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Autore: moonwhisper    24/12/2007    1 recensioni
Nessuna scelta ora, è troppo tardi.
Lascialo andare, ci ha rinunciato...portami via.
La vita sembra irreale. Abbassando lo sguardo a volte ci si sente meglio...
Il mondo è spacciato ma a me non interessa perché...io sono con te.
La prima volta, è successo troppo velocemente.
La seconda volta, ho pensato che sarebbe durato.
Siamo tutti così in modo un po' diverso...
Soli...Insieme
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Cosa mangiamo stasera?-
Laura chiuse sconsolata l’ennesimo stipetto vuoto. Guardò i ragazzi, e si chiese cosa era uscito dalla sua bocca.
Che avesse sbagliato ad esprimersi?
Bill aveva lo sguardo smarrito e aveva smesso di giocherellare con il tovagliolo che stringeva in mano. Georg si era fermato a metà del gesto di scuotere i capelli. Tom aveva fatto cadere la pallina di stagnola che stava lanciando in aria da dieci minuti.
Calò il silenzio. Eppure fino a poco prima stavano tutti chiacchierando allegramente.
L’unico a non scomporsi più di tanto fu Gustav.
-Di solito ordiniamo qualcosa…una pizza…o ristorante cinese insomma…- rispose.
Gli altri annuirono riacquistando le facoltà motorie.
-Cioè non avete mai cucinato niente in vita vostra?!- chiese Laura sconcertata. I quattro scossero la testa quasi con terrore –ma dai! È assurdo!- esclamò.
Si guardò intorno.
-Allora, stasera vi insegnerò a cucinare- decretò.
Bill spalancò gli occhi, Georg la guardò impaurito, Tom sbatté le palpebre. Solo Gustav sorrise –Basta fare un po’ di spesa…anzi quasi quasi ci vado ora! Chi mi accompagna?-
Silenzio.
-Io e Tom non possiamo venire…- disse Bill.
-Perché?- chiese Laura.
-Ci vuoi interi stasera o vuoi cucinare un minestrone con i nostri pezzetti residui dentro?- disse Tom sorridendole.
Laura sbuffò. Per lei era difficile ricordare che senza guardie del corpo non si andava da nessuna parte. Era una cosa così antipatica.
A soccorrerla arrivò Gustav.
-Ti ci accompagno io- dise.
Laura sorrise.
-Ah ma quindi non era uno scherzo?- chiese Georg sarcasticamente.
Un secondo dopo una pallina di carta stagnola lo colpì al naso.

Lei e Gustav raggiunsero il supermarket a piedi.
Saki aveva preteso che lei indossasse un orrendo cappellino e gli occhiali da sole di Bill. Si sentiva un’idiota ad andare in giro bardata in quel modo.
Gustav la seguiva con un cestino in mano e Laura ci lanciava dentro tutto quello che pensava potesse servire per quella sera.
-Gustav…posso farti una domanda?- chiese ad un certo punto al biondino. Lui annuì.
Gustav le piaceva: era tranquillo, posato e, soprattutto, era intelligente.
-Come fai a sopportarli senza menarli tutti e tre?-
Gustav rise.
-Non sono poi così male- rispose riordinando i pacchi di spaghetti nel cestino. Laura sorrise.
-Non ti da fastidi che siano tutti concentrati su Tom e Bill? Cioè…io lo troverei snervante.- aggiunse infilando dei pomodori in una busta di plastica trasparente.
-Mmm…no. Sai è tutta una questione di equilibrio in realtà- disse Gustav.
-In che senso? Spiegati- Laura pesò i pomodori e appiccò sopra la busta lo scontrino che la bilancia aveva stampato.
-Vedi, tutto si gioca sui ruoli. Io sono il calmo del gruppo, quello a cui piace stare più in disparte. Loro due sono quelli che amano di più l’attenzione del pubblico e delle ragazze-
-Perché tu non ami l’attenzione delle ragazze?- lo interruppe Laura.
-Certo che si, però trovo giusto che Tom e Bill ricevano più attenzioni da parte del pubblico. A loro piace. Dal canto mio mi basta una batteria, e fare un po’ di casino alla fine dei concerti. Mi va bene così! non amo molto avere troppa attenzione su di me-
Laura lo guardò.
-Sei saggio Gustav- disse sorridendo. Lui rise.
-E tu sei troppo furba per essere una ragazza- disse mettendo due confezioni di birra nel cestino.
-Ma no!- esclamò Laura.
Finirono chiacchierando di fare la spesa.
Soltanto alla cassa una ragazzina parve riconoscere Gustav, ma prima che dicesse qualsiasi cosa, loro due si dileguarono.

-Bill, aiuta Gustav a tagliare i pomodorini-
Il ragazzo la guardò e le sorrise. Poi si tirò su le maniche della tuta nera che indossava e prese un coltello dal cassetto, raggiungendo Gustav alla penisola.
-Tom, metti su l’acqua…usa questa pentola- Laura passò a Tom una pentola pesante, che lui si affrettò a riempire nel lavandino.
-Georg, quando l’acqua si è scaldata un po’ aggiungici due belle manciate di sale. Ah…e legati quei capelli- Laura si sfilò un elastico dal polso e lo lanciò al ragazzo, che si stava prendendo a spallate con Tom.
La cucina sembrava un campo di battaglia. Tutto era illuminato a giorno. Sul tavolo erano accatastati i piatti, i bicchieri e le posate che avrebbero dovuto usare per la cena. Laura li aveva spolverati tutti.
Bill e Gustav stavano cercando di schizzarsi il liquido dei pomodori negli occhi.
-Ragazzi guardate che brucia- li avvertì Laura. Poi prese una padella e la mise sui fornelli. Prese a tagliare un pezzo di cipolla e le salirono le lacrime agli occhi. Lanciò in fretta i pezzettin nella padella e ci aggiunse dell’olio.
Stava accendendo il fuoco quando sent’ qualcuno appoggiarsi a lei e cingerla con le braccia. Tom le baciò il collo.
-Con i capelli tirati su così sei sexy- le sussurrò nell’orecchio. Laura sorrise.
-Tieni, mangia questo- disse, infilandogli in bocca un pezzetto di cipolla. Lui ubbidì.
Dopo nemmeno un minuto sputò nel lavandino.
-Tom stai attento! Per poco non centravi la pentola!- disse Georg schifato. Tom ingoiò dell’acqua dal rubinetto.
-Potevi dirmelo che era cipolla- disse facendo schioccare la lingua.
-E che gusto c’era? Mi dispiace caro ma per stasera dovrai placare i bollenti spiriti. Non ci penso proprio a baciarti con quel saporaccio che avrai in bocca-
Bill, Georg e Gustav risero.
-Ti ha fottuto collega- disse Georg. Tom sorrise furbescamente.
-Ah questo è quello che crede lei- disse dirigendosi a grandi passi verso Laura.
Lei cercò di scappare rifugiandosi dietro il tavolo, ma i tentativi furono inutili. Tom la bloccò e la costrinse a baciarlo.
-Bleah…disgustoso- disse Laura staccandosi.
-Così impari a imboccarmi a tradimento- disse Tom tornando alla sua padella con un sorriso di vittoria. Gli altri scossero la testa divertiti.

La cena fu piacevole.
Guardare i ragazzi alle prese con gli spaghetti per lei fu uno spasso unico.
Tom si sporcò la maglietta di sugo, Bill il naso. A metà della cena Georg catapultò per sbaglio un pomodoro addosso a Gustav e Tom vendicò il compagno infilando uno spaghetto nella maglietta del bassista.
Restarono in piedi fino a tardi a lavare i piatti.
Ad un certo punto Tom, Bill e Gustav andarono a dormire, e a finire il lavoro restarono lei e Georg.
Georg tirava fuori i piatti dal lavandino e lei li asciugava e li conservava.
-E’ tua la ricetta che ci hai fatto preparare stasera?- chiese il ragazzo passandole un piatto.
-No…è di mia madre. Lei è italiana- rispose. La sua voce aveva un tono affettuoso. Si stupì nell’ascoltarsi.
-Ah…hai capito- Georg traballò passandole un bicchiere. Laura lo afferrò per non farlo cadere. Che fosse brillo era evidente, e dopotutto non se ne stupì, aveva bevuto più di tutti durante la cena.
Quando vide che aveva recuperato l’equilibrio fece per lasciarlo, ma lui le afferrò un polso.
Laura lo guardò.
-Georg ma che…-
Prima che potesse finire il ragazzo la spinse contro il muro e la baciò, le mani che la toccavano dappertutto. Laura si divincolò cercando di spingerlo via.
-Ma che fai?!- esclamò alzando la voce. Georg provò a baciarla di nuovo, spingendo la bocca dentro la sua. Laura provò di nuovo a toglierselo di dosso.
Aveva paura. Terrore. Non sapeva cosa fare.
-Su Laura non fare così- disse il ragazzo vicino al suo viso. Aveva l’alito che sapeva di birra.
-Lasciami andare- disse. La voce voleva tremare, ma riuscì a tenerla ferma.
-Dai Laura, non fare la difficile. Solo una volta. Tom non lo saprà mai- insisté lui.
Laura raccolse tutte le sue forze e lo spinse lontano da se.
-Ho detto no-
Georg la guardò con odio.
Laura si risistemò la maglietta e raccolse lo strofinaccio che era caduto a terra.
Se ne andò, cercando di non camminare troppo in fretta.
-Stronza. Sei una groupie, e le groupie vanno a letto con tutti quelli della band. Prima o poi lo imparerai-
Quelle parole la inseguirono su per le scale e lungo il corridoio.
Non la lasciarono nemmeno quando chiuse la porta della stanza di Tom dietro di se e si stese sotto le coperte accanto a lui, che dormiva beato.
Rimase immobile tutta la notte, gli occhi spalancati nel buio, quelle parole che le riecheggiavano nella testa. Di nuovo…di nuovo.

La mattina seguente non si alzò.
Sentì Tom vestirsi e baciarla sulla guancia prima di uscire dalla stanza, ma continuò a far finta di dormire. Ascoltò le voci degli altri nel corridoio e con un sussulto riconobbe la risata di Georg.
Dopo un’ora cadde il silenzio.
Solo quando si ricordò che quella mattina i ragazzi avevano un appuntamento in produzione decise di uscire da quella stanza.
Si sentiva uno straccio e non sapeva se a provarla di più erano i postumi della notte insonne o i particolari della sera prima, che continuavano a riaffiorare violentemente davanti ai suoi occhi, implacabili.
Scese in cucina. Li tutto era uguale, come a voler sottolineare che non era successo niente di così grave.
Prese un bicchiere dalla credenza e ci versò dell’acqua dentro.
Quando si rese conto che era lo stesso che aveva riposto prima che il fatto accadesse, scoppiò a piangere.
Ricomparve Georg, ricomparvero la sua voce e quelle parole.

Bill si tolse le cuffie e uscì dalla stanza insonorizzata. Aveva sete.
Quella mattina Tom, Georg e Gustav dovevano discutere con David di alcune migliorie da fare sul suono e la sua presenza non era necessaria, perciò aveva preferito rimanere in studio a provare qualcosa.
Salì le scale controvoglia. Ogni maledettissima volta si dimenticava la bottiglia d’acqua sul tavolo. Imprecò sottovoce.
Solo quando entrò in cucina e vide quello che vide interruppe la serie di improperi che gli uscivano dalla bocca.
Seduta a terra, la schiena contro la credenza e un bicchiere in mano, c’era Laura in lacrime. Continuò a piangere silenziosamente anche quando lo vide. Aveva il viso pallido e le occhiaie.
“Fai qualcosa! Muoviti!”
Bill le si avvicinò cautamente. Si accovacciò di fronte a lei che abbassò gli occhi, gocce salate che le scivolavano lungo le guance.
-Che succede?- chiese a bassa voce.
Lei non rispose.
-Ok dai…- Bill le sfilò il bicchiere di mano e lo posò sul tavolo, poi si sedette accanto a lei.
Restarono in silenzio per un po’. Al suo fianco Laura continuava a tremare. Si sentiva stupido e impotente.
-Vuoi abbracciarmi?- chiese sussurrando.
Laura lo guardò. Aveva gli occhi arrossati. Annuì piano.
Bill la strinse a se con dolcezza.
La ragazza appoggiò il viso sulla sua spalla e lo abbracciò.
Sentirla sussultare sotto le sue mani, scossa dai singhiozzi, avvertire le sue lacrime che gli bagnavano il collo, lo fece stare ancora peggio.
Che cosa l’aveva sconvolta in quel modo?
Forse voleva tornare a casa sua? Forse le mancava qualcuno?
Bill fece tante supposizioni in quei dieci minuti che rimasero abbracciati, ma nessuna lo soddisfò o lo convinse. C’era qualcosa di più, lo intuiva, ma cosa fosse gli era impossibile capirlo.
Il respiro di Laura si fece più regolare con il passare dei minuti.
-Vuoi scendere giù con me?- le chiese nell’orecchio.
La ragazza sciolse l’abbraccio, gli occhi gonfi e la pelle chiazzata di rosso.
-Si- rispose con voce roca.
Bill l’aiutò ad alzarsi. Gli sembrava di avere tra le braccia qualcosa di troppo fragile per essere toccato.
Scesero insieme in sala registrazione.
-Siediti qui- disse facendola accomodare alla poltrona di fronte ai controlli. Laura ubbidì in silenzio.
-Ok, metti queste- Bill le fece indossare un paio di cuffie –Oa io passo di la, quando ti faccio un segno tu schiaccia questo pulsante rosso- aggiunse indicandole un grosso bottone di plastica –Puoi alzare o abbassare il volume con questa levetta. Il resto dei pulsanti non ho la più pallida idea di come funzionino…quindi ignorali-
Laura annuì impercettibilmente.
-Io passo di la. Stamattina dovrai sopportarmi, mi dispiace- disse alla ragazza. Lei si aprì in un sorriso umido.
Era carina e terribilmente tenera così stravolta.
“Smettila! Smettila Bill!”Bill passò nella stanza insonorizzata e si sedette sull’alto sgabello, sporgendosi verso il microfono. Alzò il pollice e vide Laura premere il bottone oltre lo spesso vetro.
“Zum ersten Mal alleine
In unserem Versteck…”

Quella canzone era una delle sue preferite, nonostante l’avesse sentita ben poche volte dal vivo.
Cantata a cappella da Bill, in una mattina come quella, fu una cosa completamente nuova.
Con le cuffie le sembrava che il ragazzo le sussurrasse nelle orecchie le parole della canzone. Laura alzò il volume e guardò Bill. Aveva chiuso gli occhi. Lo osservò bene. Aveva i capelli lisci come la prima volta che l’aveva visto, sul quel palco a Monaco, che sembrava così lontano.
Era affascinante, era diverso. Forse era proprio quella diversità a renderlo interessante. Indugiò con gli occhi sul suo viso, sulle sue labbra, le mani appoggiate sulle cuffie. Pensò che cinque minuti prima erano stretti, vicini.
Brivido.
Laura abbassò subito gli occhi, come se qualcuno l’avesse colta in flagrante a rubare o peggio.
Che cosa stava pensando?! Era impazzita?!
Chiuse gli occhi e rilassò la mente. La voce le entrò dentro, lasciandola galleggiare in un luogo non ben precisato lontano dal suo corpo e dal suo dolore.
Quando la canzone finì lei non se ne accorse immediatamente. Aprì gli occhi e incrociò quelli di Bill.
Si sorrisero.

Bill continuò a cantare fin quando lei non si riprese del tutto, poi l’accompagnò al terzo piano e le impose di riposarsi.
Laura cercò debolmente di opporsi. Ma in fondo non le dispiaceva per niente l’idea di dormire un po’.
-Dormi quanto ti pare- disse Bill coprendola –Ne hai bisogno-
Laura fece un sorriso stanco.
-Grazie Bill- sussurrò.
Il ragazzo si sporse su di lei e le diede un bacio sulla guancia.
Laura non riuscì ad ignorare la capriola inquietante che fece il suo cuore. Bill aveva un buon profumo.
Quando il ragazzo lasciò la stanza lei si appoggiò sul fianco.
Decise di soffocare i sensi di colpa. Non stava facendo nulla di male in fondo.
Chiuse gli occhi e si addormentò, cullata dalle parole di quella canzone che sentiva ancora, sussurrata nelle sue orecchie.


 

  
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