Il vecchio pensionato
“Quindi?
Cosa ti hanno detto i tuoi genitori nell'ultimo
videomessaggio?”
Bonnie
sbuffò. A ripensarci le veniva da ridere, ma aveva
solennemente
promesso a se stessa che avrebbe fatto la testona arrabbiata per
tutta la durata del viaggio, quindi si limitò a voltarsi
verso il
finestrino perchè l'amica non la vedesse mentre increspava
appena le
labbra.
“Non
te l'ho detto?” - rispose, atteggiandosi a finta tonta
nonostante
la palese inclinazione sarcastica della voce - “Si sono
raccomandati -testuale- di spassarmela, perchè avrei fatto
faville a
Fell's Church. Ti rendi conto? A Fell's Church. Faville. Due parole
che non c'entrano niente l'una con l'altra. Volevano solo evitarsi
l'ennesima ramanzina da parte mia.”
“Ma
dai, smettila di fare la musona! Bonnie e musona, queste
sono due parole che non c'entrano niente l'una con l'altra. Sono
convinta che ci divertiremo, invece.”
“Vogliono
torturarmi...” - si lamentò.
“Io,
invece, credo che vogliano aiutarti. Sai...mandarti in un posto meno
caotico, con meno ricordi. Non è la prima volta che i tuoi
sono
costretti a partire per lavoro per periodi lunghi. Due anni fa sono
rimasti per diciotto mesi in Europa eppure non hanno avuto problemi
nel lasciarci sole a New York sotto la supervisione di quel loro
amico avvocato e dei domestici. Ed eravamo solo delle ragazzine.
Questa volta, però, staranno in Cina solo un anno eppure ci
hanno
spedito a Fell's Church senza nessun diritto di replica. Cosa
è
cambiato? La risposta mi pare ovvia. Possono anche sembrare due
svampiti -senza offesa...”
“Nessuna
offesa.”
“Ecco,
possono anche sembrare due svampiti, ma hanno visto come hai sofferto
negli ultimi mesi per via di...lo sai.”
Bonnie
sospirò, reclinando la testa contro il sedile del passeggero
dell'auto nella quale stavano viaggiando. Per qualche attimo si perse
a guardare le grosse nuvole bianche al di là del finestrino,
perdendo il controllo sulla sua mente che venne subito invasa da
ricordi che aveva deciso di non richiamare più alla memoria.
Scosse
la testa, nel tentativo di scacciarli via e capii in quel momento
che, forse, Meredith aveva ragione; come sempre, del resto.
Lei,
dopotutto, negli ultimi mesi trascorsi a New York non era stata molto
discreta nel sul dolore. Se tornava a pensarci veniva invasa da una
tremenda rabbia, verso se stessa e verso quel...bastardo -solo
così
lo si poteva chiamare- che le aveva inflitto tanti tormenti e
sofferenze.
E
pensare che aveva sempre biasimato quelle ragazze che si lasciavano
definire da un ragazzo! Scoprire che lei non era per niente diversa
da loro era stato un duro colpo per la sua autostima, già
fortemente
messa a dura prova da lui.
Ma era passato -si disse-, i vecchi problemi di cuore
doveva lasciarseli alle spalle. Forse i suoi genitori desideravano
davvero soltanto esserle d'aiuto in qualche modo, regalandole quella
pace che a New York non riusciva più a trovare. Non con
tutti quegli
scorci di paesaggi, quelle strade e quei luoghi che le riportavano
costantemente alla mente i momenti perduti di quello che era stato il
suo primo amore vero, sbocciato e morto nei sei mesi più
intensi
della sua vita.
Doveva
ricominciare. Forse Fell's Church non era esattamente il posto
più
allettante ed esotico sulla faccia del pianeta, ma poteva farselo
andare bene. Chissà, magari avrebbe pure scoperto che la
vita di
provincia era quella che faceva più per lei. E dopotutto
aveva
Meredith, aveva la sua amata danza, avrebbe riavuto con se la Signora
Flowers e, come se non bastasse, aveva l'ultimo anno di liceo a cui
badare. L'avrebbe smessa presto di lamentarsi. Solo qualche altro
gorgoglio fino all'arrivo alla sua nuova casa e poi stop, basta
lamenti, avrebbe accolto a braccia aperte e col sorriso la sua nuova
vita. Non si aspettava di abituarsi subito ai ritmi meno frenetici che
di sicuro avrebbe incontrato, ma avrebbe sfidato chiunque ad
abituarsi in fretta a Fell's
Church dopo
essere nato e cresciuto a Manhattan. Poteva farcela, lo sapeva. Ci
volle poco a convincersi che le avrebbe fatto bene quel cambiamento,
tutto grazie alle parole di sua sorella. Certo, lei e Meredith non
erano sorelle di sangue, ma i signori Sulez, migliori amici dei suoi
genitori sin dai tempi del liceo, avevano perso la vita in
un'incidente stradale quando Mere aveva poco più di quattro
anni e i
suoi si erano subito dati da fare per adottarla. Erano sorelle sulla
carta, quindi, legalmente, ma anche nell'anima, dove entrambe
sapevano di condividere un legame molto più forte di
qualsiasi
parentela. All'epoca della disgrazia occorsa ai suoi genitori,
Meredith era riuscita a ritrovare il sorriso soltanto grazie a quella
buffa bambina coi boccoli rossi che le mise davanti un tubetto di
plastilina verde e le insegnò a modellarla a forma di
lumaca. “Prima
fai un lungo verme, poi arrotoli” - era
nato così il loro rapporto, con quelle assurde istruzioni
copiate
dalla donna che sarebbe stata la loro badante, amica, consigliera e
nonna fino a poco più di un anno prima, quando era andata in
pensione: la Signora Flowers.
“Guarda.
Siamo arrivate.” - fece Meredith, indicando con un cenno
della
testa il cartello su cui campeggiava la scritta semi-sbiadita che
dava il benvenuto a Fell's Church - “Il pensionato di
Teophila non
dovrebbe essere molto distante.”
“Oh,
Toephilia! Giuro che appena la vedo la convinco a prepararmi la sua
deliziosa crostata alle more.”
“E
cominciare con un'abbraccio, no?”
“Ok,
prima l'abbraccio e poi la convinco a farmi la crostata.” -
concesse Bonnie.
Un quarto d'ora dopo, la grossa Range Rover nera, ultimo
regalo che i signori McCollough avevano fatto alle ragazze una volta
che queste avevano comunicato loro il desiderio di affrontare il
viaggio in macchina loro due da sole, svoltò lentamente sul
vialetto
del pensionato al limite della cittadina e si fermò,
permettendo
alle due amiche di scendere dall'auto e sgranchirsi le gambe,
intirizzite per il troppo star sedute.
Mentre Meredith recuperava ed infilava in borsa i
documenti dell'auto, lo stereo e il navigatore satellitare, Bonnie si
guardò intorno e realizzò che, in quella casa,
sarebbero state
addirittura più isolate di quanto avesse immaginato. Il
pensionato,
infatti, si ergeva su un grosso prato, da solo, circondato da un
fitta boscaglia su tre lati e toccato dalla strada principale che
portava nel cuore di Fell's Church sul quarto lato libero. Fatta
eccezione per qualche auto che passava di lì di tanto in
tanto o del
rumore di risate di bambini provenienti dalla fattoria che avevano
intravisto mentre arrivavano, non c'erano altri suoni tranne che per
quelli del bosco e degli animaletti che lo abitavano.
Sarebbe stato un'ottimo scenario da film horror, ma
Bonnie stava pensando a quanto sarebbe stato rilassante prendere il
sole in estate sul giardino che vedeva alle spalle dell'edificio o a
quanto avrebbe potuto godersi finalmente la sua cara musica classica
a tutto volume mentre faceva i suoi regolari esercizi di danza nella
sua stanza. A New York, una pace simile te la sognavi.
Un fruscio tra le foglie di un cespuglio basso su un
lato della casa attirò la sua attenzione. Fece qualche passo
in
quella direzione e si fermò col sorriso, ammirata, quando il
musetto
marrore di una lepre fece capolino e gli occhietti neri dell'animale
la fissarono.
“Mere!
Ci sono le lepri.” - cantilenò.
“Bene.
Vedo che il posto comincia già a piacerti.” - la
stuzzicò
l'altra, affacciandosi dal bagagliaio ormai aperto dal quale stava
tirando fuori valigie su valigie.
“Allora?
Mi aiuti si o no con questi scatoloni? Guarda che è quasi
tutta roba
tua.” - aggiunse.
Bonnie voltò gli occhi al cielo, tornando indietro a
piccoli saltelli, con la coda con la quale aveva legato i ricci rossi
che dondolava da un lato all'altro, dandole ancor di più
l'aria di
una bambina spensierata.
“I
più pesanti, però, sono i tuoi. Pieni di
libri---”
“Che
dovresti leggere, sai? Per una buona cultura. Possono sempre tornare
utili.” - la interruppe Meredith.
“L'ornitologia
dalla A alla Z – a cosa potrà mai tornarmi utile
un libro simile?”
“Gli
uccelli sono animnali estremamente affascinanti. E comunque quello
l'ho preso in quel periodo durante il quale avevavo deciso di darmi
al birdwatching.” - spiegò Meredith.
“Birdwatching.
A New York.”
“Lo
so. Idea folle. Me ne sono resa conto presto. Però, ad
esempio, qui
potrei farlo. E come farei senza quel libro?”
“Mere?
Sono convinta che tu possa trovare qualcosa di più....come
dire....allettante del birdwatching.”
“Ah!
Come al solito tu sottavaluti la cosa. Gli uccelli sono
animali--”
“Estremamente
affascianti. Si, l'hai già detto.”
Scoppiarono entrambe in una risata, tanto da attirare
finalmente l'attenzione della donna in tuta da giardiniere che curava
con attenzione i suoi garofani sul partico alle spalle del
pensionato. La Signora Flowers riconobbe subito le voci sia dell'una
sia dell'altra. Aveva trascorso quindici anni della sua vita in casa
McCollough, a New York, accudendo quelle due ragazze che per lei
erano come delle nipoti da amare e viziare come avrebbe fatto una
vera nonna. L'età, però, ad un certo punto si era
fatta sentire,
così come la nostalgia di casa e, non appena entrambe le
ragazze
avevano raggiunto i sedici anni di età, aveva deciso di
andare in
pensione, ritirandosi nella sua vecchia e tranquilla casa d'infanzia,
a Fell's Church. La felicità era stata immensa quando aveva
ricevuto
la telefonata di Bonnie che l'avvertiva dell'imminente viaggio
d'affari dei genitori in Cina e le chiedeva se lei e Meredith avrebbero
potuto trasferirsi da lei per l'ultimo anno di liceo prima del
college. Accettare, dunque, era stata una scelta quasi obbligata
visto il profondo affetto che nutriva per quella famiglia.
“Ragazze!”
Bonnie e Meredith si voltarono subito non appena quella
voce tanto familiare e cortese arrivò a chiamarle e
osservarono la
donna che, sorridendo, avanzava verso di loro e si sfilava i guanti
da giardinaggio sporchi di terra.
“Signora
Flowers!” - chiamò Bonnie, raggiungendola per
poterla stringere in
quell'abbraccio che tanto desiderava darle. La donna allargò
entrambe le braccia ed accolse sia lei che Meredith, stringendole a
se e accerezzando loro la schiena, delicatamente, come faceva sin da
quando erano due bambine un po' troppo vivaci.
“Bambine
mie, sono così contenta di avervi qui con me! Ditemi,
com'è andato
il vostro viaggio? E i tuoi genitori, Bonnie? Come stanno?”
“Stanno
meglio di noi tre messe insieme, si figuri! Proprio adesso sono su
un'aereo diretti a Pechino. Solo due giorni prima di partire si sono
resi conto che non sanno un'acca di cinese e mio padre è
andato
subito nel pallone, ma mia madre l'ha rassicurato dicendogli che se
sarebbe finiti a preparare involtini primavera nel seminterrato della
cucina di un ristorante cinese, almeno sarebbe stati insieme. Nella
buona e nella cattiva sorte, ha aggiunto. Si sono fatti una risata e
son partiti.” - rispose, scrollandolo le spalle -
“Sempre i
soliti.”
“Il
nostro viaggio, però, è andato bene. Siamo solo
un po' stanche.”
- aggiunse Meredith - “Adesso stavamo tirando giù
le valige
dall'auto.”
“Oh,
bene. Fate con calma, allora e, non appena avete finito, salite al
piano di sopra e sceglietevi una stanza qualsiasi a testa. La mia
è
proprio all'inizio del corridoio al primo piano, ma per il resto sono
vuote, così come quelle del secondo e la soffitta. Scegliete
pure
quella che vi piace di più.” - disse la Signora
Flowers - “Io vi
aspetto in cucina con un buon thè e una bella fetta di
crostata alle
more calda.”
“Crostata
alle more?” - a quel richiamo, Bonnie era saltata subito e
aveva
spalancato gli occhi, illuminati al solo pensiero della delizia che
tra poco sarebbe tornata a mangiare.
“Si,
crostata alle more. E' già pronta, devo solo scaldarla. In
questo
modo, mia cara Bonnie, sia tu che io ci siamo rispiarmiate una buona
ventina di minuti di suppliche. Quindi, salva per qualche altra
occasione i tuoi occhioni da cerbiatto, oggi non ti
serviranno.”
“Ma...ma...lei
è...come---....mi conosce fin troppo, ecco cosa.”
“Puoi
ben dirlo. Conosco entrambe, io.” - sorrise la donna,
allontanandosi verso la porta d'ingresso e sparendo alla loro vista
qualche attimo dopo, mentre ancora rideva.
“Ma..l'hai
sentita?” - fece Bonnie, fissando stranita e divertita il
punto
oltre il quale la Signora Flowers era scomparsa.
“Beh,
sei prevedibile, Bonnie
cara.”
- la prese in giro Meredith.
“Ma
dai! Non ti ci mettere anche tu, adesso!”
“Lo
neghi?”
“Certo
che lo nego! Io sono miss imprevedibilità.”
“Certo.
Come no. Hai assolutamente ragione.”
“Smettila
di assecondarmi!” - rise Bonnie, riportando alla mente
ciò che
aveva suggerito a lei stessa nemmeno un'ora prima: la nuova vita che
l'aspettava non sarebbe stata così male. Si sarebbe lasciata
ogni
dolore alle spalle e sarebbe andata avanti col sorriso.
Perchè
poteva farcela, lo sapeva.
Quando la sirena
arrivò a suonare la fine di quella
prima partita di stagione, Stefan si ritrovò buttato a terra
e
schiacciato sotto il peso dei corpi dei suoi compagni di squadra,
esultanti per la vittoria. Si ritrovò costretto a dare
qualche
spintone per riuscire a liberarsi e a rimettersi in piedi, ma le
risate non abbandonarono il gruppo. Ormai era diventato un rito: al
termine di ogni partita nella quale vincevano, lui si ritrovava ogni
suo compagno addosso. Era una sorta di versione estremizzata di una
normale pacca sulla spalla, interpretata dagli altri ragazzi come una
sorta di ringraziamento per il quarterback che li aveva trainati alla
vittoria e da lui come un supplizio al quale non poteva rinunciare.
Ad ogni modo, preferiva di gran lunga quel momento che
quello che arrivava subito dopo: l'accerchiamento tattico da parte
delle cheerleaders. Stefan apprezzava, davvero, tutto quell'
“affetto” che le ragazze gli dimostravano al
termine delle
partite, tra palpeggiamenti, strusciamenti vari ed inviti sussurrati
a mezz'orecchio, ma non era il tipo di ragazzo che ne approfittava.
L'unica cheerleader dalla quale aveva mai accettato un di quei famosi
inviti era stata Elena, ma allora era diverso, perchè lei
era la sua
ragazza ed erano innamorati l'uno dell'altra -o almeno a Stefan
piaceva pensare che anche lei lo avesse amato tanto quanto lui aveva
amato lei. Da che le cose tra loro erano finite, ed erano ormai
passati quasi due mesi, non era più uscito con nessuna
sebbene le
occasioni non gli mancassero di certo. Quarterback della squadra di
football della scuola, tra i primi in graduatoria in fatto di voti
accademici, figlio del sindaco, poco interessato alla
popolarità
anche se ne aveva parecchia, gentile, educato, il ragazzo che ogni
genitore vorrebbe come genero e, come se non bastasse, neppure
esattamente da buttare neppure a livello esteriore, col suo metro e
ottanta, il fisico asciutto e muscoloso, i capelli scuri e gli occhi
verdi...insomma, come Caroline non faceva che ripetergli in
continuazione, era consapevole del fatto che ogni ragazza a Fell's
Church stava aspettando solo che lui dicesse una parola per cascare
ai suoi piedi, ma era anche altrettanto consapevole del fatto che non
era il tipo da illudere una ragazza solo perchè poteva e
solo per il
gusto di trascorrere una serata divertente. Forse era all'antica, ma
voleva provare interesse, sentimenti, verso una persona prima di
iniziare a frequentarla. Non credeva nelle storie senza amore. Anzi,
non credeva proprio che potesse esserci alcuna storia senza un minimo
di emozione a guidarla, anche se spesso erano proprio le emozioni
più
forti a farti provare i dolori più forti. Come con Elena, ad
esempio. Lui l'aveva amata tanto, a volte credeva che forse l'amava
ancora, ma il tradimento di lei era stato talmente tremendo che il
suo cuore ne portava ancora i segni. Avrebbe potuto mandarla al
diavolo, schioccare le dita e lasciare che quell'esperienza rovinasse
il suo modo di concepire il mondo e le relazioni, ma non l'aveva
fatto, non aveva voluto dare alla sua ex-ragazza tuta quella
risonanza. Quindi aveva sofferto, silenziosamente, ma a poco a poco
le cose erano andate sistemandosi. Tra lui ed Elena c'era ancora un
forte imbarazzo, ma lo rincuorava il fatto di non aver perso se
stesso in seguito a quella cocente delusione. Era una grande
conquista.
“Ehi
voi! Andate a sculettare da qualche altra parte e lasciate in pace il
mio amico troppo educato per mandarvi a quel paese. E' la vostra
signora e padrona che ve lo ordina, altrimenti domani triplo
allenamento per tutte, vi avverto!” - Caroline
avanzò a grandi
passi, gesticolando come un'ossessa mentre scacciava via una
cheerleader alla volta. Lei e Stefan erano amici per la pelle da
quando erano poco più che bambini, ma avevano un modo assai
diverso
di intendere il significato dell'espressione “capitanare una
squadra”. Per Stefan, significava spronare i suoi compagni a
dare
il meglio di se stessi in campo, aiutarli e guidarli durante il
gioco. Per Caroline, essere il capitano delle cheerleaders
significava comandare a bacchetta quella povere disgraziate che
avevano deciso di unirsi alla squadra.
“Su!
Una di voi, portategli un'asciugamano.” - appunto.
“Care?
Non ne ho bisogno, davvero. Vado a fare la doccia tra poco.”
-
tentò lui, cercando invano di porre un freno alle manie di
controllo
dell'amica.
“Beh,
vorrà dire che lo porteranno a me. Tutto quel ballare,
saltare e
urlare quanto Stefan Salvatore sia immensamente figo mi ha
sfiancata.” - come non detto.
“Ecco.
Parliamone. Quei cori....non erano un po' troppo esagerati?”
“E
perchè mai? Non ho detto nulla che non si vero. E poi alle
ragazze
piace decantare la tua sublime perfezione. Ma se è per Elena
che lo
dici, perchè è costretta ad urlare quanto tu sia
fantastico e
quindi ad ammettere pubblicamente quanto sia stata un'idiota a
lasciarti scappare....che dire, è vero che è una
mia amica, ma non
mi pare di aver mai nascosto il fatto di averla odiata per quello che
ti ha fatto. Lei e quell'imbecille di tuo fratello.”
“Ehmm...possiamo
non parlarne?” - già era stato abbastanza
difficile dover fare i
conti col fatto che la ragazza che aveva amato lo avesse ricambiato
con un tradimento, ma era diventato quasi impossibile da superarare
quando aveva realizzato che l'aveva tradito col suo stesso fratello.
Di certo, ora che le cose cominciavano ad andare per il verso giusto,
proprio non gli serviva più nessuno che glielo ricordasse,
neppure
la sua migliore amica.
“Certo,
certo. Scusa. Dicevo solo che è stato un bene che Damon sia
scomparso prima che potessi scattargli via la testa dal collo, ecco
tutto. Scelta saggia la sua.” - commentò Care,
appena in tempo per
stamparsi in faccia un bel sorriso innocente all'arrivo di Elena.
“Allora?
Gliel'hai chieso?” - chiese quest'ultima, lasciando che i
suoi
occhi si spostassero velocemente dalla figura di Caroline a quella di
Stefan per rivolgergli un sorriso e un “Bella
partita!”
imbarazzato come ogni altra conversazione tra loro da un paio di mesi
a quella parte, dalla famosa notte.
“Grazie.”
- rispose Stefan, piuttosto sbrigativo, smanioso di cambiare subito
argomento e riammettere Care nella conversazione -
“Piuttosto...cos'è
che dovevi chiedermi?”
“Ah!
Si, giusto! Mi sono persa nella conversazione e stavo quasi per
dimenticarlo.” - rispose lei - “Mi stavo chiedendo
se ti andasse
di accompagnarci al vecchio pensionato tra poco, non appena sarai
pronto. Sai la festa di inizio anno che organizzo ogni volta nel
bosco dove c'è quel capanno da caccia abbandonato? Ecco,
l'altro
giorno tuo padre mi ha detto che quel capanno praticamente cade a
pezzi e vogliono tirarlo giù, quindi sarebbe stato meglio
trovare
un'altra location per la festa, se proprio ci tenevamo a farla. Ed io
ci tengo, lo sai.”
“Il
pensionato è così isolato che non daremo fastidio
a nessuno ed è
abbastanza vicino al bosco da mantenere di notte quell'aria di
mistero che a Caroline piace tanto.” - continuò
Elena, scoccando
un sorriso all'amica - “Quindi vorremmo farla lì.
Per tuo padre
non ci sono problemi. Dice che è una proprietà
privata, quindi
l'unico permesso che dobbiamo chiedere è alla proprietaria,
quella
donna anziana appassionata di fiori che ci vive da sola, hai
presente?”
“Certo.
La Signora Flowers. Teophilia. Mi offre sempre un bicchiere di succo
d'arancia e dei biscotti fatti in casa deliziosi ogni volta che passo
di lì tornando dal cimitero, la domenica mattina, quando
vado da mia
madre.” - rispose Stefan, mentre Caroline ed Elena si
scambiavano
uno sguardo d'intesa e un sorriso.
“Ecco,
esattamente quello che ha detto tuo padre. E' stato lui a suggerirci
di venire da te. Visto che conosci quella donna, magari se sei
presente anche tu quando andremo a chiederle di lasciarci tenere la
festa in casa sua sarà più disponibile che se ci
andassimo da
sole.” - fece Caroline - “Allora? Ci
accompagni?”
Stefan sospirò, guardando entrambe mentre tentavano
invano di mostrargli la migliore espressione innocente che riuscivano
a fare. Sarebbe stato facile dire loro che la Signora Flowers era una
persona estremamente gentile e che di sicuro le avrebbe ascoltate,
accolte e accordato loro il permesso senza bisogno che anche lui
fosse presente, ma probabilmente sarebbero andati avanti per ore a
discuterne. E se non
fosse così, e se ti sbagliassi, e se invece è
gentile con te, ma una vecchia inacidita col resto del
mondo...Caroline diventata una furia quando si trattava di
una delle
sue feste, non l'avrebbe lasciato andare così facilmente. Di
fatto,
quell' “Allora? Ci accompagni?” non era una vera
richiesta, ma
più un ordine del tipo “Allora? Ti sbrighi ad
accompagnarci o devo
portarti fin laggiù trasciandoti di peso?”. Stando
così le cose,
si limitò ad annuire.
“Va
bene. Aspettatemi qui. Vado a farmi una doccia e arrivo.”
“Non
metterci troppo, eh?” - gli gridò dietro Caroline,
come volevasi
dimostrare.
Circa mezz'ora dopo, Stefan salutò in fretta i suoi
compagni, si caricò il suo borsone in spalle e
lasciò gli
spogliatoi, raggiungendo le due ragzze che, nel frattempo, erano
andate ad aspettarlo nei parcheggi della scuola riservati agli
studenti, accanto alla sua auto.
“Se
non ti scoccia prendiamo la tua. E dopo magari ci dai anche un
strappo a casa.” - avvertì Caroline, salendo dal
lato del
passeggero, mentre Elena prendeva posto sul sedile posteriore,
lasciandogli lo spazio perchè poggiasse il suo borsone prima
di
mettersi al volante.
“Quindi?
Cosa le direte una volta arrivati lì?” - chiese.
“Improvviseremo.”
“Voi
due...mprovvisare? Voi due non avete un piano? Fatico a
crederci.”
“A
dire il vero io e Care un piano ce l'abbiamo.” - contraddisse
Elena
- “Sei tu il nostro piano, Stefan.”
“Oh.
Fantastico.”
“Coraggio.
Devi solo sorridere e abbagliarla col tuo irresistibile
fascino.” -
lo spronò Caroline.
“Hai
sbagliato fratello.” - mugugnò Stefan, a mezza
voce, incapace di
frenare la lingua.
“Assolutamente
no. Io non sbaglio affatto fratello.” - si sentì
rispondere
dall'amica al suo fianco che, evidentemente, aveva problemi a frenare
la lingua tanto quanto ne aveva lui, nonostante avessero entrambi
notato Elena sobbalzare dallo specchietto retrovisore.
Si disse, però, che non doveva sentirsi in colpa per
una semplice frecciatina. Non aveva fatto nulla di male, lui. Se
Elena si sentiva punta sul vivo la cosa doveva scivolargli addosso,
così come a lei era scivolato addosso il fatto di ferirlo.
Non era
solitamente un tipo vendicativo o rancoroso, ma di tanto in tanto
tutta quella rabbia da cui era stato investito in seguito al dolore
doveva pur buttarla fuori in qualche modo. Non poteva semplicemente
sorridere ad Elena e fare come se nulla fosse successo. Di tanto in
tanto, anche a lei, la “regina della scuola”,
doveva essere
recapitato un monito di ciò che era stato e per il quale
doveva
darsi da fare se voleva ottenere il perdono che tanto sosteneva di
agognare.
I restanti minuti di viaggio li trascorsero in silenzio,
ognuno perso in chissà quali pensieri. Si riscossero solo
quando
Stefan accostò al marciapiede e spense il motore.
“Bene.
Andiamo. E mi raccomando, Stefan, mettiti in bella mostra.” -
fece
Caroline, affiancandolo mentre raggiungevano in tre la soglia del
pensionato ed Elena suonavo il campanello.
Attesero qualche istante prima di sentire un rumore di
passi avvicinarsi dall'altra lato della porta. E quando questa si
aprì, rimasero sorpresi tutti e tre nel ritrovarsi davanti
una
ragazza in jeans e maglietta leggera, della loro età, con
una
cascata di indomabili boccoli rossi ad incorniciarle il viso a cuore
invece dell'anziana donna che si erano aspettati di vedere.
“Ehmm...ciao?”
- fece Caroline, a nome di tutti.
“Ciao!”
- salutò la sconosciuta, sorridendo del loro visibile
imbarazzo -
“State cercando la signora Flowers?” - chiese loro.
“Beh,
in effetti si. E' in casa?” - rispose Caroline.
“Certo.
E' al piano di sopra adesso, sta aiutando me e mia sorella a
sistemarci nelle nostre stanze, ma arriva tra un attimo.”
“Cioè...tu
e tua sorella vivete qui? Da quando?” - chiese Elena,
incuriosita
dalla novità.
“Da
oggi, a dire il vero.”
“Oddio.
Aspetta. Tu sei una delle due ragazze che da domani si traferiscono
nella nostra scuola...da New York?” - Caroline era passata
dalla
modalità imbarazzo alla modalità euforica
detentrice di ogni
segreto di quella cittadina troppo in fretta perchè la
ragazza che
avevano davanti non si spaventasse e la classificasse subito come
“pazza”. Stefan si fece avanti non appena sul viso
della
sconosciuta si fece largo l'espressione classica di chi si domandava
come facesse Care a conoscerla se l'aveva appena incontrata.
“La
voce di due nuovi arrivi circola già da una settimana. E' un
paesino
piccolo e ci conosciamo tutti, così fa sempre scalpore
quando
qualcuno si trasferisce qui.” - spiegò -
“In più lei è la
regina dei pettegolezzi.”
“Ehi!
Che figura mi fai fare?” - lo rimproverò Caroline,
assestandogli
una leggera gomitata nelle costole - “Ad ogni modo, io sono
Caroline Forbes, capo cheerleaders. Lei, invece, è la mia
amica
Elena Gilbert. E lui--”
“Stefan.
Stefan Salvatore. Benvenuta.” - s'intromise lui, allungando
una
mano verso la nuova ragazza con un sorriso ad illuminargli lo sguardo
verde e tanto intenso, uno sguardo che sia Caroline che Elena
conoscevano bene. La prima perchè in tutti quegli anni aveva
imparato a memoria ogni cosa si celasse dietro il minimo cambiamento
d'espressione di Stefan e la seconda perchè uno sguardo
simile se
l'era visto rivolgere ogni giorno fino a qualche mese prima.
Entrambe, giunsero alla conclusione che, che se ne fosse reso conto
oppure no, Stefan era rimasto fortemente colpito da quel nuovo arrivo
che, a sua volta, tese una mano a stringere quella del ragazzo,
sorridendogli di rimando con una leggera punta d'imbarazzo,
sufficiente a tingerle le guance di rosso.
“Grazie.
Io sono Bonnie...McCollough.” - si presentò,
quindi, invitandoli
ad entrare quando Caroline le spiegò brevemente il motivo di
quella
loro visita. E fu un bene che la sua amica riprese subito in mano il
discorso, perchè Stefan, per qualche attimo, aveva
completamente
dimenticato il reale motivo che l'aveva spinto con Caroline ed Elena
al vecchio pensionato. Per qualche attimo, aveva percepito di nuovo
la stabiliante sensazione di dimenticarsi di ogni cosa, di ogni
persona, di ogni tormento, fatta eccezione per la mano della ragazza
stretta nella sua. Per qualche attimo, l'unica parola, l'unico nome
che gli risuonò nella mente fu uno solo, accompagnato
all'immagine
di una stupenda ragazza dai capelli rossi e gli occhi più
puri che
avesse mai visto: Bonnie.
NOTE:
Buon sabato sera a tutte!!!^^ *saltella in giro per il fandom*
Oddio, è passato...quanto? Quasi un anno dall'ultima volta che ho pubblicato una storia? Mi sa proprio di si! XD
Credevate di esservi liberate di me, vero? Ebbene, sono tornata ad infrangere i vostri sogni U_U
No, serio, dall'ultima volta che ho postato qualcosa tra problemi ad internet vari e cali d'ispirazione sono uscita quasi fuori di testa XD Ricordo di avervi promesso questa storia da tempo immemore, ormai, ma prima di iniziare a scriverla ho cambiato idea trenta volte perchè c'era sempre qualcosa che non mi convinceva. Alla fine ho deciso di darmi tempo, aspettare che il blocco passasse e quindi riprenderla. Ora....ora una trama da seguire sono riuscita ad impostarla, almeno fino a metà storia, poi il resto lo vedrò in corso d'opera. Ho già scritto tre capitoli e non mi sembra esattamente una grandissima schifezza come pensavo. Ad ogni modo avevo una gran voglia di tornare a farvi leggere qualcosa di mio, quindi...eccovi qua il primo capitolo.
E' una specie di prologo, vengono un pò descritte le varie situazioni di ogni personaggio per come sono ora all'inizio della storia. Se ricordate bene vi avevo detto che in questa storia sarebbero stati tutti umani (è il primo esperimento per me in questo senso XD) e infatti così è. Ci sono un bel pò di modifiche, quindi, rispetto ai libri che tutte conosaciamo. Qui Bonnie e Meredith sono "sorellastre" e si sono appena trasferite da New York per il loro ultimo anno di liceo e sono loro a vivere al pensionato in quanto i Salvatore (Stefan, Damon e Giuseppe) hanno casa loro XD Bonnie come al solito non riesco a farla fedelissima ai libri, ma c'è sempre la mia solita nota di forza in più che tanto mi piacerebbe che avesse. E c'è Caroline!! Non l'ho mai usata nelle mie storie e mi stuzzicava l'idea di introdurla. Il fatto è che avendo sempre scritto storie che si rifacevano in tutto e per tutto ai libri non avevo mai trovato il modo per infilarcela perchè nei libri il suo personaggio non è che mi piaccia molto. Ho approfittato di questa storia, quindi e ne è venuto fuori un miscuglio tra la Caroline del telefilm (che adoro^^) e una mia reinterpretazione del tutto personale, ma funzionale alla storia XD
Detto questo...vi lascio. Dovrei riuscire a postare circa una volta alla settimana visto che dei capitoli sono già pronti e continuo a scrivere un pò ogni giorno (mi sono data una tabella di marcia XD), quindi spero che il capitolo vi piaccia, la storia vi incuriosisca e decidiate di seguirmi in questa nuova avventura!!!
A sabato prossimo!!! Bacioni....IOSNIO90!!!
PS: Ogni accenno ai fatti passati citati sia da Stefan che da Bonnie verranno spiegati e chiariti più avanti.
PPS: Non vi preoccupate se Damon al momento non è comparso XD Sta arrivando e, ovviamente, si porterà dietro un bel pò di scombussolamenti e segreti XD