Sabato
29 agosto 1998 scoprii di essere ancora in grado di amare.
“Tanti
auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri caro Liam, tanti auguri a te”.
Ero appena arrivato sul tetto del nuovo hotel in cui ci
eravamo rifugiati, trascinato da Niall che sembrava entusiasta. I ragazzi mi
cantarono quella canzone facendomi vedere delle pizze appoggiate su un lenzuolo,
avevo appena compiuto diciotto anni.
Avevo sempre pensato che avrei festeggiato ogni mio
compleanno a casa, con la mia famiglia e i miei amici. Nel giardino dietro la
piccola villetta a mangiare carne grigliata, con l’appetibile odore del
barbecue a circondarmi ed infine una mega torta. Il regalo più bello, in quel
momento, sarebbe stato riaverli con me. Forse si erano salvati, erano riusciti
a scappare. Molto probabilmente erano morti e non avevo nemmeno una tomba su
cui piangerli.
“Come le avete fatte?” chiesi, allontanando i pensieri,
sorridendo emozionato, gli ultimi due compleanni non li avevo festeggiati.
“Erano surgelate e molto probabilmente scadute, le
abbiamo messe al sole a scongelare” rispose Harry divertito “è andato Zayn a
prenderle” continuò indicando il ragazzo.
Sorrisi guardandolo, era andato lui perché era giorno e
non voleva mettere in pericolo nessuno dei miei amici, ne ero sicuro.
Mi sedetti per terra e gli altri mi imitarono “grazie
ragazzi” dissi staccando un pezzo di pizza, da quanto tempo che non la
mangiavo. La addentai, era fredda e aveva un sapore strano, ma in quel momento
sembrava la cosa più buona del mondo, ero abituato a mangiare solo cibi in
scatola e quello era un nuovo gusto succulento.
Dopo quella tanto agognata merenda andammo a dormire,
quella volta in stanze diverse.
Harry e Louis avrebbero avuto la loro privacy e Niall
non avrebbe disturbato i nostri sogni continuando a russare. Ce lo potevamo
permettere, grazie ai sensi acutissimi di Zayn, che percepiva i suoi simili a
più di cinque chilometri di distanza.
Stavo dormendo sonni agitati, ogni tanto gli incubi
comparivano, facendomi vivere, anche quando mi coricavo, il terrore di quella
guerra infinita.
Non sentii la porta della mia camera cigolare, non
sentii il letto che si abbassava alla mia destra, sentii solo la freschezza di
una mano sulla mia fronte e i miei incubi si trasformarono in dolcissimi sogni
dove io vivevo ancora con la mia famiglia ed ero felice e non c’era nessuna
guerra.
Quando mi svegliai era quasi mezzanotte e avevo uno
strano peso sullo stomaco, era un braccio lievemente luccicante. Mi voltai di
scatto vedendo Zayn riposare beato.
Mi ritrovai a rimirare il suo volto magro, la sua pelle
un po’ più scura della mia, gli occhi chiusi e le ciglia lunghe, le labbra
lievemente aperte e invitanti. E quell’aura, sinonimo di terrore, che espandeva
sicurezza e calma, facendolo sembrare un angelo caduto dal cielo e non un mostro
venuto per sterminarci tutti.
Strizzò gli occhi emettendo qualche mugolio,
soddisfatto dall’appagante dormita. Si stiracchiò ed infine sollevò le
palpebre, puntando gli occhi nei miei. “Perché sei qui?” chiesi per nulla
infastidito dalla sua presenza in camera mia.
“Non riuscivo a dormire. Ti sentivo agitato” disse
sbadigliando.
“Mi sentivi? Nel senso che parlavo nel sonno?”.
“No, ti sentivo e basta”.
Riusciva a percepire le mie emozioni, sapeva che stavo
male ed era venuto a tranquillizzarmi, in quel momento mi sembrò ridicolo avere
avuto paura di lui, una creatura che mi aveva abbracciato durante la notte
perché avevo degli incubi. Mi sembrò stupido pensare che avrebbe potuto
uccidermi in qualsiasi momento, sapevo che non l’avrebbe fatto, ormai era uno
di noi, non più uno di loro.
Mi sollevai a sedere sul materasso ingiallito dal tempo
e lui mi imitò.
“Come va?” chiese mentre la sua aura incominciò a
diventare sempre più brillante, segno che si era svegliato, tutti i suoi sensi
erano all’erta ed era nel pieno delle forze.
“Bene, nonostante la situazione”.
“Non fa star male solo te questa situazione. Fosse per
me questa guerra non sarebbe mai cominciata”.
Era capitato spesso in quel periodo che scaricassi su
di lui la colpa di questo conflitto che si protraeva da più di due anni, lui mi
rispondeva sempre nel solito modo. “Scusa” io mi scusavo ogni volta e lui,
sorridendomi, mi perdonava ogni volta.
Si alzò, andando a guardare fuori dalla finestra, la
Luna illuminava le strade e la sua luce rischiarava la stanza “ti manca la tua
famiglia?” chiesi comprensivo.
“Sì. Ma non mi pento di averli abbandonati”. Guardò il
cielo, forse sognando di essere sul suo Pianeta, a casa.
“Perché no?”.
“Perché non ti avrei conosciuto”. Rimasi sorpreso da
quelle parole così schiette e sincere. “Se io avessi perorato la causa della mia
famiglia, ti avrei ucciso in quel vicolo”. Annuii, capendo che non voleva
mettermi paura, ma semplicemente spiegarsi. “Sono felice di averli lasciati ed
essermi fatto catturare”.
Non mi sbagliavo allora, lui avrebbe potuto reagire
quando lo attaccammo fuori dall’hotel, ma Zayn voleva essere preso. Voleva avere una scusa per allontanarsi e noi avevamo
avuto un tempismo perfetto.
“Sono felice di essere diverso e di non aver voluto
uccidere, perché questo mi ha portato a te”.
Sorrisi, anche io ero felice di non avergli sparato
quel giorno in una catapecchia, quando legato ad una sedia, si era liberato
magicamente.
Mi avvicinai al suo corpo brillante e mi accorsi che lo
superavo in altezza di pochi centimetri.
“Posso fare una cosa?” chiesi discretamente con la voce
che tremava.
Lui aggrottò le sopracciglia “cosa?”.
Con il cuore che galoppava portai le mie labbra sulle
sue, premendole in un bacio casto, mentre ci guardavamo negli occhi. Nei suoi
si leggeva la confusione, sorrisi tirando fuori la lingua e premendola sul suo
labbro inferiore, assaggiando finalmente il suo sapore dolciastro.
Chiuse gli occhi, lasciandosi guidare.
Forzai la sua bocca con la lingua, facendogliela aprire
e approfondii quel contatto, Zayn mi passò le braccia attorno al collo,
spaesato. Le mie gli circondarono i fianchi, lo pressai contro di me, facendo
scontrare i nostri petti bollenti.
Quando toccai la sua lingua lo sentii scattare contro
il mio corpo, così riaprii gli occhi, curioso, ma di scatto li richiusi, la sua
aura era abbagliante.
Con uno schiocco mi staccai dalle labbra e dal suo
corpo, incominciando ad osservarlo ad occhi socchiusi a causa della forte luce,
per capire se c’era qualcosa che non andasse.
“E quello cos’era?” chiese mentre la luce cominciava ad
attenuarsi.
Sorrisi, era a causa mia che aveva avuto quello scoppio
improvviso “noi lo chiamiamo ‘bacio’.
Ti è piaciuto?”.
“Se mi è piaciuto? È stato…incredibile” esclamò
facendomi ridere. Stavo per chiedergli se ne volesse un altro, ma la sua
espressione mi fece cambiare idea “oh no” bisbigliò guardandosi attorno “non li
avevo sentiti”.
Spalancai gli occhi, capendo che i suoi simili erano
qui vicino “come ho fatto a non sentirli?” chiese disperato mentre uscivo dalla
stanza per andare ad avvertire gli altri.
In pochi minuti eravamo tutti pronti per scappare o se
eravamo sfortunati, per combattere.
“Perché non li hai sentiti?” chiese Harry abbattuto.
Zayn deglutì “non lo so, ero distratto” ammise
guardandomi.
Compresi. Era stata colpa mia se lui non aveva
percepito le aure dei suoi famigliari avvicinarsi, io l’avevo deconcentrato,
mettendo in pericolo i miei compagni.
Sabato
29 agosto 1998 capii che ero capace di amare ancora, ma scoprii anche quanto
odio ci fosse dentro di me.
Avevano bucato le gomme alla nostra auto e non potevamo
scappare, loro erano in sette, noi in cinque, loro avevano poteri speciali, noi
avevamo delle stupide pistole.
“Che ci fai tu con loro?” domandò qualcuno riferendosi
a Zayn.
“Avete sempre saputo che non vi appoggiavo, non volevo
schierarmi, ma voi avete esagerato” rispose pacato protendendo le mani in
avanti e facendo qualche magia a me sconosciuta.
Decidemmo di attaccare, se avessimo aspettato avrebbero
potuto farci scomparire le armi dalle mani.
Ne affrontammo uno a testa, tranne Zayn che cercò di
eliminarne tre.
Sparavo, ma i proiettili non riuscivano a raggiungere
il corpo di quell’essere, sembravano dissolversi nell’aria. Poi capii, lo
dovevo prendere alla sprovvista, lui sapeva quello che volevo fare ed era
preparato a prevenire ogni mia mossa.
Abbassai l’arma avvicinandomi a quel mostro, notando
che anche gli altri avevano capito perché non riuscivano ad ucciderli e stavano
cercando di farsi venire un’idea in fretta.
Loro ridevano, divertiti dalle nostre difficoltà,
stavano giocando con noi al gatto e il topo.
Lo raggiunsi con uno scatto, facendolo indietreggiare
sorpreso, agguantai il serramanico e cercai di affondarglielo nel petto, si
scansò, come previsto, così gli puntai la pistola alla tempia e sparai.
La sua luce divenne immediatamente nera, lasciai cadere
l’arma a terra, mentre anche Harry e Louis con un ottimo lavoro di squadra
riuscirono ad eliminare i nemici.
Zayn non li uccise, li fece semplicemente scappare,
forse un po’ lo capivo, dopotutto era la sua famiglia quella.
Niall ci raggiunse, dopo aver sconfitto l’alieno che
stava avendo delle convulsioni sdraiato sull’asfalto.
“Abbiamo attirato l’attenzione, dobbiamo andarcene e in
fretta” disse Louis autoritario, mi voltai, per andare a prendere il revolver
lasciato a terra e mi congelai: davanti a me c’era uno di loro, con la mia pistola puntata sul mio petto.
“NO!” sentii urlare qualcuno. Poi un corpo si parò
davanti al mio e dopo un boato cadde all’indietro, finendomi addosso. Zayn
intrappolò il suo simile e intanto cercavo di liberarmi da quel corpo sopra il
mio. Harry mi si avvicinò spostando quel ragazzo dalla chioma bionda e
adagiandolo sull’asfalto. Louis cadde in ginocchio, prese la testa di Niall e
se la poggiò sulle gambe, accarezzandogli le guance “respira, avanti, resisti”
sussurrò.
“Niall” mi riscossi “perché? Niall!” mi avvicinai al
suo corpo e premetti le mani sulla ferita, dalla quale stava sgorgando sangue,
litri e litri di sostanza cremisi.
Harry incominciò a piangere stingendo convulsamente una
mano dell’amico.
“Avevi promesso che non avresti messo in pericolo la
tua vita per me!” urlai disperato, un groppo alla gola mi impediva il regolare
respiro, facendomi singhiozzare.
“Zayn!” chiamò Louis, il ragazzo si avvicinò “puoi fare
qualcosa?” supplicò credendo che con i suoi poteri avrebbe potuto guarirlo.
“Posso alleviare il dolore”.
Vedemmo Niall annuire. Zayn si avvicinò appoggiando le
mani sulle mie, subito un’espressione di sollievo si dipinse sul volto del
biondino, che sorrise guardandomi “capita di fare promesse pur sapendo
benissimo, sin dall’inizio, che non saranno mantenute” si giustificò gemendo.
“Non parlare” lo zittì Louis.
“Io vi amo, ragazzi. Siete stati la cosa più vicina a
una famiglia che abbia mai avuto”.
“No, Niall. Non dire così, ti prego” strepitò il ricco,
piangendo sempre più forte.
“Anche tu, Zayn” Niall guardò l’extraterrestre “la tua
diversità mi ha fatto capire che in fondo siamo tutti uguali”.
“Niall, sta zitto, sprechi energie” rispose il ragazzo
con voce strozzata.
Lui scosse la testa, segno che voleva dirci altre cose,
ma non sapevo se sarei riuscito a sopportare quelle parole che avevano il
sapore tanto amaro di un addio.
“Chissà se andrò in un posto tranquillo…sono stanco di
questa guerra inutile. Voglio essere felice, voglio riabbracciare la mia mamma”
sussurrò mentre stille salate cadevano dai sui occhi, accarezzando gli zigomi e
infrangendosi sui pantaloni di Louis, il quale appoggiò due dita sul suo collo
diafano, sentendo il battito cardiaco. Alzò gli occhi su Harry e scosse
debolmente la testa. Non ce l’avrebbe fatta.
“Saluterò i vostri cari” disse infine chiudendo le
palpebre.
“Niall?” lo chiamai “NIALL!”.
Zayn tolse le mani da sopra le mie, diventate ormai
completamente rosse.
Harry lasciò andare la mano di Niall, che cadde
mollemente sull’asfalto.
Louis abbassò la testa, toccando con la sua fronte
quella del biondino “ora sei felice” sussurrò baciandogli i capelli sporchi.
Voltai la testa, osservando quell’essere incatenato al
muro da corde invisibili che non riusciva a sciogliere, la magia di Zayn era
troppo forte per lui. Mi alzai, barcollando ubriaco di dolore e di odio verso
quella creatura mostruosa.
“Bastardo!” urlai portandogli le mani, sporche del
sangue di un ragazzo innocente, al collo.
Louis e Harry non fecero niente per fermarmi. Zayn,
invece, mi rincorse “Liam, lascialo”.
“E’ colpa sua!” urlai con la vista offuscata dalle
lacrime.
“Sì, lo è. Ma uccidendo lui non riporterai in vita
Niall”. Mi appoggiò una mano sulla spalla e la sua aura mi trasmise una
sensazione di pace e tranquillità, tutto il contrario di quello che in realtà
provavo.
Allentai la presa sul suo collo e lui riprese a respirare, la sua luce era fioca, debole, sarebbe
bastata ancora un po’ di pressione e sarebbe morto.
“Liam, tu non sei un mostro” mi sussurrò dolcemente.
No, non lo ero. Ma ero pur sempre un essere umano “ti
odio. Quelli come te hanno ucciso i miei genitori. Hai ucciso Niall e chissà
quante altre persone” mi staccai dal suo corpo “non siete poi così diversi dagli
umani che disprezzate tanto” gli sputai in un occhio, ritornando da Louis che
aveva preso in braccio il corpo senza vita del più piccolo.
L’alieno lo lasciammo lì, se avesse ripreso le forze si
sarebbe liberato, altrimenti sarebbe morto.
Ritornammo all’hotel ed entrammo nella prima camera che
ci capitò sotto mano. Louis adagiò Niall sul letto, coprendogli parte del corpo
con le lenzuola, nascondendo la maglietta rossa, gli prese le mani e gliele
sistemò sullo stomaco, sopra la coperta bucata, poi si allontanò.
Fu il turno di Harry, che posò delicatamente un bacio
tra i capelli dell’amico perduto “spero che tu stia bene”.
Mi avvicinai e la mia mano andò ad accarezzare la sua
guancia, che stava diventando fredda. La sua pelle stava cambiando colore, era
quasi grigiastra. Mi allontanai, temendo di piangere di nuovo.
Zayn fece uno strano movimento con le mani, facendo poi
comparire dei fiori. Andò da Niall e gli mise il glicine tra le mani,
simboleggiava l’amicizia.
Harry abbracciò Louis rincominciando a piangere sulla
sua spalla. Il più grande si mostrò forte, per sostenere il compagno.
“Andiamo, dobbiamo trovare qualcosa con cui spostarci”
disse Zayn stringendomi un braccio “e so dove cercare”.
Annuii, ricacciando le lacrime “addio, piccolo” singhiozzai,
salutando per l’ultima volta quel ragazzo conosciuto solo tre mesi prima, che
aveva dato la sua vita per salvare la mia.
Martedì
15 settembre 1998 rimanemmo soli.
Era quasi mattino, il sole sarebbe sorto di lì a pochi
minuti e stavamo crollando dal sonno.
L’aura di Zayn era un po’ spenta, segno che anche lui
non era nel pieno delle sue forze. Appoggiai la testa sulla sua spalla
illuminata, posandogli poi un delicato bacio sul collo. Lui sorrise, voltandosi
e mi accarezzò la guancia con quella mano sempre così fresca, mi passò il
pollice sotto l’occhio, dove sicuramente avevo degli aloni scuri e si avvicinò
al mio viso. Ci baciammo dolcemente per minuti che avrei voluto diventassero
ore, mentre Harry guidava e Louis cantava un motivetto sconosciuto tentando di
non farlo addormentare.
Non seppi cosa mi spinse a voltarmi, forse era l’istinto,
fatto sta che sentivo una vocina nella testa che mi ripeteva di osservarmi
intorno e lo feci, mi staccai dalle labbra di Zayn e mi girai, appoggiando il
gomito sul sedile e osservando la strada che ci lasciavamo alle spalle.
Una macchina, in fondo alla via, veniva verso la nostra
direzione, erano umani?
“C’è qualcuno” dissi attirando la loro attenzione.
Zayn si concentrò “no, accelera!”.
Harry sbiancò, improvvisamente sveglio e io mi
maledissi, ancora una volta, per colpa mia, non li aveva sentiti arrivare.
Con la macchina alle nostre spalle che guadagnava
rapidamente terreno, Louis cercò di rassicurare il più piccolo, che teneva il
volante con le mani che tremavano.
“Zayn, puoi fare qualcosa per fermarlo?” chiesi
speranzoso.
“Guardami. La mia luce è debole, non so neanche se
riuscirò a rallentarlo”. Già, aveva ragione, era fiacco e si notava
chiaramente.
Harry inchiodò di colpo, la cintura di sicurezza fece
il suo dovere “che fai?” urlai panicato guardando poi oltre il parabrezza,
avevamo la strada sbarrata da auto scassate e davanti a quell’ammasso di ferri
e ruggine si stagliava una luce troppo brillante.
La macchina dietro di noi ci aveva raggiunto e ora
un’altra creatura mostruosa apriva lo sportello per scendere.
“Dobbiamo combattere” disse Louis coraggioso “ne
abbiamo già sconfitti sette, loro sono solo due” cercò di rassicurarci.
“Guarda la loro aura, brilla troppo” mormorò Harry
sconfitto.
Scendemmo dall’auto per affrontare i nostri avversari.
Harry e Louis non persero tempo, corsero verso il
nemico, con i fucili puntati e l’odio negli occhi.
Sfilai la beretta dalla fondina, puntandola verso
l’altra creatura. Zayn cercava di racimolare tutte le sue forze.
Lo attaccai, seguito a ruota dal ragazzo al mio fianco
che cercava di bloccare le magie che faceva contro di me.
Combattemmo per pochi minuti, che sembrarono
un’eternità, quando finalmente Zayn riuscì ad immobilizzarlo. Gli puntai la
canna della pistola sulla tempia e senza nessuna esitazione sparai, pronto per
andare a soccorrere i miei compagni.
“NO! HARRY!” gridò Louis.
Tutto ciò che vidi fu il corpo del riccio che si
accasciava a terra. Il più grande si gettò sul compagno urlandogli disperati ‘ti amo’. Mentre l’alieno gli si
avvicinava alle spalle. Sollevai le braccia, tenendo saldamente l’arma e mirai.
Quando sparai una luce colpì la schiena di Louis.
Spalancai la bocca, vedendo l’alieno cadere agonizzante
per terra e Louis che lentamente si sdraiava accanto al corpo di Harry. Non
avevo fatto in tempo.
Corsi più veloce che potei, solo per vedere i due
ragazzi girarsi l’uno verso l’altro e sorridersi, cercando di afferrarsi le
mani senza successo, poi i loro occhi si chiusero per sempre.
Alzai il volto al cielo rosato, l’alba era sorta e
urlai. Urlai con quanto più fiato avevo.
Mi inginocchiai davanti ai corpi dei miei amici,
piangendo distrutto dal dolore e accecato dall’odio.
Zayn mi abbracciò, rassicurandomi con la sua aura.
“Arriva ancora qualcuno” disse il ragazzo al mio fianco
“dobbiamo andare”.
Io scossi la testa, non potevo lasciare i loro corpi in
balia di quegli esseri.
“Liam” sussurrò.
Ma non volevo staccarmi, rimasi incorato alla mano del
riccio.
“LIAM!” questa volta urlò.
“Non voglio, lasciami qui” piansi disperato.
“No, loro non avrebbero voluto”.
Scossi di nuovo la testa “vattene Zayn”.
“No, non posso stare senza di te” si sedette al mio
fianco, stupendomi.
“Vattene, non fare lo stupido” ripetei. Lui, di tutta risposta,
prese le mani dei due ragazzi e le congiunse in una stretta.
Sarei stato responsabile anche della sua morte se fossi
rimasto lì. “Dove andiamo?” chiesi, mentre da lontano qualche luccichio si
avviava verso la nostra direzione.
Zayn mi porse la mano, che afferrai prontamente,
incastrando le dita con le sue. Poi un formicolio lungo tutto il corpo, la
testa che girava velocemente e mi ritrovai in un vicolo, con Zayn affianco che
respirava affannosamente.
“Ci siamo teletrasportati?” chiesi guardando quel posto
sconosciuto.
“Sì, ma adesso ho bisogno di riposare” si appoggiò al
muro, esausto, aveva sprecato troppe energie portando anche me, con lui.
“Vado a cercare un posto sicuro, aspetta qui” mi alzai
e le gambe rischiarono di cedere per la stanchezza.
“Fa attenzione” sussurrò chiudendo gli occhi e
appisolandosi.
Quando finalmente trovai una casetta, ritornai da Zayn,
lo presi in braccio ed entrai nel nuovo rifugio. Adagiai il suo corpo sul
materasso sporco e mi distesi al suo fianco.
Piansi, pensando agli amici perduti. Ora ne ero certo,
la razza umana non sarebbe sopravvissuta a quella guerra.
Venerdì
18 settembre 1998 amai di nuovo, nonostante l’odio.
Avevo la testa appoggiata al finestrino della macchina,
recuperata in un parcheggio di un supermercato, guardavo fuori. Non c’era
nulla, solo il silenzio e il vuoto.
Zayn guidava a velocità sostenuta, stava diventando
giorno e avevamo bisogno di un nuovo nascondiglio.
Chiusi gli occhi e vidi persone, tante persone. Vidi i
bambini correre sul prato a piedi nudi, accarezzando l’erba fresca. Vidi la
gioia e la felicità sui volti della gente e vidi me stesso.
Passeggiavo su una spiaggia, con la mia famiglia, i
capelli scompigliati dal vento, il mare che si infrangeva sugli scogli e la
sabbia bollente che ustionava i piedi ed era così maledettamente reale.
E poi corsi, corsi a perdifiato verso una voce che mi
chiamava, la raggiunsi e due braccia fresche mi circondarono facendomi sentire
amato, erano le braccia di Zayn e non c’era nessuna aura a circondargli il
corpo, era umano ed era perfetto.
Ed ero felice.
Una mano sulla spalla che mi scuoteva mi fece
risvegliare. Aprii gli occhi, inumidendomi con la lingua le labbra secche
“siamo arrivati” disse Zayn sorridendomi triste.
Aveva capito che stavo sognando qualcosa di bello, un
mondo dove non c’era la guerra e quel mondo sembrava così lontano.
Entrammo nella catapecchia, qualche topo squittì dalla
paura, rifugiandosi nei buchi sul pavimento.
Ci dirigemmo immediatamente verso la camera, il
materasso a una piazza e mezza era sul pavimento. Ci sdraiammo spossati.
Mi voltai ad osservare Zayn, che guardava il soffitto a
cui mancavano pezzi d’intonaco e mi avvicinai al suo corpo “sono stanco di
scappare, restiamo qua”.
“Cosa? Non puoi arrenderti”.
“Sì che posso. È da due anni e mezzo che mi nascondo,
non ce la faccio più” mormorai esausto accoccolandomi al suo petto.
Lui annuì comprensivo, incominciando a baciarmi. Senza
esitazione ricambiai approfondendolo subito. Lo presi per le spalle e lo trascinai
sul mio corpo, era da tanto tempo che non avevo un contatto così intimo con
qualcuno, era inebriante.
Ci privammo dei vestiti, senza fretta, come se il tempo
non trascorresse, come se ogni minuto che passasse non ci portava sempre più
vicini alla morte. Zayn non capiva quello che stavamo facendo, ma lo avrei
guidato passo per passo.
Avevo così tanto bisogno di amare e sentirmi amato e
Zayn sembrava essere lì proprio per quello.
Gli insegnai come trattarmi, lo educai a fare l’amore e
diventammo una sola cosa. Ed era così bello, così appagante, così giusto.
In quella guerra, il nostro amore risplendeva,
innocente e puro.
La luce di Zayn invase la stanza quando raggiunse il
piacere dentro di me. E nel pieno dell’estasi continuammo a baciarci, mentre la
porta della camera veniva abbattuta e lasciata cadere in terra.
Non avevo paura, nonostante stessi per lasciare il mio
Pianeta ero felice e dopo tutto l’odio che avevo provato negli ultimi anni, ora
ero innamorato.
Lasciammo questo mondo insieme, sapendo che ovunque
fossimo andati saremmo stati felici.
Lunedì
19 febbraio 2001 la razza umana si era estinta da più di un anno.
Sulla Terra regnava la pace, gli animali vivevano in
sintonia tra loro, non c’erano conflitti.
Le piante avevano riempito ogni strada, ogni palazzo,
ogni centimetro di terreno per loro abitabile.
I mari erano limpidi e l’aria che si respirava era
pulita.
Niente più fame nel mondo, niente più lotte per il
potere, niente più soldi che rendevano le persone pazze e avide.
La Terra era ineguagliabile e io potevo ammirare tutto
quello dall’angolo di mondo in cui mi ero rifugiato.
Avevo riabbracciato i miei genitori, che si erano
scusati per avermi abbandonato.
Avevo rivisto Niall, che finalmente era riuscito a
riavere quella felicità tanto agognata.
Ritrovai Louis e Harry, erano perfetti insieme, lo
erano sempre stati.
In quel momento ero abbracciato a Zayn, che con la sua
luce pura e genuina si era conquistato un posto tra noi, e vegliavamo la Terra
dall’alto.
La
guerra era finita.
Eccoci qua, è finita. Scritta a tempo record (due giorni) Sono davvero contenta di come si sia sviluppata e anche se il finale non mi convince molto, credo sia giusto così. Voglio ringraziare il (fighissimo) gruppo Facebook 'Ziam is the w(g)ay' per aver indetto questo concorso, anche se hanno partecipato in pochi è stata una bella esperienza. Nonostante il tempo fosse poco e ho le dita che chiedono pietà perché ho scritto troppo (27 pagine di word). Spero che la storia vi sia piaciuta e che mi lascerete un vostro parere. In questo momento ho una long Zouis in corso, ma voglio finirla prima di pubblicarla. A presto!