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Autore: _Trixie_    11/06/2013    3 recensioni
[Callie/Arizona, April/Jackson, Alex/Izzie, Derek/Meredith]
Una lacrima solitaria cadde nell’acqua, mentre la portata degli avvenimenti la investiva.
Era la regina di un regno che non le apparteneva di diritto, un regno che stava per entrare in guerra per delle decisioni prese in modo affrettato. Non poteva nemmeno permettersi di piangere il marito che un tempo aveva amato, la cui morte era la causa della catastrofe che stava per abbattersi sul Regno di Picche.
Perché l’assassinio di un re poteva essere punita solo con la morte di un regno.
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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Capitolo VII
 
Home is not the same place that it was; time goes by and changes everything.
I left so many things behind me, my favorite things I took away 
were my memories and my dreams.
[8]



C’era Jackson. Nei disegni delle nuvole nel cielo, nei riflessi del sole sull’armatura del cavaliere, nella polvere calpestata dai cavalli.
C’era Jackson nel sibilare del vento e nel ronzare degli insetti.
C’era Jackson sulle labbra di April, nella sua testa, nel suo cuore.
C’era Jackson, c’era Jackson dappertutto, eppure April non sapeva se Jackson fosse vivo.
Jackson c’era, eppure poteva non esserci.
Perciò April continuava a mettere un piede davanti all’altro, scendendo nell’Occhio del Gigante, senza curarsi di ciò che avrebbe trovato sul fondo.
Destro. Sinistro. Jackson. Destro. Sinistro. Jackson. Destro. Sinistro. Jackson.
«April».
Destro. Jackson. Sinistro. Jackson. Destro. Jackson.
«April!»
«Cosa c’è?» chiese April, voltandosi verso Arizona, che la stava chiamando con insistenza.
«Qui c’è un’altra di quelle piccole cavarne» disse la ragazza, in piedi a qualche passo di distanza. Evidentemente Lady Kepner non si era fermata insieme ai suoi compagni di viaggio, ma aveva proseguito, troppo assorta nei suoi pensieri, troppo assorta in Jackson, per accorgersi del mondo.
April lanciò uno sguardo a quell’angusta rientranza nella parete, di cui il fianco del dirupo era costellato a intervalli regolari. Quando l’Occhio del Gigante era attraversato di frequente dai viaggiatori, servivano come riparo per la notte, e anche se ora erano sfruttati di rado, potevano ancora svolgere egregiamente il loro compito.
Matthew aveva stimato due, forse tre giorni di discesa e altrettanti di risalita, che sarebbe stata ancora più faticosa, così quei rozzi ripari potevano tornare utili.
April tornò sui suoi passi e raggiunse Arizona e Matthew. Il cavaliere stava già conducendo all’interno della caverna i cavalli, che sfioravano il soffitto con le orecchie.
«Credo che qui staremo bene, un po’ stretti, ma al riparo» commentò Matthew.
Arizona si lasciò cadere stancamente a terra, mentre April annuì distratta.
Al riparo? E al riparo da cosa? L’unica cosa dalla quale voleva trovare riparo, in quel momento, era il dolore di non avere Jackson vicino. Perché lui, in quel cortile, aveva rischiato la vita per lei.
«Tieni, mangia» disse il cavaliere, porgendo ad April una strana radice recuperata chissà dove. «Il sapore non è dei migliori, ma è nutriente».
«Grazie» disse Lady Kepner, afferrando la radice e dandole un morso. Un gusto leggermente amaro le pizzicò la lingua. Arizona sputò il suo boccone.
«Ma è disgustosa!» protestò, pulendosi la lingua con le dita.
«Ma è tutto quello che abbiamo! Non cresce altro nel raggio di miglia, perciò non voglio più vederti sputare. E devi mangiare, se vuoi arrivare viva al Castello Bianco» la rimbeccò Matthew.
Gli occhi di Arizona si illuminarono.
Il Castello Bianco. Calliope.
Con un enorme sforzo di volontà Arizona inghiottì ciò che rimaneva della sua radice, poi si addormentò con la testa poggiata alla sella che aveva tolto dal suo cavallo.
La sua ultima immagine da sveglia fu April, seduta all’entrata della piccola caverna con gli occhi rivolti al cielo.
E poi, in un attimo, non era più April…
 
…era Calliope.
Indossava uno strano abito bianco, lungo fino a metà coscia e aperto sul davanti.
Camice.Le suggerì una piccola voce nella testa. Calliope indossa un camice. E uno stetoscopio.
Arizona rise, di quella sua risata argentina, alla parola stetoscopio, portandosi una mano alla gola solo per scoprire che anche lei aveva uno stetoscopio. Non ebbe il tempo di interrogarsi sull’utilizzo di quello strumento dal nome strano, perché Calliope sfrecciò davanti a lei per una frazione di secondo, tra due corridoi bianchi, scomparendo alla vista.
Non si trovava più nella caverna scavata nella roccia, non indossava più quegli assurdi abiti che ostacolavano il cammino suo e di April, facendole sudare almeno tanto quanto Matthew nella sua armatura.
Aveva un camice anche lei e vestiti del tutto simili a quelli che indossava quando era arrivata o, meglio, caduta a Wonderland.
«Calliope!» provò a chiamare, ma la voce le morì in gola, così decise di inseguire la donna che sembrava averla stregata.
Vagò per corridoi anonimi, sui quali file e file di porte si aprivano rivelando stanze tutte uguali, con bambini, donne e uomini doloranti e qualcuno, pochi, in realtà, in via di guarigione.
Ospedale. Intervenne di nuovo quella stessa voce nella testa, che Arizona non tardò a identificare con la propria. Allora, forse, sto solo ricordando il Mondo di Lassù. Ma perché c’è Calliope? Chissà, forse sono solo confusa…
Andava riflettendo Arizona, in quel luogo che ad ogni passo trovava sempre più familiare.
Perciò, ora, quello che so di me è che sono Arizona Robbins e ho un fratello, morto. L’ospedale mi è familiare, indosso il camice e so maneggiare uno stetoscopio. O almeno credo. Infine, sono sicura di essermi presa una cotta incredibile per Calliope.
Arizona provò di nuovo a chiamare la donna, ma la voce non voleva saperne di uscire, ma continuava a camminare e ad affacciarsi a ogni porta.
Finalmente, quando vide Calliope, una bionda le si parò davanti, tra lei e la donna che aveva inseguito tanto a lungo. Arizona avrebbe riconosciuto quel volto tra mille. Lady Hahn, così l’aveva chiamata April alla Fortezza Rossa.
«No» disse Arizona e questa volta un sussurro uscì dalle sue labbra.
«Devi lasciarla andare, Arizona» disse Lady Hahn, con una voce lievemente mascolina. «È mia, mi serve».
«No!» protestò la ragazza del Mondo di Lassù, allungando la mano al di là della Hahn e afferrando un lembo della veste di Calliope. Questa si voltò e le sorrise, di un sorriso triste, che incrinò il cuore di Arizona.
«Lasciala, Arizona!» ripeté Lady Hahn con rabbia, afferrando a sua volta Calliope.
«No, no, no!»
«Ho detto lasciala, accidenti!»
«No, non la meriti!»
«Arizona, lascia andare la presa, dobbiamo rimetterci in viaggio!»
Il volto di Lady Hahn si confuse con quello di Matthew, Calliope scomparve, solo per riapparire un attimo dopo e scomparire ancora. Questa volta non tornò più.
 
«Oh» mugugnò Arizona, quando si accorse di stringere con forza la sella che le era servita da cuscino. «Oh, scusa, credevo… Lascia stare».
«Non importa» disse Matthew con un sorriso, porgendole una radice mentre si alzava per finire di sellare i cavalli. April, seduta contro una parete, stava già masticando la sua con aria assente.
Arizona scosse la testa e masticò la sua radice, la cui amarezza, ora, al confronto di quella che provava per la fine del suo sogno, sembrava quasi piacevole.
«Sono ore che camminiamo, Matthew, non possiamo fermarci a riposare alla prossima caverna?» si lamentò Arizona, i cui piedi lanciavano urla di protesta. «E poi si muore di caldo, non potremmo riposarci di giorno e camminare di notte?».
«E poi questa notte mi dirai che hai troppo freddo per camminare e rimpiangerai il caldo del giorno» la rimbeccò Matthew, stanco di sentire i lamenti della giovane.
Anche lui aveva caldo, sotto l’armatura, e sudava molto, ma di notte era troppo pericoloso procedere per quel sentiero, dove un passo falso ti costava la vita.
Quella mattina Arizona e April avevano deciso di togliere almeno gli strati di gonna più ingombranti, con il risultato di aver fatto arrossire Matthew fin alla punta dei capelli. Lui non era certo abituato a vedere Dame in sottoveste e poco più.
Gli abiti delle due donne pendevano dal dorso di uno dei due cavalli.
Arizona mugugnò qualcosa a mezza voce, prima di tacere e continuare a camminare senza lamentele.
L’acqua nelle borracce iniziava a scarseggiare e il fiume sottile che scorreva sotto di loro e che si gettava in un lago enorme era quanto di più invitante Arizona potesse vedere nel raggio di miglia.
April aveva ancora l’aria assente, anche se mostrava sorprendenti capacità d’iniziativa nelle questioni pratiche, ma dalle sue labbra non uscivano lamentele, né richieste di acqua o cibo, mangiava e beveva quando le veniva offerto e Arizona a volte la sentiva sussurrare il nome di Jackson.
Per questo, quando finalmente il sentiero divenne pianeggiante e lo scrosciare del fiume sempre più vicino, Arizona non si stupì nel vedere Lady Kepner svenire tra le braccia di Matthew.
 
Quando April riaprì gli occhi, si trovò distesa su una superficie morbida. Sopra di lei un tetto di roccia rinforzato da travi di legno sorreggeva una lampada, appena sufficiente per rischiarare l’ambiente.
Si trattava di una piccola stanza, arredata rozzamente e un po’ in disordine, ma non sembrava sporca. 
Indossava dei vecchi vestiti dalla foggia contadina, che sembravano appartenenti a una donna più alta di lei e aveva una benda fresca sulla fronte. Qualcuno doveva avergliela appoggiata sugli occhi da poco.
Si sentiva stanca e indolenzita, i suoi piedi erano fasciati e la benda era macchiata di sangue in alcuni punti. Nel camminare non si era accorta dei danni che si era preoccupata, troppo assorta nel dolore di non sapere nulla di Jackson.
Il suo cervello lo riteneva morto da tempo. Chi sarebbe stato in grado di sopravvivere al Fante di Cuori e al suo esercito?
Ma il suo cuore non voleva crederci e perciò rimaneva sospesa in quel limbo, tra la vita e la morte, non osando sperare. Perché lei era innamorata di Jackson e non glielo aveva nemmeno detto.
Stava per sprofondare di nuovo nel sonno e nell’incoscienza, rifiutando di affrontare la realtà quando una voce carica di rabbia la distrasse.
«No, ho detto! No! Io non prendo parte alle vostre dannate guerre!»
«Abbassa la voce» gli intimò un altro uomo, che April riconobbe come Matthew.
Un sussurro femminile, di cui April non riuscì a cogliere le parole, fu seguito dallo strisciare di una sedia sul pavimento. Qualche passo e la porta della camera in cui si trovava.
«Sei sveglia. Come ti senti?» disse Arizona, sedendosi sul bordo del letto.
«Meglio, grazie. Sono svenuta?»
«Già. Matthew è diventato bianco come un cencio. Credo che avrebbe preferito affrontare un’armata piuttosto che vederti svenire. Avresti dovuto vedere la sua faccia quando ti ha portata in braccio fin qui. Passava dall’adorazione al terrore nel giro di pochi secondi» disse Arizona, nel tentativo fallimentare di tenere la mente di April lontana da pensieri negativi.
«E ora dove siamo?» domandò Lady Kepner dopo un breve sorriso.
«Nella tana del Bianconiglio» rispose Arizona.
«Karev? Alex Karev?»
«Sì, l’hai visto a corte, no?»
«Sì, lo conosco» confermò April, mentre un’ombra passò sul suo volto.
Arizona intuì che tra i due dovesse essere successo qualcosa, qualcosa di spiacevole, ma preferì non indagare in quel momento. E poi non era nemmeno tanto sicura che la cosa la riguardasse.
«Hai fame? C’è la minestra ancora calda. Non ha nulla di speciale, ma almeno non è amara come quelle dannate radici» chiese invece.
April annuì, improvvisamente affamata.
Quando Arizona uscì per portarle da mangiare, si concesse un minuto per chiudere gli occhi e ricordare quel giorno di tanti anni fa.
 
«Tesoro, vai con la mamma, salite sul carro» disse Lord Kepner, spingendo la figlia all’interno della grande casa.
La quindicenne April, che stava imparando dal padre il nome delle piante più comuni e come riconoscerle, gli lanciò uno sguardo infastidito. Nel notare l’espressione feroce di Lord Kepner, ne seguì lo sguardo, che scrutava in lontananza.
Uomini a cavallo si stavano avvicinando velocemente, portando il vessillo della Regina di Cuori.
«Perché dei soldati stanno venendo verso di noi?»
«Non ti deve importare. Vai con tu madre, April, corri. Dirigetevi verso il Principato di Quadri e da lì al Castello Bianco» ripeté l’uomo, prima di portarsi due dita alla bocca e fischiare. Due suoni brevi e acuti fecero mobilitare l’intera casa e April lo riconobbe come un segnale, un segnale che solo lei non conosceva.
«Cosa sta succedendo?!» chiese, quando uno degli uomini di suo padre li raggiunse armato, porgendo una delle due spade che aveva in pugno a Lord Kepner.
«Quel dannato Fante Rosso si è mosso in fretta. Ancora un giorno e la mia famiglia sarebbe stata in salvo» lo sentì dire April.
«In salvo? Papà, in salvo da cosa?» urlò la giovane, quasi disperata. I cavalli si avvicinavano sempre di più e il pericolo cresceva con il diminuire della distanza, ma April ancora non sapeva che cosa avrebbe dovuto temere, esattamente.
«Bambina, devi andare dalla mamma. Papà ha avuto una discussione a corte, qualche giorno fa e contraddire chi conta, in quel posto, è pericoloso. Devi andare, io arriverò subito» disse Lord Kepner, abbracciando sua figlia e sussurrandole un tenero ti voglio bene nelle giovani orecchie.
«Portala da Lady Kepner, la starà cercando» disse poi, porgendo la figlia all’uomo che aveva portato la spada.
«Papà! Voglio rimanere!» tentò invano la giovane, mentre il soldato la trascinava quasi di forza verso la grande casa.
L’ultima immagine che April conservò di suo padre è quella di un uomo dalle spalle larghe, stagliato contro uno sfondo di armature scintillanti e stoffe rosso sangue.
Quando finalmente il soldato trovò Lady Kepner e le affidò la figlia, April udì lo stridere dell’acciaio in lontananza, dove aveva lasciato suo padre, mentre ora si trovavano nei pressi della stalla.
Sua madre le baciò la fronte, poi  la fece salire sul retro di un carro coperto, dove trovò ad attenderle la governante e qualche baule. L’uomo al comando, che April riconobbe come uno dei giardinieri e che, ne era sicura, aveva un debole per la governante, fece schioccare la frusta e il carro partì traballando, solo per fermarsi dopo qualche secondo.
April si era chiusa in una muta protesta e quando una voce intimò al vecchio giardiniere di scendere dal carro, la madre le fece segno di continuare a tenere la bocca chiusa.
«Chi sei?»
«Un semplice giardiniere, generale».
«Cosa porti sul carro?»
«Nulla, generale» rispose il giardiniere, ma la sua voce tremò.
«Guardate dentro» ordinò il generale ai suoi soldati.
April si strinse alla madre, mentre la governante le si parò davanti, quando il telo del carro venne alzato dai soldati rossi.
«E voi questo lo chiamate nulla?» domandò il generale a cavallo, avvicinandosi al retro del carro.
«Sono solo…» tentò il giardiniere.
«Sono solo Lady Kepner e figlia, con una donna di cui non m’importa nulla».
«Sir Preston Burke, le intimo di lasciarci andare» disse Lady Kepner, stringendosi più forte alla figlia.
Il generale Burke sorrise e i suoi soldati lo imitarono.
«Uccidete il carrettiere e quella specie di carrettiera, legate le Kepner» tagliò corto il generale e i suoi uomini si mossero.
Nel trambusto che seguì, April fu sballottata a destra e a sinistra.
La prima a cadere fu la governante, che si gettò sulla spada sguainata di un soldato che minacciava il giardiniere. Questi, vedendo la donna che amava stramazzare a terra, si gettò su di lei e la stessa spada macchiata del sangue della donna lo trafisse.
Lady Kepner urlò e si divincolò, morse uno dei soldati e la sua veste si strappò in più punti, tutto per evitare che i soldati rossi mettessero le mani sulla figlia.
Quando l’ultimonodella donna si spense nell’aria, April seppe che qualcuno aveva ucciso sua madre. Sangue scuro macchiava i vestiti di madre e figlia e Lady Kepner si lasciò cadere a terra.
April piangeva, piangeva già da molto e non se ne era nemmeno resa conto.
Alzò gli occhi sui soldati, che la guardavano compiaciuti.
«Soldato Karev, lega quella ragazzina e mettiti a guida del carro. Il Fante Rosso vorrà le prove della morte della Lady».
Un giovane soldato dall’aria spavalda balzò sul carro e con una corda strinse i polsi di April in una morsa, così come i piedi. La lasciò, accanto al corpo senza vita della madre, a piangere tutte le silenziose lacrime che aveva in corpo.
Avvicinandosi a quella che fino ad allora era stata la sua casa, quello che era stato il suo mondo, dalla tela del carro filtrava un bagliore minaccioso. Quando April trovò il coraggio di guardare attraverso una fessura, vide un incendio che si levava alto dall’intera proprietà del Kepner.
«Lord Kepner è perito nell’incendio, sir! Non abbiamo il corpo» disse uno dei soldati, quando vide arrivare Preston Burke. Il generale annuì e ordinò di tornare in fretta alla Fortezza Rossa.
April non tornò mai più in quel luogo.
I giorni seguenti furono i più bui della sua vita, chiusa in un’angusta e sporca cella della Fortezza Rossa, con gli abiti ancora insanguinati.
Ricordava Karev che le portava del pane e dell’acqua a intervalli regolari e che le dava calci nei fianchi per svegliarla. Il soldato non rispondeva alle domande di April e in più di qualche occasione la schiaffeggiò per la sua insistenza.
Le ordinava di mangiare, se April si rifiutava di ingoiare il suo misero pasto, decisa a lasciarsi morire di fame e sete e la minacciava con la spada. Quando Karev le graffiava la pelle del collo con la punta, si decideva a mangiare.
Aveva ancora qualche cicatrice lasciata dalla sua spada, che stava ben attenta a nascondere.
Alla fine, dopo giorni e giorni d’isolamento e minacce e graffi, Karev le disse che la Regina Rossa le aveva concesso la grazia, a patto di giurare fedeltà alla corona come rappresentate della famiglia Kepner.
April si rifiutò più e più volte e nemmeno i graffi profondi che Karev le lasciò bastarono a fiaccarne le volontà.
Fu solo quando la condussero di fronte a una cella identica alla sua e le mostrarono chi la occupava, che April cambiò idea: accasciato su un pagliericcio lercio e identico al suo, stava rannicchiato Jackson, la schiena coperta da ferite fresche che, April avrebbe potuto giurarlo, erano il risultato di una fustigazione. Sembrava privo di sensi, la ragazza sperò che stesse solo dormendo.
«Giura la fedeltà alla Regina Rossa, April Kepner e anche il tuo innamorato avrà salva la vita. Rifiutati e nessuno dei due vedrà la prossima alba» le sibilò Alex Karev nell’orecchio, stringendole il braccio fino a farle male.
April annuì e qualche giorno dopo si trovò in ginocchio ai piedi di Addison Montgomery.
 
«Ti ho portato anche un bicchiere d’acqua».
La voce di Arizona fece trasalire April, che si ricompose immediatamente e annuì grata. Vivere, ecco quello che doveva fare.
E combattere, per fare in modo che il sacrificio dei suoi genitori non fosse vano.
E poi c’era Jackson. Era una possibilità remota, ma forse era ancora vivo e doveva almeno provare a fare tutto il possibile per lui.
Perciò ora non le rimaneva altro da fare che raggiungere il Castello Bianco e schierarsi a fianco della Regina di Picche.
Forse la Decapitatrice aveva davvero deciso di stringere la pace, ma April aveva imparato a dubitare della sua parola.
«Sei affamata» commentò Arizona, con un sorriso.
«Ho deciso di reagire, Arizona, ho fame di vendetta e non sai quanta».
 
 
NdA
La canzone è [8] Memories & Dreams, Donna Hughes.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, nonostante la brutta vicenda di April. Al prossimo aggiornamento,
Trixie :D 

   
 
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