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Autore: Beauty    31/05/2013    13 recensioni
E' il 1912. Sulla nave dei sogni si intrecciano i destini di Emma Swann, Regina Mills, Archie Hopper, Ruby Lucas, Mary Margaret Blanchard, il signor Gold, Belle French, Jefferson e molti altri, mentre il Titanic si avvia verso il suo tragico destino.
Chi sopravviverà?
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Emma Swan, Ruby/Cappuccetto Rosso, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Se c’era una cosa che Regina Mills non tollerava, era l’interazione fra persone appartenenti a classi sociali diverse – se tutto il pandemonio che ne risultava potesse veramente essere definito come interazione, nel senso socialmente civile e rispettoso che questo termine possedeva.
Stava iniziando a pentirsi di aver voluto partecipare alla messa, quella mattina. Il capitano Smith le aveva confermato che il privilegio di poter assistere a una funzione religiosa era riservato solo ai passeggeri di prima classe – e non avrebbe potuto essere altrimenti, Regina riteneva, dal momento che non riusciva neppure a figurarsi la gentaglia di seconda e terza tutta agghindata in atteggiamento serio e compunto mentre ascoltava in perfetto silenzio una predica domenicale. Una situazione simile sarebbe certamente degenerata in una scena da circo, come minimo.
In ogni caso, la signora Mills quella mattina aveva condotto suo figlio per mano sino alla cappella di prima classe, sicura che avrebbe trovato intorno a sé esclusivamente persone danarose e di gran classe; aveva avuto ragione solo in parte.
Proprio di fronte a lei, infatti, erano seduti un uomo e una donna, chiaramente provenienti da uno dei bassifondi della nave; bisbigliando con una signora a suo fianco, era venuta a sapere che la donna – che doveva avere al massimo venticinque anni, non più, molto graziosa, Regina doveva ammettere, con un viso fresco e pulito incorniciato da lunghi capelli castani raccolti in una crocchia – viaggiava in seconda classe, ma le era stato accordato il permesso di partecipare alla messa mattutina dal pastore in persona, in quanto era destinata a una vita monacale in un prestigioso convento di New York.
Regina fece una smorfia: suora o no, si vedeva lontano un miglio che quella giovane donna apparteneva alla feccia della società – no, non proprio, la vera feccia stava in terza classe, ma restava comunque il fatto che non sarebbe stata degna di lucidarle le scarpe. Indossava un semplice abito grigio chiaro, lungo fino alle caviglie, scarpe di mediocre fattura, probabilmente recuperate in qualche baule destinato ai poveri e una mantella blu scuro sulle spalle, dello stesso colore dei suoi guanti sgualciti.
Aveva proprio l’aspetto di una monaca, Regina osservò: viso pulito, sguardo sognante, e sorriso da santarellina.
Quanto all’uomo accanto a lei, la signora Mills non era riuscita a raccogliere informazioni a riguardo, ma sospettava fosse un ospite della suorina – un ospite assai poco illustre e che per giunta pareva annoiarsi a morte, là dentro.
Regina diede una gomitata a Henry, redarguendolo con uno sguardo severo non appena si accorse che suo figlio, invece che prestare attenzione alla predica o quantomeno fingere di ascoltarla, stava irrispettosamente soffocando una risata alla vista della testa dell’uomo che pendeva ciondoloni per il sonno; proprio quando Regina ed Henry temettero che stesse per crollare irreversibilmente in avanti, questi parve riscuotersi e subito spalancò gli occhi scuotendo il capo, fingendo di non aver perso una sola sillaba di quanto il pastore stava dicendo. La suora non parve essersi accorta di nulla.
Regina lanciò a Henry un’occhiata che troncò sul nascere l’ennesima risatina, prima di alzare gli occhi al cielo: a quali scene le toccava assistere!
Se fosse stata lei a capo di quella nave, pensò, non avrebbe permesso simili situazioni, come due persone che, pur avendo acquistato dei biglietti che non erano di prima classe, usufruissero ugualmente dei servizi riservati a quest’ultima; anzi, a dire il vero, lei non avrebbe neppure tollerato la presenza a bordo di passeggeri che non fossero di prima classe.
Ma in tal caso a quest’ora anche tu saresti ancora a Southampton, sussurrò una vocina maligna nella sua testa, che Regina si affrettò subito a scacciare.
Lei era diversa. Lei aveva tutto il diritto di trovarsi dove si trovava in quel momento. Poco importava se era una nuova ricca, come l’avrebbero definita le signore bigotte e perbeniste dell’alta società, se avessero scoperto la verità; poco importava se non fosse nobile di nascita o il suo patrimonio non appartenesse alla sua famiglia da generazioni.
Nessuno sapeva la verità; tutti la trattavano con il rispetto e la deferenza che le erano dovuti, e questo era ciò che contava. Lei non era come i poveracci di terza classe.
Non più.
Per l’ennesima volta nella sua vita, Regina si trovò a pensare quanto sua madre avesse avuto ragione su tutto; sin da quand’era piccola, non faceva altro che ripeterle che un giorno sarebbe divenuta ricca e facoltosa, e così era stato.
Sua madre ce l’aveva messa davvero tutta, affinché ciò si avverasse.
Regina ripensò a sua madre, Cora Mills, scomparsa quindici anni prima a seguito di un attacco di cuore. Era successo tutto all’improvviso: nessuno di loro, né lei né suo padre, era a conoscenza del fatto che Cora soffrisse di cuore. Forse nemmeno lei lo sapeva. Era avvenuto molto in fretta: sua madre si era alzata una mattina accusando un malessere e una fiacchezza che non aveva saputo spiegare; aveva continuato così per tutto il giorno, rifiutandosi di chiamare un medico e ringhiando che stava bene, fino a che, nel tardo pomeriggio, si era portata una mano all’altezza del cuore con un gemito soffocato, ed era crollata a terra. Avevano cercato di soccorrerla, ma era stato tutto inutile: Cora era morta in capo a pochi minuti.
Era stata una fine rapida, tutto sommato, e lei non aveva sofferto; ma Regina non era riuscita a capacitarsi del fatto che una donna forte ed energica come sua madre potesse essere morta a causa di un male riservato generalmente alle persone deboli.
Cora era sempre stata la mente, la forza, e il braccio di tutta la casa. Regina ricordava sempre che, ai tempi della scuola, se le sue compagne di collegio raccontavano che il loro padre aveva messo a tacere la madre con un ceffone, lei si figurava sempre nella mente l’immagine di Cora che schiaffeggiava Henry. Oh sì, sua madre ne sarebbe stata più che capace e suo padre non si sarebbe neppure opposto…anche se, pensandoci bene, se non erano mai arrivati a quel punto un motivo ci doveva essere.
E il motivo andava ricercato nell’eccessiva debolezza caratteriale di suo padre, nonché nella forza irradiante di sua madre.
Henry Mills senior non aveva mai nemmeno tentato di opporsi ai voleri e ai capricci della moglie, per quanto Regina riuscisse a ricordare. Suo padre di tanto in tanto avanzava qualche timida protesta, ma subito questa si estingueva in un soffio non appena Cora si rivoltava verso di lui come una vipera, ringhiandogli di lasciarla fare, sapeva esattamente cosa stava facendo, era in grado di risolvere la situazione da sola. Quand’era piccola non se ne rendeva ancora perfettamente conto, ma divenuta prima adolescente e poi adulta, Regina aveva iniziato a pensare che Henry e Cora, più che marito e moglie, erano più simili a un cagnolino e alla sua padrona.
Era stata una constatazione che le aveva dato i brividi…ma mai quanto l’aver scoperto, origliando per sbaglio una conversazione, della storia del loro matrimonio.
Henry e Cora non si erano sposati per amore…o perlomeno, se in quel rapporto era mai esistito dell’amore, questo era tutto dalla parte di suo padre. Regina sospettava che, in gioventù, Henry fosse stato veramente innamorato di Cora…innamoramento che era andato progressivamente scemando negli anni.
Ma certo era che Cora non aveva mai amato suo marito.
Regina li aveva sentiti discutere proprio di questo, una sera. Stando a quanto aveva compreso, sua madre, all’epoca figlia di un panettiere alcolizzato, aveva trovato lavoro nella filanda fondata e gestita da suo nonno, Xavier Mills…un uomo da cui suo figlio aveva preso solo il cognome e qualche tratto del viso. Secondo tutte le dicerie, Xavier Mills era un imprenditore di pochi scrupoli, specialmente se di mezzo c’era del denaro. Non era per niente magnanimo né con i sottoposti né tantomeno con i dipendenti, parecchio restio quando si trattava di pagare loro lo stipendio e despota in ogni senso.
Cosa avesse notato in Cora, solo il cielo lo sapeva.
Regina non aveva colto molti particolari riguardo a questo fatto, durante quei mozziconi di conversazione, ma sospettava che per qualche tempo sua madre fosse stata l’amante di Xavier. Cosa fosse accaduto, in seguito, cosa l’avesse spinta a voltare le spalle al vecchio imprenditore per rivolgere le sue attenzioni all’insipido figlio, restava un mistero.
L’unica cosa certa era che Cora aveva avuto tutto da guadagnarci, da quella faccenda.
Intrattenendo prima una relazione con Xavier, e sposandone poi il figlio, aveva iniziato la sua scalata sociale. Da operaia figlia di un ubriacone era divenuta prima amministratrice della filanda, fino a prenderne le redini alla morte di Xavier, prima affiancando ma ben presto sostituendo completamente Henry, che non aveva mai avuto troppo interesse né bravura in quel campo.
Cora le ripeteva sempre che nella vita ciò che contava era il denaro. Se hai denaro, le diceva, allora hai prestigio, e se hai prestigio hai potere, e con il potere hai il mondo ai tuoi piedi.
Regina aveva trascorso il periodo fra i sei e i tredici anni in un collegio di suore francesi lontana da casa, ritornandovi solo per brevi periodi in occasione del Natale o delle vacanze estive; quando era cresciuta ed era ritornata definitivamente a Southampton, sua madre aveva preteso che fosse educata in casa, da istitutori privati. Di università, però, non ne aveva neppure voluto parlare.
A che serve l’università, se non a trovare un buon marito?, aveva detto un pomeriggio di fronte a una tazza di thé, con il solito tono di chi ha tutta l’intenzione di liquidare la faccenda alla svelta. A quello penserò io.
Sua madre era alla ricerca di un partito facoltoso per sua figlia, magari un imprenditore che potesse prendere in mano le redini della catena di filande a cui aveva dato vita. Quello, forse, era l’unico obiettivo nella vita che non era riuscita a raggiungere.
Regina Mills non si era mai sposata. Aveva rinunciato al matrimonio dopo che il suo fidanzato, Daniel, era morto.
Daniel Stable, pensò, sentendo come sempre una stretta al cuore. Anche dopo tanto tempo, il dolore non era ancora cessato.
Daniel faceva parte di quella che sua madre, come lei stessa adesso, avrebbe chiamato feccia della società. Il punto era che Daniel non era feccia. Anzi, Regina aveva sempre pensato che lui fosse mille volte meglio di tutti i nobili e gli imprenditori che affollavano il salotto di casa Mills.
Poco importava che Daniel lavorasse come stalliere nelle scuderie della sua casa di campagna; poco importava se era figlio di operai; poco importava se scegliendo lui sarebbe andata contro il volere di sua madre e avrebbe gettato per sempre ogni possibilità di vivere da regina.
Ciò che importava veramente era Daniel. Daniel e lei. Nulla più.
Sua madre si era opposta con le unghie e con i denti, licenziando lui e minacciando di diseredare sua figlia, ma a nulla era servito. Daniel si era presto trovato un altro lavoro in un’acciaieria di Southampton, e stavano progettando di fuggire insieme, magari verso Londra o il continente…fino a quella maledetta sera.
La polizia non era mai riuscita a stabilire con esattezza come fossero andate le cose, né chi fosse il vero colpevole. Tre o quattro persone finirono in carcere, ma ne uscirono tutto sommato presto. Stando a quanto avevano raccontato alcuni testimoni – più o meno attendibili dato lo stato di ebbrezza in cui si trovavano –, era scoppiato un litigio poco distante da una taverna nei pressi del porto. Regina non aveva idea del perché Daniel si trovasse lì, probabilmente stava tornando dal lavoro, oppure era uscito con alcuni amici…fatto stava che, quando il litigio era degenerato in una vera e propria rissa, lui si era messo in mezzo per cercare di dividere chi era coinvolto. Poi, all’improvviso, uno dei rissosi aveva sfoderato un coltello, e l’aveva colpito dritto al cuore.
Il giorno del suo funerale – a cui aveva partecipato clandestinamente, grazie all’aiuto di una delle sue cameriere che le aveva coperto le spalle con sua madre – aveva giurato che gli sarebbe rimasta sempre fedele. E così era stato.
Regina aveva preso da sé le redini della catena di filande fondata dal nonno ed espansa dalla madre, rifiutandosi di sposarsi con chicchessia. Cora all’inizio aveva storto un po’ il naso, ed Henry aveva espresso tutte le sue paure sul fatto che sua figlia avrebbe avuto un futuro solitario, ma alla fine entrambi si erano arresi al fatto compiuto, tanto più che sua madre aveva ottenuto ciò che voleva: sua figlia faceva parte dell’élite.
Gli anni erano trascorsi senza che accadesse nulla di diverso dalla solita routine. Cora era morta quando lei aveva ventuno anni, ed Henry l’aveva seguita quattro anni dopo, vittima di un cancro.
A quel punto, Regina aveva davvero iniziato ad avvertire i morsi della solitudine.
Senza più i suoi genitori, senza più Daniel, la sua vita le appariva vuota e senza senso. Era stato per colmare quel vuoto, che aveva deciso di adottare Henry.
Le suore dell’orfanatrofio da cui l’aveva portato via le riferirono che la madre era una vagabonda poco più che diciottenne, che era arrivata lì, aveva partorito e se n’era andata pochi giorni dopo. Le avevano proposto di comunicarle il nome e il cognome, ma Regina non ne aveva voluto sapere; non le interessava della donna che aveva abbandonato quel bambino: ciò che le importava, in quel momento, era quel bimbo che sarebbe stato suo figlio, che avrebbe visto crescere e sposarsi, che l’avrebbe resa nonna.
Henry era la sua vita. E non avrebbe permesso a nessuno di portargliela via.
 

***

 
- Molto interessante il salmo sul cervo che si abbevera alla fonte, non trovi?- domandò Astrid, una volta che la funzione fu terminata, uscendo dalla cappella e dirigendosi tranquillamente verso la scala che conduceva alla seconda classe.
Leroy annuì, soffocando uno sbadiglio con un sorriso.
- Interessantissimo. Certo. Come no, il…il cervo…sì…l’ho trovato estremamente…ehm…simbolico - disse, non trovando aggettivo migliore.
- Oh, non ne dubito. Devo dedurre che il tuo russare fosse un segno di apprezzamento?
Leroy si gelò. Beccato!
Astrid lo guardò per un lungo istante, quindi scoppiò in una risata fragorosa.
- Perdonami…- borbottò Leroy, arrossendo vistosamente, desiderando di sotterrarsi all’istante.- Sono stato un incivile, lo so…
- No, niente affatto. Anzi, sono io a doverti chiedere scusa…- mormorò Astrid, non appena la risata si fu estinta.- Ti ho condannato a una vera tortura, lo confesso…Do sempre per scontato che a chiunque faccia piacere assistere alla messa domenicale, e invece…
- E’ solo che…- bofonchiò Leroy.- Non fraintendermi, io credo in Dio e tutto, ma…insomma, un conto è crederci e dire le preghiere una volta alla settimana, ma come si fa a volere solo questo per tutta la vita?
Astrid si strinse nelle spalle, lievemente imbarazzata. Leroy iniziò a insultarsi mentalmente per aver tirato fuori quell’argomento in modo così rozzo e indelicato.
- Non so spiegarlo…E’ qualcosa che senti…qui - Astrid s’indicò il petto, nel punto esatto dove si trovava il cuore.- E’ come…l’amore.
Leroy si sentì avvampare di nuovo.
- Cioè…è come se…tu sei mai stata innamorata?- buttò lì alla fine, vincendo l’impaccio.- Voglio dire, tu sei molto giovane…alla tua età dovrai pur aver avuto qualche cotta…
Astrid fece una piccola e imbarazzata risata.
- Ad essere sincera, sì. Ma mai nulla di serio. In fondo al cuore, ho sempre saputo di essere destinata ad amare solo Dio. E poi, non credo che avrei molte altre alternative…- aggiunse a mezza voce, il sorriso un poco smorzato. Leroy la guardò, sgranando gli occhi.
- Che intendi dire?
- Beh, è complicato - mormorò Astrid.- Sai, il convento dove intendo prendere i voti è sotto la direzione di mia zia. Lei è la Madre Superiora.
- Davvero?- fece l’uomo, nascondendo una smorfia. Forse stava iniziando a intuire quale fosse la verità, in tutta quella storia…
Astrid annuì, seria.
- Vedi, i miei genitori vivono in un quartiere di periferia di Southampton, e anch’io per i primi anni di vita sono stata con loro, ma…a farla breve, mio padre un giorno ha perso il lavoro e da allora il pane in tavola ha iniziato a scarseggiare, così mia zia si è offerta di prendermi con sé. All’epoca lei viveva ancora in Inghilterra ed era una novizia.
- Ti ha cresciuta lei, dunque?
- Oh, sì. E l’ha fatto nel migliore dei modi. Si è presa cura di me come una madre, mi ha dato affetto e un’educazione. Poi, quando avevo sedici anni, è dovuta partire per l’America, e io sono ritornata a vivere con i miei genitori fino a quando non fosse giunto il momento di raggiungerla.
- Raggiungerla?- fece eco Leroy.
Astrid annuì nuovamente.
- E’ stata lei a trasmettermi l’amore per Dio e la vita monastica. Mi diceva sempre che il più grande dovere e onore di un essere umano è servire Nostro Signore, e ha detto che avrebbe pensato lei a fornirmi il denaro necessario per prendere i voti, quando fosse giunto il momento.
- Quindi, hai espresso tu il desiderio di farti suora?
La domanda parve imbarazzarla più che mai. Astrid giocherellò nervosamente con i propri guanti.
- Io…più o meno. E’ una specie di promessa che le ho fatto. E poi, se anche volessi sposarmi, i miei genitori non avrebbero denaro per la mia dote.
- Ma tua zia sì!- esclamò Leroy.- Il denaro che verrà devoluto per il tuo noviziato potrebbe essere impiegato per una dote, dico bene?
Astrid ridacchiò.
- Non secondo mia zia…
- Perché?- fece Leroy, perplesso.- Non me ne intendo molto di queste cose, ma credo che la somma sia all’incirca…
- Non è la somma, il problema.
- E allora qual è?
- Beh, sai, lei è una donna molto rigida. Severa, con idee ben precise. E’ sempre stata convinta che fossi destinata a servire Dio, e poi…lei ritiene che il convento sia il luogo più adatto per me. Più sicuro - Astrid chinò il capo, sforzandosi di apparire serena.- Dice che il mondo, per una donna come me, è un posto pieno di rischi. E poi, non ho il fisico adatto per partorire bambini, e una volta che abbiamo sfiorato l’argomento “matrimonio”…
- ….lei ha detto chiaro e tondo che ti avrebbe lasciata al tuo destino se tu non avessi scelto la vita monastica - concluse Leroy, stavolta senza curarsi di apparire rude.
Astrid lo guardò come se le avesse appena dato uno schiaffo.
- Non prenderla nel modo sbagliato!- si affrettò a dire la donna.- Temo di essermi spiegata male…mia zia non è affatto una persona cattiva come può apparire, è solo…molto legata ai suoi principi. E poi, glielo devo. Mi ha cresciuta, il minimo che posso fare è ricompensarla prendendo a mia volta i voti e aiutandola a dirigere il convento.
- A me pare più un ricatto, che una ricompensa - borbottò Leroy.
Astrid si strinse nella mantella.
- No, non lo è. Io…Dio è la mia strada - dichiarò fermamente, rialzando infine il capo. - Mia zia vuole solo il meglio per me, e io voglio servire Nostro Signore.
L’uomo si sentì avvampare; Astrid si era innervosita, probabilmente quello doveva essere un tasto parecchio dolente. Leroy aveva poche certezze nella vita, ma una di queste in quel momento era che quella donna – una ragazza, aveva venticinque o ventisei anni al massimo – stava andando a rinchiudersi in un convento per tutta la vita, e tutto non perché aveva una vera vocazione, ma perché questa le era stata inculcata a suon di carezze e minacce velate da una zia il cui reale affetto era completamente da mettere in discussione.
Leroy fece una smorfia amareggiata, accorgendosi che era calato il silenzio. Gli dispiaceva che Astrid dovesse essere condannata a questa vita…ma forse lui poteva fare qualcosa.
Quel viaggio sarebbe durato ancora due giorni, quasi tre. Era una quantità di tempo sufficiente, per rendere i suoi ultimi giorni di libertà sereni. E forse, per farle capire che aveva un’infinità di altre opzioni, che non il convento…
- Ti…ti piacerebbe se ci vedessimo questa sera?- propose, balbettando un poco.- Ora devo tornare al lavoro, ma verso le sei del pomeriggio sono libero.
Sul volto di Astrid, con sommo sollievo dell’uomo, ricomparve un sorriso entusiasta.
- Ma certo! Che cosa facciamo?
Leroy fece spallucce.
- Decidi tu. Perché non c’incontriamo sul ponte, tanto per cominciare, e poi…beh, lasciamoci trascinare!
Astrid rise.
- Mi sembra un’idea meravigliosa!
 

***

 
Il signor Gold zoppicò fuori dalla cappella di prima classe, senza curarsi di nascondere il sollievo che la fine della funzione religiosa gli aveva trasmesso. Ancora non capiva perché si ostinasse ad andare a messa; non lo faceva poi così spesso, solo durante le occasioni più importanti, come ad esempio la cerimonia di mezzanotte la sera di Natale. E tutte le poche volte che ci andava, pregava in solitudine, senza unirsi agli altri o prestare attenzione alla predica. Pregava per il suo Baelfire.
Non che ce ne fosse bisogno: che dio era uno che non accoglieva al proprio fianco un ragazzino di quattordici anni?
Il signor Gold fece una smorfia amara. Valeva anche il contrario: che dio era uno che aveva il coraggio di chiamare a sé un ragazzino che si era appena affacciato alla vita?
Superò silenziosamente quella petulante signora Mills e suo figlio, sorridendo di soddisfazione e sollievo quando si accorse di non essere stato notato e quindi di aver scampato ogni rischio di venire trascinato in una conversazione tediosa e inutile.
Il ginocchio non gli faceva più male, osservò distrattamente. Quella ragazzina sarà anche stata una piaga della natura, ma aveva delle mani di fata: in genere, ci volevano giorni prima che il suo ginocchio smettesse di dargli noia. Invece, era bastato un po’ di ghiaccio e le cure di Belle perché…
Scosse il capo, riprendendosi. Come diamine aveva fatto a passare dalla signorina French a Belle così in fretta? E soprattutto, quando mai lei gli aveva detto come si chiamava? Doveva averlo sentito dire da qualcuno quando era sceso a patti con suo padre, sicuramente; in ogni caso, perché perdeva tanto tempo a pensare a lei?
Sospirò, dandosi mentalmente del vecchio idiota e salendo le scale che conducevano al ponte di prima classe: prima quel viaggio sarebbe finito, meglio sarebbe stato per lui e per tutti quanti.
 

***

 
- Strano.
- Che cosa?
- Che in prima classe venga detta messa e in seconda e terza classe no.
- Non l’hai ancora capito che noi restiamo i figli della serva anche per quello, Archie?- ridacchiò Ruby, raccogliendosi i capelli castani in una coda. Il dottor Hopper si aggiustò gli occhiali sul naso.
- Non mi sembra giusto. Insomma, di fronte a Dio siamo tutti uguali, no?
- A dire il vero, Gesù diceva beati gli ultimi, perché saranno i primi.
- Appunto.
Ruby rise, prendendolo sottobraccio.
- Quanti giorni mancano allo sbarco?- s’informò.
- Dovremmo arrivare a New York il quindici aprile…- mormorò Archie.- Ma stamattina ho sentito un tizio dire che il capitano ha ordinato l’attivazione di altre due caldaie…
- E…questo cosa vorrebbe dire?- fece Ruby, perplessa.
- Vuol dire che aumenteremo di velocità - spiegò Archie, pazientemente.
- Non avevo idea fossimo in ritardo.
- Non lo siamo, da quanto ho capito. Anzi, siamo in perfetto orario. Ma credo che questa sia una mossa per alzare l’opinione pubblica riguardo alle potenzialità della nave.
- E come?- Ruby non riusciva a comprendere fino in fondo quei discorsi; se erano in orario, perché andare più veloci? E poi, stavano per inoltrarsi in una zona dell’oceano in cui gli iceberg spuntavano da ogni dove come i fiori in primavera; non era piuttosto il caso di rallentare e di stare attenti?
- Beh, il Titanic gode di una fama che definire alta sarebbe un immeritato eufemismo - spiegò il dottor Hopper.- Si è sentito parlare di questa nave ancora da quando era in cantiere. Non è solo grande e lussuosa, dicevano, ma è anche molto veloce e potente, e addirittura inaffondabile. Arrivare a New York la sera del quattordici aprile, anziché la mattina del quindici, con un giorno di anticipo, sarebbe l’ennesima conferma di tutte queste dicerie.
- Inaffondabile?- fece eco Ruby. - Tu credi davvero che sia inaffondabile?
- No lo so. So solo che è fatta di viti e bulloni come tutte le altre navi - Archie gettò un’occhiata all’oceano.- Quello che m’interessa è che non affondi durante questo tragitto.
- C’è modo che accada?- chiese la ragazza, tentando di apparire disinvolta. Non riusciva neppure a figurarsi una scena simile, di un transatlantico che colava a picco.
- Spero vivamente di no - rispose Archie, cupo.- Hai mai dato un’occhiata alle scialuppe di salvataggio?
- Ehm…no - ammise Ruby.
- Ehi! Chi si vede?!
Ruby sobbalzò per lo spavento, mentre il dottor Hopper si sentì gelare il sangue nelle vene. Prima che potesse metabolizzare ciò che stava accadendo, si ritrovò con un braccio di August avvolto intorno alle spalle e la testa dell’amico fra la sua e quella di Ruby.
- Come te la passi, Archie?- ghignò l’uomo. Il dottor Hopper si aprì in una smorfia che voleva essere un sorriso.
- Ciao, August…- mormorò.- Dov’è…ehm…dov’è Marco?
- In cabina con Pongo, come al solito. Non lo capirò mai quell’uomo…
- Già…- Archie avrebbe voluto mettersi a piangere; conosceva August fin troppo bene per non capire cosa avesse in mente. I particolari non li aveva ancora chiari, ma le linee generali erano semplici da intuire: August stava deliberatamente ignorando Ruby. E non era mai successo con una ragazza.
- Ehm…- Archie si schiarì la voce. - Posso presentarti Ruby Lucas?
August si voltò verso la ragazza, fingendo di averla vista solo in quel momento. Fece un mezzo inchino, baciandole la mano con fare galante.
- Piacere di conoscerla, signorina Lucas.
Ruby scoccò ad Archie uno sguardo fra il complice e il malizioso.
- Lei è un amico di Archie?- chiese.
- Sì, viaggio insieme a lui e a mio padre. Oh, e a Pongo, naturalmente!
Ruby ridacchio; Archie scoccò un’occhiata a August, desiderando solo di prenderlo a calci.
- August Booth. Ruby è un nome delizioso.
- Grazie…
- Permettete che vi accompagni?- chiese August, guardando entrambi.- Se a te, Archie, e alla signorina fa piacere, naturalmente…
- Oh, sì! Certo - sorrise Ruby. - Archie?
Il dottor Hopper fece un sorriso forzato, annuendo.
August si voltò verso di lui, facendogli l’occhiolino; Archie desiderò di sprofondare nel terreno fino alla sala macchine.
 

***

 
Belle risalì sul ponte di terza classe solo un’ora dopo aver lasciato Ashley al sicuro e al caldo nella sua cabina in compagnia del suo fidanzato; Mary Margaret si era offerta di rimanere con lei ancora per qualche minuto, ma la signorina French si era resa conto di aver trascorso troppo tempo lontana da suo padre. Doveva tornare subito da lui, se non voleva farlo infuriare di nuovo.
Belle salì in fretta le scale, con l’intenzione di prendere un’ultima boccata d’aria e poi tornarsene in cabina, senza riuscire a levarsi dalla testa il ricordo di Ashley Boyd. Era incredibile la situazione che si era creata intorno a quella ragazza: un attimo prima aveva un lavoro, un posto dove vivere, del pane in tavola…e poi, solo per essersi innamorata del figlio del suo capo, si era ritrovata senza più nulla, e per di più incinta e disonorata agli occhi della gente.
Per fortuna, quel Sean Hermann le era parso un ragazzo non solo innamorato, ma anche serio e responsabile, che aveva tutta l’intenzione di provvedere ad Ashley e al loro bambino. Si era forse fatto un poco prendere dal panico quando lei e Mary Margaret gli avevano raccontato di aver soccorso la sua fidanzata quando questa era stata colta da una doglia. Ashley aveva sbuffato bonariamente e roteato scherzosamente gli occhi quando lui aveva preso a saltellarle intorno, insistendo perché si mettesse a letto e per gettarle una coperta sulle gambe, nonostante il caldo che faceva.
Sarebbero sicuramente stati una famiglia felice, insieme, pensò Belle, appoggiandosi alla balaustra e lasciando che il vento le scompigliasse i capelli. Augurava loro ogni bene, e sperava che in America riuscissero a trovare il lieto fine che meritavano.
In ogni caso, Ashley era stata davvero fortunata, nonostante tutto ciò che le era accaduto. Aveva un fidanzato che l’amava e un bambino in arrivo. Chissà se anche lei un giorno avrebbe incontrato…
- Dove accidenti eri finita?!
Belle fece appena in tempo a riconoscere la voce di Moe, prima che questi l’afferrasse per un braccio, strattonandola così forte da farle male. Le assestò uno schiaffo su una guancia.
- E’ da due ore che ti cerco!- ringhiò suo padre.- Dove diavolo sei stata per tutto questo tempo?!
- Io…- balbettò Belle.- Io ero…è successa una cosa…io stavo…
Le arrivò un altro schiaffo, in grado di zittirla completamente.
- Ora io e te facciamo i conti!- urlò Moe. - Torna con me in cabina!
La strattonò ancora per un braccio. Belle tentò di opporsi debolmente, ma suo padre era più forte.
Lo sguardo le cadde sulla cintura di Moe.
Ora io e te facciamo i conti…
Le ritornò alla mente quella volta in cui era scappata di casa. Le cinghiate. Sua madre che piangeva ma non faceva nulla. Lei che urlava. La fibbia della cintura di Moe che si abbatteva sulle sue braccia e sulle gambe, lasciandole lividi e graffi sanguinanti.
Belle tentò di ritrarsi disperatamente.
- Papà, no…- implorò.
- Ho detto di tornare in cabina!- ululò Moe.- Subito!
Belle sentì le lacrime salirle agli occhi; tentò di divincolarsi, ma suo padre la strattonò con più forza. Con un ringhio, Moe le sferrò uno spintone; la ragazza cadde a terra.
- Vuoi che ti punisca qui sul ponte, di fronte a tutti?!
Belle iniziò a singhiozzare.
 

***

 
- Come ci si sente a stare lontani da Regina Mills?- sorrise Graham. Emma rise, il vento che le scompigliava i capelli biondi.
- Libera!- esclamò. Graham rise a sua volta.
Emma prese a camminargli a fianco, sentendosi un poco imbarazzata. Solo ora si rendeva conto di aver indossato il vestito più bello che possedeva, quella mattina: un abito color lavanda con i bordi di pizzo intorno alle maniche e all’orlo della gonna, con uno scialle appena più scuro intorno ai gomiti e un lieve ricamo all’altezza del busto, a cui aveva aggiunto dei guanti bianchi, dopo anni che non ne indossava più un paio. Tentò di dirsi che si era agghindata in quel modo solo perché era domenica, ma la realtà dei fatti, lo sapeva, era ben diversa.
Era la prima volta, dopo Neal Cassidy, che provava a fidarsi di un uomo. La delusione cocente che le aveva lasciato il padre di suo figlio l’aveva spinta a evitare qualunque altra relazione amorosa per ben dieci anni, e anche qualunque innocente approccio con un uomo. Era sempre stata un tipo diffidente per natura, ma il capitano Graham era molto gentile e, soprattutto, a Emma non era parso che la giudicasse in alcun modo per quello che era il suo passato. Anzi, stava cercando di aiutarla.
- Se posso chiedere - Graham si schiarì la voce. - Cosa intende fare ora con suo figl…
Il capitano troncò la frase a metà, quando una scena sul ponte di terza classe attirò la sua attenzione. Emma si sporse per vedere, incuriosita: sotto di loro, si vedeva chiaramente un uomo alto e possente che strattonava una giovane ragazza, per poi spingerla violentemente a terra.
Emma comprese al volo ciò che stava succedendo; Graham corse velocemente giù dalle scale, e lei si affrettò a seguirlo.
 

***

 
- Ehi, ma che sta succedendo laggiù?- Ruby si sporse per vedere meglio, subito imitata da Archie e August. La ragazza aggrottò le sopracciglia, vedendo un uomo sui quarantacinque anni strattonare una ragazza di circa venti, per poi spingerla a terra.
Ruby non ci pensò due volte, e corse verso di loro, seguita dai due uomini.
 

***

 
L’attenzione del signor Gold venne attirata bruscamente da un grido proveniente dal ponte di terza classe; l’uomo si sporse per vedere meglio, sgranando gli occhi quando riconobbe le persone al di sotto di lui e cosa stava accadendo.
Vide Moe afferrare sua figlia per la radice dei capelli, strattonandola fino a farla mettere in ginocchio. Belle soffocò un grido di dolore.
- Vediamo se riuscirai ancora a gridare, dopo che ti avrò spaccato il labbro!- gridò Moe, assestandole un altro schiaffo.
- Papà, per favore, basta!- implorò Belle.
- Ehi, tu! Brutto figlio di…
Moe lasciò andare Belle, voltandosi appena in tempo per ricevere all’altezza del petto i pugni di una ragazza vestita da cameriera, alta e magra e con lunghi capelli castani. L’uomo ringhiò, sorpreso.
- Lasciala stare, stronzo!- sputò fuori Ruby.
Moe l’allontanò con uno spintone; la ragazza barcollò, gemendo.
- Ehi, come ti permetti?!- ringhiò August, pronto a volargli addosso, ma Archie lo precedette. Il dottor Hopper cercò di colpire Moe con un pugno al viso, ma l’uomo lo precedette, assestandogli un gancio tale da buttarlo a terra. Archie sentì in contemporanea l’urlo di Ruby e il rumore dei vetri dei suoi occhiali che si rompevano, prima di finire riverso sul ponte di terza classe. Sentì in bocca il sapore acido del suo sangue.
Moe sembrò volersi rivolgere ad August, ma presto venne raggiunto da un pugno che gli fece voltare il capo di lato; barcollò, finendo irreversibilmente a terra quando una bastonata lo colpì all’altezza di una scapola.
Belle boccheggiò, vedendo il signor Gold in piedi di fronte a lei mentre guardava suo padre come se volesse ucciderlo.
- Maledetto…- iniziò Moe, ma subito un rumore di passi di corsa lo interruppe.
- Ehi, che succede qui?!
Tutti si voltarono, vedendo un giovane uomo in uniforme correre verso di loro, seguito da una donna con lunghi capelli biondi.
Graham ansimò, raggiungendo il gruppetto.
- Che cosa sta succedendo? Chi è stato a cominciare?
- Lui!- Ruby indicò Moe, prima di inginocchiarsi accanto ad Archie e aiutarlo a rimettersi seduto.
- Le stava mettendo le mani addosso!- August indicò Belle, ancora inginocchiata sul ponte.- E credo che non sia la prima volta…- aggiunse a mezza voce, notando il livido all’altezza dello zigomo della ragazza, che stava iniziando a sparire ma era ancora evidente.
Moe ringhiò, tentando di rialzarsi e colpire Gold, ma Graham gli piombò addosso, immobilizzandogli i polsi; estrasse da una tasca un paio di manette, imprigionandogli le mani. Lo tirò in piedi con la forza.
- Mi ricordo di lei…- soffiò il capitano, scoccando anche una breve occhiata a Gold.- Direi che un paio di giorni al fresco non le faranno male…- aggiunse, tornando a guardare Moe. Graham rivolse a Emma uno sguardo di scuse, prima di trascinare via l’uomo.
August s’inginocchiò accanto a Ruby per aiutare Archie; il signor Gold rimase immobile: guardava la scena come se stesse assistendo a una rappresentazione a teatro, apparentemente impassibile. Emma corse a fianco di Belle, aiutandola a rialzarsi.
- Si sente bene?- chiese la donna.
Belle annuì, senza guardarla, concentrata solo sulle assi del ponte.
- Vuole che chiami un medico?- incalzò Emma. - La riaccompagno alla sua cabina?
Belle ansimò, scuotendo il capo con forza; Emma fece per dire qualcos’altro, ma la voce del signor Gold l’interruppe.
- Signorina French - chiamò l’uomo. Belle sollevò lentamente lo sguardo su di lui.
Gold sospirò impercettibilmente, muovendo un passo in direzione della ragazza.
- Signorina French, venga con me.
Belle lo guardò senza capire; Gold le prese gentilmente un polso.
- Venga con me…- ripeté, senza che la sua voce lasciasse trasparire alcuna emozione.
Belle non riusciva a riflettere; si sentiva come se si fosse appena risvegliata da un incubo e non sapesse cos’era vero e cosa invece era falso. Non disse nulla, e seguì il signor Gold, in silenzio.
 
 
 
Angolo Autrice: Come con Once Upon a Time in Storybrooke: Beauty and the Beast, ringrazio tutti coloro che hanno recensito e mi scuso per non essere riuscita a rispondere a tutte le recensioni, prometto che in futuro m’impegnerò affinché non accada più.
Dunque, in questo capitolo c’è ben poca Hunter Swan ma ci rifaremo alla grande nel prossimo. La prima parte forse è risultata un po’ annoiante, ma ormai ho raccontato la storia di quasi tutti e volevo farlo anche con Regina. Ho cercato di mantenermi sulla scia di The Miller’s Daughter e di The Stable Boy (ah, a proposito…se a qualcuno interessa, io sono una nostalgica e ancora shippo Stable Queen! XD. Okay, non frega niente a nessuno ma ci tenevo a dirlo ù_ù), apportando le modifiche che mi sembravano opportune. Per Leroy e Astrid…allora, per chi non l’avesse capito, la Mother Superior mi sta sull’anima. Già. Tanto. Ma veramente tanto. Come Fata Turchina non vale un accidenti, manco in grado di trovare una soluzione ai problemi…sta sempre lì messa come un vaso di fiori, il senso della sua presenza ancora non me lo spiego, e poi mi sta antipatica appunto da Dreamy…spero che a nessuno sia dispiaciuto il mio averla dipinta qui come evil bitch.
August è intervenuto in veste di Mister Posta del Cuore, ma la sua azione pratica la vedremo dal prossimo capitolo in poi…Quanto a Belle…
Allora, lasciatemi per un attimo fare la ola perché Lacey si è cavata dalle balle e la nostra Belle is back XD! ….
….
….
….e lei e Rumpel sono di nuovo separati! Naaaaaaaaaaaaaaa………….!!!!!!!!!!!
Comunque, Emilie è stata riconfermata, quindi mi aspetto tanti Rumbelle feels per la season 3…qualcuno sa darmi notizie di Ruby? E’ scomparsa senza lasciare traccia, avete notato?
Dicevo: quanto a Belle, vi prometto che presto smetterà di fare la figura della vittima sempre lì a farsi salvare da Gold nella sua splendente armatura e con il suo bastone assassino (per la serie Once Upon a Cane…da quando ha colpito Moe e lo Sceriffo di Nottingham sto vivendo una storia d’amore con quel bastone XD!). So che per ora si è fatta solo menare da suo padre, ma vi prometto che diventerà anche lei un’eroina, specialmente durante il naufragio…a proposito, domanda filo-conduttore di tutta la storia: chi sopravvivrà? Nessuno è al sicuro *risata mefistofelica*.
Ehm…dunque, nel prossimo capitolo avremo (ahimé) Snowing con anche un pizzico di Whale che non guasta mai (a proposito, nelle recensioni ho letto parecchie opinioni negative che lo vedevano come un impiccione…beh…ehm…è vero. Ma lo fa in buona fede. Tenete a mente che Kathryn sta ancora male e lui la cura, quindi sa cose che altri non sanno…e qui lascio a voi l’immaginazione ù_ù), Hunter Swan, RedCricket, Jefferson e Grace e un bel po’ di Rumbelle…che intende fare Gold con Belle? Dove la sta portando?
Aggiornerò presto la mia Frankenwolf Beauty and the Moonlight, seguita subito da Once Upon a Time in Storybrooke: Beauty and the Beast, per chi le segue.
Ciao, al prossimo capitolo!
Dora93

  
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