I ricordi un giorno andranno affrontati.
«Lascia
andare mia sorella!»
strillò Kuria fissando il demone del continente.
«Non
ci penso proprio. Ho deciso
che sarà la mia sposa, mi serve solo il consenso del
principe dei demoni e
poi la porterò via con me.» Il suo tono
rimaneva sicuro e strafottente.
Kuria
rivolse infine lo sguardo scioccato
all’uomo che amava e odiava contemporaneamente. Cosa avrebbe
fatto in quel
frangente? Sesshomaru sapeva bene che, qualsiasi fosse stata la sua
scelta, lei
avrebbe combattuto per liberare la più piccola. Inoltre
Hikari non doveva
rientrare nelle loro dispute come oggetto di offensiva.
«Poggiala
a terra e sparisci.» fu
l’unico commento che si degnò di esprimere.
«Cosa?!
– l’altro spalancò gli
occhi sorpreso, Kuria gongolò soddisfatta –
l’ho battuta in duello, ora posso
farne ciò che voglio! Vi è più chiara
la situazione?»
Il
principe degli Inu youkai si
limitò a trucidarlo con un’occhiata assassina.
Poche persone avevano il
permesso di contraddirlo e, a volte, neppure loro dopo ne uscivano
illese.
«No,
non cambia niente. Le regole
del tuo villaggio non mi fanno molta impressione. Territorio mio,
parente mia,
decido io. Ti sembra più logico così?»
Era incredibile come quel demone bianco
ed etereo non si scomponesse mai per nulla. Spesso neanche Kuria
riusciva a
comprendere ciò che gli passava per la mente.
“In
realtà non essendo ancora
sposati Hikari non è tua cognata. Tuttavia, per questa
volta, posso lasciar
correre.”
«Allora
non hai sentito ciò che
ha detto il mio venerabile signore? Sei sordo per caso? Lascia andare
quella
donna. Sicuramente non ne sei degno!»
Ecco
come al solito quel rospo
cercava di morire. Era giunto, insieme alla piccola Rin, vicino al
fiume
sentendo le grida della giovane sposa del suo padron Sesshomaru.
«Eh
Sesshomaru giusto? Dovresti
insegnare ai tuoi servi a tacere, sai ti fanno fare davvero brutta
figura.» Lo
canzonò Akio. Il demone maggiore si limitò a
spostare le iridi dorate su
Jacken, poi lo riportò placidamente sulla figura che lo
stava deridendo.
«Questa
conversazione… è durata
anche troppo per i miei gusti.»
Kuria
notò che sembrava
leggermente contrariato.
“Oh!
Miracolo sta provando un
sentimento diverso dall’apatia.” Si sarebbe messa a
ballare dalla felicità,
peccato che la situazione non fosse delle migliori. Il suo promesso
sposo aveva
attaccato il giovane di nome Akio al viso, si era ripreso Hikari e
gliel’aveva
consegnata tra le braccia.
«O
sparisci, o ti ammazzo.» Tipico
del principe minacciare di morte.
Quella
era, per Kuria,
un’ulteriore prova della decisone quasi irrevocabile di
Sesshomaru nei suoi
confronti. Sospirò stanca.
Aveva
difeso sua sorella. Ciò per
un demone come lui, indifferente a ogni cosa tranne che se stesso, era
il
chiaro segno che la riteneva già come parte integrante della
sua ‘famiglia’.
Nessuno poteva arrecare danno alla famiglia di Sesshomaru senza pagarne
le dovute
conseguenze.
Da
una parte si sentì emozionata
dall’attaccamento che stava dimostrando nei suoi confronti,
dall’altra era
preoccupata. Non le piaceva quella sensazione di obbligo sociale. La
disgustava!
«Per
ora posso anche andarmene,
ma tornerò!» La figura del cinese scomparve.
«Grazie
Sesshomaru.»
Era
già la seconda volta in un
giorno che lo ringraziava. Eppure non poteva farne a meno,
l’aveva stranamente
aiutata. Poteva dimostrarsi insensibile di fronte agli occhi addolorati
della
compagna, favoreggiando un matrimonio che avrebbe aggiunto splendore
alla
famiglia reale. Invece era stato ‘buono’ e aveva
fatto come gli era stato
silenziosamente chiesto.
«Tua
sorella dovrebbe imparare a
stare più attenta quando combatte.» Le
indicò un punto violaceo sulla nuca. Era
stata colpita di spalle!
«Infido
verme!» Soffiò tra i
denti quelle parole velenose. Il suo odio per quel personaggio cresceva
a
dismisura. In un attimo le passarono davanti agli occhi le immagini
degli anni
a palazzo con Sesshomaru. Un susseguirsi di eventi o umilianti, quando
non
c’era il generale, o noiosi. Rabbrividì alla
possibilità che anche sua sorella
potesse subire lo stesso destino, oppure uno peggiore: da deportata.
Scacciò
quelle immagini e i suoi
fantasmi del passato. Hikari aveva bisogno di cure, non capiva
perché non si
fosse ancora svegliata. Tornarono tutti allo spiazzo
dov’erano prima, Kuria
fece stendere sua sorella per terra e, con l’aiuto
volenteroso di Rin, prese
dell’acqua dal fiume. Bisognava bagnarle il viso.
Calò
la sera in fretta. La demone
sentiva il bisogno impellente di chiudere gli occhi e rilassare le
membra per
qualche ora, sapeva che era un segno di debolezza ma non le interessava
Perché
in ogni caso la stanchezza sarebbe prevalsa su di lei. Nonostante
ciò ancora
non si era distesa, troppo in pensiero per Hikari. I muscoli le
gridavano
pietà.
Era
al limite della sopportazione
quando sentì qualcosa arrotolarsi intorno a lei, per
sollevarla in aria e
posarla, con grazia, proprio sulle gambe incrociate di Sesshomaru. Dopo
un
primo momento di confusione prese fiato per protestare.
«Non
fare storie. Sono giorni che
non fai un sonno decente, si vede bene. Dormi, non vorrei che domani
mattina
svenissi per la stanchezza. Mi verrebbe voglia di mollarti
qui.» Freddo,
preciso, calcolatore. Sesshomaru non conosceva la delicatezza!
La
giovane dai capelli neri come
la notte sentì ribollire la rabbia dentro di se, ma stette
zitta. Anche se
gliel’aveva detto in modo estremamente duro, anzi al limite
del maleducato,
aveva ragione. Era stanca! Non aveva le forze per mettersi a litigare.
Comunque
sbuffò sonoramente, esprimendo tutto il suo disappunto per
quella posizione
equivoca.
«La
terra è sicuramente più
comoda di te!» Voltò il viso in direzione opposta
a quella del demone maggiore,
il naso all’insù.
«Non
dire stupidaggini. Qualche
secolo fa il tuo parere era leggermente diverso da ora, ci hai dormito
molto
bene in quella gita che organizzò mio padre.» Era
stato durante una primavera
particolarmente fruttuosa per il Generale. In quell’occasione
Kuria si era
divertita come non le accadeva da tanto tempo, aveva giocato con le sue
dame
tutto il tempo a rincorrersi, mangiato manicaretti che normalmente non
toccava
mai per orgoglio e per imitare Ino no Taisho e infine stremata, una
volta
seduta per terra di fianco a lui, il sonno l’aveva colta di
sorpresa.
Sesshomaru ricordava chiaramente che nell’incoscienza del
dormiveglia lei gli
chiese di poter restare appoggiata al suo petto per dormire.
Colpita
e affondata. Kuria
arrossì violentemente, tossicchiò, ma stette in
silenzio. Infondo il suo
‘fidanzato’ non aveva mai allungato troppo le mani
su di lei. Se si escludeva
qualche avvenimento, per cercare di dominarla.
Per
fortuna aveva avvisato
Inuyasha e gli altri della sua sparizione temporanea. Sperava non
accadesse
nulla di grave durante la sua assenza o non se lo sarebbe mai
perdonato. Hikari
aveva bisogno di cure e Kuria era pur sempre sua sorella maggiore.
«Sesshomaru?»
Lo chiamò incerta,
sembrava che stesse dormendo. Il suo volto si rilassava quando chiudeva
gli
occhi, era ancora più bello.
«Dimmi.»
mosse solo le labbra in
principio, poi puntò i suoi splendidi occhi dorati su Kuria.
«Vorrei
affidarti Hikari.»
«L’amore
che ti lega a Inuyasha è
più forte di quello che provi verso il vero sangue del tuo
sangue?» Inarcò un
sopracciglio. Non capiva perché tanto amore verso
quell’inutile insetto.
Inoltre sentì una punta d’invidia trapassarlo nel
cuore.
Cos’aveva
Inuyasha di speciale? Un
mezzo demone insignificante in confronto a lui, che era chiamato anche
il
demone puro.
«Smettila!
L’ho cresciuto da sola
fin da piccolissimo! Come puoi… Insomma no! Inuyasha
è molto importante per me.
Inoltre lui mi ha sempre compreso. Pensaci Sesshomaru e capirai
perché provo
tutto questo affetto. – Calcò bene quella parola -
Inoltre voglio bene anche a
Hikari! Eppure sono certa che stando con te sia al
sicuro…» non concluse la
frase abbassando il tono della voce a un sussurro. Com’era
difficile ammettere
che il principe dei demoni era più forte di lei!
«Dormi.
Ne riparleremo domani.» Le
intimò frettolosamente, trattenendo uno sbuffo. Non si
aspettava una simile
accondiscendenza, arrivare ad affidare la libertà della
sorella proprio a lui.
Voleva chiudere il discorso il prima possibile, il viso di lei lo
confondeva e
lo faceva sentire strano.
“Sto
cambiando Sesshomaru, l’orgoglio
sto imparando a metterlo da parte quando devo. Quando anche tu farai lo
stesso?” si domandò Kuria, lasciandosi cullare
verso il mondo dei sogni.
«Padre vi prego fate qualcosa! Vogliono
portare via Eileen.» aveva
gridato una delle sue sorella al proprio padre, usando il nome
occidentale
della demone.
Inu no Taisho aveva diviso Kuria e Sesshomaru
durante la zuffa e
ricondotti al palazzo. Nello stesso momento la regina aveva dato la
notizia del
fidanzamento imminente della più giovane delle sue figlie.
Se inizialmente per le sue sorellastre maggiori
accettarla non fu
facile, in quanto nate da un altro matrimonio e con il sangue che
proveniva
solo da quella terra, le ultime sei le si erano legate. Soltanto la
più anziana
la sminuiva in continuazione, la umiliava ogni volta che poteva e le
aizzava
contro la corte. L’antico signore di quel regno, dopo il
divorzio, era rimasto
a palazzo a vivere in quanto di nobile stirpe. Si era sempre comportato
bene
con Kuria, trattandola quasi al pari una figlia propria.
«Che cosa? Nessuno andrà via
di qui contro sua volontà!» Disse lui
sfidando con lo sguardo verde smeraldo i due youkai provenienti da
oltre la
Cina.
«Non possiamo farci nulla Derik. Sono i
voleri del vero padre di Kuria.»
Sua madre invece preferiva da sempre il nome giapponese, probabilmente
in
ricordo del suo amante? Mai avuto risposta a quell’enigma.
La regina sapeva nascondere bene il dolore provato
per quel distacco e
per l’odio improvviso della figlia nei suoi confronti. Eppure
sfidare il suo futuro
suocero sarebbe stato solo causa di guai. Si trovava costretta a
ubbidire!
«Non è cosa che mi interessi.
Nessuno si fa i suoi comodi a casa mia!
Combatterò se necessario.»
«Stolto demone.» si
limitò a sussurrare il generale cane, guardando lo
sfidante con astio represso. Non era di certo sua intenzione fare del
male alla
giovane.
«No! – Kuria si parò
di fronte al padre delle sue sorelle, una delle
poche persone che la trattasse con sincera gentilezza. Non voleva che
fosse
ferito, o peggio, morisse. – Verrò con voi
generale, ma non combattete contro
mio padre!» Fissava Inu no Taisho con rabbia, anzi rancore,
ma sapeva di
doversi piegare. Sesshomaru fu sorpreso sentendo la promessa definire
il
patrigno come un padre, ma non commentò.
«Sorella!» Un gemito di
sofferenza da parte di una delle maggiori e poi
i dissensi si placarono definitivamente.
La discussione che ne seguì fu lunga ed
esasperante. Il viaggio per
andare in Giappone, cioè per Kuria un altro mondo, fu anche
peggio. Sesshomaru
era fastidioso con quelle continue frecciatine di
superiorità maschile. Il
grande generale per lo più li lasciava litigare, sorridendo
di nascosto in
alcuni momenti. Kuria era la donna giusta per Sesshomaru, ne era
più che certo.
Quando giunsero a palazzo lei aveva già
da tempo compreso che la fuga
non sarebbe stata facile. Era da calcolare con precisione, astuzia. Non
sarebbe
mai potuta tornare a casa, lo sapeva bene, l’avrebbero
ripresa. La sua vita le
parve chiara, fuggiasca per sempre.
Peccato che la gente di quella splendida prigione
dorata le incutesse
inquietudine.
Mentre
Kuria sognava, agitandosi
e corrugando la fronte in varie espressioni di acuto fastidio, da fuori
Sesshomaru la osservava incuriosito.
Erano
trascorsi molti anni
dall’ultima volta che si erano parlati senza insultarsi a
vicenda. Non capiva
cos’avesse detto quella notte per farla arrabbiare.
Per
qualche ora entrambi
ritornarono ai loro problemi del passato, dimenticandosi di Naraku, i
sette
mercenari e anche Inuyasha. Analizzando, coscientemente e
incoscientemente, il
tempo passato assieme prima della nascita del piccolo mezzo demone.
Sesshomaru cercando di capire, incoscientemente, quale grave errore avesse commesso tempo addietro, Kuria tentando ancora una volta di lasciarsi il passato alle spalle.