“Questa mattina pensavo a Monica…
Chissà cosa penserà di me e di quello che le ho detto.
Chissà se davvero mi chiamerà se dovesse succedere qualcosa.
Solo ultimamente mi sono resa conto di quanto fosse Monica per me. La nostra non
è solo amicizia…no…è molto di più. Siamo sorelle.
Chi mai abbandonerebbe una sorella?
Che amica sono?
…
Forse è meglio concentrare i miei pensieri su altro.”
Bill alzò lo sguardo e rizzò le orecchie.
Nulla.
Girò pagina, sussultando al gracchiare della carta.
Erano giorni che rimaneva sveglio fino a tardi per riuscire a leggere il diario
di Laura. Ormai non poteva più farne a meno.
Aspettava che tutti gli altri andassero a dormire, e poi apriva l’agenda, che la
ragazza lasciava spesso e volentieri sul tavolo la sera.
Abbassò lo sguardo ritornando alla lettura.
“Perché? Perché è successo?
Lui è appena uscito dalla stanza e io sono di nuovo qui, a tremare e piangere.
Non riesco a sanare questo malessere.
Vorrei tornare indietro di ventiquattro ore e cambiare tutto. Invece sono
bloccata, costretta dalla mia mente a dover sentire di nuovo quelle labbra e
quelle mani su di me…a dover vedere i suoi occhi.
Mi ha presa così alla sprovvista che non sapevo cosa fare. Urlare? Colpire? Ma
con quale forza se ne ero stata privata?
È stato orribile. Mi sento sporca e colpevole…pur cercando di ripetermi che non
ho fatto nulla.
E stamattina eccolo li, su quella porta. Non so perché l’ho fatto entrare…avrei
voluto…non lo so.
Si è scusato, sembrava pentito. Ha detto di aver bevuto troppo…ma io non ci
credo. Conosco fin troppo bene gli occhi di qualcuno che ha bevuto troppo, e i
suoi occhi erano alterati, si, ma non incoscienti.
Dovrò soffocare le parole dentro…eppure l’unica cosa che vorrei è poter parlare
con qualcuno…sfogarmi…forse mi farebbe bene.
Ma non posso!
Non posso…
Oggi Bill ha cercato di confortarmi e, per poche, allevianti ore, ci è riuscito…
Ma lui non conosce il motivo della mia sofferenza, non può aiutarmi.
Ho pensato di interrompere tutto qui e scappare. Ma dove andrei?
Ritornerei a casa…ritornare…no. Non posso. Non posso fare nemmeno questo.
Grido in silenzio, piango in silenzio, soffro in silenzio.
Non mi sono mai sentita così sola come ora.”
Bill accarezzò la pagina.
Le lacrime di Laura erano cadute sull’inchiostro, sbavandolo in strane sfumature
azzurrine.
Era sconvolto.
Laura non aveva fatto nessun nome, ma di chi si parlasse in quelle righe era
facilmente deducibile. Bill si ricordava benissimo chi era rimasto solo con
Laura la sera della loro cena.
Richiuse l’agenda e l’allontanò da se.
Forse la cosa migliore sarebbe stata non cominciare a leggere quel diario.
Erano dieci giorni che lo aveva tra le mani, che si era immerso in quel fiume di
pensieri, e ora aveva paura.
Aveva ricavato un’istantanea dell’anima di Laura, un’immagine che era
pericolosa.
Quella ragazza portava dentro di se un dolore ben radicato, avvinghiato a lei,
che non la voleva lasciare. Ma nello stesso tempo era diversa da qualsiasi altra
persona gli fosse capitato di incontrare.
Aveva letto pagine dove si commuoveva per la bellezza di un cielo stellato, dove
riusciva a dire cose, con semplici parole, che lo travolgevano e lo
confondevano. Aveva una sensibilità immensa, nascosta dietro quella fragilità da
farfalla.
Portò le ginocchia al petto e le circondò con le braccia.
Stava male. Malissimo.
Cosa doveva fare? Non poteva dirlo a lei, o avrebbe scoperto che leggeva il suo
diario. Non poteva dirlo a Tom, l’unica persona con cui aveva sempre potuto
sfogarsi. Ora si ritrovava a dover nascondere troppe cose al fratello.
Gli nascondeva quello che sapeva di Laura, quello che l’avrebbe aiutato a capire
perché a volte era come se scomparisse, lo sguardo altrove.
Gli nascondeva quello che sapeva esserle successo.
Gli nascondeva i suoi sentimenti per la ragazza…sentimenti che ora erano
diventati troppo forti.
Perché proprio lei Bill? Perché vuoi rovinare tutto?
No..non avrebbe rovinato nulla.
Avrebbe fatto come Laura, sarebbe rimasto in silenzio.
Ma solo a pensare di dover vedere altri giorni che si susseguivano uno dietro
l’altro, giorni in cui poteva solo guardarla da lontano, solo parlarci, giorni
in cui solo suo fratello poteva toccarla e farla sua, il cuore gli si
infiammava.
Appoggiò la testa sulle ginocchia e chiuse gli occhi.
Fece finta di non sentire la lacrima nera che gli cadeva lungo la guancia,
cercando un posto migliore dove nascondersi.
***
Quei mesi furono un supplizio.
Bill cominciò ad agognare la stanchezza.
Era sollevato all’idea di avere un concerto al giorno, al pensiero di stancarsi
e sfibrarsi al punto da non riuscire più a pensare. Sui palchi di mezza Europa
cercò con tutte le sue forze di seppellire i suoi sentimenti, di nasconderli
sotto ore di salti, urla, sorrisi. Temeva più che mai i momenti di pausa.
Sul tourbus ormai evitava Laura e passava sempre più tempo rintanato nella sua
cabina, a scrivere fiumi e fiumi di parole senza senso. Aveva smesso di leggere
il suo diario, non era il caso di infierire ancora. Il suo sguardo verso Georg
comunque non era potuto non mutare, non riusciva a vederlo come prima. Adesso
c’era qualcosa di sbagliato nel loro gruppo, una crepa, un’incrinatura. Capì che
Laura aveva ragione, che lui non era davvero ubriaco, quando si accorse che
spesso e volentieri il ragazzo indugiava con gli occhi su di lei, mentre gli
altri erano distratti. Era in quei momenti che desiderava non aver mai scoperto
niente, semplicemente ignorare tutto. Scappava nella sua camera ed esplodeva
una, due, cento volte, dentro di se.
E per quanto cercasse di sfinirsi, non riusciva a togliere la presenza costante
di Laura dalla sua mente. Ogni volta, i secondi prima di salire sul palco,
fermo, sotto una delle tante scale di metallo, si voltava e riusciva a trovarla.
Spesso era dietro la grata che proteggeva il fondo del palco, i quadratini di
luce che le si riflettevano negli occhi. Laura lo guardava, gli sorrideva
rassicurante, in quel suo modo malinconico. E ormai non poteva più fare a meno
di quel sorriso, gli serviva, prima di ogni concerto, gli occorreva tanto quanto
il sorriso che suo fratello gli faceva pochi minuti dopo sul palco,
inconsapevole del tumulto che lui aveva dentro.
Erano mesi che Tom non si portava più a letto nemmeno una groupie…e Bill, con
una punta d’amarezza e cattiveria, desiderava ricominciasse. Almeno avrebbe
avuto un motivo per pensare che suo fratello non meritava Laura.
Marzo e Aprile volarono via come niente. Maggio arrivò, e ormai ovunque si
spostassero cominciava a far caldo.
L’ultimo concerto fu in Germania.
Migliaia e migliaia di fan in delirio, un degno saluto.
Era solo sul palco che riusciva a trovare la pace.
Tom si lasciò cadere sul letto.
Laura sorrise e cominciò a sfilarsi i fermacapelli davanti allo specchio.
Era diversa. Ma non sapeva ancora in che modo. Forse era come si muoveva, o come
si guardava. Aveva perso innocenza e purezza, ma acquistato volti da donna.
-Abbiamo finito…ci pensi?- disse Tom, i jeans che spuntavano nell’angolo in
basso dello specchio.
-Si- rispose Laura facendo cadere un fermaglio a terra. Si chinò a raccoglierlo
e quando si sollevò vide Tom dietro di lei. Le appoggiò il viso tra il collo e
la spalla, come faceva sempre, e incrociò il suo sguardo nello specchio.
-Adesso andiamo a casa- disse. Laura si fermò.
Casa…
-Dove?- chiese nascondendo il fremito che aveva sentito lungo la schiena. Che
fosse il suo sesto senso ad avvertirla?
-Ti porto casa mia e di Bill, ti voglio far conoscere una persona- rispose lui
sorridendo. Poi alzò una mano e le sfilò l’ultimo fermaglio che aveva nei
capelli, vicino al suo orecchio.
-Sei sicuro Tom?- Laura lo osservò. Non c’era traccia di indecisione sul suo
volto. Era sempre sicuro Tom. Sempre.
-Si- disse. Con una mano spense la luce. La stanza cadde nell’oscurità, rimasero
loro due, di fronte a quello specchio, i volti vicini, illuminati dalla luna che
brillava nel cielo, nonostante il paesaggio continuasse a scorrere oltre quel
vetro.
-Sei bellissima- sussurrò Tom. Laura non rispose.
Il ragazzo la baciò sui capelli, respirando il suo profumo. Poi fissò di nuovo
gli occhi su di lei, dentro di lei.
-Ti amo-
Il suo cuore saltò un battito. Non erano le parole che si aspettava.
Tom le baciò il collo e cominciò a sfilarle le spalline della maglietta che
portava.
Non pretese un “ti amo” di risposta, non le chiese nulla. La amò un’altra volta.
Senza voler niente in cambio.
Laura vide i loro corpi intrecciarsi di fronte a quello specchio.
Pelli candide e fragilità.
Fu all’improvviso che riflesso in quello specchio scorse Bill. Li guardava,
imperturbabile, frutto della sua immaginazione. La stava mettendo di fronte alla
verità nel modo più crudele che poteva esserci.
Come dirti che non ti amo Tom? Come dirti che ti voglio troppo bene per
raccontarti la verità?
Laura lo guardò addormentarsi, il viso appoggiato sul suo addome. Gli accarezzò
i capelli, nel silenzio impietoso di quella stanza, su quel tourbus, che li
portava verso una casa che non era sua, ma che Tom voleva condividere con lei,
in cui voleva accoglierla senza farle nessuna domanda.
Come l’avrebbe ripagato di quell’amore incondizionato?
Si morse le labbra, soffocando i gemiti e i sussulti…
Ancora lacrime silenziose.
Io non voglio farti del male…