisamente più affidabile, sincero e simpatico di Kudo. Quindi sì, non è come lui. E poi tu l’hai intravisto sai!»
«Davvero? Quando?»
«Alla recita» scoppiò a ridere lei. «Prese il tuo posto».
«Ah», Saigo la emulò. «Colui che sbagliò tutte le battute...»
«No, dai, fu bravissimo. Nessuno riuscirebbe ad imparare a memoria un copione in due ore.»
«E tu perché non hai partecipato più alla recita?» intervenne Kazuha. Saigo e Ran si guardarono, ed insieme ripensarono al motivo di quel litigio. Ovviamente, c’entrava lui...
«Litigai con l’ex di Ran e me ne andai... ero furioso.»
La giovane di Osaka parve sorpresa. «Oddio... ma che ha combinato Kudo quest’anno?»
«Si è semplicemente mostrato per quel che è davvero» rispose Ran, infastidita.
Saigo annuì, concorde, e Kazuha si zittì, non sapendo più cosa dire.
«Che ne dite se vi accompagno all’aeroporto? Così tu poi non torni da sola» disse lui, rivolgendosi alla karateka.
«Oh, davvero lo faresti? Non avevo proprio voglia di tornare al buio in metropolitana» rivelò Ran, «mi inquieta leggermente di sera. È piena di clandestini».
«Certo, chi ti lascia» fece lui, leggermente malizioso. «Ti proteggo io».
Kazuha si lasciò andare ad un risolino che solo l’amica vide.
«Mi sa che Ran non ha bisogno del tuo aiuto, è pur sempre la tua professoressa».
«Io infatti non ho intenzione di difenderla dagli uomini, ma dal buio...» disse lui, con tenerezza. «Quello ti penetra dentro ancora prima che provi a dargli un pugno.»
Ran rimase sinceramente colpita da quelle parole. Non poté fare a meno di pensare a quante volte Kudo, con quell’aria seccata, le aveva detto che era stupido aver paura del buio. Saigo invece no...
Camminarono per un po’, e l’amico si tenne davanti a loro, non volendosi intromettere nei loro discorsi. Quando la poté avvicinare, la giovane di Osaka diede una gomitata al fianco dell’amica karateka.
«Che ti avevo detto l’altro ieri?»
«Cosa mi avevi detto?» si finse ignara Ran, osservandola.
«Che hai una fila di liceali dietro... ed anche carini, aggiungerei!»
 
 
 
Conan aveva indosso un jeans ed una maglietta a righe bianche e azzurre che gli andavano decisamente larghi. Aveva portato anche le scarpe ed i calzini, ed aveva messo a posto gli occhiali dove la prima volta li aveva trovati, nella biblioteca di casa. Il fatto era che, pure da bambino, ormai non gli servivano più.
Scese nel laboratorio, dove trovò Heiji e Agasa intenti a borbottare qualcosa su ciò che avevano visto alla televisione, e Shiho con in mano due aghi e qualche filo argentato.
«Eccomi, sono pronto».
Il bambino le si avvicinò, stando attento a non inciampare nei suoi stessi vestiti, e si sedette su quella specie di seggiolino, così come lo chiamava il dottore. Alla sua vista, Hattori dedicò di nuovo tutta l’attenzione a lui, ed avanzò verso la macchina, seguito dal dottore.
«Allora, Kudo, stai calmo che devo trovare le vene» gli spiegò, e mentre Conan poggiava i piccoli arti sul bracciolo della sedia, Shiho gli infilò un ago ad entrambe le braccia, un po’ sotto il gomito. La flebo percorreva un lungo filo e andava a concludersi in una sacca dove brillava un liquido giallastro. Shiho gli si avvicinò di nuovo e gli attaccò le terminazioni nervose della macchina, dove scorreva la corrente, sulla fronte, sul petto e sulle cosce. «Ok, adesso aspetta che devo controllare gli ultimi dati».
Shinichi non disse nulla, ma notando che l’amico lo fissava – evidentemente preoccupato – sorrise.
«Sembra che sono condannato a morte, vero?»
«Effettivamente assomiglia parecchio alla sedia elettrica» rispose lui, con una smorfia sul viso. Poi rise anche lui: «ma con questa non muori, al massimo una piccola scossa».
«È forse peggio della sedia elettrica» commentò Shiho con sadismo, che raggelerò l’aria. «Almeno la prima volta».
Shinichi si sentiva un animale in gabbia. Avvertì il potenziale pericolo vicino, ma invece che evitarlo, gli andò incontro.
«Pronto?» gli domandò l’amica, sfiorando con le dita un pulsante. Il detective annuì. Shiho lo pigiò e alcune luci della macchina si accesero, mentre il liquido cominciò a muoversi nella sacca. Il tempo di imbambolarsi a vederlo, che Heiji avvertì un urlo agghiacciante e tetro.
Abbassò lo sguardo e ritrovò Shinichi con le palpebre spalancate, le mani tremanti e le braccia tese sui poggioli. Le piccole gambe erano sotto le scosse della corrente che, seppur lieve e quasi impercettibile, permetteva alla sostanza che avrebbe dovuto eliminare l’azoto fare il giro completo del corpo. Ma era terrorizzante vederlo fare ad un bambino.
«Aaah!» Conan rilasciò un altro urlo secco, e poi strinse i denti e i pugni. Heiji era sconvolto.
«Fai... fai qualcosa» disse a Shiho, ma lei lo guardò con freddezza. «Avevo avvisato che avrebbe fatto male.»
Poi si girò al piccolo, che aveva il viso verso il basso e si sforzava di non urlare.
«Kudo, se vuoi smettere, dimmelo.»
Il piccolo scosse leggermente il capo, ma fece capire che voleva continuare. Aveva gli occhi iniettati di sangue e le guance rosse di dolore, i denti stretti e tremanti. Sentiva come se un fuoco ardente e scoppiettante gli stesse abbrustolendo gli organi, mentre le ossa parevano contorcersi, restringersi, allargarsi e piegarsi. Sentì il cuore a mille, e il fiato mancargli e mozzarsi in gola. Era spaventoso. Era davvero peggiore delle altre trasformazioni, perché tutto quello sarebbe dovuto durare per due ore. Due ore infernali.  
Non osò alzare il capo ed osservare Heiji e gli altri. Non gli piaceva farsi vedere in certi atteggiamenti, ma in quella situazione, era difficile anche trattenere un urlo...
Emise un gemito strozzato che richiamò l’attenzione dei presenti. Hattori deglutì, sconcertato, imitato da Agasa. Shiho aveva lo sguardo fisso su Shinichi, e non osava far trasparire emozioni.
Il detective di Osaka li guardò e poi rivolse lo sguardo all’amico, di cui nessun muscolo restava fermo.
«Ehm...avete sentito la novità? Hide dei Tokyo Spirits s’è fatto male... credo che lo sostituiranno con un altro molto meno bravo.»
Shiho e Agasa lo guardarono dapprima confusi, poi capirono.
«Già» fece lei. «Ma io preferisco sempre Higo dei Big Osaka. È decisamente un gradino al di sopra di tutti».
«Sono tutti dei bravissimi calciatori... ma quanto guadagnano, dannazione? Quasi quasi da piccolo mi sarei messo a dare per io due calci ad un pallone...» fece Agasa, col tono volontariamente alto da poter farlo sentire al giovane sulla sedia.
«Be’, c’è chi è un portento a calcio e preferisce fare il detective...» disse allusivo Heiji, divertito. Conan aveva ascoltato tutto, ed aveva capito anche le loro intenzioni. E a quella frase alzò anch’egli il capo e si lasciò andare ad un breve, seppur intenso, sorriso.
«Tu ne sai qualcosa, eh, Shinichi?» continuò Heiji, nel tentativo di farlo distrarre dalla ferocia di quella macchina. Lo chiamò apposta col nome, proprio per attrarre di più la sua attenzione. Lui non rispose, una fitta gli aveva colpito lo stomaco e il fegato, ma Shiho sopraggiunse a non far calar il silenzio: «pensa che quando giochiamo a calcio, io e i bambini ci schieriamo tutti contro di lui. Tranne Ayumi che decide di stare perennemente dalla sua parte, ma questo è risaputo. E sebbene siano in due contro tre, e lei non sa calciare una palla nemmeno a tenerla sotto i piedi, non vinciamo mai!»
Heiji sorrise, e le labbra si incurvarono ancora di più nel sentire la voce dell’amico.
«...e allora... mi costringono ad usare...» provò a parlare, ma gli mancava il fiato. Era evidentemente affannato, e loro non potevano sapere che il cuore gli faceva troppo male per pensare di poter battere ancora. «...solo una gamba o la testa... c-che ingiustizia...»
«Comunque dovresti incominciare ad allenarti più nei combattimenti corpo a corpo... insomma, sai dare i calci, sì...» riprese Heiji. «Però devi aumentare la forza e i riflessi nei pugni. Anche perché ho scoperto una tecnica niente male... poi ne parliamo...»
«A-appena torno ne... nel mio c-corpo...» riuscì a comporre la frase Shinichi, sempre col visibile affanno. Una nuova fitta lo colpì al cuore, costringendolo a piegarsi su se stesso. Heiji lo osservò, avvertendo una terribile sensazione di impotenza.
«Ragazzi cercate di non farvi male, eh» disse Agasa, un po’ preoccupato.
«Miyano, quando ci vuole ancora?» chiese quello di Osaka, sperando che fosse già passato.
Lei lo osservò torva. «Mi pare di aver già spiegato che ci vogliono due ore.»
«Certo... e q-quanto è passato?» domandò ancora, un po’ intimorito.
«Mezz’ora» disse, e Heiji sprofondò nell’angoscia. Sarebbe riuscito ad inventarsi abbastanza argomenti da poter fare in modo di alleviare, anche lontanamente, quel dolore? Il piccolo avvertì di nuovo gli organi in fiamma, e rilasciò un altro gemito. Quasi avrebbe potuto vomitare se non si fosse trattenuto. Ma resistette, com’era resistito a tante cose.
Furono le due ore peggiori della sua vita, e sebbene Heiji tentasse di distrarlo, il dolore che sentiva non era lontanamente paragonabile a qualcosa di umano. Ma quando l’inferno cessò e la testa smise di rimbombare ogni parola, Shinichi rilasciò un respiro talmente grande che i suoi polmoni furono privi d’ossigeno per qualche secondo. Si guardò allo specchio, e riuscì ad accennare ad un sorriso.
Heiji lo guardò e ricambiò. Gli mise una pacca sulla spalla e gli disse «bentornato».
 
 
Un suono di tacchi echeggiò nella stanza, rimbombando sul pavimento e sulle pareti intorno. Chandon alzò il capo, scontrandosi con gli occhi azzurri di Sharon Vineyard, che si sedette di fronte a lei, scostando un po’ la sedia. Poggiò i gomiti sul tavolo e la scrutò, mentre la complice aveva lo sguardo nel vuoto e le ginocchia alte al petto.
«Ho saputo quello che è successo» fece l’attrice con voce dolce. «Mi dispiace».
«Lascia stare, Sharon. È solo un brutto schifoso verme».
Vermouth buttò uno sguardo alla stanza, illuminata dai raggi del Sole. In realtà si trattava di un monolocale, dove l’unica parete divisoria era quella del bagno. Dietro di lei vi era la cucina, avanti il letto.
«E sai cos’è successo a loro?»
Quella scosse il capo. «No, ma probabilmente è per via di quel motivo.»
«Potrebbe essere» assentì l’attrice, osservando con faccia disgustata la cucina. «Credi che adesso sia più facile incastrarlo?»
Chandon annuì, sputando fumo. «Sì, anche se spesso e volentieri non è solo.»
«Ovvero? Sherry, Angel?»
«No... l’ho visto spesso con un ragazzo di carnagione scura... aveva un forte accento...» le rivelò. «Lo conosci?»
Vermouth annuì. «Sì, è... è credo uno dei suoi amici più fidati».
«Anche lui è intoccabile?» domandò Chandon.
«Perché no, in fondo...» concordò l’altra.
«Lo sai che a me importa solo di lui. Ricordi il nostro accordo, no?»
«Chiaro e forte come se l’avessimo stipulato ieri...» rispose Sharon, fermandosi ad osservare un paio di quadri di dubbio artista.
«Perfetto. Ah, la ragazza sta facendo esattamente quello che vogliamo. Troppo ingenua, direi.»
Vermouth sorrise. «Non è come te.»
«È un vantaggio. Se continua così, non dovrò nemmeno impegnarmi a farle accadere, certe cose...»
Vermouth azzardò un sorrisetto, poi tornò al tavolo. «Ma da quando vivi in questo obbrobrio?»
«Da un po’... fa pena, vero?» dichiarò lei, osservando il tutto con la stessa espressione della collega.
«Già. È ora di cambiare residenza, che dici? Lo mandiamo adesso, l’avviso al comune?»
Lei rise, compiaciuta. «Da quand’è che i morti cambiano casa?»

 
 


 
I’m back!!!!
No, non mi sono munita di penna magica e i capitoli si scrivono da soli, eh XD
È che... mi piace scrivere questa parte ** Ce l'avevo in serbo da un po', e non vedo l'ora di condividerla con voi!!!!
Comunque! Nuovo capitolo, nuova angoscia! Non sapete che tristezza scrivere la parte dove Shinichi era costretto a stare lì sopra... T____T
Mi dicevo “no, no, fa’ che sia meno dolorosa... perché devi sopportare questo?! Shiiiiin!! T___T”
Shin: Imbecille, sei tu che scrivi la storia! Trova un modo meno doloroso!
-.- Ehm sì... ma nessuno ti ha chiesto di uscire dalla storia... -.-
Dicevo... -.-
Alla fine, come ha detto Shiho, doveva durare il giusto per permettergli una vita abbastanza normale, e non con la solita paura di ritrasformarsi. Seguendo le ricette del medico (Shiho Miyano XD) Shinichi sarà per sempre lui... ma avrà il coraggio di sottoporsi ancora a quella tortura?! Chissà XD
Ringraziamo Assu per il nome all'aggeggio che permetterà a figo Shin d'essere fra noi ** Ah, il nome è orribile apposta eh XD
Passiamo ad altro e parliamo di Ran...
Ma ditemi un po’... quanto è diventata odiosa!? Taaanto!
Sempre a sparlare di Shin e fare comunella con quell’altro su quanto lui sia verme e schifoso... ma sai che ti dico? Mettiti con lui e lascia a me il detective!!
*hem hem* *i lettori mi ricordano che sarei una ShinRan* *Io ricordo ai lettori che se potessi sarei una ShinTonia... tsk, suona anche bene XD*
Ok, torniamo a fare le persone serie XD
Chi altro abbiamo?! Aaaaah! L’ombra! Si è fatta rivedere!!! Chi pensate che sia...? :P secondo me state sbagliando tutti... XD
...a proposito, ma... ma… *____*...ma vogliamo parlare di Heiji Hattori, o no? Quanto lo adoro quel ragazzo, quanto!?!? Perché io non ho un amico così?!? Perché!?!??!?! Per distrarre Shinichi incomincia a parlare di calcio e di altro... è favoloso!!! T___T Dannato Gosho che mi ha creato un mondo di gente che vorrei avere qui con me! E poi... Chandon e Vermouth, non potevano mancare! Di cosa stavano parlando e che cosa hanno intenzione di fare? :P Questo ed altro nel prossimo chap!
Ah, ci tenevo a dire una cosuccia... ricordo che a qualcuno di voi dissi che questa storia sarebbe potuta essere un probabile prequel di Vivere d’emozioni. Bene XD, diciamo che, quando pensai alla vera storia (ovvero quella che è partita da qualche capitolo, con Ran odiosa e incazzata nera) avevo un’idea diversa in mente, e credo che seguirò quella XD Volevo dirvelo per non andare in confusione!!
 
Va be’, dopo questo poema, vi lascio alle vostre vite... <3

Grazie infinite, soprattutto a chi recensisce...
senza di voi sarei molto di meno di quello che penso di essere!

 
Ok, vi saluto...
Shinichi * da versione figo liceale, eh... lo terrei a precisare*, Ran ed Heiji tornano nel prossimo chap!
Alla prossima!
 
 
P.s. Lo volete sapere perché sono così felice e apparentemente pazza?! Oggi è il mio compleannooooooooo!! *______*
Tanti auguri a me, tanti auguri a me XD
 
Ok, me ne vado sul serio, non mi sopportate più! XD
 
 
Tonia,
da pochissimi minuti diciannovenne <33333
 
 
Kiss <3

   
 
Leggi le 15 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: IamShe