Robert E. Lee – Primo giorno
Meredith
era il tipo di ragazza che teneva particolarmente alla sua carriera
scolastica. Non si definiva una secchiona, ma la spiccata
intelligenza e l'intuitività innata le avevano sempre
permesso di
mantenere una media alta senza rinunciare alla vita sociale. Si
impegnava tanto per se stessa e il suo futuro, certo, ma soprattutto
lo faceva in memoria dei suoi genitori. Aveva appena quattro anni
quando erano venuti a mancare e, nonostante lo scorrere del tempo
avesse deteriorato e perso gran parte dei ricordi che aveva di sua
madre e di suo padre, riusciva ancora a rammentare perfettamente il
fatto che, fin da bambina, l'avevano sempre spronata a dare il
massimo nello studio, a puntare sempre in alto, a superare ogni
ostacolo e a non sottovalutare mai il potere della conoscenza,
l'indipendenza e la stabilità data da un intelletto pronto e
reattivo.
Il
suo sogno era Harvard, era calpestare lo stesso suolo che aveva
permesso ai suoi di crescere insieme e diventare le persone
straordinarie che erano.
Per
questo motivo, non solo si preoccupava della sua media, ma era solita
fare volontariato ed unirsi a quanti più club scolastici
possibili
per riuscire a crearsi un curriculum adeguato. Non amava i ritardi.
Arrivare in ritardo era visto dai professori come una totale mancanza
di interesse verso la loro materia e Meredith non ci teneva per
niente a farsi prendere di mira, consapevole del fatto che esistevano
degli insegnanti particolarmente inclini a sfogare le loro
frustrazioni personali sugli studenti. Oltretutto, non credeva fosse
una buona idea neppure arrivare in ritardo al suo primo giorno di
scuola.
Peccato
che Bonnie non era mai stata del suo stesso avviso. Spesso si era
chiesta come facesse ad essere una ballerina tanto dotata, istruita
nelle migliori scuole, quando era la pigrizia fatta persona. E quella
mattina avrebbero già perso abbastanza tempo in segreteria
per la
consegna di qualche altro documento e del ritiro del loro orario!
“Giuro
che se ci guarderanno male al nostro primo giorno te la farò
pagare
cara.” - minacciò - “Lo sai che ci tengo
parecchio a queste
cose...”
“Si,
lo so. Scusa. E' che ieri sera con quella visita inaspettata io e la
signora Flowers abbiamo finito col fare tardi.” - si
giustificò
Bonnie dal sedile del passeggero mentre Meredith, alla guida, cercava
un posto libero nel parcheggio della scuola.
“Già.
Giusto. Alla fine non mi hai più detto cosa volevano quei
ragazzi.”
“Beh,
pare che la capo cheerleaders ogni anno organizzi una festa in un
capanno nel bosco per l'inizio della scuola. Quest'anno,
però, il
comune ha deciso di smantellare quel capanno dato che cade a pezzi e
allora sono venuti a chiedere alla signora Flowers se potevano tenere
questa festa nel giardino sul retro del pensionato visto quanto
è
isolato.” - spiegò Bonnie, indicandole con una
mano un posto
libero qualche auto più avanti.
Meredith
annuì: l'aveva già visto.
“E
la signora Flowers che ha detto?” - chiese.
“Ha
detto di si. Sembra che questa festa sia una specie di tradizione e
non le dispiace avere un po' di gente in casa, di tanto in tanto.
Oltretutto sostiene che sono tutti dei carissimi ragazzi.
Testuale.”
Meredith
non sapeva che pensare. Da un lato era sinceramente perplessa dalla
cosa, ma dall'altro credeva anche che sarebbe stato un bel modo per
lei e per Bonnie di conoscere meglio i loro nuovi compagni di scuola.
Insomma, avrebbero dovuto trascorrere in quella cittadina il loro
ultimo anno, avere degli amici non avrebbe di certo guastato.
Oltretutto vedeva Bonnie particolarmente elettrizzata all'idea.
Lasciata
l'auto, s'incamminarono entrambe verso l'entrata principale del
liceo, tra le occhiate curiose degli studenti in attesa dell'inizio
delle lezioni. Non ci badò molto. Probabilmente in un
paesino tanto
piccolo si conoscevano quasi tutti e loro rappresentavano la
novità.
Nei primi tempi si aspettava di venire fissata e additata come
“quella nuova”, ma scommetteva sul fatto che tempo
un mese e non
avrebbero più fatto caso a loro. Da questo punto di vista,
la festa
al pensionato forse avrebbe accelerato le cose, favorendo la loro
integrazione al gruppo.
“Ciao
Bonnie!” - la voce squillante di una ragazza bionda e
sorridente in
tenuta da cheerleader attirò la sua attenzione. Vide Bonnie
sorridere di rimando e ricambiare timidamente con la mano anche il
saluto del ragazzo in disparte con la bionda prima di riprendere a
seguirla.
“E
quelli?” - le chiese, accennando ai due ragazzi che ancora le
guardavano mentre mettevano piede nell'edificio scolastico spingendo
con una mano ciascuna le spesse porte in vetro.
“Lei
è la capo cheerleaders di cui ti ho parlato poco fa.
Caroline, mi
pare. Ieri sera è venuta al pensionato insieme ad una sua
amica e al
ragazzo che era con lei. Stefan. La signora Flowers mi ha confidato
di conoscerlo abbastanza, dice che è un vero ragazzo d'oro,
come non
se ne trovano più...”
Merdith,
notato il lieve rossore che tinse le guance della sua amica, si
ritrovò a sorridere, mentre le faceva strada verso l'entrata
della
segreteria in fondo al corridoio.
“Stefan,
eh? Sbaglio o anche a te è venuta voglia di conoscere “abbastanza”
questo ragazzo d'oro?” - insinuò.
“Meredith!”
“Che
c'è? Io parlo soltanto in virtù di ciò
che vedo. E per quello che
ho potuto vedere rientra perfettamente nel tuo tipo ideale. Alto, ben
piazzato, bello, moro....Se non fosse che ispira fiducia e non ha per
niente l'aria del bastardo sarebbe quasi uguale a tu-sai-chi.”
“Meredith?
Smettila.” - fece Bonnie, scuotendo lievemente la testa per
mettere
fine al discorso.
Meredith
annuì.
“Si,
scusami, hai ragione. Dovrei smetterla di tornare su quell'argomento.
E' solo che...a me non piace vederti soffrire e a causa di
quell'idiota ti ho visto soffrire tanto, come non meriti affatto. Non
voglio che ricapiti, quindi tendo a vedere ogni ragazzo che ti passa
accanto come una possibile minaccia da eliminare.” - si
scusò -
“Ex-ter-mi-naaaaate! Dalek docet.” - aggiunse,
sicura di
strappare un sorriso all'amica.
“Ti
adoro, lo sai. Però Stefan non è affatto una
minaccia. Insomma, ci
avrò parlato si e no per due minuti e non ti nego che..beh,
ha fatto
decisamente colpo, ma l'hai visto, no? Riuscirebbe a fare colpo anche
su una cieca. Tuttavia, non è che sto qui a prefissarmi
chissà
quale futuro per noi due, non mi sto struggendo d'amore, ma anche se
fosse...l'hai detto tu stessa: ispira fiducia e non ha l'aria del
bastardo. Inoltre Teophilia sostiene che sia un ragazzo gentilissimo
e sappiamo quanto sia brava a giudicare le persone, quindi...credo
proprio che Stefan non sia una minaccia. Puoi stare
tranquilla.”
“Uhm.
Va bene.” - assecondò Meredith, intrecciando un
braccio a quello
delle rossa per trascinarsela dietro - “Adesso,
però, andiamo. I
ritardi non mi piacciono.”
“Stavolta
sarebbe colpa tua.” - fece notare Bonnie, divertita, aprendo
per
entrambe la porta in legno scuro che dava sugli uffici amministrativi
del liceo.
“Ma...zitta
un po', piccola impertinente!” - il rimprovero scherzoso di
Meredith venne accompagnato da una leggera spinta su una spalla della
rossa che la costrinse oltre la porta aperta, dove una donna di mezza
età, non appena le notò, si allontanò
dall'uomo col quale stava
conversando per farsi loro incontro ed accoglierle entrambe con un
sorriso cordiale anche se un po' tirato.
“E
voi due dovete essere le due nuove alunne da New York. Finalmente
siete arrivate...” - disse loro, allungando una mano per
ricevere
da Meredith gli ultimi moduli da firmare per ufficializzare
l'ingresso nella loro nuova scuola. La donna si portò al di
là di
una alta scrivania e prese a trafficare su un computer un po' datato,
inserendo velocemente gli ultimi dati e preparando ad entrambe una
pila di fogli contenente il regolamento della scuola, una lista dei
club e delle squadre sportive a cui potevano ancora iscriversi, un
foglietto con su scritto tutti i numeri coi quali la scuola poteva
essere contattata per qualsiasi evenienza ed una mappa.
Tornò a
rivolgersi a loro soltanto una volta finito.
“Bene.
E' tutto in regola. Allora...” - abbassò di nuovo
gli occhi e
diede una rapida occhiata al suo monitor - “Meredith Sulez e
Bonnie
McCollough, benvenute al Robert E. Lee. Questo è l'orario
delle
vostre lezioni.” - aggiunse, mandando in stampa dei nuovi
fogli che
consegnò velocemente alle due - “Ditemi. La vostra
prima lezione?”
Meredith
e Bonnie abbassarono gli occhi sui rispettivi orari e poi sorrisero
quando si ritrovarono entrambe a rispondere: “Storia.
Professor
Alaric Saltzman.”
“Oh,
ma è davvero una fortunata coincidenza!” -
esclamò la donna -
“Potete andare con lui stesso a lezione..”
Il
professor Saltzman – notò Meredith – era
l'uomo col quale la
segretaria stava chiacchierando nel momento in cui lei e Bonnie
avevano messo piede nella stanza. Nel momento in cui l'aveva visto,
aveva creduto tutto tranne che si trattasse di un professore. Non
perchè non ne avesse l'aspetto o il portamento, ma
semplicemente
perchè non pareva averne l'età. Sembrava ancora
uno studente
universitario, almeno a lei che era abituata a docenti vecchio
stampo, ultracinquantenni, con problemi di peso e calvizia
incipiente. Quell'uomo, invece, era l'esatto opposto. Era alto,
allenato, probabilmente laureato da poco, con l'ombra di una leggera
barba a contornargli il mento e i capelli di un castano ramato
tendenti al rosso. Avanzò verso di loro con un sorriso
gentile e nei
suoi occhi Meredith riuscì a scorgere quanto, al di
là
dell'aspetto, dovesse essere una persona a modo e cordiale, sveglia
ed istruita.
Si
ritrovò a sorridere, felice di essere sua allieva senza un
reale
motivo per esserlo, non ancora almeno.
“Certamente.
Non si preoccupi signora Douglas, me ne occupo io.” - fece
lui.
La
signora Douglas, la segretaria, annuì contenta.
“Ragazze,
siete assolutamente in buone mani. Il professor Saltzman lavora qui
da un mese circa, dall'inizio di quest'anno scolastico. E' al suo
primo incarico da insegnante, ma si è già
guadagnato i favori del
preside e dei suoi colleghi. Nessuno meglio di lui può
aiutarvi ad
integrarvi in un posto nuovo.” - le rassicurò,
scatenando
l'imbarazzo dell'uomo in questione, che si affrettò ad
intervenire,
esortandole a seguirlo.
“Lei
è troppo gentile, signora Douglas.” - fece -
“Venite pure con
me, ragazze, vi presento alla classe.”
Meredith
e Bonnie, l'una di fianco all'altra, salutarono cortesemente la
segretaria augurandole una buona giornata e seguirono il professore
fuori dall'ufficio e poi lungo il corridoio alla loro destra. Mano a
mano che avanzavano, lui indicava loro questa o quell'aula, nel caso
avessero avuto problemi nel trovare le classi delle successive
lezioni. Meredith ragionò brevemente sul fatto che, munite
di mappa
com'erano, lei non avrebbe avuto alcun problema nel muoversi in quei
nuovi corridoi visto che, tra lei e Bonnie, era la rossa quella che
rischiava di perdersi anche dentro casa propria. Di fatto, la sua
amica si guardava intorno frettolosa e spaesata, dandole
l'impressione che stesse ringraziando mentalmente per il fatto che
almeno a quell'ora fossero nella stessa classe e avessero qualcuno a
guidarle lungo il tragitto fino all'aula.
Giunsero
a destinazione quando la campanella aveva già smesso di
suonare da
qualche minuto. La classe, dall'esterno, sembrava abbastanza
silenziosa, tranne che per un lieve brusio di voci.
“Pronte?”
- chiese loro il professore, sorridendo affabilmente.
Meredith
annuì tranquilla, Bonnie un po' meno e lui se ne accorse.
“Bonnie,
giusto?” - chiese, aspettando fino al cenno affermativo della
rossa
prima di continuare - “Arrivare in un posto nuovo a volte
è
difficile, ma questi ragazzi sono a posto. Scommetto che entro fine
giornata avrete già delle nuove amiche e decine dei miei
studenti ai
vostri piedi.” - scherzò –
“Almeno ai tempi in cui andavo io
al liceo era così che funzionava quando c'erano dei nuovi
arrivi...”
“Non
sembra che sia passato poi così tanto da quando frequentava
il
liceo, professor Saltzman..” - constatò Meredith.
“No,
a dire il vero no. Il che a volte credo che sia un bene e altre volte
che sia un male. Dipende dalle giornate.” - rispose -
“Entriamo,
su.”
Prima
di seguire l'uomo all'interno dell'aula, Meredith si voltò a
guardare Bonnie e le strinse leggermente la mano, tentando di
rassicurare lei e di rassicurare anche se stessa. Solo in quel
momento, a qualche passo dall'inizio della sua prima giornata in
quella nuova scuola, realizzò che era arrivata sul punto di
cominciare un nuovo capitolo della sua vita. Fino a quel momento,
quel concetto non era mai stato così reale, anzi...nella sua
mente
aveva continuato a galleggiare sotto forma di pensiero astratto. Si
sentì preda di una leggera ansia, ma assaporò per
poco quella
sensazione così strana per lei e poi varcò la
soglia. Bonnie la
seguì un passo dopo, mentre l'insegnate le presentava,
fissando
insieme a lei gli occhi sui loro nuovi compagni di classe e sui due
banchi vuoti circa a metà aula, l'uno di fianco all'altro.
Al
suono della campanella che segnava la fine della sua terza ora di
lezione, Bonnie si alzò e si precipitò fuori
dall'aula, in ansia al
solo pensiero di arrivare nuovamente in ritardo a causa del suo
scarso senso dell'orientamento.
Dopo
la lezione di storia, infatti, lei e Meredith avevano impiegato meno
di un minuto per realizzare che non avrebbero avuto più
nessuna
classe da condividere fino all'ora di ginnastica, nel pomeriggio. A
quel punto, mentre la sua amica la salutava e si allontanava convinta
della direzione da prendere, Bonnie era entrata nel panico. Non
sapeva che fare e si sentiva troppo impacciata per chiedere aiuto a
qualcuno. Fortuna aveva voluto che l'aula di chimica fosse appena a
qualche passo da lì, ma quando si era trattata della
successiva
lezione d'inglese aveva impiegato dieci minuti buoni prima di capire
che si trovava dall'altra parte dell'istituto. Aveva corso a
perdifiato nei corridoi quasi del tutto vuoti, quindi, prima di
presentarsi alla nuova insegnante in preda all'affanno. Questa
l'aveva giustificata con un abbozzo di sorriso, ma Bonnie faticava a
credere che la scusa del “sono
nuova e non riuscivo a trovare
l'aula” avrebbe retto ancora a lungo.
Distratta
com'era, aveva appena dato un'occhiata alla lista di libri da leggere
per quel corso e non si era accorta della presenza di Stefan qualche
banco più indietro nella fila al suo fianco, fino a che non
se lo
ritrovò davanti, appena uscito dalla sua stessa classe.
Le
poggiò una mano su una spalla per attirare la sua attenzione
e le
sorrise, tirandola appena indietro di un passo per spostarla dalla
traiettoria di una grossa palla di carta lanciata da chissà
chi e
finita chissà dove.
“Grazie.”
- ringraziò lei. Non si era accorta di niente tanto era
presa nel
districarsi tra il suo orario e la mappa che le era stata consegnata
quella mattina e che adesso si afflosciava tra le sue mani senza dare
segno di voler collaborare.
“Sembri
un po' in difficoltà...” - commentò lui.
Bonnie
alzò sul ragazzo i suoi occhi già stanchi.
Avrebbe voluto
rispondergli “Solo
un po'?”, ma temeva che la voce le sarebbe
venuta fuori più astiosa di quanto intendesse, quindi
restò zitta,
lasciando che fosse il suo sguardo rassegnato a parlare per lei.
Stefan
annuì. Probabilmente aveva capito il suo disagio e le si
avvicinò
ulteriormente per sbirciare sul suo orario. Alla fine sorrise.
“Hai
matematica col professor Turner. Sei fortunata. Pare che si sia preso
l'influenza da suo figlio e la classe resta scoperta fino a
domani.”
“Davvero?
Ne sei sicuro?”
“Sicurissimo.
Adesso anch'io avrei avuto lezione con lui.”
Bonnie
sospirò, rilassando le spalle a mano a mano che la folla di
studenti
intorno a loro cominciava a diradarsi. Un'ora libera, quindi. Se
fosse stata nel suo vecchio liceo avrebbe sicuramente avuto un'idea
su come impiegarla, magari rintanandosi sui gradoni nel campo da
football per provare qualche piroette, ma in quel posto nuovo non
aveva la più pallida idea di che fare o dove andare. Forse
poteva
cercare il suo armadietto. Tra una lezione e l'altra non ne aveva
avuto il tempo. O meglio, ne avrebbe avuto il tempo se fosse stata
come Meredith, il tipo di persona che riesce a decifrare una mappa e
ad aggirarsi in un posto sconosciuto con la stessa disinvoltura degli
avventori abituali di un supermarket, ma lei non era affatto quel
tipo di persona, purtroppo.
Dopo
qualche attimo di silenzio, fu Stefan a parlare per primo,
dimostrando ancora quanto fosse gentile e attento. A Bonnie tornarono
subito in mente le parole “ragazzo d'oro” e si
ritrovò a
sorridere.
“Posso
mostrarti un po' la scuola, se vuoi. Magari può esserti
d'aiuto un
piccolo tour.”
Annuì.
“Sempre che tu non abbia nient'altro da fare. Non vorrei
prenderti
troppo tempo...”
“Figurati!
Il programma era di aiutare Caroline a scegliere il carattere di
scrittura adatto per i volantini della sua festa, ma ne faccio
volentieri a meno.” - rispose lui -
“Andiamo?”
Trovarono
l'armadietto di Bonnie. Venivano assegnati in base all'iniziale del
cognome, quindi era lontano sia da quello di Meredith che da quello
di Stefan, ma restava abbastanza vicino all'uscita d'emergenza
contraddistinta dalla luminosa scritta “Exit” e da
due spesse
porte di un rosso brillante impossibili da non notare.
“Sarà
facile ritrovarlo.” - commentò Stefan, scatenando
l'ilarità sua e
di Bonnie.
Messi
al loro posto tutti gli spessi libri che si era costretta a portare
da una lezione all'altra, continuarono a camminare lentamente tra i
vari corridoi ormai vuoti. Stefan si fece passare il suo orario e le
mostrò una ad una tutte le varie aule in cui si sarebbero
tenute le
lezioni che avrebbe dovuto seguire, segnandole a penna sulla mappa i
percorsi più brevi da fare tra una lezione e l'altra. Poi le
mostrò
la piscina interna, la mensa, la palestra coi rispettivi spogliatoi e
arrivarono al teatro, dove fu più che d'accordo
nell'assecondarla
nel suo desiderio di salire sul palco. Accese uno dei faretti e la
lasciò fare, prendendo posto su una delle poltrone della
prima fila
in platea.
Bonnie
salì di corsa la scalinata di legno scricchiolante, diede
un'occhiata veloce alle piccole quinte e avanzò fino al
centro del
palco, sfiorando con le mani le assi di legno chiaro sotto i suoi
piedi. Non era un gran teatro, di certo non era neppure paragonabile
a quello della sua vecchia scuola di danza o a quello della sua
scuola a New York, ma la fece sorridere il modo in cui era ben
tenuto, con le luci luminose, il sipario pulito e le assi di legno
levigate e lucenti. Camminò fino al fondale di drappo bianco
che
toccò con le mani, sentendone la familiare tensione sotto le
dita,
poi si sentì cogliere improvvisamente dal forte desiderio di
approfittare di quel palco vuoto e corse, esibendosi nei suoi
migliori salti davanti agli occhi verdi di Stefan, colti di sorpresa
e meravigliati.
“E
quello?” - le chiese.
“Sono
una ballerina.” - spiegò lei, andando a sedersi
sul bordo del
palco - “O almeno mi piacerebbe diventarlo. Studio danza da
quando
ho memoria. Nel mio vecchio liceo ho partecipato ad ogni
rappresentazione teatrale che abbiano mai messo in scena.”
Stefan
si alzò dal suo posto e la raggiunse, poggiando le mani
sulle assi
del palco proprio accanto al punto nel quale si era seduta lei, con
le gambe penzoloni.
“Qui
di spettacoli non ne fanno molti. Mio padre dice che ai suoi tempi
mettevano in scena un musical una volta l'anno e c'era un club del
teatro a cui tutti volevano iscriversi. Poi, con gli anni, gli sport
hanno acquisito sempre più importanza e il teatro
è diventato roba
da femminucce. Adesso ci fanno soltanto i concerti di Natale della
banda della scuola, le assemblee d'istituto quando fuori è
brutto
tempo e non possono usare il campo da football e viene occupato una
volta al mese da una delle proiezioni aperte a tutti del club dei
patiti del cinema.”
“E'
un peccato. E' davvero un teatro molto carino.”
“Già.”
- convenne lui - “Però in paese c'è una
scuola di danza...” -
aggiunse.
Bonnie
annuì, voltandosi per guardarlo in viso.
“La
signora Flowers mi ha fatto avere il numero qualche settimana fa. Ho
chiamato da New York e si sono occupati dell'iscrizione. Ho fatto
anche una chiacchierata con l'insegnante e oggi pomeriggio sul tardi
ho la mia prima lezione.”
“Peccato.
Quindi non avrò l'onore di vederti ai miei allenamenti di
football
mentre gridi il mio nome a squarciagola mandandomi baci a
ripetizione dagli spalti?” - scherzò lui,
assottigliando
teatralmente gli occhi.
“Mi
dispiace, ma il football non è esattamente il mio
genere.”
“Questo
mi ferisce.”
Risero
nuovamente, ascoltando l'eco delle loro voci che rimbombava nel buio
spazio vuoto di fronte a loro. Bonnie si sentì felice di
aver
accettato la proposta di Stefan per quel piccolo tour del liceo. Di
solito si sentiva sempre preda di un profondo imbarazzo quando si
trattava di parlare di lei con persone nuove, specialmente se erano
ragazzi in gamba e belli quanto Stefan, ma lui aveva la straordinaria
capacità di mettere le persone a suo agio con i suoi occhi
limpidi e
quel sorriso sincero e cordiale che non sarebbe mai stato in grado di
nascondere nulla. E Dio solo sapeva quanto Bonnie ne avesse le
scatole piene di tipi problematici dagli occhi impenetrabili e il
sorriso pari ad una maschera! Era contenta di aver incontrato una
persona come Stefan. Dopo tanto dolore causato da colui che sembrava
il suo esatto opposto, sentiva di meritare di passare qualche ora in
compagnia di una persona tanto trasparente, della quale non dovevi
temere i possibili giudizi, sulla quale non dovevi interrogarti ad
ogni passo per ciò che poteva o non poteva passargli per la
testa.
Forse il gioco del mistero era interessante, lei stessa ne era stata
catturata neppure troppi mesi prima nel suo ultimo anno a New York,
ma a lungo andare faceva soffrire e stancava, non ne valeva la pena.
“Posso
farti una domanda?” - chiese Stefan dopo qualche attimo di
tranquillo silenzio, riportando su di sé l'attenzione.
Bonnie
annuì.
“Quella
che stamattina era con te era tua sorella, giusto?”
“Si.
Meredith.” - confermò.
“Ecco,
non vorrei essere invadente, ma mi chiedevo come---”
“Come
fosse possibile che sia tanto diversa da me?” - interruppe
Bonnie.
Stefan,
imbarazzato, si portò una mano a scompigliare i capelli
scuri.
“Si.
E anche come mai i vostri armadietti non siano l'uno di fianco
all'altro.”
“Meredith
è la mia migliore amica e mia sorella adottiva. I suoi
genitori
erano grandi amici dei miei e sono venuti a mancare quando eravamo
due bambine. Non aveva altri parenti tranne i nonni materni troppo
anziani per prendersene cura, quindi i miei genitori la presero con
loro, ma lei ha mantenuto il suo cognome: Sulez.” - rispose.
“Oh.
E' triste.” - commentò Stefan.
“Già.
Ma lei è sempre stata forte...”
“Anch'io
ho perso mia madre da bambino.” - confessò lui, di
getto - “Di
malattia. Da allora sono rimasto solo con mio padre e mio fratello
maggiore. Poi lui è andato finalmente via di casa, al
college.”
“Finalmente?”
- chiese lei, alla quale non era sfuggito il lieve cambio di tono nel
sentirlo parlare di suo fratello.
“Finalmente,
si. Sin da bambino mio fratello non ha mai fatto altro che litigare
con nostro padre. A volte mi chiudevo in soffitta pur di non sentire
le loro urla. A scuola dicevano che era una ragazzino problematico e
che non bisognava fargliene una colpa perchè sentiva
soltanto la
mancanza di nostra madre, perchè stava soffrendo ed era
arrabbiato
per la sua morte quindi se la prendeva col mondo, con nostro padre e
con me. E ci credevo davvero, ci credevo e non me la prendevo per
nessuno dei suoi scherzi o delle sue offese. Gli volevo bene.”
“E
poi?”
“Poi
ho capito che in realtà è soltanto un grosso
bambino viziato,
un'egoista che prova piacere nel vedermi star male.”
Bonnie
si ritrovò senza parole. Evidentemente – e lo
aveva capito dal
tono amareggiato e deluso di Stefan - quello non era un argomento di
cui aveva molta voglia di parlare sebbene fosse stato lui stesso a
cominciare il discorso. Pensò che forse anche per lui era lo
stesso
che per lei, che sentiva di potersi aprire e parlare di tutto, per
quel motivo non aveva mostrato alcuna reticenza nel rispondere alle
sue domande curiose. La cosa, segretamente, la lusingò.
Tuttavia,
non conosceva né la situazione né questo fratello
di cui parlava,
quindi ogni cosa la sua mente le suggerisse di dire le sembrava
banale e poco appropriata. Decise, quindi, di rimanere in silenzio,
ma alzò un braccio per posargli delicatamente una mano sulla
spalla,
attirandone l'attenzione, per poi sorridergli e accarezzargli
dolcemente il viso, forzandolo con la tenerezza a distendere i
lineamenti tesi e a sorridere.
“Ti
sto annoiando. Scusa.” - fece lui.
Bonnie
scosse la testa. “Affatto.” - assicurò.
Arrivò
il suono dell'ennesima campanella a rompere il momento. Bonnie, col
viso improvvisamente in fiamme, tossì e spinse sulle mani
per
scendere dal palco. Stefan, nel frattempo, si riavvicinò al
pannello
elettronico e spense il faro ancora acceso sul palco, facendole poi
strada lungo la scalinata che portava alla porta di accesso al
teatro...
Elena non aveva neppure messo piede fuori dall'aula che si era ritrovata addosso Caroline, saltata fuori al nulla con quel discorso che la lasciò non poco confusa.
“Come, prego?”
“Mi hai sentita! Doveva aiutarmi con i volantini per la festa durante la nostra ora libera e mi ha dato buca.”
Elena annuì, lentamente, una volta sola, sgranando leggermente gli occhi azzurri. Adesso capiva.
“Sarà stato trattenuto. O avrà avuto da fare.” - lo giustificò - “Nel pomeriggio ti aiuto io. Promesso.”
Caroline le acciuffò un braccio con la stessa luce negli occhi di una bambina contenta davanti ad un'enorme cono al cioccolato con granella di nocciole e sembrò magicamente dimenticare del tutto lo sconcerto per il fatto che Stefan non si fosse presentato al loro appuntamento.
Elena scosse la testa e presero a camminare insieme vero i loro armadietti, con le fila di ragazzi e ragazze che si aprivano in due per favorire loro il passaggio. A volte si sentiva stupida a pensarlo, di certo sapeva che il suo era un atteggiamento a dir poco infantile, ma amava i momenti tra una lezione e l'altra, amava attraversare quei corridoi affollati con le stesse falcate sicure di sempre, amava le attenzioni e l'ammirazione che le venivano riservate da cinque anni a quella parte. Amava quella popolarità di cui aveva sempre goduto e che aveva guadagnato con un semplice sorriso già al primo giorno in cui aveva messo piede tra quelle mura.
Le sarebbe mancato il liceo. Sapeva con certezza che la sua carriera da “reginetta della scuola” sarebbe finita nello stesso istante in cui avrebbe lanciato in aria il tocco il giorno del ritiro dei diplomi e, per questo motivo, aveva sempre creduto che il suo ultimo anno sarebbe stato il più bello di sempre.
Questa era la sua assoluta convinzione fino a qualche mese prima, quando si era giocata con le sue stesse mani la chance di un ultimo anno meraviglioso verso il finire dell'estate, quando aveva ceduto a Damon e Stefan l'aveva scoperto.
Aveva dato la colpa a tante cose – al caldo, a Damon stesso – prima di realizzare che la colpa era stata soltanto sua se era andata a finire in quel modo e se il suo rapporto con Stefan si era rovinato senza possibilità di rimettere davvero a posto ogni cosa.
Da che ricordava era sempre stata fortemente legata a Stefan, aveva sempre saputo di amarlo, per quello che era e per come la faceva sentire. Nel momento in cui era cresciuta, però e la sua bellezza era fiorita del tutto, trasformandola nella ragazza che era diventata, aveva cominciato ad attirare su di se anche le attenzioni di quel fratello maggiore di Stefan col quale da bambina aveva avuto molto poco a che fare. E lei, vanitosa come si era scoperta di essere, aveva provato piacere nell'essere contesa tra i due ragazzi più belli di Fell's Church.
Le cose erano andate avanti così per anni. Damon la punzecchiava di continuo e cercava di rimanere da solo con lei ad ogni costo. Elena, quando era con lui, si sentiva avvolgere ed ammaliare da quel suo fascino fuggevole e malizioso, ma nel suo cuore aveva sempre sentito ancorata la certezza che, alla fine dei conti, sarebbe sempre tornata da Stefan, nel suo amorevole abbraccio. Quindi si tirava indietro, faceva da preda in quel gioco in cui Damon non si preoccupava di coinvolgerla, ma alla fine tornava sempre a tirarsi indietro un attimo prima di cedere, credendo di mantenere così la sua coscienza pulita, ma ben consapevole del fatto che, in quel modo, non faceva altro che aumentare l'insoddisfazione del maggiore dei fratelli che alla volta successiva tornava ad insediarla con le sue piacevoli moine con ancora maggiore forza e vigore di quanto non avesse fatto in precedenza.
Poi, a metà agosto, lui era tornato improvvisamente a casa e si era presentato da lei in uno stato d'animo così tormentato che quasi l'aveva spaventata con la sua irruenza, perchè mai l'aveva visto in quel modo. Aveva tentato di respingerlo, ancora, ma lui l'aveva presa e baciata con tanta veemenza e passione che ne era rimasta travolta. Aveva cercato di pensare, di resistergli, di dire a se stessa che era sbagliato, completamente sbagliato perchè aveva finalmente una relazione col suo Stefan e che era importante, che stavano facendo addirittura piani per il college e per il loro futuro insieme, ma un secondo pensiero le si era insinuato nella mente a mano a mano che Damon la toccava, una seconda voce che le sussurrava che, invece, tutto ciò che stava succedendo in quel momento poteva andare bene, che nessuno l'avrebbe mai scoperto e che poteva godersi il momento, che addirittura potevano essercene altri di momenti come quello, sia con Damon che con Stefan. Chi o cosa le impediva di averli entrambi, dopotutto?
Era stata debole, egoista e vanitosa. Lo sapeva, lo sapeva così come sapeva che, se Stefan non l'avesse scoperta quel giorno stesso tra le braccia del fratello, avrebbe mantenuto il silenzio e continuato su quella strada, seguendo quell'infimo suggerimento della sua parte più oscura.
Persino in quel momento, a posteriori, quando ci pensava non sapeva decidere se fosse più dispiaciuta per ciò che aveva fatto o per il fatto che Stefan l'avesse scoperto.
Che razza di persona era? Era dal giorno in cui Caroline stessa le aveva urlato addosso quella domanda in difesa dell'amico col cuore a pezzi che tentava di darsi una risposta senza mai riuscirci.
Almeno – si diceva – non era rimasta del tutto sola. Gli stessi Caroline e Stefan, per quanto fosse imbarazzante, continuavano a comportarsi come se fossero ancora gli amici di un tempo. Lui pareva sulla strada del perdono ed era esattamente questo, questo tipo di gentilezza da parte del ragazzo i cui sentimenti aveva tradito e calpestato, che riportavano più frequentemente a galla quella famosa domanda. Che razza di persona era? Cosa aveva fatto? Che tipo di problema aveva?
“...e devi aiutarmi a scegliere il tema.”
Elena si voltò improvvisamente verso Caroline. Erano arrivate di fronte al suo armadietto e non se n'era neppure accorta, così come non aveva ascoltato una sola parola di ciò che l'amica aveva detto.
“Cosa?”
Caroline sbuffò.
“Incredibile! Non hai sentito nemmeno una virgola.” - rimarcò - “Dicevo che, tra le altre innumerevoli cose di cui dobbiamo occuparci per la festa, la più importante è il tema. Devi aiutarmi a sceglierlo.”
“Oh. Il tema. Che ne dici dei dinosauri?”
Caroline inarcò un sopracciglio. “Stai ancora guardando la maratona di Glee in televisione, confessa.”
Elena si voltò verso il lucchetto del suo armadietto e lo aprì velocemente lanciando una smorfia all'amica, impegnata qualche metro più in là nel suo stesso cambio di libri. Ripresero a camminare entrambe verso la loro successiva lezione.
“Sentiamo, invece, tu che idee avresti?” - chiese.
“Io ne avrei molte. Coppie storiche, ad esempio.”
“E così hai eliminato dagli invitati metà della scuola, noi due incluse visto che non ce l'abbiamo il ragazzo per mettere in scena una coppia.”
“Allora....potrebbe essere un decade dance! Anni '50, anni '80....uno a caso e via.”
“Fa troppo teen-drama sui vampiri.”
“Già. Hai ragione.” - corcordò Caroline - “Quindi?”
“Che ne pensi dei supereroi? Vanno di moda adesso. E saremmo tutti in costume con maschere annesse.”
“Ma...sai che non sarebbe male come idea? Dovrei parlarne col “club dei nerd che più nerd non si può” per i suggerimenti su una scenografia appropriata, ma si potrebbe fare...”
Elena sorrise, ma neppure diede troppo peso alla faccenda. Ora che Caroline aveva preso a fantasticare sul modo migliore e più spettacolare per rendere memorabile la sua festa, neppure farle presente che aggiungere al tutto una scenografia per una festa privata non era necessario. Dopotutto, si trattava sempre della ragazza che l'anno prima aveva deciso che il tema dovesse essere il Natale in anticipo e aveva fatto – Dio sa come – nevicare a Fell's Church coi 25° che c'erano stati nel caldo fuori stagione dell'inizio autunno dell'anno precedente! E, ad ogni modo, non si poteva dimenticare la fissazione che aveva per le feste in maschera.
Raggiunsero il corridoio che portava alla loro classe di biologia mentre Caroline stava ancora farfugliando. Nell'attraversarlo, però, gli occhi di entrambe vennero catturati dalla figura di Stefan che usciva ridendo dal teatro insieme ad una delle nuove ragazze appena trasferitesi, quella che avevano conosciuto la sera prima, Bonnie.
Caroline rimase a fissarli per qualche attimo, ma poi si avvicinò, trascinandosi dietro Elena, del tutto indifferente alla crisi di gelosia che questa si era sentita esplodere dentro nel vedere il suo ex-ragazzo così felice e tanto attento nei confronti di un'altra. Appena conosciuta, oltretutto.
“Quindi è per questo che mi hai dato buca, eh?”
Quella frase di Caroline servì ad attirare l'attenzione dei due su di loro.
“Scusa tanto, Care, ma ho trovato decisamente più allettante l'idea di mostrare a Bonnie la scuola.” - rispose lui, tanto prontamente quanto divertito.
“Mmhh...ok! Ti perdono.”
Elena si voltò a guardarla. Come, come? Lo perdonava? Ma se fino a pochi minuti prima pareva terribilmente scocciata dal fatto che lui non l'avesse aiutata?
“Ma non hai detto due minuti fa che gliel'avresti fatta pagare cara?”
“Si, l'ho detto.” - confermò l'amica - “Ma era con Bonnie. E come non perdonarlo se era con Bonnie?”
Elena sentì qualcosa spingerle dal basso dello stomaco, un'irritazione forte verso tutta quella situazione, per il fatto che Stefan – il suo Stefan – avesse trascorso tutto quel tempo da solo con quella rossa sconosciuta e per il fatto che Caroline ne sembrasse addirittura contenta.
Lei aveva sbagliato si, lo ammetteva. Lo aveva fatto soffrire, ma ciò non significava che....che? Che cosa non significava?
Era confusa dai suoi stessi pensieri, ma l'irritazione non scemava.
“Già. Giusto. E' nuova. Ha bisogno di una guida.” - sbottò, trattenendo il fastidio - “Anzi, sai che c'è? Dovresti venire a pranzo con noi. Per fare amicizia.”
“Elena.” - il richiamo venne da Stefan. Lei non se ne curò e lo liquidò in fretta con una mano.
“Che c'è? Se è amica tua allora può essere anche amica nostra, no?” - rispose, voltandosi poi verso la rossa - “Sei con tua sorella, giusto? Porta anche lei. Sia mai che finite col magiare da sole ad un tavolo vuoto.”
Aveva messo in imbarazzo la nuova arrivata, lo vedeva: le si erano tinte le guance di rosso e prese a mordersi un labbro, continuando pensierosa per qualche attimo prima di risponderle con un cenno affermativo del capo.
Elena non aspettò oltre e al suono della nuova campanella salutò in fretta con una mano e si avviò verso la sua aula, prendendo posto nello stesso istante in cui Caroline la raggiungeva lanciandole un'occhiata d'ammonimento che, per lei, voleva dire tutto e niente. Ormai era fatta, la rossa aveva accettato: perchè rimarcare? La conoscevano, avrebbero dovuto aspettarselo.
All'ora di pranzo riempì il suo vassoio alla mensa con una fetta di pizza, dell'acqua ed un'arancia e si avviò al suo solito tavolo. Gli altri quattro erano già lì e le avevano lasciato un posto vuoto accanto a Care. Stefan, che di solito le prendeva posto di fianco, quel giorno si era seduto tra Bonnie e sua sorella e pareva avere occhi solo per la rossa.
Poggiò il vassoio sul tavolo con più forza di quanta intendesse.
“Oh. Elena!” - l'accolse Caroline - “Bonnie la conosci. Lei, invece, è Meredith. Ci stava raccontando che solo in questa prima mezza giornata ha fatto domanda d'iscrizione a metà dei club studenteschi e grazie alla sua davvero davvero incredibile media i geniacci del decathlon praticamente già la supplicano per unirsi a loro.”
“Supplicare, adesso. Non esageriamo. Che siano diventati parecchio insistenti, però, è vero.” - scherzò la mora -Meredith- allungando una mano verso di lei mentre prendeva posto - “Piacere di conoscerti, ad ogni modo.”
Elena ricambiò la stretta con un sorriso: “Piacere mio.”
“Tu devi essere l'altra ragazza che ieri ha fatto irruzione al pensionato con Caroline e Stefan per il permesso per la festa, giusto?”
“Sono proprio io. Elena Gilbert.”
“Bene. Almeno adesso conosco anche i vostri nomi. Stamattina Bonnie mentre raccontava ricordava alla perfezione soltanto quello di Stefan, mentre sui vostri era abbastanza incerta.”
“Mere! Ma che dici?” - intervenne la diretta interessata, allungandosi per schiaffeggiare leggermente una mano della sorella.
“Cosa? E' vero!”
“Beh, se in piena notte avessi aperto la porta di casa e mi fossi ritrovata davanti uno sconosciuto tanto figo quanto Stefan...probabilmente anch'io avrei dimenticato chiunque altro fosse con lui.” - Caroline intervenne in quel modo, dal nulla, suscitando un riso leggero e d'intesa in Meredith e scatenando una furiosa tosse da parte di Bonnie, che per poco non si strozzava con l'acqua che le era andata di traverso. Stefan cominciò a darle leggere pacche sulle spalle e, quando si calmò, la sua mano prese a muoversi delicatamente in cerchi concentrici sulla schiena della rossa mentre lui si sporgeva a chiederle con accortezza se stesse bene.
In quel momento, Elena sentì il cellulare squillarle nella borsa in sincrono a quello di Stefan, che prese a vibrare al centro del tavolo.
Lui fece un cenno a tutte e rimase al suo posto mentre rispondeva, giustificandosi con un: “E' mio padre.”
Mano a mano che la telefonata di Stefan prendeva consistenza, Elena si abbassò di lato per riuscire a leggere il messaggio che le era appena arrivato.
Freddò sul posto. Due sole parole ed un'iniziale troneggiavano sullo schermo bianco del suo cellulare: Sono tornato. D.
Alzò gli occhi, ma già sapeva cosa avrebbe trovato. Mentre leggeva e rileggeva, infatti, aveva sentito il tono di Stefan aumentare e l'irritazione nella sua voce crescere. Sapeva che i suoi occhi verdi erano direttamente puntati su di lei, freddi e delusi come solo un'altra volta li aveva visti: quella notte.
“Va bene, papà. Ho capito. Torno a casa presto, oggi.”
Stefan riagganciò poco dopo. Elena fece appena in tempo a trovare il coraggio per ricambiare il suo sguardo che lui si alzò e raccolse il suo vassoio, ancora quasi del tutto intatto.
“Scusate.” - fece - “Mi è passata la fame.” - lanciò uno sguardo dispiaciuto a Bonnie, poi si voltò e andò via, lasciando direttamente la mensa.
Caroline fece cadere la forchetta che reggeva tra le mani e si sporse verso di lei.
“Si tratta di chi penso che si tratti?”
Elena annuì a testa bassa. Caroline le soffiò accanto un sospiro e poi si alzò anche lei, sicuramente per raggiungere Stefan. Le aveva sempre messo bene in chiaro che, se mai si fosse trovata a scegliere, avrebbe sempre preferito lui a lei, quindi Elena non se ne dispiacque neppure più di tanto quando la vide allontanarsi.
Alzò gli occhi soltanto per trovarsi da sola a dover fronteggiare gli sguardi carichi di perplessità delle due nuove arrivate. Loro non sapevano e si trovò a domandarsi cosa avrebbero pensato di lei se avessero saputo.
Decise che avrebbe di gran lunga preferito non conoscere mai la loro risposta.
NOTE:
Ciao a tutti!! E buon sabato sera^^Innanzitutto, voglio ringraziarvi tantissimo per la bellissima ri-accoglienza *D* Siete fantastiche, girls! Vi lovvo un sacco *D*
Passando al capitolo....beh, siamo ancora all'inizio della storia e si vede, stiamo ancora conoscendo i personaggi quindi non è successo un granchè xD
Tuttavia qualcosa c'è. Primo tra tutti: Alaric!!
Giuro, sono in ansissima a causa sua xD L'altro giorno, proprio rispondendo ad una della vostre fantastiche recensioni, ho realizzato che è la primissima volta che comincio una storia senza che Meredith e Alaric stiano già insieme O_O Questo vuol dire che è anche la prima volta che devo affrontare la faccenda "professore e allieva che si innamorano" O_O Amore proibito! Ci piace! Io, però, ho sempre fatto la furba, saltando direttamente a loro che stanno già insieme da anni xD Ebbene, sarà una sfida! U_U E ormai mi conoscete: parto con un'idea semplice per le mie storie e poi se non me le complico smetto di chiamarmi Valeria (è il mio nome, non so se ve l'ho mai detto xD).
Andando avanti, abbiamo trovato Bonnie e Stefan che cominciano a fare conoscenza. Mi pare ovvio che i ragazzi siano rimasti decisamenti colpiti l'uno dall'altra xD Per questa storia -vi avverto- non vi aspettate niente di solo platonico tra questi due. Avranno un bel cammino da fare insieme se riesco a non rovinarmi le mie stesse idee al momento di scriverle xD Ad ogni modo, abbiamo avuto un assaggio di com'è la vita di Stefan grazie al suo breve racconto e abbiamo scoperto qualcosa in più su Bonnie, la mia rosha ballerina xD
Infine...Elena!!! Lascio a voi giudicarla xD Almeno, però, abbiamo capito un pò di più di quello che è successo tra lei, Stefan e Damon qualche mese prima.
Mi sembra superfluo aggiungere che Damon arriverà nel prossimo capitolo. E, per chi fosse interessato, nel prossimo capitolo capiremo anche qualcosa in più su chi ha fatto soffrire tanto Bonnie mentre era a New York. Incontreremo questa persona? La risposta è si! E' stato il primo grande amore di Bonnie e le deve un pò do spiegazioni. Idee su chi sia? Personaggio nuovo o qualcuno che nei libri già c'è? Se si, chi? Fatemi sapere, se vorrete, su chi puntate xD
Adesso vi lascio....Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che decidiate di recensirlo *shy*
Alla prossima settimana...BACIONI...IOSNIO90!!!