Somebody that I used to know
Capitolo
due
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Ci
sono una
spiaggia, un mare cristallino e un sole tropicale.
Ci
siamo io
–avvolta da un bikini succinto- e un ragazzo. Un uomo a
dire il vero. Ha un collo lungo, elegante e non incassato. Spalle forti
e
vigorose che indicano un’ossatura possente e che terminano in
un bacino stretto
e ben delineato. Si muove lentamente; ogni passo una poesia scritta con
il
corpo. Mi ritrovo a
bramarne il tocco,
desiderosa di tastarne la consistenza. Lo seguo come ipnotizzata,
arrivando a
sfiorarlo ma non a destarlo dalla sua passeggiata solitaria.
E’ sfuggente
eppure non mi arrendo. Lo rincorro a perdifiato, finché
sfinita, lo raggiungo.
Esattamente come poco prima accarezzo la sua pelle, tuttavia questa
volta
raggiungo il mio scopo. L’uomo si volta e finalmente riesco a
vedere il suo
viso. Due occhi blu cobalto mi trafiggono, riportandomi drasticamente
alla vita
reale.
La sveglia posta
sul comodino bianco della mia
camera segna le nove del mattino. Facendo due calcoli, ho dormito
giusto
quattro ore. Tutta colpa di quel sogno, tutta colpa di Hanna che mi ha
riempito
la testa con le sue cretinate. Se lei non avesse continuato a blaterare
per tutta
la sera di quanto fosse figo Seth, io non l’avrei mai
sognato.
E invece eccomi
qua, madida di sudore e
frastornata. Un martellante mal di testa a farmi compagnia.
Guardo i miei
abiti sgualciti e improvvisi
flashback di qualche ora prima mi ritornano in mente. Sono tornata a
casa
completamente ubriaca, a quanto pare tanto da non avere
l’accortezza nemmeno di
cambiarmi.
Ricordo alla
perfezione la prima parte della
serata. Hanna, io e gli altri abbiamo mangiato un boccone in una
rosticceria
del quartiere italiano.
Il grande
assente della serata, come si può
ben immaginare, è stato Joshua.
Penso si stesse
divertendo con Monique in giro
per New York, la grande mela offre tantissimi svaghi alle coppiette.
Ricordo che a un
certo punto della serata il pensiero
di loro due insieme era talmente lancinante da avermi indotto a bere ogni sorta di alcolico
in circolazione,
naturalmente sotto falsa identità. E’ risaputo che
in discoteca non servono
alcolici ai minori di ventuno anni. Per l’occasione Garret,
uno dei miei
compagni di classe, ci ha procurato delle false carte
d’identità. Il mio nome
era Gina Turner; ricordo di aver riso come una matta per la somiglianza
fonetica con quello della più famosa Tina.
Il locale era
grande e rumoroso, per fortuna
gli altri hanno avuto la geniale idea di riservare uno spazio
all’interno dell’area
privè. L’ultimo ricordo vivido della serata
riguarda Hanna e il ragazzo del
tavolo a fianco intenti ad amoreggiare, appoggiati a un pilastro
portante. Non
ho la più pallida idea di come si siano conosciuti,
sarà una delle cose che le
chiederò non appena ritornerà anche lei al mondo
reale.
Nel frattempo,
inizio la mia altalenante
discesa dal letto. Non è per niente facile tenere
l’equilibrio quando la testa
e la stanza girano vorticosamente. Quando finalmente riesco a mettere
piede in
terra ferma, mi accorgo che qualcuno mi sta osservando dallo stipite
della
porta.
“Papà?”
domando, strizzando gli occhi per
acuire la vista.
“Sei
così ubriaca da non riconoscermi?” mi
risponde di rimando, Seth. Ha un ghigno divertito in viso e
l’aria
strafottente.
“Seth,
cosa diamine ci fai qui?” sbotto
immediatamente. Lui, assumendo un’espressione da ‘ti ho beccata cara’ risponde
semplicemente: “Devo aiutare tuo padre
con i bagagli e accompagnarlo all’aeroporto”.
“Non
ho speranza alcune di restarmene qui,
vero?” chiedo titubante.
“No,
piccola. Tu verrai con me, il caso è
chiuso” dice, interrompendo il contatto visivo. La fermezza
di quelle parole mi
provoca un brivido lungo la schiena. Automaticamente mi mordo il labbro
inferiore, consapevole che la nostra convivenza non sarà per
niente una
passeggiata.
**
Sono arrivata
nell’appartamento di zio Seth da
meno di cinque minuti e già vorrei scappare via a gambe
levate. Quest’uomo
disconosce l’ordine!
Non è
la prima volta che metto piede in casa
sua; sono a conoscenza del suo disordine cronico ma non avrei di certo
mai
pensato di conviverci.
Scansando un
calzino, comodamente adagiato nel
bel mezzo del corridoio, mi dirigo in quella che suppongo, essere la
stanza
degli ospiti.
Tutti i miei
scatoloni sono accatastati l’uno
sopra l’altro senza alcuna sistemazione logica, il mio povero
trolley rosa è
scaraventato a terra in un angolo polveroso e angusto. Cielo non
può assumere
una donna delle pulizie? Ora che ci penso, ne aveva assunto una
l’anno scorso.
Settimane intere di selezioni avevano portato Eva, una studentessa
tedesca
tutta curve che per arrotondare svolgeva il ruolo di colf. Nemmeno a
dirvi
com’è finita. La poverina è andata via
piangendo disperata perché le aveva
spezzato il cuore.
Seth
è fatto così. Adora le belle donne, le
usa e poi le getta.
Da quando ne ho
memoria, non l’ho mai visto
frequentare una persona stabilmente.
“Ho
riposto le tue cose in questa stanza,
spero non ti dispiaccia se non ti cedo la mia” la voce bassa
e vibrante mi fa
trasalire; per diamine non si usa annunciare la propria presenza?
“Seth..”
inizio col dire.
“Zio
Seth” mi corregge all’istante lui.
“Non
sei mio zio” controbatto, levando gli
occhi sul suo bel viso.
“D’accordo,
mi arrendo! –dice, alzando su le
mani in segno di resa- Tuo padre mi aveva avvertito non sarebbe stato
facile
prendermi cura di una ragazzina” conclude, allontanandosi.
Mio padre. In
questo momento rimpiango che non
sia qui con me. Lui sì che sa prendersi cura di una ragazzina. A soli trentaquattro anni,
è più saggio della maggior
parte dei suoi coetanei. E’ la vita che forgia il carattere
di una persona, lo
asserisce sempre. E’ la stessa cosa che mi ha ripetuto in
aeroporto mentre in
lacrime lo salutavo.
Ricaccio
indietro quel pensiero, appoggiandomi
fiaccamente al muro sul quale scivolo fino a sedermi per terra con le
ginocchia
al petto.
Due ore dopo
aver scandagliato e pulito
meticolosamente ogni angolo della stanza, mi appresto a disfare i
bagagli. Ripongo
i vestiti dentro l’enorme armadio a più ante. I
trucchi, le creme e i profumi
li ripongo invece sopra il grande comò basso e laccato di
bianco. Quest’ultimo
da un tocco di carattere all’intero ambiente, rendendolo
moderno ed essenziale.
Penso che Seth abbia avuto buon gusto nell’arredare il suo
appartamento.
Ogni cosa trova
magicamente il suo posto e la
camera sembra assumere una parvenza femminile, profumata e soprattutto
ordinata.
“Wow”
è il commento di Seth al mio operato.
Due fossette
deliziose affiorano ai lati della
sua bocca, rendendomi partecipe del suo entusiasmo.
“Ti
piace?” chiedo timida.
“Sì,
ti rispecchia tanto. E’ semplice ma non
banale, ordinata ma divertente, dalle tinte tenui ma ricche di mille
sfaccettature” conclude prima di accarezzarmi delicatamente
il viso con le
nocche.
Vagamente scossa
replico: “Le cose hanno
prospettive sempre diverse, sono gli occhi ad offrirci la giusta
visuale”.
“Una
frase matura per la tua età, piccola
peste” smorza i toni lui, dandomi un buffetto.
Il fatto che
continui a considerarmi una ragazzina,
mi destabilizza parecchio ma mio malgrado, me ne farò una
ragione.
E’ lui
a spostarsi per primo mugugnando
qualcosa a proposito di preparare la cena. Ricordo
all’improvviso di avere già
preso un impegno con Hanna ma non faccio in tempo ad aprire bocca che
lui è già
sparito in cucina.
Qualche minuto
dopo lo raggiungo, osservandolo
mentre è intento a tagliare a dadini delle zucchine.
E’ talmente concentrato da
non accorgersi della mia presenza alle sue spalle. Mette sempre tanta
passione
in tutto quello che fa, lo ammiro per questo.
“Seth”
lo chiamo.
“Seth”
riprovo, dopo il silenzio ricevuto al
primo tentativo.
“Dimmi
piccola” finalmente risponde.
“Stasera
ho già preso un impegno con Hanna,
non posso cenare a casa” dico tutto a un fiato.
Con uno scatto
repentino si volge, fissandomi
a metà tra il sorpreso e l’accigliato.
“Non
mi sembra opportuno che tu esca a fare
baldoria dopo ieri sera”
dichiara,
scuro in viso.
“Ieri
era il mio compleanno e avevo tutto il
diritto di bere” gli faccio notare.
“No,
Leila. Non puoi bere alla tua età. Truffare
la legge è un reato”
Da quando in qua
si erge a moralista?
“Io
esco, ciao” taglio corto.
“Dove
credi di andare?” bercia, afferrandomi
lievemente un braccio.
“Seth
non sei mio padre. Lasciami andare”
affermo, fissandolo gelida.
In questo
momento il suo viso è una maschera di
ferro, mi rendo conto di non avere nessuna speranza di spuntarla.
“D’accordo
despota” mi arrendo, digitando velocemente
un messaggio di scuse a Hanna.
“Il
despota mi ha proibito di uscire. Una sorta di punizione per aver
bevuto troppo
ieri sera. Perdonami, ci rifaremo domani”.
La sua risposta
non tarda ad arrivare:
“Fossi
in te non uscirei mai con uno così in casa. Divertitevi,
domani pretendo i
dettagli”.
ANGOLO AUTRICE:
Secondo capitolo sfornato. Che
ve ne pare? Iniziano i primi battibecchi e le prime sfuriate.
Resisteranno i
nostri eroi? Beh lo scopriremo nei prossimi capitoli.. La canzone che
da il
titolo al capitolo è Home di
Michael Bublè!
Approfitto di
questo spazio per ringraziare
Jess Graphic –cercatela su fb, è bravissima- per
il banner della storia. Gli
altri ringraziamenti vanno a chi segue, recensisce o anche solo visita!
NOTE: La storia
è ambientata a New York (anche
se è solo da sfondo, non ha un ruolo determinante). In
realtà, come ben sapete,
in America la maggiore età si raggiunge a ventuno anni
(anche se si guida già a
sedici).
Io ho voluto
riprendere in parte questa legge,
per quanto riguarda il divieto di bere per i ragazzi inferiori ai
ventuno anni.
Per quanto riguarda la maggiore età, ho preferito rifarmi
alla legge italiana e
dunque fissarla ai famigerati diciotto anni.