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Autore: Anya_BlackAngel    06/06/2013    0 recensioni
Dal rigoglioso pianeta di Syon un brutto giorno il piccolo Jark viene catturato dai soldati terrestri e poi ribattezzato Jack una volta sbarcato sulla Terra. Spaesato, unico della sua razza in quel mondo sconosciuto ci passerà duecentocinquantuno anni di vita pregando spesso di poter diventare un Nyrr, uno spirito. Ma Jack sa che fino a che la sua anima non sarà stremata e quindi debole, non potrà morire. Perchè è così che ha deciso la sua Grande Madre Natura: su Syon si vive fino a quando se ne è capaci, non prima. Per questo, nonostante la possibilità di poter tornare presto dai suoi simili, Jack rimarrà con il cuore legato agli umani per un tempo che a lui sembrerà infinito e soffrirà nel vedere così tante morti accanto a sè.
Alla fine però tutti si diventa Nyrr come adesso che è il turno di Jack e, prima che ciò accada, conoscerete la sua vita.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I duecentocinquantuno anni di Jack Wyve'
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Il sole brillava alto nel cielo viola di Syon. A quell’ora era del colore delle ametiste.
L’erba della radura era scossa solo da una leggere brezza che donava ai fili verdi un movimento serpeggiante e armonioso.
«Miwha! Miwha!»
Le risate galleggiavano nell’aria come bolle di sapone.
Miwha strinse forte al petto il suo piccolo e affondò il viso nei suoi capelli corti ed ispidi.
Il bambino si ritrasse dall’abbraccio per guardare negli occhi sua madre.
Era turbato.
«Stai male Miwha? Il tuo petto bussa!»
Lei rise e sfregò i loro nasi.
«Quello è il mio cuore Jark. Senti, batte esattamente come il tuo.»
Jark appoggiò la manina sul petto e lo sentì scosso da tanti colpetti.
Subito spalancò la bocca in un enorme sorriso e si lasciò cadere nell’erba fresca facendo alzare in volo le farfalle che riposavano beate sui fiori.
 
Era il 2715 quando aprii per la prima volta gli occhi tra le urla e i calci.
Mia madre, la mia Miwha, mi strinse forte a sé sussurrandomi una ninna nanna nell’orecchio per calmarmi. Piangevo e gridavo come se il mio unico scopo nella vita fosse quello, ma al delicato suono della sua voce mi fermai.
Di colpo.
Guardai a lungo le sue labbra muoversi e i suoi occhi color dell’ambra fissi nei miei.
Le tesi la mano e lei la avvolse tra le sue dita.
A mia madre piaceva rotolare nell’erba con me.
Si rialzava con fiori di mille colori intrecciati nei suoi lunghi capelli biondi.
Ridevamo io e lei, fino a sentirci male. Fino a non avere più la forza di emettere alcun suono.
Sono passati anni da allora.
Non mi dimentico mai quanti, perché ognuno di essi pesa sul mio corpo come un grosso macigno.
Apro gli occhi lentamente lasciando che si abituino alla luce della stanza. Mi giro su un fianco e le lenzuola scivolano sul mio corpo regalandomi un po’ di frescura.
«Buongiorno. Sono le ore nove del giorno 3 Luglio 2971. La temperatura esterna è di 22 gradi con aria respirabile all’ottanta per cento. Desidera qualcosa?»
Osservo l’ologramma comparso davanti al mio letto.
E’ un’infermiera giovane, con i capelli castani tagliati corti sotto le orecchie e gli occhi color miele. Mi sorride cortesemente mentre attende una mia risposta.
Per un attimo mi ero illuso di essere nuovamente su Syon, invece sono qui, sulla Terra in un centro per gli anziani che aspetto solo di morire.
«No grazie, sono a posto per ora.»
La giovane donna annuisce e si dissolve lasciandomi solo.
Da un angolo della stanza arriva un grugnito.
Forse è il vecchio Kurd. Quel molliccio di un Grog ha sempre gli incubi ultimamente.
Provo ad alzarmi per avvicinarmi alla finestra ma non ho abbastanza forze così mi lascio ricadere sul materasso con un sospiro.
Dio quanto è brutto invecchiare.
Soprattutto soli.
«Uno, due, tre…dove sei piccolo mio?»
Sono qua, rispondo alla pallida luce al neon posizionata sopra la mia testa.
Delle risate scuotono il mio cervello togliendogli lucidità.
Calde lacrime solcano il mio viso rugoso e decrepito.
«Infermiera, abbaio alle macchine, infermiera!»
Non c’è bisogno di dire altro.
Un piccolo sibilo precede l’arrivo di un liquido azzurrognolo in uno dei tubi a cui sono collegato.
Un sonno senza sogni mi avvolge tra le sue braccia.
  
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