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Autore: blackmiranda    04/06/2013    12 recensioni
Cinque mesi dopo la sonora sconfitta, Ade riesce finalmente ad uscire dal fiume infernale in cui Ercole l'ha scaraventato. Purtroppo per lui, i progetti di vendetta dovranno attendere: una nuova minaccia si profila all'orizzonte, preannunciata da una profezia delle Parche, unita a quella che ha tutta l'aria di essere una proposta di matrimonio...
“E' molto semplice, fiorellino. Vedi, sono in giro da un bel po', e, anche a seguito di recenti avvenimenti non molto piacevoli, mi sono ritrovato, come dire, un po' solo. E così ho pensato, ehi, perché non cercare moglie?”
Persefone rimase interdetta. La situazione si faceva sempre più surreale, minuto dopo minuto.
“Tu... vorresti sposarmi?” balbettò incredula.

Questa è la storia di Ade e Persefone, ovvero di un matrimonio complicato. Molto complicato.
Genere: Comico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Ercole, Megara, Persefone
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Strife and Discord Strife and discord





Quella mattina vide l'Oltretomba acquietarsi e i suoi abitanti tornare di buon umore.

Pena e Panico quasi si misero a piangere quando si resero conto che lo Stige aveva ripreso il suo lento corso a spirale e che le anime erano state domate.

Anche Ade era di ottimo umore. Pena avrebbe giurato di averlo sentito canticchiare, mentre inceneriva, uno dopo l'altro, tutti i fiori che Persefone aveva fatto crescere nella sala del trono.

“Molto meglio.” aveva decretato il dio dei morti ad operazione compiuta.

"Parrebbe, Vostra Lugubrità, che il piano sia riuscito alla perfezione.” osservò Pena ridacchiando.

Ade si sedette, portando le mani dietro alla testa. “Ragazzi, non mi sono mai sentito meglio.” Si accese un sigaro. “Peccato che la poligamia non sia permessa.” aggiunse ghignando.

Panico tirò un sospiro di sollievo.

Era tornato tutto alla normalità. Perfino lui si sentiva rilassato, cosa per nulla comune.

Un urlo improvviso turbò la calma che si era venuta a creare nel regno dei morti. Panico trasalì.

“Riccioli d'oro si dev'essere svegliata.” commentò Ade tirando una boccata dal sigaro.

Rischiò di farsi andare di traverso il fumo non appena vide l'aspetto della sua novella consorte.

I capelli, da biondi che erano, le erano diventati bianchi, e la pelle aveva acquistato un colorito viola spento, tendente al grigio.

La cosa più sorprendente, tuttavia, erano gli occhi, di un rosso acceso che risaltava tantissimo sulla pelle del viso; occhi puntati su di lui e recanti un'inconfondibile espressione di odio.

L'effetto complessivo gli risultò sorprendentemente interessante.
    
“CHE COSA MI HAI FATTO?!” urlò la dea avanzando verso di lui.

Ade sollevò un sopracciglio, colpito da tanto furore.

“RISPONDIMI, MALEDETTO! PERCHE' HO QUESTO ASPETTO ORRIBILE?!” lo incalzò Persefone, fermatasi di fronte al trono.

Ade le fece segno di stare zitta. “Shh, abbassa la voce, fiorellino. C'è gente che cerca di riposare in pace, qui.”

Persefone si sporse in avanti, afferrandolo per il bavero. “SMETTILA CON LE TUE STUPIDE BATTUTE E DIMMI COSA MI E' SUCCESSO!” esclamò, mentre il suo tono di voce raggiungeva nuove vette di isteria.

Ade scoppiò a ridere. Pena e Panico osservavano la scena a bocca aperta, incerti sul da farsi.

Il dio si alzò in piedi, tenendola per i polsi. “Ma guarda, sei davvero furiosa. Non avevo realizzato che ci tenessi così tanto alla tua chioma dorata... Anche se, e te lo dico con tutta la serietà di cui sono capace, ti preferisco adesso. Voglio dire, il rosa stonava troppo con un posto come questo, e sono certo che tu comprenda che dobbiamo mantenere una certa immagine, se vogliamo essere presi sul serio.”

Persefone cercò di divincolarsi.

Ade mollò la presa, compiaciuto. “Ah, quasi dimenticavo. Tieni, te la sei guadagnata.” disse porgendole la corona che le aveva offerto quattro giorni prima.

La dea rimase in silenzio, tremante di rabbia.

“Wow, se gli sguardi potessero uccidere, eh Seph?” la schernì Ade, il cui buonumore era direttamente proporzionale all'ira di Persefone.

“Comunque, come potrei esimermi dall'immenso piacere di spiegarti una volta per tutte come sono andate le cose?” aggiunse il dio dei morti, lanciando a Panico la corona che Persefone si era rifiutata di prendere.

Il demonietto per poco non se la fece sfuggire dalle mani, ma riuscì ad afferrarla prima che cadesse a terra.

Ade prese a camminare intorno alla sala, unendo la punta delle dita scheletriche. “Vedi, come forse tu sai, il buon vecchio Sputafulmini lassù mi ha, diciamo, preso particolarmente in antipatia. Così, dopo essersi consultato con il resto degli snob che disgraziatamente abitano l'Olimpo, ha deciso di rinchiudermi sottoterra per un bel po'. Non potendo uscire dai confini del mio regno, ho dovuto ingegnarmi parecchio per riuscire ad invitarti quaggiù. Ecco perché ho aperto quella voragine nella terra. I miei fedeli sudditi hanno ovviamente fatto la loro parte.”

Fece una pausa, scrutando le reazioni della dea, la quale aveva abbassato lo sguardo e teneva le braccia rigide lungo i fianchi e pugni serrati.

“E qui arriva la parte più bella. Vedi, molti dimenticano che l'espressione 'prendere moglie' può essere interpretata in senso più che letterale. E per la nostra legge, cosa curiosa, è lecito considerare un rapimento come vincolante, alla condizione che la sposa rimanga nella casa del marito per un certo periodo di tempo. Mi segui fino a qui, o vado troppo veloce per te?”

Pena soffocò una risata. Era evidente che la dea era fuori di sé dalla rabbia.

“Tuttavia,” continuò Ade, “siccome sono un tipo prudente, ho ritenuto opportuno tutelarmi. E qui entra in gioco il nostro piccolo accordo.”

“Ma io non ho mai accettato di restare qui!” protestò Persefone interrompendolo.

Ade scosse la testa. “Al contrario, l'hai fatto. E giusto in tempo, vale a dire allo scadere delle quarantotto ore.” Fece comparire un melograno dal nulla. “Ricordi questo? La cosa interessante dei frutti dell'Oltretomba è che, una volta assaggiati, si è legati in eterno all'Oltretomba stesso. Dunque, ricapitolando: ti sei volontariamente legata agli inferi, ovvero alla mia casa, e così facendo sei diventata a tutti gli effetti mia moglie – ed essendo mia moglie, ti sei legata per sempre all'Oltretomba, diventandone regina. Questo spiega il tuo nuovo aspetto, immagino, anche se, devo ammettere, non ero al corrente di questo curioso effetto collaterale.”

Il dio le si fermò di fronte. “Domande? Commenti?” chiese beffardo.

Persefone gli scoccò un'occhiata piena di frustrazione. “Non può essere vincolante, non avevo idea che mangiare il melograno mi avrebbe costretta a restare qui per il resto della vita!”

Ade si strinse nelle spalle. “Che tu lo sapessi o meno non ha importanza. Quello che conta è che tu abbia mangiato il melograno.”

Persefone era senza parole.

Dopo qualche momento, gli occhi le si riempirono di lacrime. Uscì in fretta e furia dalla stanza, sbattendo la porta della camera da letto con gran fragore.

Ade si accomodò nuovamente sul trono. “Ragazzi, erano mesi che non mi divertivo così.” commentò placidamente, accendendosi un altro sigaro.

***
“Ascolta, cara,” esordì Hermes nel tono più rassicurante e gentile che riuscisse a trovare, “posto che io sono, come ben sai, un messaggero, e che ambasciator non porta pena...”

Demetra non lo degnò di uno sguardo. Era impegnata a sorvolare il Ponto, scrutando ogni metro quadro in cerca di un qualche segno della figlia scomparsa.

Hermes non faticava certo a starle dietro, ma avvertiva un peso sullo stomaco per nulla piacevole.

La dea sembrava completamente fuori di sé; sfiorita, per mancanza di un termine migliore.

Il messaggero degli dèi non sapeva davvero come prenderla.

Infine, si arrischiò ad usare un approccio schietto, come gli veniva più naturale.

“Cara, non puoi trascurare i tuoi doveri. Siamo in piena primavera.”

Demetra lo guardò di sfuggita. “Non ci sarà nessuna primavera se non riavrò indietro mia figlia.” replicò con voce roca.

“Ma tutto l'Olimpo la sta cercando, ormai. Vedrai che la troveremo presto. Tu però devi tornare ad occuparti dei tuoi compiti.”

Demetra, piuttosto scortesemente, gli fece segno di chiudere il becco.

In un attimo, virò verso destra e scese in picchiata verso terra.

Hermes non afferrò subito il motivo di quell'improvvisa commozione. Poi, guardando più attentamente, vide una figura familiare a terra, con cui Demetra si era fermata a conversare.

Si avvicinò frettolosamente. Riconobbe subito la sua l'interlocutrice: Hecate, dea della stregoneria.

“Brutto segno...” mormorò tra sé e sé.

“Dov'è? Dimmi dov'è!” esclamò Demetra concitatamente.

Hecate, un sorriso compiaciuto dipinto sulle labbra bluastre, rispose prontamente: “Tua figlia Kore è tenuta prigioniera nell'Oltretomba. Da Ade.”

A queste parole, Demetra ed Hermes rimasero impietriti.

Sul volto della dea del raccolto si dipinse un'espressione a metà tra il terrore e l'odio allo stato puro.

Hermes era scioccato. “M-ma non è possibile. Come ha potuto..? E tu come fai a saperlo, poi?” chiese sospettosamente. Non gli era mai piaciuta Hecate; non si fidava neanche un po'.

Hecate lo guardò come se fosse una specie di insetto fastidioso. “Ho i miei informatori.” rispose laconica.

Hermes sbuffò. “E immagino che siano degni di fiducia quanto te.”

Hecate lo ignorò, rivolgendosi a Demetra. “Possa io svanire per sempre nel Tartaro se ciò che ti ho detto è falso.” disse posando la mano destra sul cuore.

“Usi sempre dei giri di parole così coloriti o siamo solo fortunati?” commentò Hermes, infastidito.

Demetra si portò una mano tremante alla tempia. “Cosa vuole Ade da mia figlia?” chiese in un tono che non prometteva nulla di buono.

“Non lo so.” rispose Hecate dopo una prima esitazione. “Ma ti assicuro che è lì che troverai tua figlia.”

Demetra annuì lentamente.

Hermes le posò una mano sulla spalla. “Sono sicuro che sta bene. Vado subito a controllare.”

“No.” fece la dea, stringendo le redini convulsamente. “No, vado io.”

Detto questo, si rialzò in volo e partì rapidamente verso ovest.

Hermes imprecò sottovoce, cosa inusuale per un dio.

“Credo che dovresti seguirla.” suggerì Hecate guardandosi le unghie. “Ho come l'impressione che non abbia preso bene la notizia.”

Il dio la squadrò con fare arcigno. “Non mi convince per nulla questa cosa. Ade non può muoversi dall'Oltretomba, come può averla rapita? E poi... perché mai avrebbe dovuto farlo? Così non farebbe altro che peggiorare la sua situazione. Sarà anche un farabutto, ma non è mica stupido...” Hermes fece una pausa. “... O almeno, non così tanto.”

“Ti ho detto che non lo so. Io sono solo una portavoce.” rispose Hecate facendo la finta tonta.

In realtà conosceva benissimo il motivo del rapimento di Persefone: Eris l'aveva informata di tutto, ma le aveva anche raccomandato di non dire nulla più del necessario. “Non vogliamo certo rovinare loro la sorpresa!”, erano state le parole della dea della discordia.

“Comunque, ora devo lasciarti. Faresti meglio a darti una mossa anche tu.” disse Hecate subito prima di sparire in una nuvola di fumo bluastro.

Suo malgrado, Hermes dovette ammettere a se stesso che la strega aveva ragione. Era ancora incredulo, ma non poteva permettersi di trascurare la notizia, vera o falsa che fosse.

Imprecando nuovamente, partì a sua volta verso ovest, in direzione dell'entrata dell'Oltretomba.

***
Atena si sfilò stancamente l'elmo, appoggiandolo vicino al triclinio su cui era sdraiata.

La  civetta, sua fedele compagna, la guardò con curiosità, piegando leggermente la testa verso sinistra.

“Non riesco a venirne a capo.” disse Atena strofinandosi gli occhi.

La civetta ascoltava, paziente.

“Insomma, ho cercato di schiarirmi le idee mentre facevo il giro di ricognizione...” spiegò la dea della saggezza. “Ah, tra l'altro, nessun segno di Kore. Mi chiedo se le due cose siano collegate. La sua sparizione e questa profezia, intendo.” precisò.

La civetta si mosse di un passo verso destra, socchiudendo gli occhi.

Atena si portò le mani alle tempie, massaggiandosele. “Va bene. Ragioniamo.” Si alzò a sedere, incrociando le braccia in grembo. “La terra, il mare e il cielo, così è venuto /Devono stare uniti, o tutto è perduto.” recitò fissando un punto indefinito di fronte a sé.

“Non può essere così difficile.” disse mordicchiandosi un'unghia. “Così è venuto... I tre regni principali, no? Il cielo, il mare, la terra... o meglio, quello che c'è sotto.” borbottò con una smorfia di disappunto.

“... E devono stare uniti, o tutto è perduto. Ma ora non sono uniti, perché governati da tre divinità. Tre fratelli, con tre regni... Perché mai dovrebbero stare uniti? Non lo sono mai stati...”

La civetta spalancò gli occhi all'improvviso, in segno di silenzioso rimprovero.

Atena se ne accorse. Fissò la compagna, chiedendosi dove avesse sbagliato. Poi, in un istante, capì. “Hai ragione! Sono stati uniti. Tutto il potere era di Crono. Poi Zeus, Poseidone e Ade se lo sono spartiti. Ma questo vuol dire...”

Atena trattenne il respiro. Afferrò il proprio elmo, se lo cacciò in testa in fretta e furia e corse fuori dalla camera.

La civetta parve sorridere. Spiccò il volo e seguì la propria padrona nella sala del trono.








*Puf... Puf...* Eccomi! Ce l'ho fatta!
Scusate se ci ho messo più del solito ad aggiornare. T.T Sed nuntio vobis gaudium magnum: ho finito gli esami! :D Quindi avrò molto più tempo da dedicare a questa mia storiella e ad EFP in generale. Evviva! xD
Spero che il ritardo non vi abbia scoraggiati e, come sempre, che il capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando! ;)
Un abbraccio a tutti.
    

 


   
 
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