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Autore: Fran6277Echelon    09/06/2013    2 recensioni
Se pensate che questa storia inizi con il solito 'C'era una volta' vi sbagliate di grosso.
Questo non è l'inizio di quella che potrebbe essere una fiaba, con principesse, castelli e palazzi. Questo è l'inizio di una storia che va oltre ogni immaginazione. Una storia piena di misteri e segreti, amori impossibili, cuori spezzati.
Ma se proprio ci tenete allora potrei accontentarvi, iniziando la storia con il fatidico 'C'era una volta', raccontando di come Cappuccetto Rosso s'innamorò del lupo cattivo.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Bondage, Spoiler!
Capitoli:
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                                  -Time To Do or Die-


Demetra London iniziava a sospettare che nella città del sovrannaturale -E soprattutto, a quello che una volta, per assurdo, era stato il suo fidanzato- stesse succedendo qualcosa di sostanzialmente inspiegabile.
Erano stati tre giorni d'inferno, per l'umana.
Non aveva messo per nulla i piedi fuori di casa, ne respirato aria pulita o fatto amicizia con quella banda di ragazzini che passava inspiegabilmente la maggior parte del tempo insieme a Derek.
In secondo luogo, comunque, la London aveva deciso di rimanere a poltrire nel suo letto fino all'arrivo del giorno in cui avrebbe avuto il famoso appuntamento con Isaac.
Avvolta da un'involucro di coperte pesanti, passava la maggior parte del tempo davanti la tv, annoiandosi più di quanto non si sarebbe mai immaginata, fino a quando non si era resa conto che nella sua dispensa non vi erano più viveri, e se non si fosse sbrigata a fare la spesa, a meno che il suo stomaco non avesse nutrito improvvisamente un'amore incondizionato verso il mobilio di villa London,  sarebbe presumibilmente morta di fame.
Oh, e dulcis in fundo, meraviglia delle fottute meraviglie, Derek Hale non le aveva più rivolto la parola, né inviato uno schifosissimo e misero messaggio. A questo punto, all'umana veniva da pensare che quell'odiosissimo -e bellissimo!- lupo mannaro, soffrisse di memoria a breve termine, visto e considerato che sembrava essersi dimenticato di averle detto -ordinato- di precipitarsi urgentemente -senza obiezioni, perché altrimenti sarebbe andato a prenderla in Russia per poi trascinarla a Beacon Hills dai capelli- in quello schifo di città.
E lei ancora non ne capiva la necessità.
Lui. Non. Le. Aveva. Ancora. Spiegato. Un'accidente.
Iniziava a pensare che fosse veramente diventato rincoglionito nel corso degli anni, o che avesse quantomeno iniziato a fare uso di sostanze di dubbia legalità e ad ammazzarsi di steroidi, vista la sua eccessiva -e irresistibilmente irresistibile- massa muscolare.
Bah. BAH.
Di positivo almeno c'era che in questi giorni né Peter, né il ragazzo che era andato a prenderla in aeroporto -aveva avuto modo di fare amicizia con lui e aveva realizzato che, se non fosse stato per la sua natura eccessivamente logorroica, sarebbe stato un ragazzo simpatico al cento per cento- non l'avevano lasciata sola neanche un secondo.
Certo, venivano contagiati dalla sua apatia e dalla sua pigrizia disumana, ma non uscivano da quella casa fino a quando Demetra non sprofondava tra le braccia di Morfeo, durante la notte.
Dopo, ad insaputa della ragazza, era Derek che la controllava nel sonno, seduto nell'angolo più remoto della stanza, perso nei suoi pensieri e negli innumerevoli ricordi legati a Demetra.
Da quando gli Alpha -Tutti gli Alpha- erano diventati inspiegabilmente -che fastidiosissima coincidenza- vicini di casa di Demetra, nessuno del branco -nemmeno Erika- lasciava la ragazza da sola.
Erano sempre intorno a casa sua a controllarla, a perlustrare il territorio e a difenderlo, se fosse stato necessario.
Demetra iniziava, per assurdo, a sentirsi fastidiosamente osservata e stalkerata.
Una brutta, bruttissima sensazione.
Persino in quel momento, mentre sceglieva tra varie e innumerevoli scatole di biscotti quella che conteneva i più buoni di tutto il mondo, si sentiva osservata.
Aveva una strana sensazione e più volte si era guardata in torno, nella speranza di scovare il suo stalker con scarsi risultati.
Si facevano tutti gli affari propri, e poi in quel supermercato erano, per la maggior parte, tutti anziani.
Si scostò una ciocca ribelle di capelli corvini dal viso, portandola delicatamente -come faceva ormai abitualmente- dietro all'orecchio, dopo essersi guardata intorno ancora una volta.
La decima nel giro di qualche minuto, per la cronaca.
Quella specie di brivido che sentiva attraversargli la schiena iniziava a diventare paradossalmente fastidioso.
Stava giusto per alzarsi sulle punte, comunque, decisa a prendere la scatola di biscotti con le scaglie di cioccolato, quando qualcuno l'anticipò senza farla sforzare più di tanto.
L'unica cosa che riuscì a vedere per qualche secondo fu un braccio muscoloso ricoperto da una manica nera in pelle, poi i suoi occhi si spostarono sulla figura -dannatamente sexy- del ragazzo.
Un sorriso malizioso ma cordiale al tempo stesso le comparve sul volto, quando quest'ultimo le porse la scatola.
-Per te, splendore- pronunciò il ragazzo, sfoderando uno di quei sorrisi sghembi che avrebbe dovuto farla arrossire.
Infatti. Avrebbe.
Demetra continuava ad osservarlo imperturbata, colta da un'improvvisa -e inspiegabile- atarassia, che lasciò sbigottito -anche se non lo dava a vedere- il ragazzo, sempre abituato a vedere ragazze cadergli ai piedi quando sfoderava sorrisi come quello.
Demetra si era solamente preoccupata di afferrare la scatolina e infilarla nel cestino della spesa, senza arrossire neanche un minimo o ringraziarlo.
Che. Nervi.
-Tu sei Demetra, no?!? Siamo vicini di casa- Tentò di attaccare bottone lui, mentre la ragazza si muoveva sinuosamente verso un'altro scaffale.
Il ragazzo non poté fare a meno di lasciar scivolare il suo sguardo sulle sue gambe snelle -e, ammettiamolo, anche un pochino più su- deglutendo e sorridendo maliziosamente, mentre la seguiva.
-Lo so, zuccherino- rispose lei semplicemente, senza fissarlo negli occhi.
Così non andava. NON. ANDAVA.
Non solo il comportamento di quella ragazza era un duro colpo per il suo orgoglio maschile, ma se non si fosse sbrigato a fare ciò che il suo capo gli aveva ordinato di fare, probabilmente lo avrebbe ucciso. Brutalmente ucciso.
Si portò una mano sul collo deglutendo per la paura di commettere un passo falso.
Doveva fare qualcosa, tipo presentarsi.
-Sono Ethan, comunque- si presentò, dunque, allungando la mano verso la ragazza che lo ignorò prontamente. Onestamente, per quanto quel ragazzo potesse essere bello e attraente e sexy, l'unica cosa che Demetra voleva fare in quel momento era comprare il necessario e poi scappare dritta dritta a casa, anche perché Isaac sarebbe passato a prenderla quella sera.
-So anche questo- sospirò lei, mantenendo comunque quell'atteggiamento apparentemente calmo e fastidioso. -E so anche che hai un fratello gemello di nome Aiden, ma poco m'importa in questo momento. Vuoi sapere perché? Ho una voglia matta di tornare a casa a poltrire sul mio divano.-
Una confezione di cereali finì nel cesto che la ragazza teneva svogliatamente sull'avambraccio, seguita a ruota da un pacco di ciambelle zuccherate.
Era chiaro -anzi, no. Cristallino- che si prospettava una giornata secondo lo stile di vita di Homer Simpson, per la ragazza.
O perlomeno fino a quando non sarebbe arrivato Isaac a strapparla dalle grinfie del suo amatissimo divano, perciò -se il lupo che le stava davanti non l'avesse capito- andava piuttosto di fretta.
Ethan, dal canto suo, sapeva che non avrebbe potuto mettere piede fuori di li se non fosse riuscito a -come si suol dire- far cadere il topo in trappola, dunque si affrettò a braccarle ancora una volta la strada, poggiando il braccio sullo scaffale -secondo i gusti della ragazza con una forza esagerata- per impedirle di passare.
Demetra lo fissò scocciata, inclinando la testa leggermente di lato.
Ci mancava solo il ragazzino presuntuoso che non sapeva accettare un due di picche, ora il quadro era completo.
Seccante, seccante da morire.
-D'accordo. Quanto vuoi per sparire dalla circolazione?- chiese irritata, facendo bene attenzione a reggere lo sguardo del biondo.
Il ragazzino scocco le labbra, ghignando divertito.
Era una tosta, Demetra. Sapeva sicuramente il fatto suo e -oltre ad essere incredibilmente insopportabile, in quel momento- lo voleva palesemente fuori dai piedi.
Giurò di non aver  mai, mai incontrato una ragazza così odiosa, cocciuta, imperturbabile -e chi più ne ha più ne metta- in vita sua.
Quasi stentava a credere che una persona così disinteressata --e bellissima- potesse presentare una minaccia.
Tuttavia, non le dette una risposta che potesse essere definita come tale.
Un'alzata di spalle, ecco come le aveva risposto.
Con un'alzata di spalle che la fece sbuffare rumorosamente.
-Ragazzino, non ho tempo da perdere- lo liquidò -o quantomeno tentò di farlo- prima di muoversi velocemente verso un altro reparto.
E lui la seguiva, continuava a seguirla.
L'umana credette, per un millesimo di secondo, -o forse più- che non sarebbe mai riuscita a levarselo dai piedi.
Che. Seccatura.
Se c'era una cosa che Demetra London odiava, era essere disturbata -o in questo caso, seguita in silenzio da un ragazzino- quando aveva effettivamente fretta.
-Hai intenzione di starmi alle calcagna fin quando non uscirò di qui, vero?- chiese mentre rifilava una confezione di pasta nella cesta, prima di dirigersi alla cassa.
Sempre seguita da quel ragazzino.
La stava. Ancora. Seguendo.
-Probabile.- rispose lui sbrigativo.
-Non hai niente di meglio da fare?- chiese a questo punto, e già iniziava a passare gli alimenti alla cassiera.
Riflettendoci, aveva abbastanza viveri per sopravvivere una settimana. Almeno non avrebbe messo piedi li dentro per un po' e quindi non avrebbe corso il rischio di essere importunata ancora in questo modo da un ragazzino.
Sempre che Ethan non avesse deciso di presentarsi alla porta di casa sua, il giorno seguente, e romperle le scatole più di quanto stesse facendo in quel momento.
Quella si che sarebbe stata una vera e propria seccatura.
-A dire il vero, ho da fare un sacco di cose- rispose fissandola, enfatizzando l'ultima parola come a voler far capire quali fossero quelle cose, sorridendo infine malizioso.
Si sforzò di non commentare, Demetra, sospirando e rimanendo in silenzio e nella calma più assoluta ad aspettare che la cassiera le imbustasse le cose.
Di certo non lo avrebbe fatto lei, le lanciò per l'appunto un'occhiata d'intesa, subito dopo aver distolto lo sguardo da quello del ragazzino, e sorrise vittoriosa, quando la cassiera, infastidita da una silenziosa richiesta come quella, iniziò ad esaudire il suo desiderio.
Ethan la stava osservando ancora, intanto, palesemente incuriosito e irritato dalla sua figura e dal suo atteggiamento pretenzioso.
I capelli corvini le ricadevano in modo disordinato lungo le spalle, ricoperte da un semplice giubbottino in pelle nera che era in netto contrasto con la canotta grigia -e abbastanza aderente. TROPPO ADERENTE- che indossava.
La luce fastidiosa delle lampade a neon risaltava, tuttavia, la sua pelle diafana e pallida che dava ai tratti del suo viso un'aspetto elegante e posato, i suoi occhioni color ghiaccio erano fissi sulla cassiera, che continuava ad imbustare le poche cose che aveva deciso di comprare la ragazza, e anche da quella posizione, il licantropo, pensava che fossero assurdamente penetranti.
E belli.
Dannatamente belli.
Un'azzurro ghiaccio che, nonostante la sua freddezza, aveva la capacità di essere paradossalmente caldo e denso.
-Mi sento osservata, Ethan-dichiarò la ragazza, spostando finalmente lo sguardo su di lui.
Sobbalzò, il licantropo, sentendo il suo cuore spiccare il volo, quando s'immerse in quegli occhi.
Cosa diavolo gli stava succedendo?
Cosa. Gli. Stava. Succedendo?!
Non poteva permettersi di provare emozioni simili -così forti, così utopicamente forti- per lei.
Sbatté le palpebre più volte, per riprendersi, prima di sorridere in direzione della ragazza.
-È impossibile non osservarti, splendore- rispose.
Demetra alzò gli occhi al cielo sbuffando.
Prese le buste, pagò e si diresse velocemente verso l'uscita, come se avesse avuto il diavolo alle calcagna.
Sapeva benissimo che il ragazzo la stava seguendo, e questo la infastidiva.
Per l'appunto, non appena furono all'aria aperta, per la prima volta -LA PRIMA- dopo tanto tempo, Demetra abbandonò il suo atteggiamento calmo e posato dando spazio a quello spazientito ed irritato.
-Cosa diavolo vuoi da me?- sbottò, facendo ridacchiare il ragazzino.
-Nulla d'importante a dire il vero. Voglio solo conoscerti un po'- rispose, facendo alzare nuovamente gli occhioni azzurri al cielo alla ragazza.
-In un supermercato? Bel posto per 'conoscermi un po'-
Il ragazzo rise divertito.
-Hai ragione, scusa- disse -Potrei invitarti a casa mia qualche volta. Sai, tra qualche giorno diamo una festa in piscina, io e mio fratello. Puoi venire se vuoi.-
Ragazzi sexy in costume da bagno e feste, due cose che Demetra adorava.
Poteva dire di aver preso due piccioni con una fava.
Sbuffò, imponendosi di rilassarsi, e si ravvivò i capelli corvini con la mano che non reggeva le buste.
-Ci penserò, okay?- disse solamente osservando il ragazzo, che intanto annuiva.
Mantenne il tono di voce volutamente neutro, non era una cosa spontanea, come al suo solito.
I tratti del viso erano appena tesi, ma comunque abbastanza rilassati.
Odiava sentirsi così, irritata e turbata.
Odiava urlare contro la gente.
E per ultimo, ma assolutamente non meno importante, odiava quel dannato ragazzino, che aveva avuto la decenza - o indecenza- di farle saltarle i nervi in meno di qualche secondo.
E lei non la perdeva mai, la calma.
Sospirò. -E pensare che esiste un altro 'te'- continuò, facendo ridere ancora una volta il ragazzo.
-Ti assicuro che mio fratello non è per niente come me. Lui è...più impulsivo.-
E meno male, che non l'aveva seguita Aiden fino al supermercato, perché lui di certo non si sarebbe limitato a seguirla, importunarla e farle quattro domande in croce.
Sarebbe andato diritto al sodo, e probabilmente l'avrebbe portata via di li per poi ucciderla.
A quel pensiero il ragazzo rabbrividì.
No, no, no, no, no.
Che stava facendo? Non poteva permettersi una cosa del genere. Gli ordini sono ordini, e di certo lui non avrebbe disobbedito al suo capo.
No. Dovevano ucciderla, anche se era bella. Dannatamente bella.
-Oh, perfetto.- decretò lei con sarcasmo, strappando un altro sorriso al giovane.
-Allora, lo vuoi un passaggio fino a casa?- chiese lui.
Demetra stava giusto per dire che si, avrebbe voluto un passaggio fino a casa.
Non le andava di camminare per altri 3 isolati con delle pesanti buste in mano e, doveva ammetterlo, quel ragazzo le avrebbe salvato la vita -o i suoi graziosi piedini- accompagnandola.
Ma non riuscì comunque a proferire parola. Una Camaro frenò bruscamente davanti al supermercato, mostrando alla London, che si era immediatamente voltata, la bella -e arrabbiata- figura di Derek.
Okay, questo era decisamente strano.
-Sali in macchina- ordinò, osservando, con quanto più astio si potesse concentrare in una sola occhiata, l'altro licantropo dalle lenti scure dei suoi occhiali.
-Hale, mi segui adesso?- chiese irritata Demetra, osservandolo.
-Ho detto di salire in macchina.-
E non se lo fece ripetere altre volte.
Prese posto sul sedile anteriore, affianco al conducente, sprofondando nella pelle morbida e comoda di esso.
Sospirò -per l'ennesima volta- finchè Derek partiva a tutta velocità diretto chissà dove.
Precisamente, ora si ritrovava con un vicino che era la perfetta e bellissima reincarnazione di uno  stalker che ancora non aveva smesso di fissarla e un ex-fidanzato arrabbiato -e troppo geloso e possessivo persino per i suoi standard, a detta della ragazza- da addomesticare.
Perfetto. Di male in peggio.

-o-

Ethan però non era ancora riuscito ad allegare l'aggettivo 'pericolosa' accanto al nome di Demetra.
Tutt'altro.
Eppure lo aveva visto con i suoi occhi da licantropo che era andata via con Derek Hale, ci aveva riflettuto per tutto il viaggio di ritorno a casa.
E nonostante questo continuava a pensare che non ci fosse nulla di pericoloso in quella ragazza, se non la sua bellezza disarmante.
-Da quando tuo fratello ha un rapporto così simbiotico con la sua coscienza, Aiden?!- la voce di  Cora distrasse il licantropo dai suoi pensieri bruscamente.
Sentì chiaramente la risata divertita del fratello e sbuffò.
Se c'era una cosa che odiava era passare del tempo con quei due, erano la sua rovina.
-Temo da quando abbia visto la nostra vicina di casa, sai?!- rispose Aiden, picchiettando al fratello una gomitata sul braccio, come a volerlo punzecchiare.
Sbuffò ancora.
Se avesse potuto si sarebbe piantato un proiettile di aconito nel petto.
-Ahi. È più grave del previsto. Scommetto che non riesci a levartela dalla testa, eh?!?- ridacchiò la ragazza, dando corda ad Aiden.
Oh. Dio.
-Non posso che darti ragione, sai fratellino?!?- disse il ragazzo. -Quella ragazza produce talmente tanti feromoni da rendere l'aria soffocante-
E scoppiarono ancora a ridere, come se avessero voluto far arrivare la pazienza del ragazzino, al momento seduto sul tappeto del salone con le gambe incrociate e il pugno della mancina a sorreggere il mento, al limite della sopportazione.
Bastavano poche gocce per far traboccare il vaso, e -a detta di Ethan- sarebbero arrivate presto.
Risero ancora per qualche minuto, portando avanti il divertente -fastidiosissimo- teatrino, ma quando si resero conto che il loro 'Romeo' li presente non stava ridendo affatto, capirono che effettivamente la cosa era più grave del previsto.
Il primo ad accorgersene fu appunto il fratello gemello, che, dopo aver picchiettato qualche colpetto sull'addome della ragazza -come a volerle far notare l'espressione turbata di suo fratello- si schiarì la gola, portando il pugno della mancina davanti alle labbra.
-Ethan, qualche problema?- chiese tentando invano di sembrare più serio possibile.
Il gemello sospirò.
-Oh-oh. Lei ti piace- Esclamò la ragazza, sbarrando gli occhi. -E questo è... Santo... Ethan questo è un problema enorme. Anomalo, pensa quando lo verrà a sapere De..- Sembrava che la ragazza stesse per aver una crisi di panico dovuta all'abominio che avevano appena sentito le sue orecchie.
Una crisi di panico che venne prontamente bloccata sul nascere dal ruggito del licantropo, e dai suoi occhi color cremisi e le sue fauci affilate che la fecero sobbalzare.
Lui non voleva sentire più una parola, riguardo l'argomento.
Non voleva accettare l'evidenza.
Non voleva che la verità gli si riversasse addosso come un secchio d'acqua gelata.
-Lei non mi piace- ringhiò, cercando di moderare il suo battito cardiaco con risultati accettabili. -Penso solo che non sia quello che è-
E ora era il silenzio ad essere diventato paradossalmente fastidioso, per i tre licantropi.
Aiden era sicuro intorno al novanta per cento dei casi che suo fratello avesse ingerito sostanze di dubbia legalità, al posto di andare a fare la spesa, e credette di averne  la conferma quando, con uno sbuffo sonoro, -l'ennesimo, per inciso- il fratello prese a camminare avanti e indietro nel salone dall'aspetto ottocentesco, passandosi nervosamente le mani tra i capelli biondi già esageratamente arruffati.
-Che intendi dire?- chiese, avanzando con esitazione verso di lui.
La ragazza, intanto, era rimasta ad osservare la scena ancora più sconvolta di quanto non lo fosse già, ferma in una posizione pressoché statica.
Ethan era palesemente in difficoltà. Già, che intendeva dire?
Che intendeva fare?
Cosa stava pensando?
Nella sua mente, i pensieri si accavallavano tra di loro, si accavallavano con i dubbi, le paure, le insicurezze, impedendogli per qualche secondo di formulare una frase quantomeno di senso compiuto.
E lui non sapeva cosa fare.
-Non lo so- sussurrò infine, combattuto tra la paura e il dubbio.
Sconfitto dalla sua stessa equivoca indecisione.
Suo fratello sospirò.
-Se quello che dicono è vero, noi dobbiamo...-
-...ucciderla, lo so- finì la frase per lui.
Il silenzio che seguì l'ultima frase del licantropo era diventato ancor più teso e fastidioso di quello precedente, ora neanche Cora sapeva più cosa dire o fare.
-Se lei ti piacesse, Ethan, questo sarebbe un problema-
E i suoi occhi erano bellissimi.
Azzurro ghiaccio.
La sua pelle diafana evidenziata appena dalla luce.
E le sue labbra, dio le sue labbra.

Sospirò, sconfitto e frustrato, chiudendo gli occhi e fermandosi in piedi davanti al divano.
-Lo so-

-o-

Demetra barcollò appena, non appena i suoi piedi affondarono nel terriccio umido della riserva, i suoi occhi erano spalancati e fissi sulle macerie di quella che una volta era stata villa Hale.
Una folata di vento le frustò il volto e, per un attimo, per un misero e meraviglioso attimo, la ragazza pensò di essere riuscita ad eliminare quella nota malinconica e sconvolta che le marcava prepotentemente il volto, sfigurando i suoi lineamenti nobili ed eleganti.
Deglutì. Più volte.
Aveva creduto -si era completamente convinta- che il tempo avesse congelato quelle lacrime di frustrazione, rabbia, desolazione e disperazione, che prontamente le avevano rigato il viso parecchie volte, prima che decidesse di scappare da Beacon Hills.
Sperò che il tempo avesse cancellato da ogni angolo del suo viso, ogni traccia di dolore e frustrazione che era presente nel suo stupidissimo cuore -al momento troppo impegnato a scalpitare freneticamente-.
Poi però si rese conto che non le era bastato, tutto quel tempo, e che ogni emozione bruciava ancora sulla sua pelle e nel suo cuore, in modo troppo ardente e forte perché il tempo riuscisse a spegnere.
Allora si fece forza, e con dignità trascinò tutta la sua sofferenza e la sua frustrazione sino alla porta cigolante e ormai distrutta di quell'ammasso di macerie, che un tempo l'aveva ospitata come una figlia della luna, dandole un posto dove dormire e degli amici con cui giocare e delle persone d'amare.
Le bastò un piccolo colpetto -proprio impercettibile- per far aprire la porta, che con un cigolio fastidioso e raschiante riempì il silenzio che si era creato tra Demetra e Derek.
L'odore di bruciato ormai era diventato pungente, asfissiante, fastidioso; così come il colore scuro di quelle pareti che un tempo erano di un colore acceso e allegro ed elegante al tempo stesso.
Sospirò, improvvisamente le macerie erano scomparse e lei si era ritrovata a galleggiare nei ricordi, nel passato.
Vedeva chiaramente l'arredamento umile e il buon gusto della madre di Derek, sentiva le risate e gli schiamazzi dei cuginetti più piccoli, Fred e Chad, zio Arthur impegnato in un'accesa discussione sul vino pregiato della Francia -un luogo che lui aveva amato incondizionatamente- insieme a Peter, zia Muriel e la sua spasmodica passione per i ricami -fatti da lei e che tappezzavano quasi ogni piccolo angolo della nobile villa- e poi Derek e Laura che litigavano per chi avrebbe dovuto usare la macchina quella sera, mentre lei li osservava divertita e felice.
Era stata l'ultima sera trascorsa in quella casa, e lei era felice.
Felice di avere una seconda famiglia come quella, una famiglia che le voleva bene quasi più di quella vera.
Batté le ciglia ripetutamente, ritornando bruscamente alla realtà.
Si era avvicinata a quella casa senza paure, con onore e fierezza e ora si ritrovava impaurita e spaesata e sconfitta dal suo stesso dolore.
E non vi era onore, in quel dolore, né fierezza, solo quegli occhi vuoti, freddi e spenti.
Derek la osservava, in silenzio, pronto ad acciuffarla nel caso in cui fosse svenuta -visto che il suo cuore batteva effettivamente troppo velocemente-.
Derek la osservava, e assaporava tutto il suo dolore.
Soffrivano insieme, soffrivano allo stesso modo.
-Perché mi hai portata qui?- sussurrò all'improvviso la ragazza, con un fil di voce talmente basso che per un secondo credette di non aver parlato affatto.
Derek, però, grazie al suo super udito, riuscì a sentirla, riuscì a sentire il suo tono accusatorio, e sospirò, colpevole.
-La sequestreranno.- soffiò lui affiancando l'umana, inebriandosi del suo profumo e aggrappandosi ad esso, aggrappandosi ai ricordi felici che erano legati a lei.
Una mattina di Giugno.
Un tetto e un cielo stellato.
Una canzone.
Le lenzuola sfatte di un letto che aveva i loro profumi addosso, che si mescolavano ed erano mervigliosamente..perfetti.
Una fotografia.
Un vestito verde smeraldo che giaceva a terra accanto ad una camicia di seta.
Una distesa di neve fredda, ma non abbastanza da spegnere il loro amore, che ardeva e bruciava dentro di loro
.
Sentì qualcosa rivoltarsi nello stomaco, il suo cuore che batteva  all'impazzata e giurò che, se fosse stato possibile avere un'indigestione di farfalle, ne avrebbe vomitate un bel po' ognuna  di diversa colorazione.
-Ed io perché sono qui?- chiese ancora.
Girò il collo pallido da cigno nella direzione del licantropo, e finalmente i suoi occhi, freddi come l'argento di un lago di notte, si scontrarono con quelli smeraldini del giovane.
E il suo cuore andò in tempesta, batteva all'impazzata, faceva capriole di gioia.
Riusciva a leggere, dentro di essi, l'esitazione che Derek ci stava mettendo nel risponderle.
Era come se non la volesse rendere partecipe dei suoi problemi, era come se le stesse nascondendo qualcosa di troppo grande e pericoloso, qualcosa che aveva una nota tetra e spaventosa.
Era come se la stesse proteggendo da se stesso.
-È...complicato- rispose lui sospirando.
Demetra sbatté le palpebre più volte, respirando regolarmente.
Lui stava omettendo.
E lei l'odiava.
La cosa sorprendente, comunque, era che, nonostante la giovane sentisse la rabbia ribollirle nel sangue, continuava a mantenere quell'aspetto calmo e posato, tipico di una donna di corte, di una regina, tipico di una nobile donna ottocentesca.
Non si scomponeva, quasi sembrava una statua di marmo, fredda e bellissima.
Piegò appena le labbra in quello che, all'apparenza, doveva essere un sorriso, prima di dirigersi in quella che una volta era la cucina.
Derek la seguiva, in silenzio, osservando ogni sua mossa, tenendo d'occhio i battiti del suo cuore e il suo respiro effettivamente irregolare.
Nella cucina le pareti erano ancora più nere. Carbonizzate.
Carbonizzate come il cuore della ragazza.
-Merito una spiegazione.- la sua voce era sorprendentemente ferma, tanto che lei si congratulò con se stessa per la perfetta recita.
-Questo non lo metto in dubbio- la voce del licantropo, invece, tremava appena e aveva momentaneamente spostato lo sguardo sul pavimento cigolante e distrutto. Non aveva il coraggio, né la forza, di fissarla negli occhi e di vedere quanto fosse dilaniata Demetra.
Carbonizzate come ogni suo muro di difesa.
-Ma non è esattamente il momento giusto per le spiegazioni- continuò.
Il cuore della ragazza aumentò la velocità, furioso.
-Ah, no?!- le sue dita tamburellavano nervosamente sul tavolo malridotto che vi era in quella stanza. -E quando sarebbe, esattamente, il momento giusto?-
-Dem...- la richiamò lui, chiudendo gli occhi e prendendo un respiro profondo, come se fosse stato in apnea per tanto tempo, come se gli mancasse il fiato nei polmoni.
Come se fosse alle prese con una bambina viziata.
-Non mi hai dato uno straccio di spiegazione- la voce della ragazza, ora, aveva cambiato sorprendentemente tono.
E tu non mi hai dato uno straccio di possibilità.
Non era effettivamente chiaro, quello che passava nella testa del licantropo in quel momento. L'unica cosa certa era che si trovava palesemente in difficoltà, in bilico sul filo letale delle sue decisioni.
Combattuto tra verità e menzogna.
Carbonizzate come ogni sua indiscutibile sicurezza.
Sospirò.
-Dem, è una lunga storia.- provò a spiegarle.
-Sono qui per ascoltarla.-
Cocciuta.
-Non...mi crederesti mai-
Realista.
-Ho sempre creduto a tutto ciò che mi hai detto.-
Bugiarda.
-Questa volta è diverso- tentò di persuaderla.
-Cosa diavolo può esserci di diverso?- urlò lei, ormai sull'orlo di una crisi.
Sbatté violentemente le mani sul tavolo, tanto che per un millesimo di secondo credette che si fosse sbriciolato sotto il tocco delle sue minuscole mani affusolate.
Una volta Derek aveva letto in qualche rivista di una malattia chiamata bipolarismo, ed era sicuro che Demetra ne fosse affetta.
Anzi, a dirla tutta, era quasi sicuro che sarebbe scoppiata all'improvviso in urlo di battaglia, annunciando l'arrivo imminente della guerra che avrebbero dovuto combattere a suon di insulti e minacce.
Ma questo probabilmente perché aveva semplicemente svegliato il can che dorme.
Aveva letto anche questo in una rivista.
Carbonizzate come la sua calma imperturbabile.
Sospirò.
Ecco. Era quello, il momento in cui avrebbe dovuto decidere se rischiare o tornare indietro.
Il padre di Demetra era stato chiaro, tempo fa.
Lei non avrebbe dovuto sapere nulla, nulla fino a tempo debito.
Fin quando tutte le alternative possibili avrebbero ricondotto alla verità, fin quando le cose non si sarebbero fatte effettivamente complicate, fin quando non ci sarebbero state più soluzioni.
Ora come ora, Derek, si trovava sopra un ponte traballante, diroccato, sospeso a mezz'aria sopra un mare di lava bollente.
E si stava sciogliendo la sua sicurezza imperturbabile, mentre lui si muoveva con esitazione verso la parte sbagliata.
Correndo ogni rischio, lasciando che l'unica corda sottile che teneva su quel ponte, si bruciasse per via della lava.
Le alternative possibili erano due:  Agire o morire.
E onestamente, non sapeva quale delle due fosse la  peggiore.
Demetra era l'unica cosa che gli rimaneva, l'unica persona che gli ricordava tremendamente Laura.
Perderla sarebbe stato come andare incontro al suo temibile destino, sarebbe stato come presentarsi alle porte dell'Inferno, e consegnare senza paure la sua anima dannata a Mefistofele.
Agire o morire.
E decise che valeva la pena di tagliare le corde di quel ponte traballante, e lasciarsi bruciare.
-Un branco di licantropi vuole ucciderti, Dem-
Demetra ci mise un po' a realizzare ciò che effettivamente aveva appena confessato il giovane che le stava davanti.
La sua mente, offuscata dalla rabbia, ci mise un po' a registrare quella frase.
Un branco di licantropi vuole ucciderti.
Carbonizzate come gli unici neuroni funzionanti di Derek Hale.
Strofinò le labbra tra di loro, tentando di apparire meno incredula di quanto non fosse.
-Licantropi?!?- disse, annuendo.
La voce appena tremante, segno che la rabbia, che fino a poco prima aveva tentato di contenere con ottimi risultati ,-o quasi- stava per esploderle dolorosamente nel petto.
-Licantropi- confermò lui, grattandosi la nuca titubante.
Agire o morire.
Omettere o mentire.

Era chiaro che Demetra non lo stesse credendo, lo si leggeva nei suoi occhi limpidi, al momento velati da una sottilissima rabbia pronta ad esplodere, pronta a trafiggerla come veleno.
Pronta a bruciarla, come stava bruciando lui. -E...e io devo proteggerti, perché...loro vogliono...-
Lasciò la frase in sospeso, gesticolando nervosamente con le mani.
Per un attimo, un millesimo di secondo, quando Demetra aveva annuito, si era convinto di essere riuscito a spiegarle ogni cosa e soprattutto si era convinto di essere stato creduto dalla ragazza, al momento troppo impegnata a fare avanti e indietro davanti al tavolo distrutto.
Ma poi si era improvvisamente fermata, e ora lo fissava negli occhi con delusione.
-Così è questa la tua scusa? Per il passato, per la tua telefonata improvvisa, è questa!?- Domandò, anche se più che una domanda sembrava una constatazione.
-Cosa? Dem, guarda che...- Ma lei lo bloccò, alzando il dito a mezz'aria.
-Esistono attualmente due alternative possibili: O...fingo di credere che tu sia convinto di ciò che stai dicendo, e ti porto in un'ospedale psichiatra...-
-...è tutto vero-
-...o accetto la dolorosa verità, e dunque mi rassegno all'idea che tu sei disposto ad inventare cose assurde, pur di non essere sincero con me-
Il suo sguardo era pungente e accusatore, gli incendiava l'anima.
E lui si sentiva così sporco, così meschino, così sciocco -si sentiva bruciare dentro- a non averle spiegato tutto quando erano più piccoli.
Sarebbe stato tutto più facile, violare gli ordini è sempre più facile che fare le cose lealmente, come aveva ritenuto opportuno fare lui.
Abbassò il capo.
Se ci fosse stata sua sorella sarebbe stato tutto più facile.
-Ti sto dicendo la verità- sussurrò.
E lei non ebbe modo di pensare prima di agire, non ebbe modo di parlare, che la sua mano aveva afferrato un'oggetto di qualsivoglia forma -probabilmente un pezzo di marmo che era caduto dal soffitto. Non ebbe modo di analizzarlo per bene- e lo scagliò con forza contro il licantropo, che lo schivò spostandosi appena.
-Smettila. Di. Prendermi. In. Giro-

Ad ogni parola, qualcosa veniva scagliata contro il corpo del giovane. Lui. La. Stava. Prendendo. In. Giro.-Smettila, di mentire. Uno stronzo, sei uno stronzo. Tua sorella aveva ragione, a dirmi di non fidarmi di te. Stronzo, sei uno schifosissimo stronzo.-
Ad ogni parola Demetra sentiva la rabbia crescere a dismisura e la consapevolezza che lui la stava prendendo in giro piombarle addosso.
-Dem...-
-Non. Chiamarmi. Così. È anche per questo che ti ho lasciato. Non solo perché non riuscivo a guardarti negli occhi e vedere gli occhi di Laura nei tuoi. Non solo perché non riuscivo a rimanerti vicino e ad accettare la verità, che Laura era morta-
Ad ogni parola una stilettata -forte, fortissima. Quasi dilaniante- colpiva il cuore di Derek, che però continuava ad afferrare il colpo, rimanendo calmo.
-...calmati-
-...ma anche perché non hai fatto altro che prendermi in giro, non hai fatto altro che mentirmi. Il nostro amore era una fottuta menzogna-
-Demetra..- tentò di tranquillizzarla, avvicinandosi -con una fatica immane- a lei, che intanto continuava a lanciargli cose addosso e successivamente, finite le munizioni, non appena lui si fece abbastanza vicino da riuscire ad afferrarle i polsi, picchiargli pugni sul petto marmoreo.
Vedeva le lacrime rigarle il viso.
Lacrime di frustrazione, che scomponevano e marchiavano quella pelle perfetta, che lui stesso si era divertito ad accarezzare dolcemente e baciare con premura.
I suoi occhi erano rossi, e gonfi e sfigurati.
Ma lei era comunque dannatamente bella.
-Ti odio- sussurò. -Saresti dovuto morire tu, non Laura. Tu.-
Un sussurro appena udibile, come una lama affilata, brillante, che incide lentamente la carne fino a farla sanguinare. 
Come sanguinava il cuore di Demetra, come sanguinavano  i suoi occhi per via di quelle fastidiosissime e orribili lacrime salate, e sanguinava Derek combattuto tra l’orgoglio e il sentimento, costretto ad assaporare ogni emozione devastante che provava Demetra. Un sussurro che se per lei non era altro che una rivelazione elaborata per via della rabbia e dell'astio che provava in quel momento, per lui era un fendente violento, affondato nella carne più e più volte.
E la cosa peggiore era che il suo cuore non mentiva.
Si sforzò, per quanto fosse possibile, di leggere in quei battiti un piccolo ed impercettibile segno di cedimento, qualcosa che gli desse la conferma che quello che aveva appena detto era solamente una menzogna, una enorme e bellissima bugia.
E invece nulla.
Gli sanguinavano le orecchie per via della fastidiosa sincerità di quei battiti.
Perché lei, in quel momento, lo odiava tanto da volere la sua morte.
E lui stava bruciando.
Il silenzio che incombeva tra di loro era ormai diventato fastidioso, ma comunque era l'unica cosa che riuscisse a far distrarre Derek da quelle parole, che ancora rintoccavano nella sua mente come una vecchia ed enorme campana sul picco di un campanile diroccato e dimenticato.
Si fissavano negli occhi, con astio e odio, e Demetra si stava mordendo la lingua a sangue, perché aveva appena realizzato quello che aveva detto.
Scusa se non riesco a tenere a freno la mia lingua biforcuta.
Deglutì, la ragazza, tentando di svincolarsi con scarsi risultati.
La presa di Derek era diventata troppo, troppo forte.
Rischiava di spezzarle i tendini.
Sembrava avvelenato, quel tocco. Sembrava che il veleno le stesse attraversando l'epidermide e le stesse bruciando le vene, tant'era il dolore che provava in quel momento.
-Lasciami- ordinò, con voce ferma e calma, e le lacrime che continuavano paradossalmente a rigarle il viso.
Ma il licantropo sembrava non sentire nulla, se non il rintocco delle sue parole.
Stava ancora bruciando nell'amarezza di quella piccola e sbagliata frase.
Ancora, la ragazza tentò di svincolarsi, ma lui strinse ancora più forte, fino a farla gemere dal dolore e far aumentare le sue lacrime.
Non voleva veramente farle male.
Voleva solo che capisse quello che le sue parole avevano scatenato in lui.
L'ira.
La rabbia.
La delusione.
La tristezza.

Tutto si accavallava intorno a quel sussurro devastante.
Lui voleva solo che Demetra bruciasse.
-Derek, lasciami- ordinò ancora.
E questa volta lui la lasciò, solamente per poi afferrarla dalle cosce, in modo che le sue gambe lunghe e sottili gli cingessero la vita, e sbatterla contro la parete sudicia, bruciata.
Demetra gemette, sorpresa e confusa da quel nuovo e improvviso contatto. I suoi occhi erano spalancati e fissi in quelli del licantropo, che sembrava aver perso il senno.
-Che stai facendo?- chiese, aggrappandosi con le unghie alle sue spalle per non cadere.
Il licantropo non rispose, ma si limitò a posare la sua bocca sottile e perfetta sul collo pallido della ragazza, facendola sospirare per la sorpresa.
Ispezionò quel pezzo di pelle profumata e inebriante, con la lingua, con le labbra, con i denti. E c'era rabbia in quel gesto. Una rabbia disumana, una rabbia da cui Demetra era follemente spaventata.
Furia. Ira. Rabbia.
Stava perdendo il controllo, e non stava facendo nulla per tenere a freno il lupo che era in lui e che scalpitava prepotente, che voleva uscire fuori.
Scusa se sono quel che sono.
Non capiva, non riusciva a capire nulla per via della mente offuscata, annebbiata dalla rabbia.
Sentiva gli artigli che iniziavano a crescere, lentamente, mentre lui cercava di ritirarli,  le sue zanne che minacciavano di spuntare fuori.
Non capiva perché, improvvisamente, si era ritrovato a desiderarla,  bramare ogni singola parte del suo corpo minuto, che una volta era stato suo e solo suo.
Non capiva perché, improvvisamente, il suo odore inebriante avesse assunto una nota minacciosa.
Era proprio quell'odore, quel profumo, il suo sangue, che gli aveva fatto perdere il controllo -ovviamente sommati alla crudeltà della sua frase detta con rabbia e un pizzico di ingenuità e impulsività-
Scusa se il tuo sangue sarà sempre un problema.
Spinse prepotentemente il suo corpo contro quello della ragazza, facendo aderire la sua schiena alla parete.
Facendole del male, facendole provare piacere al tempo stesso.
Non passava un filo d'aria tra i loro corpi.
Ed era bellissimo.
E faceva male.
Scusa se ho sempre sbagliato, e se sempre sbaglierò, con te.
Demetra tremò appena, non appena i denti dell'Alpha affondarono nel suo petto, poco più sopra del seno.
Il suo cuore ormai era in tumulto, e lei provava paura.
Non doveva andare così.
Sentì le labbra del lupo, risalire il profilo del suo collo, arrivare all'orecchio, mordere appena il lobo ,-facendola sussultare- posarsi dolcemente sulla sua guancia e poi morderla piano.
-Che stai facendo?- ripeté ancora la giovane, con la voce che tremava, che era un misto tra paura, piacere, delusione ed eccitazione.
Derek non riusciva a dire o fare nulla, se non baciare con brutalità ogni angolo di pelle libera della ragazza.
Con rabbia.
Facendole del male.
Facendosi del male.
Perché il loro rapporto era sempre stato questo, fondamentalmente. Un ferirsi reciproco che li avrebbe portati all'autodistruzione. Allo sfinimento. A reagire come stava reagendo lui.
A soffrire come stava soffrendo lei.
Li avrebbe portati a bruciare.
Sentiva le mani del lupo sotto la sua maglietta, e se in un altro momento quel gesto le avrebbe fatto partite gli ormoni a mille, in quel meraviglioso e spaventoso istante le faceva paura.
Una fottuta, meravigliosa ed eccitante paura.
I loro occhi, al momento incatenati, affogavano a vicenda gli uni negli altri. Erano carichi di elettricità, e di desiderio e di paura.
La lesse negli occhi di Demetra, la paura, e gli bastò a realizzare quello che aveva appena fatto.
Lasciò scivolare i piedi della ragazza a terra, allontanandosi da lei, come se si fosse scottato, come se quel contatto  lo stesse sciogliendo come nell'acido.
Spaesata, Demetra manteneva sul volto -rigato dalle lacrime e arrossato dal piacere- un'espressione impassibile, incrinata solo da un'appena leggibile paura. In fondo ai suoi occhi, c'era una luce inappropriata e incomprensibile, persino per il licantropo che continuava a darsi mentalmente del deficiente. Come aveva potuto perdere il controllo in quel modo?
Non aveva reagito, si era lasciato soccombere da quelle forti emozioni che abitavano il suo cuore.
Sembrava sul punto di dire qualcosa, di scusarsi mortificato. Ma riuscì solamente ad aprire la bocca e richiuderla subito dopo, senza essere capace di dar voce ai suoi pensieri.
Scusa se non riesco a dirti che ti amo da impazzire.
Demetra si allontanò dalla parete, esitante. Come se quello fosse stato il suo unico appiglio, l'unica cosa in grado di reggerla in piedi: le sue gambe erano diventate molli, come burro.
Era incapace di reggersi in piedi.
Barcollò appena, prima di voltare le spalle al licantropo e avanzare un passo verso la porta.
Ma di nuovo lui le afferrò il polso, bloccandola.
-Dem.- soffiò in un sussurro quasi ovatto. -Aspetta-
La ragazza si voltò, schioccandogli un'occhiata minacciosa, come se avesse voluto incenerirlo con lo sguardo.
Derek boccheggiò, poi, lentamente, ad una ad una, aprì le dita liberando con riluttanza il polso di Demetra, il cui battito si regolarizzò improvvisamente, fino a rintoccare come una campana diroccata e distrutta.
Il classico rumore di un cuore che cade in frantumi.
Chinò il capo  e si allontanò da li velocemente, con le lacrime che, di nuovo, erano tornate a far capolino sul suo viso ormai scombinato rispetto al suo solito.
E l'unico pensiero che riuscì a formulare era così sbagliato e al tempo stesso giusto che si meravigliò della sua stessa incoerenza.
Scusa se sono innamorata di te, e non posso odiarti veramente.


-o-


La prima volta che Demetra London aveva fatto l'amore era stata una notte di Gennaio, fredda, gelida. La neve cadeva a fiocchi, riempiva le strade senza risparmiare neanche il più piccolo e misero angolo.
La prima volta che Demetra London aveva fatto l'amore, insieme a lei c'era anche Derek.
Era successo il giorno del suo diciassettesimo compleanno, e lui -il suo amore- l'aveva resa la donna più felice del mondo.
Era stato delicato e insicuro, impacciato e orgoglioso, e in ogni suo gesto c’era una piccola e appena percettibile esitazione, dovuta alla paura di farle troppo male -anche se le stava facendo fin troppo bene.
Aveva accarezzato la sua pelle e l'aveva baciata in ogni singolo centimetro scoperto, con premura e dolcezza.
Come se, tra le sue braccia, ci fosse stata una bambolina di porcellana, e non quella che fino a qualche mese prima era semplicemente la sua migliore amica.
La prima volta che Demetra London aveva fatto l'amore con Derek, era stata anche la prima volta che si era sentita una vera donna.
Ogni gesto era stato spontaneo e bellissimo, ogni sospiro delicato. Fare l’amore con lui era stato perfetto.
Era stato un amore sincero, limpido quanto gli occhi di lei e delicato come le mani di lui, pregno di una passione che di violento non aveva nulla.
E invece, quel pomeriggio, nella stessa casa che era stata spettatrice del loro amore irrefrenabile, Demetra London non aveva sentito la minima traccia di amore.
Nei gesti del licantropo, c'era una violenza disarmante. C'era una rabbia spaventosa, che sembrava volesse straripare da tutti i pori del ragazzo.
Proprio come l'acqua di un bicchiere, pieno fino all'orlo.
Era una rabbia devastante.
Era una rabbia irrefrenabile, come lo era stato il loro amore.
Non aveva mai pianto così tanto in vita sua, ma non riusciva a farne a meno.
Si sentiva una donna violata, ora. Marchiata, privata della sua purità.
Si sentiva devastata.
Era una rabbia devastante.
Persino in quel momento, seduta sull'erba soffice del parco -mentre Isaac proseguiva indisturbato con il suo monologo al quale lei aveva prestato poca attenzione- si sentiva sporca e violata.
Il suo cuore batteva dolorosamente contro il suo petto, ed era palesemente soprappensiero.
Aveva sentito l'odore di lui, così puro, così buono, che diventava maligno e nauseabondo.
Disgustoso.
Come ciò che le aveva fatto.
Come aveva potuto?
L'aveva ferita, dilaniata più di quanto non lo fosse già.
Si fidava di lui, ciecamente. Ma dopo quello che era successo quel pomeriggio, onestamente non sapeva più dove fosse andata a finire quel briciolo di fiducia.
Strinse i pugni. Una parte della sua mente stava ancora registrando Isaac parlare, ma quello che le arrivava alle orecchie non era altro che un appena udibile ronzio.
Aveva smesso di seguire completamente il discorso venti minuti prima -se non di più- e per quanto ne sapeva, in quel momento il ragazzo avrebbe anche potuto parlare di asini volanti e cani parlanti -tanto per rimanere in tema con le assurdità che le aveva detto Derek quel pomeriggio-, ma lei avrebbe comunque continuato ad annuire fingendo attenzione.
Non era mai stata brava a rimanere concentrata in un discorso tanto lungo, men che meno quando la sua testa era occupata, per il novanta percento dei casi, presumibilmente dalla figura di Derek -le sue mani, la sua bocca, i suoi occhi, quello che le aveva fatto soltanto qualche ora prima.
Certo, non che lei si fosse comportata meglio.
Era scappata via, qualche anno fa.
Scappata senza una spiegazione.
Non gli aveva dato uno straccio di possibilità.
Lo aveva fatto precipitare nel baratro oscuro di disperazione, lo aveva buttato giù da un dirupo e non aveva proteso la mano per cercare di salvarlo: lo aveva lasciato solo, a bruciare nelle fiamme dell'inferno.
Se non lo avesse conosciuto tanto bene, avrebbe detto che si stava vendicando, e lo stava facendo nel migliore -peggiore- dei modi.
E proprio perché lo conosceva bene era arrivata ad una conclusione, decisamente troppo azzardata.
- Sai se Derek ha fatto uso di sostanze illegali, in questo ultimo periodo?- la domanda era uscita spontanea, all'improvviso.
Tant'è che il licantropo rimase spiazzato per qualche secondo, con ancora la frase che stava per pronunciare sulla punta della lingua.
La osservò, con la fronte corrugata e le sopracciglia inarcate, per qualche secondo. Si era accorto che Demetra non stava prestando tanta attenzione alle sue parole, per un momento si era anche convinto che si fosse annoiata, ma poi lei aveva sorriso e annuito, così  aveva proseguito indisturbato a parlare.
Non  aveva ancora capito bene cosa passasse per la testa della London la maggior parte del tempo, non riusciva a decodificarla, non riusciva a capirla.
Era strana, e complicata come un cubo di Kubrick.
Non la capiva, dannazione.
Capire quello che passava per la testa di Demetra London era più complicato che risolvere una formula chimica -oltre che essere effettivamente un suicidio.
Comunque sospirò, scuotendo poi il capo e accennando ad un sorriso sghembo, quasi divertito. -Perché me lo chiedi?- chiese, gli occhi puntati sul viso pensieroso di Dem.
-Oggi è successa una cosa strana.- rispose lei. Gli occhi erano fissi sui fili d'erba leggermente bagnati per via dell'umidità. Ne strappò uno dal terreno, con forza, prima di iniziare a rigirarselo tra le dita distrattamente. -Così ho pensato che si fosse drogato, a meno che non si stesse prendendo gioco di me- ridacchiò.
-Che ha fatto?- chiese il ragazzo, sempre più curioso di prima.
Insomma, il loro Alpha aveva praticamente ordinato a tutti di proteggere Demetra, anche da se stesso, e il ragazzino si sentiva effettivamente in dovere di farlo.
La vide scrollare il capo, appena dispiaciuta, mentre le sue labbra carnose accarezzavano delicatamente la superficie della bottiglia verdognola della birra.
-Non ha importanza- rispose in un sussurro, prima di rivolgergli un sorriso appena accennato.
Anche se sapeva che stava mentendo -ancora- decise di non fare altre domande sull'argomento, e rimase ad osservarla quasi ammaliato, mentre beveva anche lui dalla sua bottiglia.
La luna rifletteva sul suo viso, dando un colore metallico alla sua pelle diafana e ai suoi occhi color ghiaccio.
La luna la rendeva, se è possibile, ancora più bella.
-Comunque, se hai bisogno di qualcuno con cui parlare...io sono qui- continuò.
Demetra lo osservò, voltando il collo pallido nella sua direzione.
Sorrideva, e questa volta non era il solito sorriso forzato.
Era un sorriso sincero, il suo. Il sorriso di chi ringrazia silenziosamente, il sorriso di chi, dopo un lungo periodo passato a vivere nell'oscurità, nel baratro di disperazione, vede per la prima volta la luce del sole.
E Demetra London, ora, era del tutto sicura -al cento percento- di potersi fidare di Isaac.
Le uscì quasi istintivo, infatti, avvicinarsi leggermente a lui ed affondare la testa nell'incavo del suo collo, stringendolo, infine, in un abbraccio che di peccaminoso aveva ben poco.
Il licantropo rimase spiazzato, incredulo e incapace di muovere un muscolo per qualche secondo.
Un. Perfetto. Deficiente.
Era li, con gli occhi spalancati, ad inebriarsi del profumo della ragazza aspettando che il suo cuore smettesse di scalpitare contro la cassa toracica.
Il più idiota tra gli idioti.
E poi le sue braccia si mossero per inerzia, stringendo a sé il corpo fragile e minuto della ragazza.
-Grazie, Isaac- sussurrò.
E per la prima volta, dopo tanto tempo, Demetra London ricordò come ci si sentisse ad avere un amico come lui.





NDA: Eccomi. Sono riuscita a postare il capitolo prima della prossima glaciazione (?). Mi scuso immensamente per il ritardo e ringrazio tutti quelli che continuano a seguire la storia, lasciando anche qualche recensione. Vi ringrazio *^*
Allora? Vi sta piacendo questa storia? 
Personalmente questo capitolo non mi piace granchè, lo trovo imperfetto. Spero che per voi non sia così.
Comunque volevo scusarmi se questa storia è un po' OOC. Giuro che sto facendo di tutto per evitarlo, ma in alcuni punti mi riesce impossibile. Inoltre alcuni avvenimenti non rispetteranno a pieno le tre stagione, e mi scuso infinitamente.
Comunque, smetto di rompervi le scatole e mi dissolve v_v
Alla prossima, ragazzotti.

  
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